Domenico Airoma, Cristianità n. 362 (2011)
Una sentenza temuta
In molti temevano la sentenza che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea era chiamata a pronunziare nel procedimento C-34/10 — avente a oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta nell’ambito della causa Oliver Brüstle/Greenpeace —, soprattutto dopo aver letto le conclusioni dell’avvocato generale, il francese Yves Bot.
La rivista Nature, il 28 aprile 2011, aveva pubblicato una lettera, sottoscritta dal professor Austin Smith, dell’Università di Cambridge, e da dodici dei maggiori consorzi europei di ricerca sulle cellule staminali, che invitava la comunità scientifica a mobilitarsi per scongiurare il rischio di una statuizione che ponesse al bando, in quanto non brevettabili, le invenzioni biotecnologiche fondate sull’utilizzo di cellule staminali embrionali (1). E, in effetti, la domanda pregiudiziale posta dal Bundesgerichtshof, la Corte Federale di Giustizia tedesca, aveva a oggetto l’interpretazione da dare all’art. 6, n. 2, lett. c) della direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, del 6 luglio 1998, secondo cui “[…] sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume” (2). E in particolare, nella parte in cui “[…] sono considerati non brevettabili […] le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali” (3).
La causa Brüstle/Greenpeace
Il procedimento prende le mosse dal ricorso presentato dall’associazione Greenpeace e diretto a ottenere l’annullamento del brevetto del signor Oliver Brüstle, avente a oggetto la produzione di cellule progenitrici neurali, estratte da cellule staminali embrionali, impiegate per il trattamento di difetti neurologici. Il tribunale federale tedesco in materia di brevetti, in accoglimento del ricorso, dichiarava nullo il brevetto, proprio nella parte in cui prevedeva l’utilizzo di cellule staminali embrionali umane. Il giudice dell’impugnazione, il Bundesgerichtshof, adito dal signor Brüstle, riteneva di dover investire la Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di ottenere la corretta interpretazione da dare al divieto di brevettabilità di cui alla direttiva 98/44/CE, da ritenersi immediatamente applicabile dal giudice nazionale in quanto norma sovraordinata rispetto al diritto interno.
In sintesi, le questioni poste dalla Corte di appello tedesca erano le seguenti:
1. quale interpretazione dovesse darsi della nozione di “embrioni umani”;
2. come dovesse intendersi la nozione di “utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali” (4) e se, in particolare, essa comprendesse anche un’utilizzo finalizzato alla ricerca scientifica;
3. se fosse da ritenersi esclusa la brevettabilità di un determinato insegnamento inventivo qualora lo stesso presupponesse l’utilizzo ovvero la distruzione di embrioni umani.
Le conclusioni dell’avvocato generale Yves Bot
Che si trattasse di una decisione di particolare rilievo si ricava dallo stesso esordio delle conclusioni presentate il 10 marzo 2011 dall’avvocato generale Yves Bot: “Nella presente causa la Corte è chiamata a pronunciarsi, per la prima volta, sulla nozione di “utilizzazione di embrioni umani a fini industriali e commerciali” di cui all’art. 6, n. 2, lett. c)” (5).
Lo stesso magistrato, peraltro, sottolinea la centralità delle questioni toccate dalla domanda del tribunale tedesco, in quanto quest’ultimo “interrogando […] la Corte sul senso e la portata di questa esclusione […], solleva, in realtà, una questione fondamentale, ossia quella della definizione dell’embrione umano” (6); e, pur avvertendo che “[…] detta definizione dovrà valere soltanto ai sensi della direttiva 98/44, ovvero per le necessità della protezione delle invenzioni biotecnologiche” (7), e che non è sua intenzione scegliere fra le “diverse filosofie e religioni” (8) che si confrontano sulla questione della definizione dell’embrione, tuttavia non può esimersi dal prendere atto che “la questione presentata alla Corte è certamente una questione difficile. […] La difficoltà intrinseca della questione sollevata si accompagna ad un richiamo, sempre presente in diritto, ma che riveste qui un’incidenza particolare, a nozioni di ordine pubblico, di morale o di etica” (9). D’altronde, rileva Bot, lo stesso legislatore comunitario ha ritenuto di dover inserire tali disposizioni in una cornice etica, dal momento che nel sedicesimo Considerando della direttiva viene statuito che “[…] il diritto dei brevetti dev’essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo” (10). “Siffatti riferimenti — conclude, sul punto, Bot — esprimono adeguatamente che l’Unione non è solo un mercato da regolare, ma che essa ha anche valori da esprimere” (11).
