Massimo Introvigne, Cristianità n. 97 (1983)
In una società pluralistica, nella quale il pluralismo è ideologico e non soltanto sociale – quando non soltanto ideologico! -, è di straordinaria importanza e utilità conoscere con precisione gli aspetti culturali e morali delle ideologie che concorrono alla conquista del potere, nella prospettiva della sua gestione e della trasformazione della società e del singolo. Perciò, mentre il protagonismo socialistico domina la scena elettorale e punta al suo acme, riesce di particolare vantaggio una adeguata descrizione della sua «morale». La esposizione della «rivoluzione sessuale» socialistica – dai suoi presupposti gnostici al suo esito permissivistico – in uno studio che la confronta con la morale cattolica, sulla cui base la giudica. Una sostanziale ripresa dell’intervento dell’autore – su La famiglia e la Rivoluzione sessuale – al convegno promosso da Alleanza Cattolica e da Cristianità a Roma, il 23 e 24 ottobre 1982, sul tema Italia anni 80. Per una presenza cattolica in un mondo socialista (cfr. Cristianità, anno X, n. 91, novembre 1982).
La «morale» dell’Italia di domani?
Socialismo e rivoluzione sessuale
I. La genesi della «democrazia socialista»
1. Spirito gnostico e socialismo
La gnosi – secondo la nota definizione di Plotino – è la tesi per cui «il Creatore del mondo è cattivo e […] il mondo è cattivo» (1). Alla domanda unde malum? – fondamentale per ogni uomo che si interroghi sul significato della vita e della morte – il Cristianesimo – in parte significativamente anticipato dalla saggezza classica – risponde che il mondo è stato creato buono da Dio, e che il male e la morte vi furono introdotti dall’uomo: «per unum hominem peccatum intravit in mundum et per peccatum mors», «a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte» (2). La ferita che il peccato ha introdotto nel mondo è tuttavia parziale, come parziale è la possibilità di liberarsi dal male nel tempo attraverso il rispetto della legge morale e l’ascesi che, dopo la Incarnazione, permettono di partecipare ai frutti della Redenzione.
Alla visione cristiana del bene e del male si contrappone la mentalità gnostica, secondo la quale il male non viene dagli uomini ma da quel Dio che, creando il mondo, lo ha fatto imperfetto e malvagio: per gli uomini, allontanandosi da questo Dio e dalle sue leggi, sarà possibile, attraverso particolari tecniche, liberarsi totalmente dal male. La mentalità gnostica è la organizzazione intellettuale dell’orgoglio e della sensualità: da una parte, insegna agli uomini che non hanno colpa del male del mondo e che l’umiliante limite della finitudine è stato loro imposto dalla malizia di un Dio malvagio; dall’altra, li dispensa dalla osservanza di ogni legge e dall’ascesi, sostituite in toto da una conoscenza e da una tecnica. Il male del mondo, per la gnosi, consiste nella esistenza di distinte individualità e, quindi, di differenze e di disuguaglianze la cui articolazione giustifica un ordine e, dunque, una gerarchia e una legge. Dalla unità originaria e indistinta di un tutto onnipervadente, il Pleroma – che Basilide chiama apertamente il Nulla -, per opera del Dio malvagio gli enti cadono nella cattiva individualità, si differenziano originando disuguaglianze e gerarchie e vanno ad arenarsi sulle spiagge della finitudine. Questo dramma cosmico non esclude, tuttavia, la possibilità di una epistrofé, di un ritorno dal mondo della caduta al Pleroma, attraverso una serie di tecniche, insegnate dagli iniziati gnostici, che consentono di sottrarsi al mondo della individualità e di perdersi nuovamente nell’Uno collettivo e indefinito.
Le tecniche gnostiche – diverse e diversamente articolate – convergono nella massima eliminazione possibile delle differenze e delle disuguaglianze, che costituiscono il malvagio marchio della individualità imposto dal Dio-demiurgo venuto a distruggere la indistinta armonia del Pleroma originario. Dal punto di vista politico e sociale il socialismo – che si propone, nelle sue varie sfumature, appunto la eliminazione delle differenze e delle disuguaglianze tra gli uomini, e quindi della gerarchia sociale – non costituisce, dunque, soltanto il più importante di quelli che Eric Voegelin ha definito «movimenti gnostici di massa» (3) ma, inteso come categoria filosofico-politica, si identifica – come ha notato Igor Safarevic – con la gnosi militante nella storia (4).
L’ugualitarismo sociale è la via per giungere a un ugualitarismo metafisico, in cui – secondo il programma gnostico – gli enti individuali si sfaldano nel fluire della evoluzione e finiscono per confondersi con il Nulla.
2. Il socialismo come processo
Nella terza parte della enciclica Laborem exercens, Giovanni Paolo II si sofferma a trattare del processo di allontanamento dalla verità cristiana nel mondo moderno, che descrive come «sviluppo» da una prima fase di «materialismo pratico», tipicamente riferito alla «filosofia e alle teorie economiche del secolo XVIII» – e cioè all’illuminismo e al liberalismo «classico» -, a una seconda fase più matura di «materialismo dialettico», che mira a «introdurre in tutto il mondo il socialismo». II testo pontificio sembra ribadire – contro ogni interpretazione della dottrina sociale della Chiesa come un quid medium tra liberalismo e socialismo – come teoria liberale e socialista stiano dalla stessa parte, siano tappe diverse dell’unico processo di degradazione della Rivoluzione moderna (5).
Anche il passaggio dal liberalismo al socialismo è a sua volta un «processo» e non un «salto», che conosce un divenire e una storia: il «socialismo reale» – di cui la Unione Sovietica attuale offre una immagine efficace e che dovrebbe a sua volta introdurre al comunismo, al trionfo gnostico e anarchico della uguaglianza assoluta – è preparato da tappe intermedie che scandiscono la marcia dal liberalismo al regno sovietico del GULag. L’auto-presentazione del mitterrandismo nel Progetto socialista per la Francia permette di identificare un socialismo autogestionario in cui il momento anarchico-libertario prevale su quello coercitivo e violento – peraltro non del tutto assente -, che insieme prepara il socialismo reale e verrà conservato nel socialismo reale – che include, a ben vedere, due elementi, uno sovietico-burocratico e uno sovietico-autogestionario, il ferreo apparato e il formicolio dei soviet -, fino a trionfare nella futura, utopica società comunista (6).
