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“Se non ci importa che i malati che vanno a Lourdes viaggino su carri bestiame”

7 Novembre 2018 - Autore: Alfredo Mantovano

Da Tempi dell’ Ottobre 2018. Foto da youtube.com
Le notizie sono comparse un giorno dopo l’altro sulla medesima testata.
Corriere della sera, 20 settembre. Informa dell’iniziativa, “Insieme per i nostri amici meno fortunati”, promossa dalla catena di ipermercati Lidl e dalla Leidaa-Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente, presieduta dall’onorevole Michela V. Brambilla, finalizzata a garantire pasti a 100.000 cani e gatti randagi presenti nei ricoveri di tutta Italia: 50 tonnellate di crocchette, di quelle che si trovano nei punti vendita Lidl, un pasto completo per ciascun animale.
Corriere della sera, 21 settembre. Intervento di monsignor Paolo Angelino, presidente dell’Opera trasporto ammalati a Lourdes: spiega che da oltre un secolo, grazie alla collaborazione tra le ferrovie italiane e francesi, da tutta Italia partono treni per la cittadina dei Pirenei. Non contengono animali, ma persone gravemente sofferenti, che utilizzano quel mezzo perché non riuscirebbero diversamente a raggiungere il Santuario, e per molti di loro quella rappresenta la sola uscita dalle mura di un hospice o di un ricovero. I treni sono a pagamento, senza contributi solidali, eppure percorrono la distanza fra Milano e Lourdes anche in 25-26 ore (potrebbero farcela nella metà del tempo), con soste che si prolungano per ore in condizioni di abbandono. La quasi contestualità temporale fa affiancare le due vicende. Porle insieme non significa polemizzare con la prima, o colpevolizzare i promotori perché si occupano dei randagi invece che degli ammalati. È che sono decenni che cresce l’esaltazione di “diritti” che è discutibile siano tali, da decenni denaro ed energie sono impiegati verso la realizzazione dei cosiddetti “nuovi diritti”, e nelle stesse ore per le medesime strade ci disinteressiamo del pesante disagio cui sono costrette persone, non animali, loro sì meno fortunati, poiché non riescono neanche a stare in piedi o seduti: tolleriamo con la nostra indifferenza che un grave disabile resti fermo per tre ore in una stazione, pur avendo pagato un biglietto. Che cioè gli si faccia pagare il costo della sfortuna che lo ha colpito. Un contrasto del genere è una sconfitta di civiltà. E, per favore, non cominciamo con la storia del rispetto dovuto al Creato: è la Chiesa che lo insegna da quando esiste, con i modi e i documenti più vari, non serve qualche replicante improvvisato. Il quale peraltro dovrebbe ricordare che l’Autore del Creato ha posto l’uomo al suo centro, col compito di governarlo nel rispetto delle leggi di natura. L’allontanamento, teorizzato, insegnato e praticato dalla oggettiva razionalità del Creato ha avuto, fra le ricadute, due sostituzioni: quella del desiderio al diritto e quella dell’assolutizzazione del presente a una prospettiva di vita. Della prima si è detto tanto, ma repetita iuvant: se l’esistenza di un essere umano dipende non dal suo intangibile diritto alla vita, ma dal tempo intercorso dall’atto del suo concepimento, o da quante settimane mancano alla sua nascita, cioè da un dato temporaneo e variabile, non vi è ragione – e infatti in concreto lo si nega – per non farlo dipendere da quanto siamo disposti a tenerlo con noi se è lontano da standard fisiopsichici ottimali, o dal tempo che prevedibilmente manca alla

sua morte. Dipende cioè dall’arbitrio soggettivo, dunque dal desiderio, di chi gli è a fianco. In quest’ottica, senza prendersi il fastidio e la responsabilità di mettere al mondo un figlio, meglio puntare sui cocker: obbediscono, non frignano, paiono perfino più affettuosi, comunque più idonei a far felice “mamma”. Sulla seconda sostituzione pure non mancano le riflessioni. L’ultima è l’aureo libretto di De Rita e Galdo, Prigionieri del presente, uscito da pochi mesi, che ha il pregio di sintetizzare la condizione del nostro corpo sociale che, in quanto appiattito sul presente, in realtà non ha più tensione, slancio, coraggio. Chi accompagna a Lourdes gli ammalati su un treno di dolore coglie la
speranza nel futuro proprio nello sguardo di chi ha trascorso una vita a combattere con aghi e piaghe da decubito, e lo fa perché consapevole che quella vita ha un valore grande in ogni suo istante, anche se al presente “improduttiva” (ma “improduttiva” di che cosa? di ansia, di rancore, di invidia sociale? quel che producono oggi tanti “abili”). Escludo che Trenitalia, o Lidl o le Ferrovie francesi siano interessati a queste considerazioni. L’importante è esserlo noi. E farlo sapere in giro.
Alfredo Mantovano

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