Si tratta, dunque, di una questione di principio e come tale va affrontata. E ciò, a prescindere sia dalle “legittime aspettative delle persone che sperano nei progressi della scienza per alleviare i loro mali” (12), sia dalle “sfide economiche e finanziarie connesse” (13) alla biotecnologia, perseguendo “[…] un’ottica di armonizzazione che includa considerazioni etiche atte ad evitare che il funzionamento economico del mercato dia adito a una concorrenza il cui prezzo sia il sacrificio dei valori sui quali si fonda l’Unione” (14). Poste tali premesse, l’avvocato generale passa ad affrontare il nodo della questione: come arrivare a una definizione di embrione umano che possa ritenersi vincolante per tutti gli Stati dell’Unione? Che sia necessaria una definizione condivisa è evidente: “Se si affidasse agli Stati membri il compito di definire la nozione di embrione umano, tenuto conto delle disparità esistenti al riguardo, ne deriverebbe, ad esempio, che un’invenzione come quella del sig. Brüstle potrebbe ottenere un brevetto in alcuni Stati membri, mentre la sua brevettabilità sarebbe esclusa in altri” (15). D’altronde, un divieto così categorico, qual è quello posto dall’art. 6, n. 2, lettera c) della direttiva, applicabile a tutti gli Stati membri, non si vede come “[…] possa esistere sul fondamento di nozioni che non siano comuni” (16). Quindi, è indubitabile che “[…] la nozione di embrione umano debba trovare un’accezione comunitaria” (17).
Ma il punto è dove rinvenire i criteri-guida per arrivare a una definizione che s’imponga alla babele normativa e giurisprudenziale, senza lasciare spazio a incertezze interpretative. “Gli elementi idonei a guidarci nella nostra analisi — osserva l’avvocato generale — possono essere a priori rinvenuti in tre fonti diverse, ovvero la legislazione degli Stati membri, i termini della direttiva e i dati attuali della scienza.
“Per quanto concerne la normativa degli Stati membri, è giocoforza constatare che sarebbe vano ricercarvi gli elementi di una concezione unanime” (18). Né — rileva ancora il magistrato — è dato trarre indicazioni utili negli altri testi internazionali pertinenti. E allora non resta che affidarsi al dato oggettivo, così come emerge dalle acquisizioni scientifiche: “[…] soltanto le analisi giuridiche effettuate sulla base dei dati oggettivi ed acquisiti della scienza possono costituire il fondamento di una soluzione accettabile per l’insieme degli Stati membri” (19).
In particolare, la scienza consente di definire con oggettività quel che la direttiva impone di rispettare in nome della dignità umana, vale a dire il “corpo umano, ai diversi stadi della sua costituzione e del suo sviluppo” (20). “La scienza — osserva Bot — ci insegna in modo universalmente acquisito ai nostri giorni, almeno negli Stati membri, che l’evoluzione a partire dal concepimento comincia con alcune cellule, poco numerose e che esistono allo stato originario solo per qualche giorno. Si tratta delle cellule totipotenti, la cui caratteristica essenziale è che ciascuna di esse ha la capacità di evolversi in un essere umano completo. Esse racchiudono in se stesse ogni capacità ulteriore di divisione, poi di specializzazione che condurrà, alla fine, alla nascita di un essere umano. In una cellula si trova dunque concentrata tutta la capacità dell’evoluzione successiva.
“Pertanto, le cellule totipotenti costituiscono […] il primo stadio del corpo umano che diverranno. Di conseguenza, esse devono essere giuridicamente qualificate come embrioni” (21).
Se questo è il dato oggettivo, sulla cui base si perviene alla definizione del primo stadio del corpo umano, ne consegue che esso va tutelato in sé, a prescindere dalle probabilità di successo del suo sviluppo o dal luogo, naturale o artificiale che sia, nel quale si forma.
“La questione se siffatta qualificazione debba essere riconosciuta prima o soltanto dopo l’annidamento è a mio giudizio priva di pertinenza al riguardo, anche se non mi sfugge la sua utilità.
“Come giustificare infatti che la qualificazione giuridica sia diversa a seconda di questo particolare? Perché l’evoluzione dell’ovulo fecondato sarà incerta finché non ha avuto luogo l’annidamento? Non lo è anche successivamente? Ogni annidamento porta ad una nascita? La risposta è evidentemente negativa. Per contro, mi sfugge la ragione per la quale la qualificazione verrebbe negata con il pretesto di un avvenimento casuale possibile prima dell’annidamento e non lo sarebbe dopo il medesimo, mentre esiste la stessa probabilità, anche se si concretizza meno di frequente. La probabilità sarebbe qui una fonte di Diritto?