Le tesi che l’on. Craxi viene da qualche tempo esponendo sembrano rimandare a una tappa del processo socialistico che è forse immediatamente precedente il socialismo autogestionario, e che l’esponente del Partito Socialista denomina «democrazia socialista». La «democrazia socialista» sarebbe un socialismo in fieri, colto nel momento in cui nasce dal liberalismo radicale: è il momento in cui il relativismo libertario, già presente nella società liberale, raggiunge il massimo sviluppo, mentre, contemporaneamente, il liberalismo viene svuotato del suo contenuto economico attraverso la espansione dell’intervento pubblico sulla economia; e a questo lento venire meno della proprietà privata si accompagna un crescere della pressione dello Stato, che preannuncia la compiuta trasformazione del relativismo liberale in relativismo aggressivo marxista. La «democrazia socialista», secondo le affermazioni di Craxi, in Italia già esiste da molti anni, ma ristagna e abbisogna di nuovi impulsi per essere sempre di più sé stessa e finalmente evolvere verso la tappa successiva del processo, il socialismo autogestionario à la Mitterrand.
3. Democrazia socialistica e società permissiva
La democrazia socialistica – o, per essere più esatti, il plesso cronologico costituito dalla democrazia socialistica e dal suo esito, il socialismo autogestionario – non costituisce affatto una versione «moderata» del marxismo, da cui sarebbe assente la componente più aggressiva e virulenta tipica del socialismo reale; al contrario, il nuovo socialismo occidentale vuole e può rappresentare una fase del processo rivoluzionario oggettivamente più avanzata dello stesso socialismo orientale. In effetti, la democrazia socialistica lanciata verso l’autogestione rappresenta una combinazione degli aspetti più sovversivi della rivoluzione orientale e della rivoluzione occidentale. Alla rivoluzione orientale si ispira, infatti, la dimensione politico-economica del nuovo socialismo, improntata a un clima di generale antipatia e sospetto nei confronti della proprietà privata, destinata – come meta – a essere sostituita da forme diverse e collettivistiche di relazione con i beni; anche se – per la peculiare situazione delle società occidentali – questa meta viene perseguita con ogni possibile gradualismo e avvolta da dense nebbie propagandistiche, che si sforzano di celarne la vera natura, divagando su improbabili «terze vie» o «termini medi» tra proprietà privata e socialismo. Contemporaneamente, nella sua dimensione sociale e culturale, il nuovo socialismo conserva ed esalta la eccitazione libertaria, l’immoralismo e la perdita di ogni valore morale, che costituiscono l’aspetto più avanzato della rivoluzione occidentale.
All’indomani immediato della rivoluzione d’ottobre, i primi oppositori del socialismo reale sovietico – negli scritti poi raccolti nell’antologia Dal profondo (7) – già avevano colto il carattere tecnicamente «infernale» della società sovietica, caratterizzata da una cappa di schiavitù che, mediante la totale abolizione della proprietà privata, veniva a gravare sul corpo sociale come la rigidità della morte, eliminando ogni articolazione e ogni vita. Si può tuttavia osservare come la società sovietica, tanto più dopo le correzioni di rotta operate da Stalin, sia la proiezione sociale, a ben vedere, solo di una delle caratteristiche salienti del male nella storia, male che è insieme tirannia e anarchia, totalitarismo e disordine. Contro le stesse aspettative del primo bolscevismo, nella società sovietica la rigidità della schiavitù politico-economica non ha potuto combinarsi con un auspicato disordine morale, che avrebbe dovuto includere l’abolizione della famiglia e la più totale licenza sessuale. Al contrario, come è noto, per motivi strategici che si riassumono nella necessità di difendere una qualche compattezza sociale per potere funzionare come macchina militare nei confronti di un mondo esterno non ancora completamente socialistico, la società sovietica ha dovuto, suo malgrado, mantenere qualche elemento del vecchio ordine morale e familiare: da cui l’accusa al vecchio comunismo, da parte dei giovani del ‘68, di essere «rivoluzionario in piazza e reazionario in famiglia». La democrazia socialistica, attraverso una più attenta lettura del rapporto tra materialismo dialettico e materialismo storico, vuole invece superare questa impasse ed essere per quanto le circostanze sociali lo consentono, insieme rivoluzionaria in piazza e rivoluzionaria in famiglia. Da questo punto di vista, la democrazia socialistica rappresenta la versione più coerente – proprio in quanto socialistica – della cosiddetta «società permissiva».
La espressione «società permissiva» risale ai primi anni Sessanta e coincide con lo sviluppo di un’ampia letteratura – ormai storicamente datata – intesa a descrivere lo stato del corpo sociale occidentale appena uscito dalle ristrettezze economiche del secondo periodo post-bellico: una società caratterizzata dalla Ideallösigkeit – dalla perdita di tutti gli ideali, e segnatamente dalla perdita del senso del sacro (Desacralisierung) e del senso morale (Demoralisierung). A distanza di circa venti anni – dopo che la cultura della Ideallösigkeit ha avuto la sua epifania «ufficiale» nel 1968 – la letteratura sulla società permissiva – di volta in volta identificata come società «opulenta» (dal titolo del noto libro di Galbraith), tecnocratica (con il richiamo a una ascendenza saintsimoniana) o consumistica (in cui per la prima volta si aveva – come ha scritto Augusto Del Noce – «il successo senza veli della morale edonistica») (8) – appare, come si è accennato, invecchiata e in declino: ma tutt’altro che scomparsa è la relativa fenomenologia, che la cultura della democrazia socialistica cerca, anzi, di articolare e di organizzare.
II. Democrazia socialistica e rivoluzione sessuale
1. «Natura» e spontaneità
Nella genesi della società permissiva – soprattutto dei suoi aspetti anti-morali ed edonistici – sembra avere un ruolo determinante un concetto di libertà come spontaneità e espressione di una «naturalezza» che si libera dalla cappa «innaturale» di quelle che, con linguaggio psicanalitico, vengono definite repressioni e tabù. Termini come «naturale», «spontaneo», «libero» sono oggi pronunciati con una carica eversiva tutta particolare, che collega la libertà e la spontaneità a ogni licenza, secondo il processo già illustrato da De Sade: frenare ogni impulso, per criminale e perverso che sia, sarebbe frenare e porre limiti nocivi alla libera manifestazione della natura. In realtà, non vi è nulla di meno naturale del concetto di «natura». L’uso linguistico del termine è multiforme, e dice normalmente riferimento a una serie di precondizionamenti filosofici. Già la nozione di natura come somma degli ambienti non creati dall’uomo e del loro divenire non è univoca, almeno nel mondo moderno, e lo dimostra abbondantemente – come ha notato, tra gli altri, Hans Sedlmayr (9) – la storia dell’arte. Dal Seicento all’Ottocento la «natura» vorrebbe trionfare simbolicamente nel giardino alla francese e nel giardino all’inglese: ma vi è ben poco di comune tra la «natura» geometrica e classica del primo e la «natura» lussureggiante e romantica del secondo. Il processo storico della pittura di Turner – dalla natura come ordine alla natura come libertà e infine come caos – fornisce un esempio eloquente delle oscillazioni della nozione del «naturale» nella coscienza europea dell’epoca delle grandi rivoluzioni.
