Augusto Pinochet, Cristianità n. 285-286 (1999)
Testo completo del messaggio inviato ai cileni dal senatore a vita generale (Riserva) Augusto Pinochet Ugarte, reso noto a Londra l’11 dicembre 1998. Il documento, in corso di preparazione da giorni, è considerato dagli ambienti vicini al generale come una sorta di «testamento politico», nato dal prolungarsi indefinito della presenza forzata di Pinochet in Europa. Traduzione e titolo redazionali.
Senatore a vita, generale (Riserva) Augusto Pinochet Ugarte: il «testamento politico»
Impedito a tornare nel mio paese, e vivendo l’esperienza più dura e più ingiusta della mia vita, voglio ringraziare i miei compatrioti per tutte le nobili manifestazioni d’affetto e di sostegno che mi hanno dato, senza le quali queste ore di prova e di solitudine sarebbero incomparabilmente più tristi per me e per la mia famiglia. Voglio esprimere la mia gratitudine con qualche riflessione che mi è venuta in mente in questi giorni penosi, che possa aiutare a scoprire la verità e la giustizia della storia sottoposta a giudizio.
Il paese sa che non ho mai cercato il potere. Perciò, quando l’ho esercitato, non mi sono mai aggrappato a esso e quando è giunto il momento di cederlo, secondo la nostra Costituzione, l’ho fatto lealmente. Nessuno storico, neppure il più bieco e poco obiettivo, può e potrà domani sostenere in buona fede che il mio operato pubblico sia stato dettato da una presunta ambizione personale o da qualsiasi altro motivo, diverso dal bene del Cile. Al contrario, ho sempre pensato di dover orientare la chiamata a servire la patria, che fin da piccolo era presente nel mio cuore, attraverso la carriera militare. Ho sempre pensato di dover rispettare il giuramento fatto un giorno davanti a Dio e davanti alla nostra bandiera, quand’ero solo un adolescente. Proprio grazie alla nostra solida formazione morale, noi soldati impariamo a scoprire fin da subito quanto dolore e perdite irreparabili provocano le guerre. Perciò, come governante, sono stato infaticabile e irriducibile nell’intento di evitare i conflitti armati, di cercare in ogni momento la pace per il Cile, anche quando ci hanno sovrastato minacce di ogni genere.
Di fronte alla drammatica alternativa davanti alla quale è stato posto il nostro paese dal governo della Unidad Popular, mi sono rifiutato di agire fino all’ultimo, nonostante il lamento dei cittadini che picchiavano alle porte delle caserme chiedendo il nostro intervento. Ho atteso non per paura ma per una segreta speranza che fosse possibile superare in modo pacifico tale situazione estrema di crisi istituzionale, che era stata denunciata dalla Eminentissima Corte Suprema di Giustizia, dall’Onorevole Camera dei Deputati e da altri organi della nostra struttura istituzionale. Nessuno sa meglio di un soldato quanto siano incontrollabili gli scontri armati quando non si combatte contro un esercito regolare. Non è stato possibile evitarlo e, infine, abbiamo dovuto assumere la guida del paese in quello storico 11 settembre, non senza aver prima affidato il buon esito della nostra missione a Dio e alla Santissima Vergine del Carmelo, Patrona delle nostre Forze Armate e Regina del Cile. Ho sempre conservato e conserverò nel più profondo del cuore il ricordo e un sentimento di gratitudine e di ammirazione nei confronti di questa generazione di soldati, di marinai, di aviatori e di carabineros, che hanno preso parte a questa giornata patriottica e hanno fatto tanti eroici sacrifici.
Su quell’impresa basti una sola riflessione. Le Forze Armate e dell’Ordine non hanno distrutto una democrazia esemplare, né hanno interrotto un processo di sviluppo e di benessere, né il Cile in quel momento era un modello di libertà e di giustizia. Era stato distrutto tutto e noi soldati abbiamo operato come riserva morale di un paese che si disintegrava nelle mani di quanti lo volevano sottomettere all’orbita sovietica.
Credo fermamente nell’unità del paese. Tutto quanto ho fatto durante la vita ha avuto come sola ragion d’essere la realizzazione del reincontro dei cileni con il loro superiore destino comune. Sono profondamente convinto che non abbiano mai avuto e non avranno mai futuro i paesi che non riescono a scoprire la missione storica che sono chiamati a realizzare. Sono certo che non abbiano potuto e che non potranno capire le sfide che prepara loro il futuro le nazioni che dimenticano o rinnegano la propria storia. Che non saranno mai felici e non avranno un buon futuro i popoli facilmente sedotti dalla predicazione dell’odio, della vendetta o della divisione.
