Nell’estate 2015, nel pieno della crisi migratoria ai confini fra Turchia e Grecia, l’Unione europea approvò un piano per il ricollocamento dei rifugiati – di coloro cui, presentata la domanda, sia riconosciuto lo status di profughi o la protezione internazionale – e stabilì che entro settembre 2017 35.000 migranti presenti in Italia con tali qualifiche sarebbero stati dislocati in altri Stati europei. Una cifra modesta se si pensa che dal 2013 a oggi i richiedenti asilo da noi sono stati 350.000: l’alleggerimento dell’Italia riguardava appena il 10% del carico. Al 27 giugno 2017 le persone realmente trasferite in altri Paesi Ue sono state 7266, un quinto di quanto concordato; solo il giorno precedente, il 26 giugno, i migranti soccorsi in mare sono stati 13.500. Tutto questo, e tanto altro, dà ragione al ministro dell’Interno Minniti, che da un paio di settimane ha annunciato di voler impedire alle imbarcazioni delle ong piene di migranti che non abbiano bandiera italiana o Ue di attraccare in un porto italiano. Non è del tutto in linea col diritto del mare e internazionale? Non è detto, ma comunque non è il momento di discettazioni accademiche. E’ il momento di rendere chiaro che la situazione, non tanto in sé quanto nella dinamica crescente che sta conoscendo, è inaccettabile in sé e dentro la Ue. L’europeista Macron, che nei fatti si è distinto finora solo per aver fatto restituire all’Italia 200 migranti che avevano oltrepassato Ventimiglia, ha probabilmente necessità di vivere un centesimo dei momenti drammatici che l’Italia sperimenta da almeno sei anni. E’ finito il tempo di sbatterci i porti in faccia.