Di Silvia Scaranari
Oggi la Chiesa fa memoria liturgica di Sant’Ignazio, in verità Íñigo López de Loyola essendo nato a Azpeitia, cittadina al centrodella provincia di Guipuzcoa, nei Paesi Baschi, composta da sette frazioni uno delle quali è appunto Loyola.
La tradizione racconta che Ignazio di Loyola (1491-1556),recandosi a Roma nel 1537 con il primo gruppo di suoi discepoli, si sia posto il problema di come presentarsi al Santo Padre Paolo III. Con una certa spontaneità la risposta fu “ci presenteremo come la Compagnia di Gesù!” (cfr Fontes Narrativi SocietatisIesu, vol. 1, pp. 320-322) e, dopo il riconoscimento dell’ordine da parte del Papa, il nome è rimasto nei secoli. Il termine compagnia, che rievoca le compagnie di ventura molto di moda nel XVI secolo e familiari ad un uomo che aveva passato anni nell’esercito, indica la stretta relazione, la forte unione che caratterizza il gruppo. Per combattere occorre fare squadra, occorre difendersi l’un con l’altro obbedendo ai comandi del superiore, essere disposti a morire per il compagno, così Ignazio voleva che i suoi nuovi compagni fossero uniti strettamente a Gesù. Aveva capito che Gesù era l’unico capitano che doveva essere seguito, l’unico per cui valeva la pena morire perché Lui per primo era morto per i suoi.
Tredicesimo e ultimo figlio di Beltrán Yáñez de Oñaz y Loyola e di Marina Sáenz de Licona y Balda, Ignazio resta presto orfano e nel 1506 viene mandato dal fratello maggiore presso il ministro delle finanze del re Fernando il Cattolico, Giovanni Velázquez de Cuéllar, per ricevere una buona educazione da cavaliere. Di spiccata intelligenza, brillante nella conversazione e buon suonatore di vihuela (antenato della chitarra), prende patte alla bella vita dell’aristocrazia. Morto il re Fernando, la famiglia Velazquez cade in disgrazia e Ignazio è costretto a trovare un impiego come masnadero, soldato con un proprio equipaggiamento da battaglia. Combatte al servizio di Antonio Manrique de Lara, viceré di Navarra. Durante questo servizio difende eroicamente Pamplona, posta sotto assedio dal re francese Francesco I che vuole approfittare della giovane età del nuovo sovrano, Carlo I (1500-1558), recatosi in Germania per ricevere l’incoronazione imperiale (sarà il futuro Carlo V) ed occupare la Navarra. Durante l’ultimo sforzo di difesa un colpo di cannone lo colpisce fratturandogli in più parti la gamba destra. Durante la lunga convalescenza lentamente cambia lo scopo della sua vita:dall’ambire ad una gloriosa carriera militare all’idea che l’unica cosa per cui vale la pena vivere è farsi santi.
Preso dal desiderio di servire Cristo compie un pellegrinaggio in Terra Santa dove però non può fermarsi. Costretto a tornare in Spana decide di riprendere gli studi per diventare sacerdote. Studia a Barcellona poi a Alcalà, quindi a Salamanca e infine a Parigi dove per sette anni frequenta la Sorbona e inizia a proporre ad amici e compagni di studio i suoi Esercizi Spirituali, un metodo di riflessione su se stessi e di cammino verso Dio che aveva iniziato ad elaborare durante la lunga convalescenza ed aveva poi perfezionato durante il soggiorno nel monastero di Manresa.
A Parigi si avvicinano a lui alcuni giovani colpiti dalla sua personalità, dalla sua radicalità di vita e affascinati dal suo progetto di dar vita ad un nuovo ordine religioso i cui membri potessero vivere liberi da regole claustrali spendendo le proprie energie alla difesa della Chiesa, agli ordini del Santo Padre e nel pieno amore a Cristo. Sono Pierre Favre, Francesco Saverio, Diego Lainez, Alfonso Salmeron, Nicolas Bobadilla, i suoi primi “Compagni di Gesù”.
“Signore e mio Dio, toglimi da me stesso e prendimi tutto per Te. / Signore e mio Dio, allontana da me tutto ciò che mi intralcia nel mio cammino verso di Te. / Signore e mio Dio, concedimi tutto ciò che mi avvicina a Te.” Un programma di vita condensato in poche frasi ma che può significativamente riassumere l’intento di Ignazio nel donarsi totalmente a Dio e la via che propone a chi vuole intraprendere una seria revisione della propria condotta. Per far questo ci vuole però libertà d’animo e magnanimità della mente e del cuore, come ha ricordato Papa Francesco durante il suo incontro con gli studenti degli istituti gesuiti d’Italia e Albania il 7 luglio 2013: «La magnanimità: questa virtù del grande e del piccolo (Non coercerimaximo contineri minimo, divinum est), che ci fa guardare sempre l’orizzonte. Che cosa vuol dire essere magnanimi? Vuol dire avere il cuore grande, avere grandezza d’animo, vuol dire avere grandi ideali, il desiderio di compiere grandi cose per rispondere a ciò che Dio ci chiede, e proprio per questo compiere bene le cose di ogni giorno, tutte le azioni quotidiane, gli impegni, gli incontri con le persone; fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande aperto a Dio e agli altri.»
Chi è troppo legato alla propria vita, alle proprie attività, alle proprie piccole o grandi soddisfazioni, non può guardare in alto. Avere un cuore grande per desiderare il bene. Dio è infinito e nessun uomo potrà mai contenerlo ma più il cuore è grande, aperto all’Amore, più riesce a purificarsi dai propri piccoli amori terreni, dai propri desideri talora anche legittimi ma tanto sterili, per inebriarsi già su questa terra di un pezzettino di Infinito.
In fondo lo scopo degli Esercizi, come lo stesso Ignazio scrive nella Introduzione, è
« […] esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente e altre operazioni spirituali. Come, infatti, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali tutti i modi di disporre l’anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzazione della propria vita per la salvezza dell’anima. » perché l’importante è puntare al cielo, vivendo sempre quel “magis”, quel desiderio di avere “di più” che è la cifra di tutta la vita di Ignazio.
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