Sono un uomo appartenente a un tempo storico e ad alcune circostanze molto concrete. Il secolo che sta per terminare potrebbe essere adeguatamente definito come uno dei più crudeli che l’umanità abbia conosciuto. Due atroci guerre mondiali e una guerra ideologica che ha soggiogato più di mezza umanità lo hanno segnato profondamente, a causa dell’affrontarsi di due visioni del mondo assolutamente opposte. Il dilemma era: o vinceva la concezione cristiano-occidentale dell’esistenza, con il primato nel mondo del rispetto per la dignità umana e la vigenza dei valori fondamentali della nostra civiltà; o s’imponeva la visione del mondo materialista e atea dell’uomo e della società, con un sistema implacabilmente oppressore delle loro libertà e dei loro diritti.
Nella parte trascorsa di questo secolo si è giunti a perseguire lo sterminio di tutta una nazione con il pretesto di supposti ideali etnici.
Il comunismo, da parte sua, un’autentica antireligione, è costato all’umanità le vite di milioni di esseri umani in tutta Europa, e di altre decine di milioni di bambini, di donne e di uomini nei diversi paesi dell’Asia. Anche in America il marxismo ha seminato la morte e la distruzione. Non solo con i suoi tentativi rivoluzionari, ma anche con la predicazione universale dell’odio e della lotta di classe, e con l’esportazione della guerriglia e del terrorismo. Per questo gigantesco genocidio, per i sistemi più brutali di oppressione, i peggiori che l’umanità ricordi, nessuno chiede giustizia e probabilmente non l’avrà mai. Al contrario, quanti hanno provocato questi mali, quanti hanno disposto nei nostri paesi di armi e di finanziamenti sovietici per realizzarli, quanti hanno promosso e hanno predicato ai nostri popoli la sinistra ideologia del socialismo marxista, costoro si levano oggi come miei giudici.
Tutto quanto ho fatto come soldato e come governante l’ho fatto pensando alla libertà dei cileni, al loro benessere e all’unità nazionale, obiettivi superiori al cui conseguimento noi, che abbiamo operato l’11 settembre, abbiamo consacrato tutte le nostre attenzioni. Non abbiamo fatto promesse. Ci siamo solamente proposti di trasformare il Cile in una società di uomini liberi e democratica, nella quale venisse rispettato il diritto dei cittadini a creare e a intraprendere liberamente iniziative, perché divenissero padroni del proprio destino e non schiavi dello Stato e ancor meno di altre nazioni.
Ci siamo proposti di fare del Cile una grande nazione, e crediamo fermamente di aver contribuito a conseguirlo, benché alcuni paesi al mondo non attribuiscano ancora a questo risultato il giusto valore, così come non valutano il fatto che, dopo una transizione pacifica, il nostro paese abbia oggi un autentico regime democratico, nel quale funzionano pienamente tutte le sue istituzioni.
Ma i tempi sono cambiati. Il comunismo è caduto. Sono venuti allo scoperto i «socialismi reali» e l’umanità ha potuto conoscere una storia di delitti, d’ingiustizie, di sfruttamento di uomini, di fallimenti e di menzogne che neppure il più acerrimo avversario avrebbe potuto immaginare. In Cile, il risultato della nostra storia è che questo paese sconosciuto e lontano ha potuto superare con successo la prova più grande che abbia dovuto affrontare in questo secolo. Con un’autentica prodezza, che i suoi agenti non ci perdoneranno mai, abbiamo potuto dimostrare prima di qualunque altro che era possibile sconfiggere il potente «impero della menzogna e dell’odio». Abbiamo garantito la nostra libertà e intrapreso tempestivamente e come sognatori l’arduo e difficile cammino della ricostruzione nazionale e l’instaurazione di una società moderna e libera. In quasi due decenni, e grazie al sacrificio di tutto un popolo che ha ricuperato la fede nei propri ideali di progresso e di giustizia, si è costruito un paese diverso. Oggi nessuno può disconoscere che l’11 settembre ha aperto vie di speranza e di possibilità per tutti, che dipende solo dai cileni conservare e rendere pienamente feconde nel tempo.
