di Ignazio Cantoni
Comparso sul n. 355 di Cristianità (gennaio-marzo 2010)
1. La vita, l’opera e le opere
Antonio Francesco Davide Ambrogio nasce il 24 marzo 1797 a Rovereto, in Trentino, in un’antica e nobile famiglia, da Pier Modesto (m. 1820), Patrizio Tirolese e Nobile del Sacro Romano Impero, e da Giovanna dei conti Formenti di Riva (1757-1842), secondo di quattro figli. Studia fin da giovane filosofia, cimetandosi nella stesura di operette, e poi teologia all’università di Padova, e nel 1821 è ordinato sacerdote.
Attratto fin da subito dalle problematiche politiche, forma il suo pensiero sulla letteratura contro-rivoluzionaria, in specie del conte savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821) — «pensatore sublime» —, e dello studioso svizzero Karl Ludwig von Haller (1768-1854). Scrittore infaticabile, è autore di una notevole quantità di opere ed estensore di quasi diecimila lettere, delle quali alcune sono veri e propri trattati, ai più importanti esponenti della vita politica e culturale italiana e internazionale, fra cui gli amici Niccolò Tommaseo (1802-1874) e il conte Alessandro Manzoni (1785-1873).
Del primo periodo sono da ricordare il saggio Sull’unità dell’educazione, del 1825, il ponderoso Nuovo Saggio sull’origine delle idee, del 1828-1830, e i Principii della scienza morale, del 1831. Nel febbraio del 1828 fonda a Domodossola, in Piemonte, l’Istituto della Carità, con lo scopo di agire nell’ambito delle opere di bene, sia materiali che spirituali, senza precludersi alcun campo d’azione. Svolge attività parrocchiale, nel biennio 1834-1835, a Rovereto, e nel 1836 si trasferisce a Stresa, pure in Piemonte.
Intanto nel settembre del 1839 sono approvati l’Istituto della Carità e la sua Regola; l’anno successivo esce il Trattato della coscienza morale, che lo vedrà oggetto di aspre accuse di eresia, anche da parte di membri della Compagnia di Gesù. Papa Gregorio XVI (1831-1846) chiude la querelle intimando il silenzio perpetuo. Nel 1841-1845 esce la Filosofia del diritto, e nel 1845 la Teodicea. Si apre intanto la polemica con Vincenzo Gioberti (1801-1852), contro il quale il Rosmini pubblica nel 1846 Vincenzo Gioberti e il Panteismo. Nel 1848 escono La Costituzione secondo la giustizia sociale e Delle cinque piaghe della santa Chiesa; in questo stesso anno il Piemonte gli affida l’incarico di proporre a Papa beato Pio IX (1846-1878) un concordato fra la Chiesa e il regno sabaudo, e una confederazione di Stati italiani sotto la presidenza pontificia. Egli è ben ricevuto dal Pontefice, intenzionato a crearlo cardinale; ma, caduto il governo che si era incaricato di rappresentare, si dimette dalla missione, poiché il nuovo governo piemontese desiderava un’alleanza esclusivamente in funzione antiaustriaca. Rifiuta anche di far parte del Ministero rivoluzionario imposto nel 1848 — seppur come difensore del Papa, che lo aveva comunque lasciato libero nella scelta — perché illecito. Malvisto alla corte pontificia, rifugiatasi a Gaeta, viene cacciato dalle autorità borboniche. Intanto i suoi nemici di Curia hanno fatto mettere all’Indice le opere pubblicate in quest’anno, e il Rosmini si sottomette immediatamente al provvedimento. Le voci contro le sue idee, molte in evidente malafede, imperversano. Nel 1850 pubblica l’importante Introduzione alla filosofia, e il capolavoro Introduzione al Vangelo secondo S. Giovanni commentata; e nel 1854 la Logica, in difesa della logica aristotelica contro quelle baconiana ed hegeliana. In questi ultimi anni attende alla stesura dell’immensa Teosofia, che uscirà postuma e incompiuta fra gli anni 1859-1874. Nel 1854 una commissione presieduta dal Pontefice stesso, dopo un’analisi sistematica di tutte le sue opere, lo assolve completamente dalle varie accuse che gli venivano mosse. Il 1° luglio 1855, a Stresa, Antonio Rosmini chiude la sua esistenza terrena, in universale concetto di santità. Nel 2007 è stato dichiarato beato.