La polivalenza del concetto si fa ancora più complessa quando dalla natura come ambiente si passa a indagare la portata semantica della espressione «natura umana», che condiziona la identificazione del comportamento «naturale» e «spontaneo». Se, secondo la tradizione della filosofia naturale cristiana – la natura umana consiste in modo eminente nella razionalità, il comportamento «naturale» dell’uomo sarà quello in cui la ragione si impone come guida e prevale sulle altre potenze interiori. Se invece, come afferma nelle sue varie espressioni e sfumature il pensiero rivoluzionario, la natura umana va cercata non nella ragione, ma nelle potenze inferiori che gravitano verso uno psichismo collettivo e indistinto, ecco che il comportamento tipicamente umano, «libero» e «spontaneo» consisterà nel fare tacere la voce della ragione, falso re imposto dai condizionamenti culturali e storici, e nel lasciare libero sfogo agli impulsi e alla sensualità.
La teologia cattolica mette in luce tre vicende successive della natura storica dell’uomo: la natura umana creata a immagine e somiglianza di Dio nello stato di innocenza originaria della Genesi, improntata a una ordinata gerarchia delle potenze interiori che vede al suo vertice la ragione e quindi la volontà; la natura lapsa, ferita dal peccato d’origine, in cui a minacciare il retto ordine interiore insorge la triplice concupiscenza; la natura lapsa simul ac redenta, che – nella prospettiva della Redenzione – indica la possibilità di superare la concupiscenza e di restaurare l’ordine dell’uomo interiore praticando la virtù con l’aiuto della grazia. Certamente, la natura metafisica dell’uomo non muta: ma la natura storica dell’uomo può essere analizzata con riferimento alle grandi tappe della storia della salvezza – la Creazione, il peccato, la Redenzione. Se si prescinde da questi riferimenti il mistero della natura umana, che è il mistero del bene e del male nell’uomo, rimane oscuro: e ogni ricerca sulla natura dell’uomo diventa naturalismo, perché la ricerca della natura umana come fatto o fenomeno porta fatalmente – come avviene in gran parte della teologia morale progressistica, che dichiara di volere muovere da una fenomenologia -, nella migliore delle ipotesi, a un incontro con la natura umana come è oggi, post peccatum. Chi cerca la natura empirica dell’uomo trova al più la natura lapsa, che conserva ancora, certamente, l’impronta dell’immagine e somiglianza con Dio, ma il cui tratto a prima vista più evidente è la presenza della concupiscenza. Il moderno empirismo naturalistico, a cui secoli di filosofia atea impediscono di scorgere nell’uomo di oggi quanto rimane di ancora positivo come immagine di Dio, identifica senz’altro la natura umana con la concupiscenza e passa ad affermare che comportarsi in modo «naturale», «libero» e «spontaneo» significa soddisfare gli impulsi della pretesa «natura empirica» reperita mediante la indagine fenomenologica, cioè soddisfare la concupiscenza.
Nei due discorsi del 15 e del 29 ottobre 1980, Giovanni Paolo II ha rilevato come la identificazione della natura umana con la concupiscenza corrisponda allo spirito gnostico per il quale la creazione del mondo e la nascita dell’uomo individuale sono opera di un principio malvagio. La riduzione della natura umana alla sola concupiscenza è caratteristica, secondo il Pontefice, sia della gnosi antica nelle sue versioni ellenistiche e orientali, sia di quella che è stata definita la «gnosi moderna». Giovanni Paolo II riprende da Ricoeur la espressione «maestri del sospetto» per designare i grandi iniziati della gnosi moderna, Freud, Marx e Nietzsche; e nota come ciascuno di essi riduca la natura umana a una delle tre concupiscenze: Nietzsche alla «superbia della vita», Marx alla «concupiscenza degli occhi», Freud alla «concupiscenza della carne» (10).
Proseguendo nella indagine, si può affermare che la espressione più compiuta della società atea occidentale, la società permissiva nella sua versione più ideologizzata che è la democrazia socialistica, rappresenta il trionfo della riduzione della natura umana a concupiscenza in modo più compiuto di quanto non avvenga nella società atea orientale ufficialmente marxistica. Nella epifania socialistica della irreligione occidentale, infatti, si è invitati a vivere secondo «natura empirica», cioè secondo concupiscenza, nel triplice senso del termine: non soltanto i rapporti economici e politici sono ridotti a «concupiscenza degli occhi», secondo lo schema marxistico del primato della economia, dei beni materiali e dei rapporti di produzione articolati nella lotta di classe; ma, contemporaneamente, i rapporti morali e familiari – o meglio, la distruzione della famiglia – sono organizzati secondo la «concupiscenza della carne», nella prospettiva che va dai libertini a Freud passando per De Sade; e tutto questo per il trionfo finale della «superbia della vita», dell’orgoglio gnostico sulla prospettiva cristiana del peccato e della Redenzione.
Il presupposto ideologico della democrazia socialistica come società permissiva va allora cercato non soltanto nel marxismo ma in un naturalismo più ampio, capace di estendere il riduzionismo empiristico e materialistico dagli aspetti sociali a quelli interiori dell’uomo: una ideologia che fa procedere parallelamente la rivoluzione contro l’ordine sociale e quella contro l’ordine morale, e che trova il suo riferimento storico nella fusione tra il materialismo storico marxistico e il positivismo detto «di sinistra». Non a caso, nelle polemiche con il Partito Comunista che hanno caratterizzato le prime fasi della sua ascesa, l’on. Craxi si è ripetutamente riferito a Saint-Simon, significativo rappresentante dell’incontro tra positivismo e socialismo. La divergenza tra questa linea e quella marxistica più ortodossa non va del resto sopravvalutata, se si considera che Engels nel suo saggio L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, per sovvertire in radice l’istituto della famiglia si serve sostanzialmente di una metodologia tipicamente positivistica. Più recentemente, in modo a mio avviso puntuale – e certamente non solo per nazionalismo -, l’on. Craxi ha intensificato i riferimenti a Filippo Turati, il quale fu più vicino a Engels che a Marx e «rimase positivista anche quando abbracciò il marxismo», come ha scritto Leo Valiani in un saggio in cui celebra in Turati la sintesi della tendenza liberale c di quella socialistica della Rivoluzione italiana (11).