“Per motivi di coerenza, non capisco neppure per quali motivi la qualificazione giuridica di embrione verrebbe rifiutata alle situazioni di fecondazione in provetta, salvo allorché queste sono effettuate per consentire ad una coppia di accogliere figli nella propria famiglia” (22).
La conclusione cui perviene l’avvocato generale, mettendo, dunque, da parte tentazioni soggettivistiche e fondandosi sull’oggettività del dato scientifico, è che “[…] la dignità umana è un principio che deve essere applicato non soltanto alla persona umana esistente, al bambino che è nato, ma anche al corpo umano a partire dal primo stadio del suo sviluppo, ossia da quello della fecondazione” (23).
E, perché si tratti di una tutela effettiva, occorre che essa non tolleri eccezioni, neppure in presenza di finalità diverse da quelle commerciali sottostanti al diritto dei brevetti, e che consideri tutto il procedimento che conduce all’invenzione, al fine di stabilire se essa non si fondi sulla distruzione o sull’alterazione di embrioni. “L’argomento presentato alla Corte durante l’udienza, secondo il quale il problema della brevettabilità che si pone al livello della cellula prelevata e il modo in cui essa è prelevata, nonché le conseguenze di siffatto prelievo, non devono essere presi in considerazione, mi sembra impossibile da accogliere per motivi vertenti ancora sull’ordine pubblico e sul buon costume. Ciò può essere chiarito con un semplice esempio.
“L’attualità giudiziaria risultante dall’attività del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia ci rivela, salva restando ovviamente la presunzione d’innocenza, che, nel corso di quegli avvenimenti, sarebbero stati assassinati prigionieri al fine di procedere a prelievi di organi per farne commercio. Se, invece di commercio, si fosse trattato di esperimenti che avessero condotto ad “invenzioni”, nel senso dato a questo termine nel diritto dei brevetti, si sarebbero dovute riconoscere le stesse come brevettabili, per il motivo che il modo in cui sono stati ottenuti esulerebbe dalla rivendicazione tecnica del brevetto?
“Ragionare con questi paraocchi non può consentire di arrivare ad una soluzione accettabile per i più” (24).
La sentenza
L’avvocato generale invitava, come si è visto, a ragionare senza paraocchi; e la Corte di Giustizia — pur di fronte al pressing mediatico-scientifico in esordio evocato — non ha chiuso gli occhi, pronunziando il 18 ottobre 2011, relatore il giudice polacco Marek Safjan, una sentenza dal dispositivo chiaro, all’esito di un percorso argomentativo dagli effetti potenzialmente deflagranti per molti ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione Europea.
Come Yves Bot, anche la Corte si mostra ben consapevole delle implicazioni di ordine etico sottese alla risoluzione delle questioni poste dalla Corte tedesca: “Quanto al significato da attribuire alla nozione di “embrione umano” prevista all’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva, si deve sottolineare che, sebbene la definizione dell’embrione umano costituisca un tema sociale particolarmente delicato in numerosi Stati membri, contrassegnato dalla diversità dei loro valori e delle loro tradizioni, la Corte non è chiamata, con il presente rinvio pregiudiziale, ad affrontare questioni di natura medica o etica, ma deve limitarsi ad un’interpretazione giuridica delle pertinenti disposizioni della direttiva” (25).
Il giudice comunitario avvia, dunque, la sua ricostruzione ermeneutica, partendo dalle finalità perseguite dalla direttiva in esame, incentrate sull’esigenza di favorire le invenzioni biotecnologiche, accordando alle stesse un’adeguata tutela; protezione che, tuttavia, deve tenere in debito conto il limite rappresentato dalla dignità umana. “Si deve ricordare — osserva la Corte di Giustizia — […] che la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata, in particolare, tenendo conto del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essi fanno parte […].
“A tale riguardo, dal preambolo della direttiva emerge che, se è vero che quest’ultima mira a incoraggiare gli investimenti nel settore della biotecnologia, lo sfruttamento del materiale biologico di origine umana deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana” (26).
