Di Luca Liverani da Avvenire del 22/09/2021
Quei canti inconsueti hanno insospettito qualche vicino. «Ma che musica sentite a casa?», chiede un giorno la portinaia ad Adila, una delle figlie. La ragazza dà una risposta vaga. Pochi giorni e il papà, Mohsin Hsan Zada, una sera, non rientra più a casa. Arrestato dai taleban, da metà agosto di lui non si hanno più notizie. Quella «musica strana» erano i canti della Messa che questa famiglia di cattolici afghani seguiva via Web a Kabul. Un episodio drammatico di persecuzione anticristiana che ha travolto un padre e ha costretto i tre nuclei della famiglia a vivere giorni di terrore.
Poi, per loro, la salvezza: questi 14 cattolici afghani riescono a imbarcarsi il 23 agosto su uno degli ultimi voli italiani da Kabul. Ieri mattina l’udienza dal Papa, che ha benedetto il percorso di questa nuova vita in Italia. La fuga da Kabul è un miracolo reso possibile grazie a una catena di solidarietà che ha unito un rifugiato afghano naturalizzato in Italia, una ex-eurodeputata, il ministero della Difesa, una fondazione umanitaria di Bergamo. A raccontarlo è Alì Eshani, 29 anni, arrivato in Italia 17 anni fa dopo un viaggio cominciato a 8 anni via Pakistan, Iran, Turchia e Grecia. In fuga col fratello di 16 anni, dopo che i taleban uccidono i genitori. Il fratello sparirà in mare su un gommone. Lui arriverà sul traghetto Patrasso-Venezia, aggrappato poi per chilometri sotto a un Tir. Oggi Alì è laureato in legge e ha scritto due libri sulle sue drammatiche esperienze.
«Ero in contatto via web con queste famiglie da mesi – spiega Alì Eshan – ma inizialmente non si fidavano. Non credevano fossi anch’io cattolico. Io gli ho fatto qualche diretta della Messa via social. Una figlia aveva collegato lo smartphone al televisore per seguirla in famiglia. Qualcuno ha fatto una spiata». Alì ricorda bene la chiamata dopo la scomparsa del padre: «Erano terrorizzate, sono tante donne e bambine in famiglia, la mamma ricordava chi erano i taleban». Alla famiglia arriva una telefonata da un numero sconosciuto. «Era il padre, ma poi ha parlato un altro uomo che ha chiesto dove abitavano. Una trappola. Si sono nascosti di corsa in una cantina». Alì il 16 agosto, disperato, chiama un’ex europarlamentare che conosce da anni. Silvia Costa si mobilita e smuove Viminale e Difesa.
«Mi sono fatto mandare le foto dei loro documenti – racconta Silvia Costa – li ho girati alle Forze armate, che dopo aver fatto verifiche li hanno inseriti nelle liste di evacuazione». Con Pary Gul Hsan Zada, la moglie dell’uomo rapito, ci sono i suoi quattro figli non sposati, tra 25 e 14 anni: le giovani Adila, Robina e Stera, e il ragazzo, Nasim. Poi le famiglie delle altre due figlie: Seema Gul (34 anni) e il marito Zamin Ali (35) con i tre figli, Maryam (11), Ali Reza (8) e il piccolo Eliyas (1 anno) che a Roma verrà ricoverato d’urgenza al Bambin Gesù per una grave varicella, fortunatamente superata. E infine Fatima , col marito Gholam Abbas (entrambi 32enni) e i figli Safa Marwah (9), Muhammad Yousouf (4). Arrivate all’aeroporto di Kabul, le famiglie non riescono a entrare: «L’ingresso era presidiato dagli americani. Da Roma – racconta Silvia Costa – ho fatto tutto quello che potevo. Finalmente mi hanno avvisato che erano in attesa del decollo».
Atterrati a Roma, i 14 afghani vengono accolti per un mese da una struttura religiosa. Ieri l’udienza privata con Papa Francesco, alle 8,30 nell’auletta dell’Aula Paolo VI. «Un incontro emozionante», confessa Alì che ha fatto da interprete. Pary Gul, commossa, spiega al Papa che la tunica che indossa è quella che aveva a Kabul: se potesse parlare, quella veste confermerebbe le tante sofferenze passate. «Lo so che avete sofferto tanto, le ha risposto papa Francesco», racconta Alì. Poi la donna regala al Papa il suo anello, l’unico oggetto di valore. «Io non posso portarlo, le ha risposto il Papa, ho già il mio di anello, lo dovrei tenere in un cassetto. Io lo accetto, ma lo dovrai custodire tu, come pegno di amicizia e segno di speranza, le ha detto. E si è raccomandato, scherzando: non lo mettere all’asta!». Ogni bambino ha portato un disegno per il Papa. E Francesco ne ha chiesto a ciascuno il significato.
Oggi le tre famiglie partono alla volta di Bergamo. Ad accompagnarle in questo difficile cammino di rinascita sarà la Fondazione San Michele Arcangelo, creata e presieduta da Daniele Nembrini. Tre appartamenti, corsi di italiano e inglese, scuola, avviamento professionale: tutto a carico del progetto Meet Human, uno dei tanti della Fondazione, che accompagnerà i profughi verso l’autonomia. Niente contributi pubblici, solo offerte e donazioni: «Una scelta di carità per la carità – spiega il responsabile relazioni istituzionali della Fondazione, Francesco Napoli – per affermare con responsabilità l’unica ragione del nostro agire». Per sostenere il progetto: conto intestato a “Fondazione Meet Human”, Iban IT 61 S 05034 11121 000000080014 – Bic: BAPPIT21AA1 – Causale: Fratelli Afghani
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