In memoriam, Cristianità n. 408 (2021)
Samuele Salis nasce ad Alghero, in provincia di Sassari, il 6 febbraio 1976, da Mario Salis e Angela Era. Ha un fratello più piccolo, Salvatore. Viene battezzato nella parrocchia di N. S. della Mercede in Alghero; nella stessa città compie gli studi fino al conseguimento della maturità classica. Entra nell’Ordine di Santa Maria della Mercede presso la comunità di Alghero il 1° luglio 1995 e fa il suo ingresso in noviziato a Cagliari nella Basilica-Santuario di Nostra Signora di Bonaria il 23 settembre 1995. Emette la professione semplice nel medesimo convento il 24 settembre 1996. Compie la sua formazione religiosa a Roma presso lo studentato mercedario e quella filosofica-teologica presso la Pontificia Università Gregoriana, conseguendo la licenza in filosofia.
Emette la professione solenne l’8 dicembre 2002 e riceve il sacramento dell’Ordine ad Alghero, presso la parrocchia di Nostra Signora della Mercede, il 27 marzo 2004. Dal 2004 al 2006 è conventuale presso la parrocchia di Santa Maria della Mercede in Roma in qualità di vicario. Dal 2006 è a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, presso la parrocchia-santuario di Santa Maria delle Grazie, di cui è vicario fino al 2009 e parroco fino al giorno della sua dipartita, avvenuta il 28 febbraio 2021. Viene eletto consigliere provinciale durante il Capitolo provinciale svoltosi nel giugno del 2015; rieletto in quello del 2018, è nominato segretario provinciale.
Negli anni della sua presenza a San Cataldo ha mostrato sempre la sua simpatia per Alleanza Cattolica, tenendo riunioni, un ritiro durante il quale ha celebrato la Messa secondo il rito romano antico, che amava in modo particolare, e organizzando pubblici incontri sui temi della famiglia, dei cristiani perseguitati e della difesa della vita nascente e di quella terminale. Ha tenuto l’ultima, intitolata Coltiviamo la vita… sino alla fine. L’Eutanasia: Etica, medicina, diritto, in parrocchia, nel novembre del 2019, con l’avvocato Salvatore Graci, di Alleanza Cattolica, e il medico Gaetano Morreale, del Comitato Difendiamo i Nostri Figli- Family Day.
I tratti salienti del suo carattere e della sua vita sono stati oggetto delle parole di padre Stefano Defraia, superiore della Provincia Romana dell’Ordine, in occasione delle esequie ad Alghero, che viene riportata di seguito integralmente, mantenendo lo stile parlato.
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Padre Stefano Defraia, Omelia durante le esequie di padre Samuele Salis
Eccellenza Reverendissima [il vescovo mons. Mauro Maria Morfino S.D.B.], grazie per le sue parole e per l’affetto alla Mercede. E mi creda, mi creda davvero, la mia non è retorica. Il suo affetto ci conforta e ci incoraggia a continuare il cammino, ad uscire per annunciare che il Signore è davvero risorto, nonostante sorella morte abbia bussato inopinatamente alla nostra porta per offrire al Signore uno dei suoi figli più giovani.
P. Samuele aveva appena compiuto il 6 febbraio scorso 45 anni.
Siamo ancora tutti turbati perché non è più, non è più qui in mezzo a noi, con il suo sorriso e la sua leggerezza. Il dolore ci avvolge senza sconti, ci sentiamo stritolati dalla sua assenza e la nostra fede, quella che talvolta proclamiamo quasi fosse un teorema da sputare in faccia al malcapitato di turno, rimane sgomenta e diafana. Ancora non riusciamo a comprendere la morsa del mistero della vita. Affonda le radici nei nostri vissuti, entra nelle nostre case, nei nostri conventi e nelle nostre chiese, invade le nostre notti e inesorabilmente trapana i nostri pensieri non siamo più come prima. Siamo stanchi, impauriti, incerti!