Se, per un verso, la Corte rifugge dal praticare una soluzione pluralistica, escludendo che una siffatta nozione possa essere lasciata nella discrezionalità delle scelte dei legislatori — e dei giudici — nazionali, per altro verso individua, quale canone ermeneutico per giungere alla definizione comunitaria di embrione, un principio fondamentale, quello della dignità dell’uomo, sancito all’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
“A tal fine, come la Corte ha già osservato, l’art. 5, n. 1, della direttiva vieta che il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, possa costituire un’invenzione brevettabile. Un’ulteriore protezione è fornita dall’art. 6 della direttiva, il quale indica come contrari all’ordine pubblico o al buon costume, e per tale ragione esclusi dalla brevettabilità, i procedimenti di clonazione di esseri umani, i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano e le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Il trentottesimo ‘considerando’ della direttiva precisa che questo elenco non è esauriente e che anche tutti i procedimenti la cui applicazione reca pregiudizio alla dignità umana devono essere esclusi dalla brevettabilità” (27).
Nel richiamare il riferimento al “corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo”, la Corte si mostra implicitamente sensibile alle argomentazioni dell’avvocato generale, nella parte in cui quest’ultimo invita a prendere atto del dato oggettivo acquisito dalla scienza, e cioè che lo stadio iniziale dell’uomo, di un “corpo umano”, non può che individuarsi proprio nell’embrione.
Sicché, fra una nozione “convenzionale” di embrione, connessa a un determinato stadio di sviluppo, e una “oggettiva”, rappresentata dalla fecondazione, la Corte opta per quest’ultima, dal momento che solo una nozione ampia — scientificamente fondata — consente di rispettare il limite invalicabile dell’integrità e dignità dell’uomo.
“Il contesto e lo scopo della direttiva rivelano pertanto che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di ottenere un brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana può esserne pregiudicato. Da ciò risulta che la nozione di “embrione umano” ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva deve essere intesa in senso ampio.
“In tal senso, sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un “embrione umano”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano” (28).
Sviluppando coerentemente le conseguenze di tali premesse ermeneutiche, e nella prospettiva di assicurare un’effettività di tutela all’embrione in quanto stadio iniziale del corpo umano, i giudici della Corte del Lussemburgo escludono la brevettabilità non solo in relazione all’utilizzo di embrioni per fini industriali e commerciali, ma anche con riferimento all’utilizzo degli stessi per la ricerca scientifica, dal momento che quest’ultima non può essere scorporata dal brevetto e dai diritti da esso derivanti. Sempre nella medesima ottica di non consentire meccanismi elusivi del divieto, la Corte esclude dalla brevettabilità anche quelle invenzioni biotecnologiche che, pur non vertendo sull’utilizzo di embrioni umani, richiedano per la loro attuazione la distruzione di embrioni umani.
Le statuizioni cui perviene la Corte sono, pertanto, le seguenti:
1. costituisce un “embrione umano” qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione;
2. va esclusa la brevettabilità relativa all’utilizzo di embrioni umani a fini industriali o commerciali riguardante anche l’utilizzo a fini di ricerca scientifica;
3. non è, infine, brevettabile un’invenzione qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o il loro utilizzo come materiale di partenza.
Gli effetti della sentenza
È dato acquisito, sia fra gli studiosi che fra i giudici degli Stati membri dell’Unione Europea, che molti dei princìpi più importanti del diritto comunitario vanno ricercati non già nei Trattati o nelle altre fonti, bensì nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (29). La Corte Costituzionale italiana ha, da tempo, adottato un orientamento molto chiaro circa il valore di precedente vincolante da attribuire alle sentenze della Corte del Lussemburgo, precisando fin dal 1985 che “la normativa comunitaria […] entra e permane in vigore nel nostro territorio senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato” (30) e che questo principio vale “anche per le statuizioni […] risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di giustizia” (31).
Ed è indubbio che la portata vincolante delle statuizioni della Corte riguarda le materie riservate al legislatore comunitario, in ordine alle quali il giudice del Lussemburgo esercita, per statuto, la vigilanza sulla corretta interpretazione. Sicché, nel caso della sentenza resa nel caso Brüstle/Greenpeace, il diritto comunitario — e il diritto degli Stati membri — può dirsi innovato nella materia della brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, oggetto specifico della direttiva 98/44/CE.
In tale prospettiva vanno, pertanto, inseriti i richiami — contenuti sia nelle conclusioni dell’avvocato generale che nelle motivazioni della sentenza — a non estendere gli effetti, vincolanti, della pronunzia oltre i richiamati confini (32). Tuttavia, è innegabile che la sentenza in questione contenga affermazioni che, per la portata di principio che esse hanno, potranno costituire l’epicentro di un vero e proprio sisma per molti ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione Europea.
