ERMANNO PAVESI, Cristianità n. 175-176 (1989)
In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Sigmund Freud – nato a Freiberg o Przibor, in Moravia, il 6 maggio 1856, morto a Londra il 23 settembre 1939, ma vissuto per la maggior parte della sua vita a Vienna -, le numerose iniziative culturali che hanno tratto spunto dalla ricorrenza sono culminate nel 36° Congresso Internazionale di Psicoanalisi, che ha riunito a Roma, all’inizio di agosto del 1989, più di duemila studiosi provenienti da ogni parte del mondo.
Anche in ambito cattolico non è mancato chi, traendo occasione da questo congresso, ha ritenuto di poter parlare di un avvicinamento fra la Chiesa cattolica e la psicoanalisi: è il caso di Franco Morandi che considera psicoanalisi e analisi dell’inconscio come sinonimi e si spinge fino a riconoscere meriti alla critica freudiana della religione, citando in proposito l’opinione del pastore protestante svizzero Oskar Pfister, amico di lunga data di Sigmund Freud, che sosteneva:“Non credo che la psicoanalisi elimini l’arte, la filosofia e la religione, ma che contribuisca a purificarle” . Quindi, la critica portata da Sigmund Freud alla religione non sarebbe negativa, ma “purificatrice”, per cui la Chiesa cattolica, dopo riserve iniziali ormai superate, avrebbe “da tempo riconosciuto la validità dell’analisi dell’inconscio” (1). Entrambe le tesi mi sembrano meritare qualche considerazione critica.
Lo stesso Sigmund Freud scrive che “PSICOANALISI è il nome: 1) di un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; 2) di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica” (2). Per Sigmund Freud la vita psichica è dominata dall’inconscio: “L’inconscio è lo psichico reale nel vero senso della parola, altrettanto sconosciuto, per sua intima natura, della realtà del mondo esterno, e a noi presentato dai dati della coscienza in modo altrettanto incompleto, quanto il mondo esterno dalle indicazioni dei nostri organi di senso“ (3). È però necessario distinguere l’inconscio dall’”inconscio freudiano”, cioè dalla particolare concezione psicoanalitica della struttura e del funzionamento dell’inconscio stesso, in cui procedimento d’indagine, metodo terapeutico e interpretazioni sono strettamente interdipendenti. Come è noto infatti, le teorie – quella freudiana non esclusa – influenzano l’osservazione, determinando non solo una selezione dei fenomeni, ma anche l’interpretazione del materiale già altrimenti noto. Devo ammettere che attualmente l’inconscio viene associato di norma al nome di Sigmund Freud, ma, anche se la tesi della sua “scoperta” da parte del medico viennese è accolta in testi di tutti i livelli – dal trattato scientifico all’opera di divulgazione -, credo sia lecito chiedersi in che misura essa sia vera. Infatti, se nella concezione freudiana l’inconscio presenta indubbiamente caratteri originali e viene a esso attribuito il primato sulla vita psichica, l’esistenza di un’attività psichica inconscia era nota già prima delle analisi condotte da Sigmund Freud, e vi erano anche discipline che la facevano oggetto di studio più specifico. Mi limito a qualche considerazione relativamente al cosiddetto “discernimento degli spiriti”. A quale tipo di contenuto psichico fa riferimento san Tommaso d’Aquino quando parla degli “occulta cordis”, dei “segreti del cuore”, oggetto del dono della “discretio spirituum”, del “discernimento degli spiriti” (4)? Secondo il padre gesuita Giovanni Battista Scaramelli – teologo ascetico-mistico nato a Roma il 23 novembre 1687 e morto a Macerata l’11 gennaio 1752 – in questa accezione “lo spirito altro non è, che un impulso, eccitazione, o movimento interiore a credere o discredere, a fare o ad omettere alcuna cosa; e che tale è lo spirito, qual è la sua mozione o buona o rea.
“San Bernardo assegna sei classi di spiriti diversi da cui l’uomo può essere mosso alle sue operazioni” (5). Alla luce di questa dottrina gli “spiriti” potrebbero agire sulla fantasia, sul senso interno, stimolando le passioni, influenzando la volontà e l’intelletto in modo tale che, talora, solamente un’analisi adeguata consentirebbe di riconoscere il vero movente.