2. Socialismo e morale sessuale
Il settore della morale a cui più tipicamente la ideologia della società permissiva applica la riduzione della natura a concupiscenza è quello della morale sessuale: gli anni del pieno sviluppo della società edonistica sono quelli in cui la rivoluzione sessuale da tendenza e processo latente si trasforma in epoca. Nella combinazione di marxismo e di positivismo che costituisce la base ideologica della democrazia socialistica la riduzione della natura alla concupiscenza della carne è particolarmente evidente. «In nessun campo – scrive Turati – è così patente che le morali costituite a detrimento delle necessità naturali sono false e aberranti quanto nel campo sessuale […] ebbene: scardiniamo i cancelli, spalanchiamo le vetrate e all’inferno la Venerabile impostura! Questo il compito primo. Poi, se mai, un nuovo catechismo: a dettare il quale, peraltro – dopo due mill’anni di menzogna che ci ha impestati – temiamo che oggi nessuno sia maturo» (12). L’elemento positivistico-naturalistico e l’elemento marxistico nella operazione di riduzione operata dal pensiero socialistico italiano sono sottolineati da Maria Rosaria Manieri nel saggio Socialismo e questione femminile, pubblicato sulla edizione celebrativa dell’Almanacco socialista del 1982, che intendeva costituire una sorta di summa delle posizioni culturali del craxismo. La Manieri esalta «la componente darwiniana e spenceriana della cultura socialista che da una parte pone l’accento sul carattere naturale della sessualità e dall’altra spiega l’evoluzione della forma della famiglia con l’evolversi del tessuto socio-economico» e «il motivo illuminista e positivista del ricorso alla natura […] assunto storicamente dai socialisti come arma di critica nei confronti delle strutture e degli apparati feudali che ancora segnano l’arretrata società italiana […] all’interno di una grossa carica contestativa del formalismo autoritario, dell’intolleranza religiosa e del rigorismo morale» (13). E Osvaldo Gnocchi Viani, nei primi anni del socialismo italiano, ribadiva, in un articolo a favore del divorzio, che «tutti i socialisti vogliono che la unione di una donna e di un uomo non abbia che questi due cardini: l’equivalenza dei sessi e la mutua simpatia garantita dalla libertà lasciata agli affetti umani che nel loro svolgimento obbediscono a leggi naturali che sono d’assai migliori di tutti gli artifici inventati dalla chiesa e dai codici» (14). In questa prospettiva – per esempio nella citata edizione speciale dell’Almanacco socialista -, gli ideologi del craxismo ribaltano contro il comunismo sovietico post-staliniano l’accusa di «filisteismo» che Marx lanciava contro la sinistra «democratica» e «moderata» del suo tempo e, nei confronti del comunismo italiano, rivendicano una più antica e intensa militanza socialistica a favore del divorzio – proposto dai socialisti italiani fin dal 1902 -, della contraccezione e dell’aborto (15).
3. Gnosi, sessualità ed erotismo
Ci si può chiedere, dopo avere ridotto la natura a concupiscenza, come esattamente la ideologia della società permissiva definisca il rapporto «naturale» dell’uomo con la propria sessualità. Il quesito non è banale, se si considera come chi intraprende lo studio dell’atteggiamento sessuale dei vari gruppi gnostici rimanga in genere immediatamente colpito dalla coesistenza apparentemente singolare di un esasperato disprezzo del corpo e della carne e di un’altrettanto esasperata licenza sessuale estesa alle più stravaganti perversioni. L’apparente contraddizione, tipica degli gnostici antichi, si ritrova nelle reincarnazioni medioevali della gnosi come il bogomilismo o il catarismo.
In realtà, occorre distinguere – come, fra gli gnostici moderni, ha fatto con particolare rigore Georges Bataille, forse il teorico più conseguente della rivoluzione sessuale – fra sessualità ed erotismo. La sessualità – intesa come connotazione profonda dell’uomo in quanto uomo e della donna in quanto donna – è uno dei tratti fondamentali del carattere di ogni persona, che si traduce in molteplici manifestazioni della volontà, del sentimento, dei sensi. La sessualità – e anche le sue manifestazioni sensibili, alle quali peraltro essa non si riduce – non viene esclusa né combattuta dalla filosofia naturale e cristiana e dall’insegnamento morale della Chiesa. Al contrario, fino dalla Scolastica del Medioevo, la sessualità venne «difesa» contro il rifiuto angelistico del neoplatonismo, nonché analizzata e descritta nella sua ordinazione tramite il matrimonio alla procreazione in un sistema organico e gerarchico dei fini della unione fra l’uomo e la donna.
L’erotismo, benché spesso confuso con le manifestazioni sensibili della sessualità, consiste più precisamente – secondo la definizione di Bataille – nella trasgressione sessuale, nel sesso non ordinato ad alcun fine superiore ma fine e scopo a sé stesso, e quindi trasgressione per definizione di ogni norma morale, di ogni ordine, di ogni sistema di valori. In questo senso, lo stesso Bataille scrive che il Cristianesimo che non ha condannato la sessualità, si è opposto fino dal suo nascere all’erotismo.. Per contro il pensiero rivoluzionario, gnostico e socialistico esalta l’erotismo, mentre disprezza la sessualità, connotato che differenzia la donna dall’uomo e l’uomo dalla donna e quindi prima disuguaglianza, intollerabile per i fautori dell’ugualitarismo assoluto e metafisico.
Nell’insieme dei rapporti fra l’uomo in quanto uomo e la donna in quanto donna – sessuali in senso lato – possiamo distinguere un oggetto, costituito dalla sessualità umana, e una serie di atti posti in relazione a questo oggetto. L’oggetto – la differenza e la complementarità fra l’uomo e la donna – è voluto da Dio, e quindi buono; gli atti posti in relazione a tale oggetto possono essere buoni o cattivi a seconda della loro ordinazione oggettiva e soggettiva. Il male determinato dalla concupiscenza, nei rapporti sessuali, vizia dunque certi atti, ma non rende cattivo l’oggetto. Riprendendo l’analisi degli errori gnostici e manichei sul corpo umano Giovanni Paolo II, nel discorso del 22 ottobre 1980, ha notato come il pensiero manicheo trasferisce invece il male dall’atto all’oggetto, con «il grande pericolo di giustificare l’atto a scapito dell’oggetto». L’oggetto – il corpo, le differenze fra l’uomo e la donna, la sessualità – viene disprezzato e condannato; l’atto – la manifestazione sensibile della sessualità -, liberato da ogni critica, arbitrariamente trasferita sull’oggetto, viene sempre e comunque giustificato: Così coesistono disprezzo della sessualità ed esaltazione dell’erotismo, mentre viene resa impossibile «la vera e profonda vittoria sul male dell’atto, che è male per essenza morale, quindi male di natura spirituale» (16). La genesi della società permissiva socialistica – nella linea di questo errore fondamentale – si articola in due processi paralleli: una transvalutazione – nel senso di Umwertung, di rovesciamento – dell’atto sessuale e una svalutazione del suo oggetto.