Innanzitutto, per la inscindibile correlazione dei molteplici campi interessati dalla questione della brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, non circoscrivibile al settore meramente industriale e commerciale, vale a dire alla tutela della concorrenza e del mercato, ma necessariamente foriera di ricadute sul terreno, in particolare, degl’investimenti in tema di ricerca scientifica connessa alla biotecnologia; ricadute, non a caso, oggetto del warning pubblicato sulla rivista Nature (33).
Non solo.
La sentenza in questione, nel ricercare la chiave ermeneutica della nozione di embrione umano, fornisce, per la prima volta, un’interpretazione del principio della dignità umana che si svolge non sul piano degli elementi esterni alla stessa — attribuiti dal diritto positivo degli Stati — bensì su quello della sua stessa essenza — in quanto tale, limite al potere legislativo.
Si è giunti, in altri termini, a statuire non sul come si declini la dignità umana, ma su che cosa essa sia e, quindi, su chi ne sia il titolare. “[…] sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un “embrione umano” […], dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano” (34).
L’aver definito a chi spetti tale dignità fa sì che la disciplina s’imponga necessariamente a tutti gli Stati, non solo per esigenze attinenti alla tutela del mercato delle invenzioni, ma soprattutto per ragioni involgenti gli stessi principi posti a fondamento dell’Unione.
“[…] la mancanza di una definizione uniforme della nozione di embrione umano determinerebbe il rischio che gli autori di talune invenzioni biotecnologiche siano tentati di chiedere la brevettabilità di queste ultime negli Stati membri che concepiscono nel modo più restrittivo la nozione di embrione umano e, quindi, i più permissivi per quanto riguarda le possibilità di brevettare le invenzioni di cui trattasi, a motivo del fatto che la brevettabilità delle stesse sarebbe esclusa negli altri Stati membri” (35).
Vi è, infine, da considerare la potenzialità espansiva di siffatta interpretazione del principio della dignità umana, sia per la portata stessa del principio in questione, sia per la sua oggettiva incidenza su quel dialogo fra le corti che è costume oramai acquisito della community of judges (36), con risultati non sempre condivisibili, soprattutto laddove ha rappresentato lo strumento per sostituire alla volontà popolare quella di giudici “attivisti” (37). Particolarmente significativo è quanto accaduto nel caso di Eluana Englaro (1970-2009) dove i giudici della Cassazione si sono appellati alle soluzioni giurisprudenziali adottate in altri Paesi, avendo ben cura di privilegiare quelle favorevoli all’eutanasia. A tale riguardo, si è parlato, autorevolmente, di “[…] “legge creata dal Collegio” […] senza affrontare il problema dell’eutanasia, fino a prova contraria ancora reato nel nostro ordinamento. Un modo di procedere, questo, che, in quanto irrispettoso della divisione dei poteri, principio cardine del sistema democratico, può essere considerato oggettivamente eversivo, come lo sono tutte le invasioni di campo istituzionali” (38).
Una giurisprudenza “oggettivamente orientata”?
Come si suol dire “una rondine non fa primavera”. Però la sentenza Brüstle/Greenpeace — e le conclusioni dell’avvocato generale — rappresentano un novum nel panorama giudiziario occidentale, soprattutto sui temi di bioetica (39). Si tratta di un’interpretazione che, mossa da una “preoccupazione di oggettività” (40), ricerca nei “dati oggettivi ed acquisiti dalla scienza” la grammatica di riferimento per far sì che, in un terreno così delicato, si possa tornare a parlare un linguaggio condiviso, fondato sul reale: “[…] aborto, fecondazione, clonazione, trapianti, […] uso degli embrioni […]; dovendo comunque dettare regole che governino queste situazioni o queste materie, a quali parametri dobbiamo affidarci: a parametri scientifici, etici, religiosi, politici, economici, sociali? Ed ancora, chi deve decidere queste regole? […] Ecco: credo che per discutere dovremmo sciogliere alcuni problemi di base. Prima di tutto i problemi definitori” (41).