Benché Sigmund Freud rivendichi continuamente la priorità della sua scoperta dell’inconscio e sostenga che proprio “con l’ammissione di processi psichici inconsci, si è aperto un nuovo, decisivo orientamento nel mondo e nella scienza” (6), si può notare come questo orientamento non sia in ultima analisi così nuovo come si vuol far credere, in quanto è legittimo considerare il discernimento degli spiriti anche come scienza dell’inconscio. Tanto più che lo stesso fondatore della psicoanalisi ha riconosciuto che “i moralisti teorici chiamano “buone” solo quelle azioni che sono espressioni di moti pulsionali buoni e rifiutano il loro apprezzamento alle altre azioni; la società invece, dominata com’è da intenti pratici, non si cura per nulla di una distinzione simile, si accontenta del fatto che un uomo impronti il proprio comportamento e le proprie azioni a precetti di civiltà, preoccupandosi ben poco dei suoi motivi” (7). Volendo far uso della terminologia freudiana, oserei affermare che attraverso la pratica del discernimento degli spiriti – e la corrispondente esposizione dottrinale – si è cercato per secoli di identificare e quindi di classificare quei moti pulsionali del comportamento umano che si sottraggono a un’osservazione diretta: il fatto che gli “spiriti” nell’accezione classica corrispondano solo in parte ai moti pulsionali, come vengono intesi da Sigmund Freud, non toglie nulla alla loro dimensione anche inconscia (8).
Potrebbe sembrare una discussione puramente accademica, ma è resa necessaria da una situazione culturale secondo cui, se l’inconscio fosse stato scoperto da Sigmund Freud grazie al metodo psicoanalitico, per investigare questa dimensione psichica non si potrebbe prescindere dalle tesi del medico austriaco. Anche alla cultura cattolica e – in ultima analisi – alla Chiesa stessa non resterebbe altra alternativa che quella o di ignorare l’attività psichica inconscia oppure di accettare la psicoanalisi, riconoscendone non soltanto eventuali meriti ma anche l’indispensabilità. Ma la Chiesa ha da sempre riconosciuto la validità dell’esame delle componenti inconsce dell’attività psichica, se già san Paolo, nella prima lettera ai cristiani di Corinto, annovera il discernimento degli spiriti fra i carismi (9).
Venendo poi al rapporto fra psicoanalisi e religione, è necessario cercare di comprendere qual è il giudizio dello stesso Sigmund Freud sulla religione. Non si espone certamente in modo adeguato e corretto il pensiero freudiano in argomento limitandosi a citare come autorità la tesi del pastore Oskar Pfister, che considera la psicoanalisi un mezzo di “purificazione” della religione, ma nello stesso tempo tacendo quanto pensava il medico austriaco relativamente a questa “purificazione”: “a lungo andare nulla può resistere alla ragione e all’esperienza, e l’opposizione della religione nei riguardi di entrambe è fin troppo evidente. Neanche le idee religiose purificate possono sottrarsi a tale destino, nella misura in cui vogliono salvare ancora qualcosa del contenuto consolatorio della religione. Certo, se si limitano ad affermare l’esistenza di un essere spirituale più alto, le cui caratteristiche sono indefinibili, i cui intenti sono inconoscibili, allora sono al riparo dalle obiezioni della scienza, ma in questo caso vengono del pari abbandonate dall’interesse degli uomini” (10). Chiaramente, nella prospettiva di Sigmund Freud un tale processo di “purificazione” si può arrestare soltanto dopo aver svuotato la fede religiosa di ogni contenuto e dopo averla ridotta a pura ipotesi circa l’esistenza di un essere superiore inconoscibile. Ogni discorso religioso, ogni affermazione positiva relativamente a realtà soprannaturali sarebbero unicamente proiezioni di processi psichici, senza rapporto con la realtà e quindi paragonabili alla paranoia: “L’oscura conoscenza (per così dire la percezione endopsichica) di fattori e rapporti psichici inerenti all’inconscio si rispecchia – è difficile dire diversamente, l’analogia con la paranoia deve qui esserci di aiuto – nella costruzione di una realtà sovrasensibile, che la scienza deve ritrasformare in psicologia dell’inconscio. Potremmo avventurarci a risolvere in tal modo i miti del paradiso e del peccato originale, di Dio, del bene e del male, dell’immortalità, e simili, traducendo la metafisica in metapsicologia“ (11). Il rapporto fra psicoanalisi e religione supera così l’ottica particolare del rapporto con la Chiesa cattolica per investire il problema più generale se sia possibile una metafisica, e la risposta di Sigmund Freud è negativa.
