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Statio in Sancta Sabina

20 Febbraio 2021 - Autore: Michele Brambilla

Storia ed arte della basilica di S. Sabina sull’Aventino, luogo nel quale avviene tradizionalmente la benedizione delle ceneri da parte del Papa


di Michele Brambilla

Il tempo di Quaresima nella liturgia romana ha una dinamica stazionale: prevede, cioè, delle stationes, ovvero delle soste giornaliere presso alcune chiese particolari della Città Eterna. Nel IV-V secolo i fedeli cristiani dell’Urbe erano abituati ad assistere alla Messa in edifici ogni giorno differenti, scelti a partire dalle assonanze che si creavano tra la biografia del santo titolare e il momento della vita di Gesù commemorato nella celebrazione. Facevano parte della statio i riti processionali che sancivano l’ingresso orante nella basilica prescelta. Emblematica, in questo senso, la “cappella papale” del Mercoledì delle Ceneri, che vede il Pontefice raggiungere in processione la basilica di S. Sabina mentre la schola cantorum esegue le litanie dei santi.

La prima stazione della Quaresima romana avviene quindi a S. Sabina, assisa sul colle Aventino, luogo che fu teatro, nel 494 a.C., della celebre secessione della plebe di fronte all’arroganza del Senato patrizio. Si sovrappongono, quindi, il ricordo delle antiche lotte intestine e la biografia della santa titolare, una giovane aristocratica che fu decapitata nel 120 d.C. perché aveva scelto di appartenere alla plebs Dei. La Chiesa si riscopre allora popolo di Dio, che nel cammino verso la Gerusalemme celeste sceglie di rivestirsi dell’umiltà del suo Messia, un’umiltà che è anche uno “stile” di governo.

L’attuale basilica di S. Sabina è ancora quella edificata sotto il pontificato di san Celestino I (422-32). Venne trasformata in senso manierista e barocco da Domenico Fontana (1543-1607) nel 1587 e Francesco Borromini (1599-1667) nel 1643, ma le aggiunte sono state in gran parte ridimensionate dai restauri successivi. Nel 1870, infatti, il convento di S. Sabina, che apparteneva fin dal XIII secolo ai Domenicani, fu requisito dallo Stato italiano e adibito ad usi profani, pertanto si dovettero progettare due campagne di restauro (1914-19 e 1936-37), entrambe affidate all’architetto Antonio Muñoz (1884-1960), il quale riuscì a restituire alla basilica lo splendore paleocristiano.

L’ingresso della chiesa è sul fianco destro e non sul lato corto. Il portale, protetto da un porticato, conserva i battenti originali del V secolo, sui quali è riportata la più antica Crocifissione della storia dell’arte: Gesù è ritratto nudo, a braccia allargate, in mezzo ai due ladroni.

La navata centrale è luminosissima grazie alle vetrate moderne. L’organo a canne, collocato nella navata sinistra, è frutto anch’esso dei restauri del 1936. Colonne e trabeazioni sono materiale di spoglio: provengono, cioè, dal tempio di Giunone Regina e dalle Terme Surane. Dietro le colonne si scorgono due cappelle barocche, dedicate a san Giacinto e a santa Caterina da Siena. Da ricondurre ai frati domenicani, che sono tornati ad abitare il convento adiacente alla basilica nel Novecento, anche la tomba di fra Muñoz de Zamora (1237-1300), generale dell’ordine dal 1285 al 1291.

Il sepolcro è collocato proprio di fronte alle balaustre del presbiterio: esse delimitano anche i seggi del coro, ricostruiti nel 1936 seguendo un disegno del IX secolo. Ai lati delle balaustre si ergono due amboni marmorei, rivolti verso l’abside come era nel V secolo. L’altare e la cattedra retrostante sono ricoperti di marmi preziosi, mentre nel catino absidale riluce l’affresco rinascimentale di Taddeo Zuccari (1529-66), Gesù, gli Apostoli e i Santi sepolti nella Basilica (1560). Federico Zuccari (1539-1609), fratello di Taddeo, affrescò la cappella di S. Giacinto assieme ad altri artisti.

Una leggenda narra che il cosiddetto lapis diaboli, che si conserva nell’atrio della basilica, sopra una colonna, sia stato scagliato addosso a san Domenico di Guzman (1170-1221) mentre questi pregava presso la tomba di alcuni martiri dei primi secoli. In realtà, il grande blocco di marmo scuro venne rinvenuto nel 1587 da Domenico Fontana e appartiene alla sistemazione originaria del presbiterio. La tradizione popolare vuole anche che l’aranceto presente nel convento di S. Sabina sia stato portato in Italia dallo stesso san Domenico e sia servito a produrre le arance candite che santa Caterina da Siena (1347-80) offrì a Papa Urbano VI (1378-89) nel 1379.

In tempi post-pandemici può essere curioso rievocare il conclave del 1287, che avvenne proprio a S. Sabina, perché fu bruscamente interrotto dallo scoppio di un’epidemia di malaria. Tutti i cardinali fuggirono da Roma a gambe levate, tranne il card. Gerolamo Masci, che per il suo coraggio fu eletto Papa con il nome di Niccolò IV (1288-92): divenne il primo frate francescano a salire sul Soglio di Pietro, e lo fece in una basilica domenicana.

Sabato, 20 febbraio 2021

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