Il Cile è oggi un paese diverso da quello che i giovani di molte generazioni hanno avuto di fronte quando aveva un’esistenza cupa, pessimista e fallita. Con il nostro governo, i poveri e gli emarginati hanno cominciato ad avere autentiche possibilità di progredire. Abbiamo sempre pensato che questa priorità sociale doveva essere il nostro principale impegno morale. Oggi non posso nascondere la soddisfazione che mi dà sapere che, per tornare al passato, dovrebbero susseguirsi molte generazioni prima che i cileni tornino a essere un popolo perdente, fatalista, depresso e senza valore, come siamo arrivati a essere all’inizio degli anni 1970. Persone accecate dall’ideologia vollero distruggere il nostro paese. Non vi sono riuscite. Non hanno tenuto conto della riserva spirituale e della naturale dignità di un popolo pacifico e ospitale che, tuttavia, non si è mai lasciato sottomettere né è mai stato piegato da nessuno.
Commetterei un’ ingiustizia se in queste righe non riservassi un riconoscimento particolare, a testimonianza della mia massima gratitudine, a quanti hanno partecipato all’epopea della ricostruzione del paese; a questa generazione di soldati e di civili, di uomini e di donne, che hanno finito per dedicare la vita al servizio del paese e che quotidianamente danno testimonianza di fedeltà ai propri ideali patriottici; alla gioventù del Cile, che ha ereditato un paese più forte con un destino di grandezza che dovrà continuare a costruire con volontà e con autentica responsabilità patriottica.
Ringrazio anche quanti non hanno fatto parte del mio governo e, pur essendo suoi avversari, hanno saputo tenere nel debito conto in quel momento, oltre ogni differenza, la difesa della sovranità e della dignità del paese.
Probabilmente le vie misteriose che il Signore riserva a ogni popolo possono portare a che molti cileni tardino a scoprire la verità di quanto ha vissuto la nostra Patria. Dico loro che nulla potrà impedire che un giorno, forse non così lontano, tornino la pace e la sensatezza negli spiriti che rimangono ancora ciechi a causa della passione, e che nella serenità di altri tempi, quando la storia rivendicherà la nostra opera comune, finiscano per riconoscere il valore e i meriti di essa. Quel giorno è probabile che io non vi sia più. Tuttavia sarà l’ora della vittoria, l’ora in cui gli ideali che hanno illuminato i nostri sogni finiranno per essere comuni a tutti i cileni.
Oggi sento che il destino ha di nuovo posto sulle mie spalle l’enorme responsabilità di contribuire a seminare semi di pace che rendano possibile la grandezza e l’unità della mia Patria. Oltre i miei dolori e le ferite che porto nell’anima per le ingiuste vessazioni delle quali sono stato oggetto, e oltre l’indignazione che produce in me il vedere il mio paese aggredito in quanto Stato sovrano e indipendente e non rispettato come merita, voglio render noto che accetto questa nuova croce, con l’umiltà di un cristiano e la tempra di un soldato, se in questo modo presto un servizio al Cile e ai cileni. Niente desidero di più che veder superati le divisioni e i rancori sterili fra noi.
Ormai alla fine della vita, nonostante la stanchezza e le sofferenze che mi hanno provocato tante ingiustizie e tante incomprensioni, voglio dirvi che, anche se dovessi affrontare avversità maggiori, il mio spirito non si sentirà mai sconfitto. Niente piegherà le mie convinzioni né la mia ferma volontà di servire la Patria, come ho giurato il giorno in cui mi sono arruolato nell’Esercito del Cile. Il mio desiderio più profondo in questo momento consiste nell’impedire che nella nostra amatissima terra continuino a esservi altre vittime, più dolore di quello già provocato da ideologie estranee alla famiglia cilena. Voglia Iddio che il mio sia l’ultimo sacrificio. Voglia Iddio che i miei dolori e gli oltraggi di cui sono vittima possano soddisfare i sempre insaziabili sentimenti di vendetta, e che servano affinché quanti continuano a essere appesantiti dal rancore possano trovare la pace per le loro coscienze. Voglia Iddio che possano smettere di vivere così turbati, e che non si sentano più nella nostra Patria le predicazioni rivoluzionarie, che hanno seminato tanta violenza e tanta divisione fra i cileni.