È un’assunzione di responsabilità; probabilmente un’inversione di rotta rispetto a quell’“”esplosione” soggettivistica dell’interpretazione” (42) che ha vanificato la stessa lettera della legge, facendo del giudice la “bocca creatrice della legge”; un richiamo a tutti a riconoscere nell’oggettività della dignità umana un limite non relativizzabile. Particolarmente significativo di tale mentalità è il seguente brano di una conferenza tenuta da Christos Rozakis, vicepresidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, alla World Conference on Constitutional Justice, tenutasi a Cape Town, in Sudafrica, dal 22 al 24 gennaio 2009, dal titolo The interaction between the European Court of Human Rights and the Other Courts, “L’interazione fra la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e le altre Corti”: “[…] un giudice internazionale è tenuto ad applicare la legge […] e non a crearla. Tuttavia, l’attuale lunga storia della giustizia internazionale […] ha testimoniato un sostanziale distacco del ruolo del giudice internazionale dagli approcci stereotipati appena descritti. La giustizia internazionale ha agito, e tuttora sta agendo, con una formidabile libertà di azione, che in molti casi ha violato i confini giurisdizionali per creare, quasi dal nulla, una legge concreta e nuova.
“[…] l’ordinamento giuridico internazionale è tuttora caratterizzato da una pesante decentralizzazione, privo come è sia di un potere legislativo che di un potere esecutivo a livello centrale […]. Sicché le Corti […] sono pressoché obbligate ad assumere il ruolo del legislatore” (43).
Di certo, la sentenza in questione rappresenta il tentativo di arginare, individuando dei confini invalicabili, l’esondazione creatrice dell’attivismo giudiziario; una prospettiva indubbiamente nuova nel panorama giurisprudenziale dominante in Occidente, che pare non abbia lasciato insensibile la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Grande Camera della Corte di Strasburgo, infatti, chiamata a decidere in ordine alla compatibilità con l’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali — che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare — del divieto del ricorso alla fecondazione eterologa posto dalla legge austriaca, ha escluso, con pronunzia del 3 novembre 2011, ogni censura alla scelta del legislatore. Si tratta — ha osservato, a maggioranza, il collegio giudicante — di un divieto ragionevole, poiché fondato sia sullo stato della ricerca medica che sul fatto che non sussiste quel consenso sociale necessario per le complesse questioni etiche connesse: “[…] la proibizione della donazione di gameti che richiede l’intervento di terze persone […] rappresenta nella società austriaca una questione controversa, foriera di complesse problematiche di natura etica e sociale, in ordine alle quali non vi è ancora consenso nella società e che devono tenere in debita considerazione la dignità umana, il benessere dei bambini così concepiti e la necessità di prevenire ogni ripercussione negativa ed i rischi di potenziali abusi. La Corte ha giudicato che il divieto della fecondazione eterologa, fondata su tali basi, è compatibile con i requisiti posti dall’articolo 8 della Convenzione” (44).
Emerge, in definitiva, una preoccupazione. Quella secondo cui le questioni incidenti sulla dignità dell’uomo non possono essere risolte affidandosi a prospettive soggettivistiche. Ed emerge una piacevole sintonia. Quella con il monito che da qualche tempo Papa Benedetto XVI rivolge a tutti quelli che, dentro e al di là dei confini dell’Europa, hanno a cuore la restaurazione di un diritto fondato sulla verità sull’uomo.
“Quando si invoca il rispetto per la dignità della persona è fondamentale che esso sia pieno, totale e senza vincoli, tranne quelli del riconoscere di trovarsi sempre dinanzi a una vita umana. Certo, la vita umana conosce un proprio sviluppo e l’orizzonte di investigazione della scienza e della bioetica è aperto, ma occorre ribadire che quando si tratta di ambiti relativi all’essere umano, gli scienziati non possono mai pensare di avere tra le mani solo della materia inanimata e manipolabile. Infatti, fin dal primo istante, la vita dell’uomo è caratterizzata dall’essere vita umana e per questo portatrice sempre, dovunque e nonostante tutto, di dignità propria” (45).
L’avvocato generale Yves Bot ha invitato, come sopra si è detto, a ragionare senza paraocchi; a un salutare “ritorno al reale” (46). Forse non è ancora primavera. Ma una crepa nella cortina di ghiaccio del relativismo si è finalmente aperta.
Note:
(1) Cfr. Austin Smith, “No“ to ban on stem-cell patents, in Nature. International weekly journal of science, vol. 472, n. 7344, Londra 28-4-2011, p. 418.
(2) Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione Europea, Direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, del 6-7-1998, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, anno 41, Lussemburgo 30-7-1998, pp. 13-21 (p. 18).
(3) Ibidem.
(4) Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) il 21 gennaio 2010 – Oliver Brüstle/Greenpeace e.V., ibid. 17-4-2010, p. 19.
(5) Causa C 34/10, Oliver Brüstle contro Greenpeace. Conclusioni dell’Avvocato Generale Bot del 10-3-2011, par. 1, consultabile su Internet all’indirizzo: <http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62010CC0034:EN:NOT> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati verificati il 15-12-2011).
