La fede in Cristo è davvero la novità che ha cambiato il mondo e ci sfida continuamente
di Michele Brambilla
Le udienza generali agostane, dedicate alla Lettera ai Galati, hanno suscitato un vasto dibattito teologico attorno al trinomio Legge-Grazia-libertà. C’è stata, in particolare, una lettera di protesta del Gran Rabbinato di Israele al card. Kurt Koch, alla quale la Santa Sede ha risposto tramite un intervento di mons. Victor Manuel Fernandez sull’Osservatore Romano. Echi di questa discussione si trovano nell’esordio dai toni un po’ apologetici dell’udienza del 1 settembre. «Questa non è una cosa nuova, questa spiegazione, una cosa mia», garantisce infatti Papa Francesco: «questo che stiamo studiando è quello che dice san Paolo, in un conflitto molto serio, ai Galati. Ed è anche Parola di Dio, perché è entrata nella Bibbia. Non sono cose che qualcuno si inventa, no. È una cosa che è successa in quel tempo e che può ripetersi» tutte le volte che la vita del credente rischia di scadere nel formalismo denunciato più volte. La venuta di Cristo ha davvero inaugurato una nuova epoca dell’umanità e i battezzati hanno acquisito una dignità fino ad allora impensabile, dacché sono stati redenti efficacemente dal peccato originale. Una Redenzione che la Legge mosaica, da sola, non sarebbe stata in grado di produrre, dato che era stata concepita come semplice “deterrente” per l’uomo peccatore. Se Gesù non avesse prodotto un reale “salto di qualità”, perché esisterebbe lo stesso Cristianesimo?
Questo assunto fondamentale non era molto chiaro neppure ai Galati, tanto che san Paolo usa nei loro confronti un linguaggio molto duro: «nelle altre Lettere è facile trovare l’espressione “fratelli” oppure “carissimi”, qui no. Perché è arrabbiato. Dice in modo generico “Galati” e per ben due volte li chiama “stolti”, che non è un termine di cortesia. Stolti, insensati e tante cose può dire … Lo fa non perché non siano intelligenti, ma perché, quasi senza accorgersene, rischiano di perdere la fede in Cristo che hanno accolto con tanto entusiasmo. Sono stolti perché non si rendono conto che il pericolo è quello di perdere il tesoro prezioso, la bellezza della novità di Cristo», quella novità che ha prodotto in essi il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà dello Spirito Santo, fino a dire, al termine di una serie incalzante di domande, «non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). «Paolo non voleva sapere altro che Cristo crocifisso (cfr 1Cor 2,2)», oggi come allora scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1Cor 1,23): «i Galati devono guardare a questo evento, senza lasciarsi distogliere da altri annunci. Insomma, l’intento di Paolo è di mettere alle strette i cristiani perché si rendano conto della posta in gioco», che è il valore della stessa fede. «I Galati, d’altronde, comprendevano molto bene ciò a cui l’Apostolo faceva riferimento. Avevano fatto certamente esperienza dell’azione dello Spirito Santo nelle comunità: come nelle altre Chiese, così anche tra loro si erano manifestati la carità e vari altri carismi. Messi alle strette, devono per forza rispondere che quanto hanno vissuto era frutto della novità dello Spirito. All’inizio del loro venire alla fede, pertanto, c’era l’iniziativa di Dio, non degli uomini»: è Dio, infatti, che si è incarnato e ha donato lo Spirito, vivificatore di ogni autentica opera buona. Le opere, da sole, non producono la Salvezza.
«In questo modo», dice il Papa, «san Paolo invita anche noi a riflettere: come viviamo la fede? L’amore di Cristo crocifisso e risorto rimane al centro della nostra vita quotidiana come fonte di salvezza, oppure ci accontentiamo di qualche formalità religiosa per metterci la coscienza a posto? Come viviamo la fede, noi? Siamo attaccati al tesoro prezioso, alla bellezza della novità di Cristo, oppure gli preferiamo qualcosa che al momento ci attira ma poi ci lascia il vuoto dentro? L’effimero bussa spesso alla porta delle nostre giornate, ma è una triste illusione, che ci fa cadere nella superficialità e impedisce di discernere su cosa valga veramente la pena vivere». Pertanto, «fratelli e sorelle, manteniamo comunque ferma la certezza che, anche quando siamo tentati di allontanarci, Dio continua ancora a elargire i suoi doni. Sempre nella storia, anche oggi, succedono cose che assomigliano a quello che è successo ai Galati. Anche oggi alcuni ci vengono a riscaldare le orecchie dicendo: “No, la santità è in questi precetti, in queste cose, dovete fare questo e questo”, e ci propongono una religiosità rigida, la rigidità che ci toglie quella libertà nello Spirito che ci dà la redenzione di Cristo. State attenti davanti alle rigidità che vi propongono: state attenti. Perché dietro ogni rigidità c’è qualche cosa brutta, non c’è lo Spirito di Dio».
Il Santo Padre, e non è la prima volta, denuncia la presenza nella Chiesa di correnti “fondamentaliste” che spingerebbero a ritornare a forme “superate” di esprimere la fede. Da quegli stessi ambienti verrebbe una sostanziale negazione della perpetua assistenza dello Spirito Santo alla Sua Chiesa. San Paolo «parla al presente, non dice “il Padre ha donato lo Spirito con abbondanza”, capitolo 3, versetto 5, no: dice “dona”; non dice “ha operato”, no: “opera”. Perché, nonostante tutte le difficoltà che noi possiamo porre alla sua azione, anche nonostante i nostri peccati, Dio non ci abbandona ma rimane con noi col suo amore misericordioso. Dio sempre è vicino a noi con la sua bontà. È come quel padre che tutti i giorni saliva sul terrazzo per vedere se tornava il figlio: l’amore del Padre non si stanca di noi». Allora «domandiamo la saggezza di accorgerci sempre di questa realtà e di mandare via i fondamentalisti che ci propongono una vita di ascesi artificiale, lontana dalla resurrezione di Cristo. L’ascesi», cioè le opere ispirate dalla fede, «è necessaria, ma l’ascesi saggia, non artificiale».
Giovedì, 2 settembre 2021