Nella sua prospettiva la religione scaturirebbe solamente dall’incapacità dell’uomo di affrontare in modo razionale i problemi del suo rapporto con le forze della natura, con la sofferenza e con i sacrifici imposti dalla vita in società: “La religione è un tentativo di vincere il mondo dei sensi, nel quale siamo posti, per mezzo del mondo dei desideri che abbiamo sviluppato in noi in seguito a necessità biologiche e psicologiche. Ma in quest’opera non può riuscire” (12). Quindi l’idea di Dio e ogni concezione religiosa hanno radice nella condizione infantile: “L’ultimo contributo alla critica della visione religiosa del mondo è stato fornito dalla psicoanalisi, che ha indicato l’origine della religione nello stato del bambino privo di ogni difesa e ha fatto derivare i suoi contenuti dai desideri e dai bisogni dell’infanzia, protrattisi sin nella maturità. Ciò non significa propriamente che ci siamo messi a confutare la religione, anche se è stato necessario un perfezionamento delle nostre conoscenze su di essa per contraddirla se non altro in un punto, e cioè nella sua pretesa di aver origine divina” (13).
Non manca chi cerca di utilizzare questi argomenti di Sigmund Freud per “purificare” la religione, liberandola da ogni elemento pretesamente spurio, e, nel caso del cristianesimo, di “purificare” il messaggio evangelico da presunte indebite giustapposizioni e da altrettanto presunti elementi sentimentali e consolatorî. Ma si dimentica che il medico viennese critica e respinge addirittura uno dei princìpi fondamentali del messaggio evangelico, l’amore per il prossimo. “”Amerai il prossimo tuo come te stesso.” È una pretesa nota in tutto il mondo, certamente più antica del cristianesimo che la ostenta come la sua più grandiosa dichiarazione, ma certamente non antichissima; sono esistite perfino epoche storiche in cui era ancora estranea al genere umano. […] Il mio amore è una cosa preziosa, che non ho diritto di gettar via sconsideratamente. […] Ma se [l’altro] per me è un estraneo e non può attrarmi per alcun suo merito personale o per alcun significato da lui già acquisito nella mia vita emotiva, amarlo mi sarà difficile. E se ci riuscissi, sarei ingiusto, perché il mio amore è stimato da tutti i miei cari un segno di predilezione; sarebbe un’ingiustizia verso di loro mettere un estraneo sul loro stesso piano. Ma se debbo amarlo di quell’amore universale, semplicemente perché anche lui è un abitante di questa terra, al pari di un insetto, di un verme, di una biscia, allora temo che gli toccherà una porzione d’amore ben piccola e mi sarà impossibile dargli tutto quello che secondo il giudizio della ragione sono autorizzato a serbare per me stesso. A che pro un precetto enunciato tanto solennemente, se il suo adempimento non si raccomanda da sé stesso come razionale?
“Se osservo le cose più da vicino, le difficoltà aumentano. Non solo questo estraneo generalmente non è degno d’amore, ma onestamente devo confessare che avrebbe piuttosto diritto alla mia ostilità e persino al mio odio” (14).
Dunque, la religione sarebbe solamente una consolazione di origine irrazionale, quindi equiparabile a una nevrosi, che ha radici storiche ed è destinata a essere superata: “La religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità; come quella del bambino, essa ha tratto origine dal complesso edipico, dalla relazione paterna. Stando a tale concezione, è da prevedere che l’abbandono della religione debba aver luogo con l’inesorabilità fatale di tutti i processi di crescita, e che ora ci troviamo in pieno proprio in questa fase di sviluppo” (15).