(6) Ibid., par. 4.
(7) Ibidem.
(8) Ibid., par. 39.
(9) Ibid., par. 45.
(10) Ibid., par. 76.
(11) Ibid., par. 46.
(12) Ibid., par. 43.
(13) Ibid., par. 41. Peraltro, l’avvocato generale, intervenendo sul punto, chiarisce anche come esistano altri procedimenti biotecnologici che non pongono alcun problema etico, non comportando la manipolazione o la distruzione di embrioni: “Sono parimenti ben consapevole dell’importanza delle sfide economiche e finanziarie connesse alle questioni presentate alla Corte. Del resto, vi si è fatto riferimento all’udienza, quando la parte ricorrente ha fatto valere che l’eventuale diniego di brevettabilità rischiava di compromettere la ricerca e la permanenza dei ricercatori in Europa, per evitare che si trasferiscano negli Stati Uniti o in Giappone. Il riferimento al Giappone non mi è del resto sembrato insignificante, in quanto, in questo Stato, i risultati dell’attività del prof. Yamanaka, relativi all’ottenimento di cellule staminali pluripotenti estratte da cellule umane mature prelevate su un adulto, procedimento che non sembra porre alcun problema etico, sono stati oggetto di un brevetto” (ibidem).
(14) Ibid., par. 44.
(15) Ibid., par. 56.
(16) Ibid., par. 60.
(17) Ibid., par. 61.
(18) Ibid., parr. 65-66; al paragrafo 67, l’avvocato generale precisa: “In seno agli Stati membri, constato che le normative e le prassi giurisprudenziali divergono al riguardo. Si distinguono due grandi gruppi, il primo che considera che l’embrione umano esiste a partire dalla fecondazione e il secondo che ritiene che ciò avviene dal momento in cui l’ovulo fecondato è impiantato nella mucosa uterina”.
(19) Ibid., par. 47.
(20) Ibid., par. 72.
(21) Ibid., parr. 84-85.
(22) Ibid., parr. 86-88.
(23) Ibid., par. 96.
(24) Ibid., parr. 105-107.
(25) Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, Sentenza del 18-10-2011. Oliver Brüstle v Greenpeace eV, par. 30, consultabile all’indirizzo Internet: <http://eur-lex.europa.eu/ Notice.do?val=620734%3Acs& lang=it& list=620734%3Acs%2C619997%3Acs%2C511516%3Acs%2C&pos=1& page=1&nbl=3& pgs=10&hwords=Oliver+Br%EF%BF%BDstle%7E& checktexte=checkbox& visu=#DI>. Cfr. Il dispositivo in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, anno 54, Lussemburgo 10-12-2011, p. 5.
(26) Ibid., parr. 31-32.
(27) Ibid., par. 33.
(28) Ibid., parr. 34-35.
(29) Cfr. Francesco Capotorti (1925-2002), Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Università degli studi di Ferrara. Facoltà di giurisprudenza, La sentenza in Europa. Metodo, tecnica e stile, Cedam, Padova 1988, pp. 230-247, dove si rileva che lo studio della giurisprudenza della Corte è indispensabile per capire lo sviluppo del diritto comunitario; cfr., altresì, Paolo Biavati, Diritto processuale dell’Unione Europea, Giuffrè, Milano 2009, ove si sottolinea che “[…] una visione realistica della struttura costituzionale dell’Unione Europea deve tenere conto di un potere giurisdizionale che ha quanto meno elaborato delle regole praeter legem, e che, nella sostanza, ha svolto un ruolo molto vicino a quello di un legislatore” (pp. 33-34).
(30) Corte Costituzionale, Sentenza n. 113 del 23-4-1985, in Giurisprudenza costituzionale, anno XXX, fasc. 1, Milano gennaio-febbraio 1985, pp. 694-709 (p. 708).
(31) Ibidem.
(32) “Mi sembra anche utile precisare che la definizione giuridica che propongo si inserisce nell’ambito della direttiva tecnica esaminata e che, a mio avviso, non si potranno ricavarne conseguenze altrettanto giuridiche in altri settori che riguardano la vita umana ma che sono situati ad un livello diverso, ed, innanzitutto, al di fuori del diritto dell’Unione. È per questo che mi sembra che il riferimento fatto in udienza a sentenze pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in merito all’aborto esuli per definizione dal nostro oggetto. Non si può infatti confrontare la questione dell’eventuale utilizzazione di embrioni a fini industriali o commerciali con le normative nazionali che tentano di dare soluzioni a situazioni individuali dolorose” (Causa C 34/10, Oliver Brüstle contro Greenpeace. Conclusioni dell’Avvocato Generale Bot del 10-3-2011, cit., par. 49).