a. La transvalutazione dell’atto
L’atteggiamento della gnosi moderna verso l’atto sessuale parte da una distinzione fondamentale. Il sesso ordinato alla procreazione sta dalla parte della caduta perché ogni nascita dà vita a una nuova individualità e rinnova il dramma malvagio della caduta dall’indistinto originario agli individui distinti. Lo gnostico, antico o moderno, odia la procreazione e la nega radicalmente con l’aborto: rimane un sesso totalmente sganciato dalla generazione, un sesso autonomo, un sesso per il sesso, come vi è un’arte per l’arte. Questo processo, che Laing e Cooper chiamano «risessualizzazione», conduce a un sesso che per lo gnostico è «buono»: l’erotismo senza fini offre orgasmi «vuoti» in cui l’individuo si annulla e si perde. Questo è il punto d’incontro tra aborto e rivoluzione sessuale: con l’aborto si rifiuta di ordinare il sesso alla procreazione; resta il sesso libero, de-ordinato, disordinato, che è una forza rivoluzionaria e sovversiva e, per lo gnostico, lo strumento del mitico reditus all’Uno. Nei tempi che precedono e poi segnano l’affermarsi della società permissiva, mentre i maestri della rivoluzione sessuale moderna ripropongono il ritorno, attraverso un sesso non-procreativo, a una Unità collettiva e originaria che preesiste e include tutti gli individui, il socialismo come movimento di massa diffonde largamente l’idea di una separazione tra sesso e procreazione. Dalla polemica di Turati contro lo «sfruttamento sessuale» prende le mosse una cultura che – come scrive Maria Rosaria Manieri nel citato saggio sull’Almanacco craxiano – nella esaltazione del lavoro femminile, del controllo delle nascite, del divorzio, trova «la base per la contestazione della divisione dei ruoli all’interno della famiglia e per la denuncia della falsità e dell’ipocrisia imperanti in relazione alla maternità» (17); e una cultura che trionfa quando riesce a imporre a tutta la società italiana l’aborto, celebrato come affermazione e coronamento di un secolo di battaglie socialistiche per la liberazione sessuale.
Imbevuta di questa cultura, la società permissiva – segnata dalla rivoluzione sessuale come da una grande piaga – organizza la contro-ascesi verso il Pleroma in tappe che coinvolgono ognuno di noi: la pornografia, la pornologia, la pornocrazia.
La pornografia è la iniziazione infernale che è offerta a tutti: un passaggio oltre la soglia di Babilonia che tuttavia già rivela tutto un mondo. In un dossier sull’argomento pubblicato dalla rivista Spirali la pornografia è presentata come annullamento dell’individuo e negazione della soggettività in un continuum di corpi senza soggetto e senza anima: quindi, un continuum senza vita che rappresenta la morte. «Una pornografia vivente – scrive Mario Perniola – implica una negazione della soggettività …, un ascesi nei confronti del proprio corpo, che in nessun momento può più essere definito come nostro, che non ci appartiene più; ma non per questo il corpo diventa spirito: “la pornografia vivente saggiamente sa che dietro l’epidermide, dietro l’apparenza dei corpi non c’è nulla; e, come dice Gorgia, se anche qualcosa ci fosse non può essere rappresentato; e se anche potesse essere rappresentato, non può certamente essere comunicato e spiegato agli altri» (18). L’«altro» del corpo pornografico è la «cosa in sé» del pornografo, è l’ultima incarnazione del noumeno di Kant. Ma questa, spiega Franco La Polla, è una iniziazione alla morte: «L’immagine pornografica trova le ragioni della sua staticità nel fatto di essere la rappresentazione della morte […]. La saturazione del corpo globale delle immagini, cioè la loro riduzione a un’unica immagine, a un corpo, è la migliore espressione non della morte dell’immagine, ma dell’immagine della morte» (19).
Dalla pornografia può svilupparsi così – secondo la espressione di Deleuze – una autentica «pornologia», una filosofia e una scienza della risessualizzazione. Mentre la scrittura – come dicono gli strutturalisti – si sfoga nel «pornogramma», il filosofo gnostico-socialista insegna che il mondo è sesso in evoluzione e che l’unica ascesi consiste nel collaborare a questa evoluzione annullando e cancellando tutto ciò che a essa oppone resistenza, a partire dalla procreazione, immagine di un sesso «statico» e «moralizzato». E, perchè l’operazione riesca, l’agitazione pornologica deve essere imposta coattivamente a tutti: nasce allora la «pornocrazia», il sesso al potere, la presa del potere da parte dei sacerdoti gnostici della rivoluzione sessuale. È la democrazia del lavoro di Reich, dove il mito marxista del lavoro continuo acquista una carica erotica; è la tecnocrazia descritta nel progetto di Mitterrand, articolata in unità autogestite a un tempo sociali, ludiche ed erotiche, dove anche il sesso viene socializzato in una sorta di psicodramma permanente.
A questo itinerario – in cui, come accennato, la pornografia ha una funzione tutt’altro che trascurabile – i socialisti italiani non hanno mancato di dare un pesante contributo, imponendo come uno dei primi frutti dell’accordo di centro-sinistra la legge del 1962 N. 161, che ha introdotto sui film quel nulla osta amministrativo che il magistrato Antonio Chiarelli, allora presidente della Settima Commissione Censura, definiva in una intervista «una sorta di bollo di stato a favore della pornografia» (20). E ne I padrini della pornografia – il noto dossier-confessione steso nel 1978 dal «pornografo pentito» Stefano Surace: l’organigramma dei dirigenti e dei capofila del mondo della pornografia in Italia risultava costituito da uomini spesso direttamente collegati agli ambienti del Partito Socialista (21).
b. La svalutazione dell’oggetto
Come accennato, mentre l’atto sessuale viene «transvalutato» – cioè ritenuto buono quando non è ordinato ad alcun fine cioè precisamente quando per la dottrina cattolica tradizionale è cattivo -, l’oggetto della sessualità, la connotazione che fa l’uomo uomo e lo differenzia dalla donna e viceversa, viene invece radicalmente svalutato dal pensiero gnostico e socialistico. Nella gnosi antica, il mito dell’androgino rappresenta la credenza in una originaria indistinzione tra l’uomo e la donna; la differenza, secondo una delle versioni del mito, nasce da un peccato di orgoglio dell’eone Sofia che, aspirando a distinguersi, per primo cade fuori dal Pleroma.
Come nota in un acuto saggio Emanuele Samek Lodovici, il mito gnostico di Sofia rivive nelle formulazioni più radicali di femministe come Evelyne Sullerot, che attendono dalla scienza moderna l’annullamento della stessa differenza biologica tra uomo e donna (22). Secondo la Sullerot l’allattamento artificiale, i metodi anticoncezionali più moderni, la fecondazione artificiale, lo sviluppo dell’ovulo fecondato in vitro in laboratorio, la possibilità di una soppressione del ciclo mestruale mediante particolari farmaci, dimostrano che alla celebre formula di Simone de Beauvoir «donna non si nasce, ma si diventa» può essere affrancata un’altra formula: «si nasce donna ma si può modificare questo destino, e diventare quello che si vuole» (23).