I passi citati di Sigmund Freud sono di per sé eloquenti, ma un esame esauriente dei rapporti fra religione e psicoanalisi dovrebbe essere esteso anche ad altri aspetti, per esempio all’antropologia freudiana, che riduce l’anima ad attività psichica, considera l’uomo soltanto come un animale e, incapace di coglierne la dimensione personale, mette il prossimo sullo stesso piano “di un insetto, di un verme, di una biscia”.
Credo interessante – a conclusione – ricordare che lo stesso Sigmund Freud non ritiene infondati i sospetti che la Chiesa cattolica – “l’implacabile nemica della libertà di pensiero e del progresso verso la conoscenza della verità” (16) – nutre nei confronti della sua dottrina: “La ricerca psicoanalitica, che noi coltiviamo, è ad ogni modo oggetto di un’attenzione diffidente da parte del cattolicesimo. Non affermeremo che ciò avvenga senza ragione. Considerato che il nostro lavoro ci porta a concludere che la religione non è altro che una nevrosi dell’umanità, e poiché riteniamo che il suo formidabile potere sia spiegabile allo stesso modo della coazione nevrotica cui sono soggetti i nostri singoli pazienti, possiamo esser certi di attirare su di noi tutto il risentimento dei poteri dominanti del nostro paese” (17).
Ermanno Pavesi
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(1) Cfr. Franco Morandi, Anche Freud si arrese al Mistero, in Avvenire, 9-8-1989. A proposito del pastore protestante svizzero, cfr. Hans Zulliger, Oskar Pfister (1873-1956). Psicoanalisi e fede, in Franz Alexander, Samuel Eisenstein e Martin Grotjahn ( a cura di), I pionieri della psicoanalisi, trad. it., Feltrinelli, Milano 1971, pp. 165-174.
(2) Sigmund Freud, voce Psicoanalisi, in Max Marcuse (a cura di), Handwörterbuch der Sexualwissenschaft [Dizionario di sessuologia], Bonn 1923, in S. Freud, Opere, trad. it., edizione diretta da Cesare Luigi Musatti, 12 voll., Boringhieri, Torino 1966-1980, vol. 9, p. 439.
(3) Idem, L’interpretazione dei sogni [1899], ibid., vol. 3, p. 557.
(4) Cfr. 1 Cor., 14, 25; e san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Ia IIae, q. 111, a. 4.
(5) Giovanni Battista Scaramelli S.I., Dottrina di S. Giovanni della Croce. Discernimento degli spiriti, Pia Società S. Paolo, Roma 1946, p. 232.
(6) S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi [1915-1917], ibid., vol. 8, p. 205.
(7) Idem, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte [1915], ibidem, p. 131.
(8) Cfr. il mio Magnetismo animale, ipnotismo, psicologia del profondo, in Massimo Introvigne (a cura di), Lo spiritismo, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1989, pp. 113-119, soprattutto nota 10.
(9) Cfr. 1 Cor., 12, 10.
(10) S. Freud, L’avvenire di un’illusione [1927], ibid., vol. 10, p. 483.
(11) Idem, Psicopatologia della vita quotidiana. Dimenticanze, lapsus, sbadataggini, superstizioni ed errori [1901], ibid., vol. 4, pp. 279-280.
(12) Idem, Introduzione alla psicoanalisi. (Nuova serie di lezioni) [1932], ibid., vol. 11, p. 271.
(13) Ibidem.
(14) Idem, Il disagio della civiltà [1929], ibid., vol. 10, pp. 597-598.
(15) Idem, L’avvenire di un’illusione [1927], ibidem, p. 473; cfr. anche Idem, Azioni ossessive e pratiche religiose [1907], ibid., vol. 5, pp. 337-349.
(16) Idem, L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi [1934-1938], ibid., vol. 11, pp. 379-380.
(17) Ibid., p. 380: il paese in questione è l’Austria.