È una traversata quaresimale da vivere con la fiammella della speranza
— per la mamma Angela e il fratello Salvatore
— per i parenti tutti
— per noi confratelli, con i quali ha condiviso 25 anni di fraternità
— per le tante amiche e amici
P. Samuele non era solo un buon religioso e un parroco tout court. Era divorato dallo zelo per il popolo a lui affidato. Nessuna erudizione nella scelta del verbo. Era lui che prediligeva il verbo zelare, perché esprimeva affatto — in tutto e per tutto, vale a dire interamente — l’intimità del suo ministero: significava lavorare e servire con zelo; attendere con zelo ai propri doveri; prodigarsi con zelo per la salvezza delle anime! Era un costante ritornello, dal quale mai si discostava! E dunque non un verbo qualsiasi, quasi una superficiale nostalgia, bensì quel verbo si incarnava nella sua vita e si esplicava nella preghiera e nell’apostolato della parola e delle opere.
Era chiaro per P. Samuele che la sua stola sacerdotale — alla quale era sommamente devoto — trovava ogni ragione nel servizio della mensa della Parola e nella mensa del servizio ai più poveri.
Più che una stola era un grembiule di carità h24, attraverso il quale immolarsi ogni giorno, per amore. Per lui la sagrestia non era un ambulatorio o un ufficio dove prendere il numeretto e attendere il proprio turno. Andava incontro ai molti che non frequentavano, sapeva dialogare.
La sua buona formazione intellettuale — filosofica e teologica — gli permetteva di andare al di là delle apparenze, e la assidua frequentazione della Sacra Scrittura gli dava la libertà di educare e correggere con la stessa pedagogia di Gesù, sempre accogliente con tutti e mai un vile amministratore. Un frate e un sacerdote per davvero!
Un binomio imprescindibile, almeno per lui! La Mercede era la sua casa, e il sacerdozio, quel dono indescrivibile accolto dal buon Dio, con semplicità e mistero, attraverso il quale poteva regalare a tutti la gioia di quel Dio che lo aveva chiamato alla vita…
Samuele era un sacerdote, veramente unto con olio della gioia e sapeva ungere con olio di gioia chiunque incontrava. Perché la sua gioia sacerdotale trovava la sua fonte nell’Amore del Padre.
Samuele sapeva bene l’incommensurabile grandezza del dono che gli era stato donato nel sacerdozio, e per lui questo non era uno status e essere sacerdote del buon Dio non significava per lui credersi chissà chi anzi, sapeva bene che il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, sapeva bene che il sacerdote è il più servo se Gesù non lo chiama amico, sapeva bene che il sacerdote è il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, sapeva bene che il sacerdote è il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge.
Sapeva bene che nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue forze, e perciò la sua arma di difesa contro ogni insidia del diavolo era la preghiera alla Vergine Santissima, e così si accovacciava sotto il suo manto misericordioso invocandola sempre con il nome di Madre, Dolcissima della Mercede!
Aveva appreso ai piedi della Vergine di Bonaria, durante la sua prima formazione, da novizio, ad innamorarsi sempre più di Maria. In Lei si rifugiava, in Lei trovava conforto nelle incomprensioni, in Lei trovava la forza per superare le difficoltà. Nella Madre del suo Signore ritrovava il coraggio della speranza e la certezza della fede.
Divenne figlio della Mercede, ed emise la sua professione semplice a Cagliari il 24 settembre 1996. Poi andò a Roma. Anni di formazione e confronto. Di discernimento e di maturità. Gli anni dei sogni, delle grandi letture e degli studi filosofici e teologici alla Pontificia Università Gregoriana. È stato un onore accompagnarti nella redazione della tua dissertazione per la Licenza in Filosofia. A tutt’oggi un interessante consuntivo sulla grammatica degli affetti in Spinoza, purtroppo ancora inedito.
Il segreto? Nasceva dall’esempio di chi ci ha preceduto e ci ha insegnato il sacrificio dalle piccole cose e l’impegno nella riflessione per amore alla Chiesa, alla Mercede…
Arrivava finalmente anche il grande giorno del sacerdozio in una giornata di Quaresima del lontano 27 marzo del 2004. In viola iniziava il tuo ministero sacerdotale e così è terminato. Una vera Quaresima, dove hai imparato a fidarti di Dio, e dire NO a tutto ciò che non era DIO. Hai camminato per deserti e mai hai distolto lo sguardo dal volto del Signore che ti chiamava e guidava.