Noi che crediamo nel perdono e nell’autentica riconciliazione dobbiamo continuare a lavorare duramente per il futuro. Non è lontano il giorno in cui una nuova generazione di compatrioti, volgendo lo sguardo alla storia del loro paese, scoprirà la verità dell’impresa che ha permesso la costruzione di una società di cileni liberi e degni, di una Patria migliore per tutti e non per un settore o per un partito, come siamo stati sul punto di vivere.
Sono stato oggetto di una macchinazione politico-giudiziaria, maliziosa e vigliacca, che non ha nessun valore morale. Mentre in questo continente, e specificamente nei paesi che mi condannano con giudizi falsi, il comunismo ha assassinato molti milioni di esseri umani nel corso di questo secolo, vengo perseguitato perché l’ho sconfitto in Cile, salvando il paese da una virtuale guerra civile. Questo ha comportato tremila morti, dei quali quasi un terzo in divisa e civili caduti vittime del terrorismo estremista.
Sono falsamente sottoposto a giudizio in diversi paesi europei, con un’operazione diretta da quanti si dichiarano miei nemici, senza che per altro esista la più remota possibilità che quanti nutrono pregiudizi nei miei confronti e mi condannano giungano a capire la nostra storia e a intendere lo spirito di quanto abbiamo fatto. Sono assolutamente innocente di tutti i delitti e dei fatti che mi vengono irragionevolmente imputati. Tuttavia, temo che quanti lo fanno non siano mai stati e non saranno mai disposti a ragionare e ad accettare la verità.
Di fronte a una simile aberrazione, e nonostante la mia sofferenza e la mia impotenza, vorrei trasmettere una parola d’incoraggiamento ai miei compatrioti. Non perdetevi d’animo e non arrendetevi mai di fronte alle avversità e alla sventura. Non smettete di lottare per la grandezza e per la sovranità del Cile. Voglia Iddio che possiamo superare presto la nostra condizione attuale di paese debole, piccolo e ai margini, affinché mai più un cileno, qualunque sia la sua condizione, torni a subire le vessazioni e le umiliazioni che oggi subisco, proprio perché non abbiamo forza nel concerto delle nazioni per farci rispettare. Non mi scoraggerò mai. Non l’ho fatto in questo difficile momento critico, né l’ho fatto durante la mia vita, quando ho dovuto affrontare altre ore di prova; perciò voglio esprimere ai miei compagni in divisa, e in particolare a quelli dell’Esercito, la mia disponibilità, la mia fiducia e la mia profonda riconoscenza per il loro comportamento in queste difficili circostanze.
Conservo intatta la mia fede in Dio e nei princìpi che hanno guidato la mia esistenza. Mantengo la ferma speranza che il Signore, nella sua infinita misericordia, applichi le mie più intime sofferenze a quanti sono morti ingiustamente in questi anni di scontro. Sbagliano quanti credono o sostengono che il dolore per il sangue sparso nella nostra Patria è monopolio di una parte. Abbiamo sofferto tutti per le vittime. Mi consta essere soprattutto grande la sofferenza di quanti non hanno provocato lo scontro, di quanti non l’hanno cercato né tanto meno desiderato, e hanno finito per esserne vittime innocenti. Il soldato cerca sempre di proteggere i propri compatrioti. Non ho mai desiderato la morte di nessuno e provo un sincero dolore per tutti i cileni che hanno perso la vita in questi anni.
Ho chiesto umilmente a Dio di darmi fino all’ultimo istante della mia vita la capacità e la lucidità di capire e di accettare questa croce e che il dolore che porto nel più profondo dello spirito possa essere un buon seme nell’anima della nazione cilena. Se con la mia sofferenza si può porre fine all’odio che è stato seminato nel nostro paese, vi voglio dire che sono disposto ad accettare tutti i disegni del destino con la più assoluta fiducia che Dio, nel suo infinito amore, saprà rendere fecondo il sacrificio che gli offro perché trionfi la pace, e ormai all’alba del nuovo secolo i cileni siano un popolo unito e riconciliato come ho sempre sognato di riuscire a vedere.
Amo il Cile sopra tutto e neppure le situazioni più dolorose che dovrò affrontare impediranno che, con tutta la forza del mio spirito, a distanza, ripeta una e mille volte, «Viva il Cile!».
Augusto Pinochet Ugarte
Londra, dicembre 1998