Agli albori della cultura socialistica italiana, e senza le prospettive vertiginose aperte dalla biotecnologia, la compagna di Turati, Anna Kuliscioff, non mancava di ribattere, a chi osservava che le donne hanno bisogni diversi dagli uomini, che «i bisogni sono relativi, mutano qualitativamente con l’evoluzione psichica e morale e non dipendono, come si vorrebbe supporre, da leggi organiche che differenziano i due sessi» (24). In queste parole Maria Rosaria Manieri vede «il richiamo all’originarietà dell’impostazione socialista della questione femminile che trova il suo fondamento proprio nel riconoscimento del carattere storico e non naturale dell’inferiorità femminile. Ciò che Simone de Beauvoir ha espresso nel nostro tempo con la incisiva e polemica frase: “donna non si nasce, si diventa”» (25). Nè si può dimenticare, in una prospettiva che mette in dubbio il valore dell’oggetto della sessualità, la reiterata battaglia socialistica per ogni tipo di «uguali diritti» agli omosessuali.
Vale la pena di osservare come il lento affievolimento della coscienza della differenza tra l’uomo e la donna si affermi nella società socialistica attraverso l’opera profonda e quotidiana dei costumi e delle mode, in cui un rilievo tutto particolare è assunto dall’abbigliamento. Il maggiore storico vivente della moda, Bruno du Roselle, conclude la sua opera principale rivelando il nesso profondo che si stabilisce nel ventesimo secolo tra rivoluzioni socialistiche e abbigliamento. La funzione del costume era stata, nei secoli, quella di sottolineare tre ordini di differenze: differenze locali e regionali, differenze sociali e professionali, infine differenze tra l’uomo e la donna. Nel nostro secolo, nota du Roselle, «il fenomeno più notevole è senza alcun dubbio il passaggio dalla diversità alla uniformizzazione».
Spariscono, dapprima, le mode regionali e locali; successivamente, la moda incontra il suo 1789 e si fa ugualitaria, con la sparizione, in pratica, di ogni differenza tra i vari gruppi sociali; infine, «la uniformizzazione che è in marcia da circa un secolo comincia a conoscere, negli ultimi anni, uno sviluppo totalmente nuovo: la differenza che esiste tra il costume maschile e quello femminile tende a sparire» (26). In Italia, la studiosa socialista Grazietta Buttazzi ha evidenziato le tappe dell’uniformizzazione del costume femminile a quello maschile attraverso l’accesso successivo delle donne al pigiama, alla giacca e quindi ai pantaloni (27). Peraltro, in una prospettiva più larga, tutto questo tema meriterebbe di essere sviluppato, mostrando come la mentalità socialistica e ugualitaria si sia diffusa attraverso la rivoluzione nelle tendenze mediante modifiche apparentemente insignificanti, ma in realtà molto profonde: alla standardizzazione del costume corrisponde quella dell’arredamento domestico e – come è stato notato, peraltro in chiave strutturalistica, in un convegno tenuto nel settembre del 1982 presso la villa Manin di Passariano, – la degradazione dell’alimentazione dal «piatto», caratterizzato dalla elaborazione e dal gusto individualizzante dei gruppi regionali e sociali, al semplice «cibo», realtà uniforme e banale ordinata alla pura sopravvivenza e regolata dai cicli economici dei supermercati. Per chi conosce la influenza profonda delle tendenze umane sul formarsi delle idee e dei giudizi, questi argomenti non sono banalità, ma contribuiscono in modo non trascurabile alla interpretazione e alla comprensione della nostra epoca.
III. Per una presenza cattolica nella società permissiva socialistica
La filosofia naturale e cristiana descrive l’uomo, secondo la celebre espressione di Aristotele, come un regno bene ordinato, al cui vertice con potere politico e regale sta la ragione, coadiuvata dalla volontà con potere esecutivo; più in basso, indirizzate dalla ragione e dalla volontà, le potenze immaginative e sentimentali; infine, i sensi. Il corretto rapporto uomo-donna rispetta questa gerarchia: muove da un giudizio di verità della ragione sia sulla persona dell’altro, sia sui caratteri oggettivi del rapporto, a cui corrisponde una scelta della volontà; nel volere fermamente e per sempre questo precognitum sta l’essenza dell’atto di amore, che si espande nelle manifestazioni sentimentali e sensibili, che rimangono, però, sotto il controllo della ragione e della volontà. Il processo storico che denominiamo Rivoluzione comporta una sovversione progressiva della immagine classica dell’uomo interiore che sostituisce al primato della ragione anzitutto il primato della volontà, poi quello delle potenze immaginative e sentimentali e quindi il primato dei sensi. Anche il rapporto interpersonale fra uomo e donna conosce così, anzitutto, una deviazione volontaristica, tipica di certa cultura protestantica, quindi una deviazione sentimentale e romantica che prepara il successivo trionfo del puro elemento sensibile nel pansessualismo contemporaneo.
La consapevolezza di questo itinerario rivoluzionario non è stata e non è sempre presente alla cultura cattolica. Anche nel campo della morale il fenomeno del progressismo- cioè del progressivo compromesso e cedimento di una parte del pensiero cattolico al pensiero rivoluzionario – non è di ieri; anzi, la crisi morale che oggi vediamo dipanarsi risale almeno al giansenismo. La letteratura morale giansenistica, accanto agli errori sostanziali che si traducono in un rigorismo criptoprotestantico, insinua un errore metodologico che sgancia il comportamento morale dalle sue premesse metafisiche e razionali e lo riduce sostanzialmente a puro sforzo della volontà. Grazie all’opera soprattutto di Sant’Alfonso de’ Liguori, la maggioranza della cultura cattolica perviene a liberarsi degli errori del giansenismo; rimane, tuttavia una sottile influenza degli errori metodologici, particolarmente evidente proprio nel campo della morale sessuale. – Così, molta letteratura settecentesca e ottocentesca in argomento – tanto più quando anche in ambiente cattolico comincia a diffondersi una influenza del kantismo -, se rimane certamente fedele alla sostanza dei giudizi tradizionali in tema di morale sessuale, ne perde però, sovente, le giustificazioni e le fondazioni metafisiche, sostituite da un appello alla ragion pratica che nasconde il volontarismo. La situazione si deteriora ulteriormente quando, forse e spesso con le migliori intenzioni, specie nella letteratura destinata ai fedeli più semplici, l’appello alla volontà viene sostituito con l’appello di moda ai buoni sentimenti: tutto quanto riguarda l’amore viene circondato da un alone romantico e sentimentale contro il quale san Giovanni Bosco sarà fra i pochi a mettere in guardia. Infine, nel quadro della crisi successiva alla «svolta antropologica» della teologia post-conciliare, riemerge una «morale della situazione» francamente eterodossa, e con essa in morale sessuale quella che padre Cornelio Fabro ha chiamato con giusta severità «pornoteologia», (28) giustificazione largamente comprensiva di ogni comportamento sessuale, per quanto deviante, giacché normalmente collegato a «situazioni» o a «esperienze» particolari oppure a condizionamenti psicologici ed emotivi. Negli ultimi anni la situazione non è migliorata: anzi, in casi estremi – che tuttavia valgono come sintomi di una situazione inquietante – si è pericolosamente scivolati dalla giustificazione del comportamento sessuale deviante alla sua esaltazione come comportamento che racchiude valori in qualche modo sacrali ed esperienze pre-religiose, con un cedimento più o meno consapevole alla «spiritualità» panteistica e gnostica dei maestri della rivoluzione sessuale.