2. L’essere ideale
Egli ebbe a scrivere della sua filosofia, «non già nelle sue parti singole, ma nel suo spirito, […] ch’essa, in sull’orme di sant’Agostino [354-430] e di san Tommaso [1225 ca.-1274], tutte le sue meditazioni rivolge al gran fine di far tornare indietro lo spirito umano da quella falsa strada, nella quale col peccato si mise, e per la quale, allontanandosi da Dio, centro di tutte le cose ed unità fondamentale onde tutto riceve ordine e perfezione, si divagò nella moltiplicità delle sostanze disordinate, quasi brani di un’universo crollato, privi del glutine che tutti univa in un’opera sola maravigliosa».
Quando Rosmini intraprende la sua opera politica nei primi anni giovanili, si rende conto che qualsiasi disciplina è collegata a tutte le altre secondo un ordine gerarchico, e che solo dopo aver risposto alle domande radicali della filosofia è possibile iniziare lo studio delle altre. Nasce così in lui la necessità di raccogliere il sapere in un’enciclopedia organica e unitaria — come organico e unitario è il reale — priva sia dell’unità puramente estrinseca della cultura illuministica, sia della rigidità e delle pretese di esaustività proprie a quella del filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831). Un’enciclopedia cristiana che abbia come scopo quello di promuovere la sapienza, che è l’unione, o meglio la fusione fino all’identificazione, fra la verità e le virtù, con la carità al primo posto. Pur essendo un pensatore in aperto contrasto con la modernità, la sua indagine gli permette di valorizzare le istanze del pensiero moderno — dal sensismo all’idealismo —, nella consapevole certezza che gli errori non sono altro che «verità impazzite», «ideologiche», ossia verità parziali con pretese totalizzanti, da ricondurre, ciascuna al suo posto, nell’«unità bellissima del vero».
Il punto di partenza è il senso comune, nel quale risiedono le «prime verità», e la filosofia è di esse «analisi e riflessione». Quindi, se filosofia vuol dire discorso sull’essere, Rosmini afferma che tale essere è, all’interno della sua originaria e incancellabile unitarietà, tripartito. Si possono così trovare l’essere ideale — cioè in quanto intelligibile — studiato dall’ideologia o teoria delle idee e dalla logica; l’essere reale, studiato dalla metafisica, sia ontologica che teologica; e, infine, l’essere morale, relato alle scienze che studiano la perfezione delle cose quanto al fine e ai mezzi per raggiungerlo, e fra queste vi sono la morale individuale, la politica e l’educazione.
Per quanto riguarda la conoscenza, egli ritiene di poter identificare un’unica forma oggettiva di essa, l’idea dell’essere possibile — cioè non l’idea di questo o di quell’ente reale —, la cui intuizione costituisce il lume stesso della ragione. Tale intuizione è l’apertura iniziale della mente su tutto l’essere, la nozione per cui essa può affermare di una cosa che «è». Spazio fondamentale nella conoscenza riveste la sensazione, che ne fornisce la materia. Il giudizio è quindi l’unione fra sensazione e intuizione primitiva, che trova la sua condizione nell’intima unità dell’essere umano.
3. L’essere reale
Dalla dimensione ideale dell’essere si approda quindi a quella reale, cioè degli enti nella loro esistenza. Dalla costatazione dell’esistenza del reale tramite la conoscenza sensibile — come per l’Aquinate l’unica confacentesi all’uomo — si arriva al riconoscimento della validità epistemica del concetto di causa e di sostanza — conculcate dalla filosofia moderna —, e da qui alla necessaria esistenza di Dio.
In tale ontologia viene sottolineato l’elemento unificante tutte le cose — pur nella costante distinzione fra natura e sovranatura —, che trovano la loro ragion d’essere ontologica, oltrechè morale, nell’Essere divino come Ente necessario, fondamento assoluto, in quanto libero Creatore, di ogni altro ente.
