Le due dimensioni che la società deve coniugare secondo il Papa
di Michele Brambilla
Il 7 luglio Papa Francesco presiede la Messa che conclude la 50^ Settimana sociale dei cattolici italiani (la prima fu a Pistoia, nel 1907). Rifacendosi, nell’omelia, alla storia dell’antico popolo di Israele, il Papa evidenzia che «per ridestare la speranza dei cuori affranti e sostenere le fatiche del cammino, Dio sempre ha suscitato profeti in mezzo al suo popolo. Eppure, come racconta la Prima Lettura di oggi narrandoci le vicende di Ezechiele, essi hanno trovato spesso un popolo ribelle, “figli testardi e dal cuore indurito” (Ez 2,4), e sono stati rifiutati», destino che toccò anche al Messia, cioè Gesù.
Egli «ritorna a Nazareth, la sua patria, in mezzo alla gente con cui è cresciuto, eppure non viene riconosciuto, viene addirittura rifiutato». «Il Vangelo ci dice che Gesù “era per loro motivo di scandalo” (Mc 6,3), ma la parola “scandalo” non si riferisce a qualcosa di osceno o di indecente secondo l’uso che ne facciamo noi oggi; scandalo significa “una pietra di inciampo”», qualcosa di incomprensibile, perché Cristo non parla come gli scribi e i farisei, o semplicemente come ragionerebbero tutti gli altri uomini, nati con il peccato originale.
«Ascoltando i discorsi dei suoi compaesani, vediamo che si fermano solo alla sua storia terrena, alla sua provenienza familiare e, perciò, non riescono a spiegarsi come dal figlio di Giuseppe il falegname, cioè da una persona comune, possa uscire tanta sapienza e perfino la capacità di compiere prodigi», ma Lui non è soltanto uomo, è Dio Figlio. Proprio per questo, ancora oggi risulta “scandaloso”, dice il Pontefice, un Dio che si fa uomo rimanendo Dio. Oggi come allora «abbiamo bisogno dello scandalo della fede», ovvero che i cattolici comprendano la loro diversità rispetto alle logiche di questo mondo, ma questo non deve indurre a «una religiosità chiusa in se stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra».
Francesco per spiegarsi cita il poeta Umberto Saba (1883-1957), dove, osservando l’umanità che affolla le strade di Trieste, dice che «io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà» (Città vecchia, in Il canzoniere (1900-1954) Edizione definitiva, Torino, Einaudi, 1961). Nelle periferie umane ed esistenziali rimane presente Cristo povero e sofferente, e sono esse, rimarca il Santo Padre, il metro con il quale misurare l’intera civiltà.
«Carissimi, Gesù ha vissuto nella propria carne la profezia della ferialità, entrando nella vita e nelle storie quotidiane del popolo, manifestando la compassione dentro le vicende, e ha manifestato l’essere Dio, che è compassionevole», pertanto ci invita a testimoniarlo con il medesimo stile nella nostra vita quotidiana e nei nostri ambienti.
Considerando, poi, la particolare storia di Trieste, città multiculturale fin dai tempi degli Asburgo, «alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; per favore, non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita, uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole». Quanto all’annuncio evangelico, «avanti! Avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati».
Nell’Angelus il Papa ribadisce che «ogni persona, sana o malata, grande o piccola, ogni persona ha una dignità». Parlando ancora una volta di Trieste, insiste sul fatto che «la sfida per la comunità ecclesiale e per quella civile è di saper coniugare l’apertura e la stabilità, l’accoglienza e l’identità». I cattolici devono saper essere «aperti e saldi nei valori umani e cristiani, accoglienti ma senza compromessi sulla dignità umana. Su questo non si gioca».
«Da questa città rinnoviamo il nostro impegno a pregare e operare per la pace: per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, per il Sudan, il Myanmar e ogni popolo che soffre per la guerra», elenca il Santo Padre come ormai consuetudine.
Lunedì, 8 luglio 2024