Il procedimento che, presso le punte più avanzate del progressismo cattolico, va dalla comprensione all’apologia del comportamento sessuale di gruppi marginali, primitivi o devianti, è stato messo in luce dal professore Plinio Corrêa de Oliveira in due opere recenti, dedicate rispettivamente al tribalismo indigeno e alle comunità di base in Brasile. Nella prima, l’illustre pensatore cattolico brasiliano mostra come la missiologia «aggiornata» sia passata dalla comprensione e dal rispetto per le forme di vita sessuale degli indios ancora primitivi delle foreste dell’Amazzonia – con variazioni che vanno dalla poligamia alla comunione delle donne – alla esaltazione di una vita definita «sessualmente ed intellettualmente disinibita» capace di condurre a «un equilibrio psicofisico che noi stiamo riscoprendo soltanto oggi» (29).
Nella seconda opera il professor Corrêa de Oliveira mostra un processo analogo negli ambienti delle «comunità di base» che si dedicano all’assistenza alle prostitute: anche qui, al rispetto e alla comprensione fanno presto seguito le affermazioni più sconcertanti e assurde sul carattere eventualmente «oblativo» della prostituzione (30).
Questi episodi particolari hanno, come accennato, valore di sintomo, e da essi non si intende trarre alcuna generalizzazione arbitraria o pericolosa. È indubbio, tuttavia, che proprio a proposito della morale sessuale – nonostante i ripetuti insegnamenti in materia di Giovanni Paolo II -, l’osservatore anche più superficiale percepisce la profondità della crisi della Chiesa e apprezza sino in fondo come sia amaro il calice che è offerto al corpo mistico di Cristo in questo lungo venerdì santo.
Questa crisi dura da secoli: non è cominciata ieri, difficilmente potrà finire domani. Né si potrà lavorare per la sua fine senza una profonda consapevolezza della necessità di restaurare non soltanto le indicazioni della morale sessuale cattolica, ma anche le sue premesse metafisiche e filosofiche, da cui questa morale non può essere sganciata senza condannarla a un venire meno che sarà più o meno rapido secondo la virulenza degli itinerari storici della Rivoluzione. La restaurazione morale dovrà avere, allora, come necessaria premessa la restaurazione di una retta immagine dell’uomo interiore. Contro il primato dei sensi e della materia – che è economismo marxistico nell’economia politica, pansessualismo in morale – dovrà, essere riproposto il primato della ragione e dello spirito, secondo una contrapposizione che è antica quanto il pensiero umano e che può essere simboleggiata dall’opposizione fra Aristotele, l’uomo della ragione, e Epicuro, l’uomo del primato dei sensi e dei piaceri, che gli studiosi più recenti – a partire dalla importante opera di Rist, e rimuovendo una visione esclusivamente legata ai frammenti che identificano il piacere con l’assenza di dolore – hanno mostrato come abbondantemente attaccato alle soddisfazioni dello stomaco e del sesso (31).
Questa contrapposizione era ben nota a Filippo Turati, autore – in una delle sue escursioni in campo poetico – di un inno al Savio Epicuro, in cui si legge:
«Sì, leva il capo, o Savio. È sfracellato
Geova dal maglio del pensier titano
e il blando Cristo, il sognator malato,
nel chiuso avello si dibatte invano.
Ch’io t’annunci, o magnanimo, al dolente
che il Nazaren tradì popolo oscuro:
avvenga il regno de la lieta gente,
avvenga il regno tuo, Santo Epicuro» (32).
Del resto, e puntualmente, alla passione epicurea fa riscontro in Turati l’odio anti-cattolico e anti-religioso: così, egli ci descrive santa Caterina da Siena dopo la morte «nell’artiglio del Nulla invitto stretta», raffigurata nella sua tomba dove «il celeste amor tuo non venne accanto – povera bionda, e vi giacesti sola» (33). Si potrebbe continuare con le citazioni, ma credo che queste siano sufficienti ad apprezzare la portata del dibattito sulla «tessera di Turati» che, nell’anno del cinquantenario, si è sviluppato tra socialisti e socialdemocratici, e a convincerci come non si tratti di una tessera particolarmente appetibile, in nessun senso.
A fronte di quanto ho cercato di esporre sulla dottrina di Turati come ideologia della società permissiva socialistica, può forse non preoccupare eccessivamente l’antica affermazione dell’on. Saragat secondo cui Turati per i socialisti è «guida infallibile», come il Papa per i cattolici (34): affermazione che, se non ci dà la misura di Turati, ci dà forse la misura di Saragat. Preoccupa di più, invece, leggere nella relazione di Bettino Craxi al Congresso di Palermo del 1981 che, tra le varie correnti socialistiche, quella turatiana «mostra rispetto alle altre la tenuta più salda, mantiene caratteri di validità e di attualità» (35) e solo oggi, grazie all’avanzata del Partito Socialista Italiano, vede scoccare l’ora della sua compiuta affermazione nella società italiana. E acquista purtroppo un sinistro valore premonitore, in una storia di tradimenti che si preferirebbe non menzionare e non scrivere, il ricordo della lettera aperta che il 1° ottobre 1898 Romolo Murri, agli albori del modernismo sociale e della setta cattolico-democratica, indirizzò a Filippo Turati per una alleanza «costituzionale» tra cattolici e socialisti.
Contro ogni equivoco di questa natura, in un’ora in cui le speranze umane sembrano venire meno, giovi pregare la Vergine di Fatima, che ha mostrato gli errori e le impurità del mondo moderno, ma ha pure vaticinato il trionfo finale del suo Cuore Immacolato, perché stenda la sua mano protettrice sui popoli minacciati dalla rivoluzione sessuale e dal socialismo. E ricordare, a guisa di conclusione, quanto scriveva nel 1894 la Civiltà Cattolica, a proposito della «nuova Chiesa» auspicata dai primi «cattolici democratici»: «per quanto si cerchi e si studi, la sola Chiesa è quella che ha in sè la forza di impedire al socialismo di sorgere e di abbatterlo dove per avventura sia sorto».