4. L’essere morale
Infine, un essere che non abbia in sé l’elemento morale, che cioè non è oggetto d’indagine in merito alla sua perfezione, è menomato; questo è il peccato mortale della filosofia kantiana, celebre rappresentante di quella che il beato chiama senza mezzi termini «empietà tedesca». L’idealità e la realtà si devono fondere nella moralità, che conclude e perfeziona gli altri due modi dell’essere. La legge morale deriva dalla scoperta nella realtà di una gerarchia fra i vari enti, all’interno della quale ciascuno di essi è chiamato a svolgere la propria funzione: questa è appunto la perfezione di ognuno. Gerarchia richiama l’idea di un ordine, di una regola scritta nelle cose; e dove vi è regola oggettiva vi è obbligo morale oggettivo, il cui imperativo categorico è: «vuogli, o sia ama l’essere ovunque lo conosci, in quell’ordine ch’egli presenta alla tua intelligenza». Il bene dell’uomo, stante le basi metafisiche enunciate, è lo sviluppo delle proprie potenzialità sia naturali che soprannaturali, del quale la società e la Chiesa cattolica sono le condizioni di possibilità. La politica, fondata su persona e proprietà privata, deve pertanto garantire il bene comune, che è l’esercizio corretto della propria libertà, e non ergere lo Stato a fine dell’uomo.
Rosmini ha saputo guardarsi dal liberalesimo secolarizzato — contro il quale ha scritto pagine di fuoco — e nello stesso tempo aprirsi alle problematiche politico-sociali del tempo; e ha auspicato, nell’opera Delle cinque piaghe della santa Chiesa, una riforma cattolica in ordine allo spirito, agli studi e alla libertà da ingerenze esterne nelle elezioni vescovili, alle quali, inoltre, era auspicabile partecipassero, in qualche modo, anche i laici, come accadeva nei primi secoli dell’era cristiana.
5. Oltre le incomprensioni
Nella felice ripresa del pensiero di san Tommaso d’Aquino alla fine del XIX secolo, ratificata da Papa Leone XIII (1878-1903) — e della quale il roveretano fu consapevole precursore —, talvolta quanto non era in modo chiarissimo conciliabile con il pensiero del Dottore Angelico è stato ripudiato. Così, il Sant’Uffizio emanava nel 1887 un decreto, conosciuto come Post obitum, nel quale venivano condannate come non consone alla verità cattolica quaranta proposizioni estratte dai volumi del sacerdote, decreto che valse al pensiero del roveretano la damnatio memoriae. Non mancano indubbiamente, nella lettera rosminiana, affermazioni materialmente panteistiche, ma vanno comprese all’interno dell’accentuazione — romantica, ma prima ancora cristiana — dell’unitarietà dell’essere. Lo storico della filosofia e filosofo Michele Federico Sciacca (1908-1975), il più grande studioso del beato nel XX secolo, ha scritto che «[…] tentare interpretazioni panteistiche, […] idealistiche, ontologiche […] è snaturare il Rosmini».
Con un processo che richiama la vicenda dello stesso Dottore della Chiesa, prima coinvolto con gli averroisti nella condanna dell’Università di Parigi nel 1277, anche Rosmini si è però fatto sempre più spazio non solo nel mondo filosofico, ma anche in quello ecclesiale, liberandosi dalla taccia di ontologismo e di progressismo. Così, dopo lo studio e la stima di autori quali il filosofo e teologo svizzero Hans Urs Von Balthasar (1905-1988), lo storico delle idee Augusto del Noce (1910-1989), il filosofo argentino Alberto Caturelli e il filosofo e teologo tedesco Karl-Heinz Menke, il roveretano è stato citato da Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) accanto ad altri nell’enciclica Fides et Ratio, del 1998 — pur senza «[…] avallare ogni aspetto del loro pensiero» —, come esempio di «fecondo rapporto tra filosofia e Parola di Dio» e di «ricerca coraggiosa».
Per approfondire: sulla vita, cfr. Umberto Muratore I.C., Rosmini profeta obbediente, Edizioni Paoline, Milano 1995; a partire dal 1975, presso l’editrice Città Nuova di Roma, è in corso l’edizione critica nazionale delle opere complete. Cfr. un’autosintesi, in Antonio Rosmini, Introduzione alla filosofia, a cura di Pier Paolo Ottonello, Città Nuova, Roma 1979; e sul pensiero dell’autore, U. Muratore I.C., Conoscere Rosmini. Vita, pensiero, spiritualità, Edizioni Rosminiane, Stresa (VB) 1999. Cfr. monsignor Antonio Livi, La «teosofia» rosminiana: il suo fascino e le sue ambiguità, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, anno CXLI, n. 157, Città del Vaticano 12-7-2001, pp. 4-5.