Dopo qualche anno, come vicario a Santa Maria della Mercede a Roma, sei stato trasferito a San Cataldo. Un lungo viaggio in auto da solo. Era il primo me lo ricordavi sempre, non fu facile. Ma lo accolse, diceva, in obbedienza!
Appena qualche anno come vicario, e poi divenne subito parroco di quella porzione di popolo di Dio della nostra Parrocchia di S. Maria delle Grazie: non era più tempo di giocare (diceva il Provinciale del tempo!!!).
Anni intensi, meravigliosi. Era tutto per lui. Amava il suo popolo ed era amato altrettanto da tutti!
Era il pastore buono, per tutti aveva una buona parola. Ma anche la comunità dei religiosi stimava la sua fraternità e la sua semplicità. Fu eletto consigliere, e senza mai dimenticare la vita pastorale del popolo a lui affidato, sapeva coniugare il nuovo impegno in favore della pastorale parrocchiale per la Provincia. Inoltre, era sempre impegnato nella pastorale vocazionale accompagnava p. Nunzio e P. Pasquale in tutti gli incontri nazionali ed internazionali di pastorale giovanile era l’amico di tutti, rideva e scherzava sapeva amare e formare, discretamente sempre dal basso mai si imponeva. A lui era affidato l’impegno della riflessione e meditazione, le ragioni del loro camminare che doveva accompagnare i nostri giovani verso la vita.
Nell’ultimo triennio lo scelsi come segretario Provinciale. Abbiamo viaggiato in India, negli USA, per tutte le comunità italiane.
Condividevamo tutto, le nostre passioni letterarie, Pirandello, Grazia Deledda, filosofiche e teologiche, passavamo molte ore insieme, discutevamo animatamente, volevamo comprendere la passione che ci legava: era la chiesa, Dio e la Mercede, non riuscivamo a pensare ad altro!
Ci si stupiva come altri non potessero comprendere, non avevamo bisogno di prepararci quando c’era una riunione. Mai una volta in tanti anni! La nostra onestà non lo avrebbe mai potuto permettere!
Eravamo come due jazzisti. Uno iniziava a suonare e l’altro continuava, non c’era nessuna omologazione, bensì una grande comunione! Quella che nasce dalla fraternità, dal rispetto dell’opinioni altrui, un comune sentire e una grande passione: solo Dios basta!
E poi, anche se in America o nella India, con il suo cellulare raggiungeva sempre i suoi parrocchiani, era sempre vicino. Adesso l’ho svelato il nostro segreto, caro Samuele, spero che mi perdonerai.
Ma vorrei dire l’ultima cosa a proposito della tua generosità: essa non solo confortava il popolo di Dio, ma discretamente era presente nella nostra vita fraterna, quella di tutti i giorni, la nostra quotidianità.
Nei lunghi viaggi eri sempre tu ad offrirmi un caffè, il pranzo o la cena, a comprarmi qualche libro per non pesare sull’economia conventuale. Mi trovavi sempre a secco. E non volevi che chiedessi, per evitare… mi dicevi. Come l’altro giorno quando scoprii il messale antico con la prima Messa di S. Pietro Nolasco, e non sapevo come fare: eri sempre tu a venirmi incontro. Grazie!
Oggi sono io a chiederti, caro Samuele, con le stesse parole della tua amata scrittrice: Dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?
— Sì, — egli disse allora, — siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.
— Sì, va bene: ma perché questa sorte?
— E il vento, perché? Dio solo lo sa.
Era il romanzo che tu amavi, Canne al Vento di Grazia Deledda.
Solo adesso comprendo perché mi suggerivi, appena qualche settimana fa, nel rincuorarmi della tua totale disponibilità ad andare dovunque avessimo bisogno per il bene della Provincia, di leggere questa meravigliosa pagina deleddiana, ove il vento è forse l’unico vero protagonista della vita, in cui la metafora degli uomini sbattuti come canne al vento finisce con la consapevolezza che a nulla vale il potere dell’uomo sulla sorte, che è appunto come il vento, e solo Dio ne può comprendere il perché e Dio ne racchiude le ragioni e lo sa.
Arrivederci, Samuele, a presto, fratello e amico!