Massimo Introvigne
Note:
(1) PLOTINO, Enneadi, II, 9, cit. in HANS JONAS, Lo gnosticismo, trad. it., Società Editrice Internazionale, Torino 1973, p. 58.
(2) Rom. 5, 12.
(3) Cfr. ERIC VOEGELIN, Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, Rusconi, Milano 1980, pp. 19-61.
(4) Cfr. IGOR R. SAFAREVIC, Il socialismo come fenomeno storico mondiale, trad. it., La Casa di Matriona, Milano 1980.
(5) Cfr. GIOVANNI CANTONI, Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della «Laborem exercens», in Cristianità, anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981.
(6) Cfr. l’analisi del Projet di Mitterrand di PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Il socialismo autogestionario: rispetto al comunismo. una barriera o una testa di ponte?, in Cristianità, anno X, n. 82-83, febbraio-marzo 1982. Per un parallelo con analoghi tentativi italiani cfr., nello stesso numero di Cristianità: G. CANTONI, «Studiare e smascherare Mitterrand per opporsi a Craxi e a Berlinguer».
(7) Cfr. SERGEJ A. ASKOL’DOV, NIKOLAJ A. BERDJAEV, SERGEJ N. BULGAKOV, ALEKSANDR S. IZGOEV, SERGEJ A. KOTLJAREVSKIJ, VALERIAN N. MURAV’ËV, PAVEL I. NOVGORODCEV, IOSIF A. POKROVSKIJ, PËTR B. STRUVE, VJACESLAV I. IVANOV e SEMËN L. FRANK, Dal profondo. Raccolta di saggi sulla rivoluzione russa, tr. it., Jaca Book. Milano 1971.
(8) AUGUSTO DEL NOCE, Il cattolico comunista, Rusconi, Milano 1981, pp. 317-318. Sulla genesi della società permissiva, cfr. pure IDEM, Tradizione e rivoluzione, in Atti del XXVII Convegno del Centro di studi filosofici fra professori universitari – Gallarate 1972, Morcelliana, Brescia 1973.
(9) Cfr. HANS SEDLMAYR, Perdita del centro, trad. it., 2ª ed., Rusconi, Milano 1974, soprattutto pp. 124-127.
(10) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla udienza generale del 15-10-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 2, pp. 878-882: e IDEM. Discorso alla udienza generale, del 29-10-1980. ibid., pp. 1011-1016.
(11) LEO VALIANI, Turati e la sintesi delle tendenze risorgimentali, in Critica sociale, n. 3, marzo 1982, pp. 18-26 (già ibid., n. 24, dicembre 1961).
(12) FILIPPO TURATI, in Critica sociale, n. 12, dicembre 1912.
(13) MARIA ROSARIA MANIERI, Socialismo e questione femminile. In Almanacco socialista 1892-1982, Avanti, Roma 1982, pp. 45 l-452.
(14) Ibidem.
(15) Cfr. ibid.; e PAOLO POMBENI, Socialismo e questione cattolica, ibid., pp. 441-450.
(16) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla udienza generale, del 22-10-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 2, pp. 948-952.
(17) MARIA ROSARIA MANIERI, op. cit., p. 455. Il «nemico» di questa cultura e di questa battaglia viene facilmente individuato nella antica «pesante ipoteca cattolica», che crea «la mentalità bigotta e i pregiudizi antifemministi non solo nelle zone analfabete e contadine del paese, nutrite dalla propaganda clericale, ma nelle stesse classi medie» (ibid., p. 455).
(18) MARIO PERNIOLA, Il nudo della verità, in Spirali, anno II, n. 10, novembre 1979, pp. 12-l3. Mario Perniola è forse il più noto cultore e divulgatore italiano di Bataille.
(19) FRANCO DI POLLA, Il corpo pornografico, in Spirali, anno II, n. 10, cit., p. 19.
(20) Cfr. E. MORBELLI, Caligola Hard Core made in Penthouse, ne Il Settimanale, 28-11-1979, p. 71.
(21) Cfr. STEFANO SURACE, I padrini della pornografia e il delitto Pecorelli, La Parola, Roma 1979, pp. 58-59.
(22) EMANUELE SAMEK LODOVICI, Metamorfosi della gnosi, Ares, Milano 1979, p. 165.
(23) Cit. ibid., pp. 165-167.
(24) ANNA KULISCIOFF, cit. in MARIA ROSARIA MANIERI, op. cit., p. 455.
(25) Ibid., p. 455.
(26) BRUNO DU ROSELLE, La mode, Imprimerie nationale, Parigi 1980, p. 328.
(27) Cfr. GRAZIETTA BUTTAZZI, Moda – Arte – Storia – Società, Fabbri, Milano 1981; cfr. soprattutto pp. 184-213.
(28) CORNELIO FABRO, L’avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano 1974, p. 209.
(29) ROSE MARIE MURARO, Libertação Sexual da Muhler, Vozes, Petrópolis 1975, p. 57. Cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Tribalismo Indígena, ideal comuno-missionário para o Brasil no século XXI, Vera Cruz, San Paolo 1977. Il saggio riporta numerose affermazioni sconcertanti di esponenti del clero e talora anche della gerarchia brasiliana, attirando l’attenzione su tutta una letteratura che sembra avere ben poco a che fare con i problemi reali degli indios e molto, invece, con la idealizzazione illuministica e marxistica del socialismo primitivo e tribale, dove la comunione delle donne è un corollario della comunione dei beni.
(30) L’episodio, realmente accaduto, di una prostituta che a ogni Natale si introduceva in una prigione offrendosi gratuitamente a un detenuto verrebbe lodato da mons. Pires, Arcivescovo di João Pessoa, secondo una intervista giornalistica, come «una connotazione nuova e chiara del vero significato del servizio di Dio» (P. CORRÊA DE OLIVEIRA, GUSTAVO ANTONIO SOLIMEO e LUIZ SÉRGIO SOLIMEO, As CEBs … das quais muito se fala, pouco se conhece. A TFP as descreve como são, Vera Cruz, San Paolo 1982, p. 166).
(31) Cfr. J. M. RIST, Introduzione a Epicuro, tr. it., Mursia, Milano 1978.
(32) Cit. in PAOLO POMBENI, Socialismo e questione cattolica, cit., p. 447. Il testo è del 1883.
(33) Ibid., pp. 447-448.
(34) GIUSEPPE SARAGAT, in La parola del popolo, gennaio-febbraio 1958, ne L’insegnamento di Filippo Turati, in Critica sociale, n. 3, marzo 1982, p. 27.
(35) BETTINO CRAXI, Relazione al Congresso di Palermo, 1981, ne L’insegnamento di Filippo Turati, cit., p. 28.