(33) “A mio giudizio la brevettabilità e la ricerca non sono tra loro indissociabili. Gli Stati membri sono, chiaramente, liberi di autorizzare la ricerca alle condizioni da essi stabilite. La brevettabilità, ossia di fatto l’immissione in commercio alle condizioni di produzione che ne derivano, deve essere, peraltro, conforme alle condizioni stabilite dalla direttiva 98/44 in un’ottica di armonizzazione che includa considerazioni etiche atte ad evitare che il funzionamento economico del mercato dia adito a una concorrenza il cui prezzo sia il sacrificio dei valori sui quali si fonda l’Unione” (ibid., par. 44).
(34) Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, Sentenza del 18-10-2011. Oliver Brüstle v Greenpeace eV, cit., par. 35.
(35) Ibid., par. 28.
(36) Si vedano, al riguardo, le riflessioni svolte da Sabino Cassese: “La sovranità statale si diluisce. I poteri pubblici si riarticolano in forme pluralistiche e policentriche. Gli ordinamenti giuridici nazionali debbono affrontare problemi che vanno oltre la loro capacità di risolverli da soli. Ad essi si sovrappongono altri ordinamenti giuridici, su più livelli.
“Questo pluralismo ha bisogno di un ordine: occorre riempire i vuoti tra i diversi sistemi; ridurre la frammentazione di questi ultimi; indurli a cooperare; stabilire gerarchie di valori e principi. […] Per questo motivo, le corti stanno assumendo un ruolo importante nella definizione dei rapporti fra ordinamenti giuridici. Si parla di “judicial dialogue” o “judicial conversation”, di “inter-judicial coordination” e di una “community of judges” […]. A questo punto, lentamente (molto lentamente), il diritto prende il posto della politica nell’arena globale. Se prima si era passati dalle spade alle feluche, ora si passa dalle feluche alle toghe” (I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Donzelli, Roma 2009, pp. 3-5).
(37) Robert H. Bork, Il giudice sovrano. Coercing virtue, a cura di Sauro Fabi e Serena Sileoni, trad. it., Liberilibri, Macerata 2004, p. 21: “La globalizzazione della guerra culturale — osserva il giurista statunitense — ha portato a una globalizzazione dell’attivismo giudiziario. […] Questo fenomeno si verifica non solo a causa della creazione di corti sovranazionali, ma anche perché i giudici delle corti nazionali hanno iniziato a conferire con i loro colleghi esteri e citare decisioni costituzionali straniere come guida per interpretare le proprie Costituzioni […].
“Sarebbe un errore attribuire l’origine di questi mutamenti esclusivamente ai giudici. Esistono infatti molti fattori alla base di questo percorso: l’ascesa di burocrazie potenti e relativamente irresponsabili, il declino della fede nelle religioni tradizionali, l’accettazione di un ethos di estrema autonomia individuale, il peso dei mass media, l’ampliamento della classe degli intellettuali accademici e altro ancora” (p. 8). Tuttavia, prosegue Bork, “come disse il vescovo [anglicano] Hoadly [Benjamin (1676-1761)], quasi tre secoli fa, “sotto ogni riguardo il vero legislatore è chiunque abbia un’assoluta autorità di interpretare qualsiasi norma scritta od orale, e non già la persona che per prima l’ha scritta o pronunciata”” (p. 19). Approfittando di tale autorità, i giudici hanno finito con il “trasformarsi in attivisti con lo scopo di creare libertà e diritti nuovi e senza fondamento, aggirando l’autorità democratica” (ibidem).
(38) Francesco Gazzoni, Sancho Panza in Cassazione. Come si riscrive la norma sull’eutanasia, in spregio del principio della divisione dei poteri, in Il diritto di famiglia e delle persone, anno 37, n. 1, Milano gennaio-marzo 2008, pp. 107-131 (p. 121).
(39) Per una disamina complessiva degli orientamenti giurisprudenziali in materia di bioetica e identità di genere, cfr. Mauro Ronco, La tutela penale della persona e le ricadute dell’ideologia del genere, in Cristianità, anno XXXIX, n. 359, gennaio-marzo 2011, pp. 23-44.
(40) Causa C 34/10, Oliver Brüstle contro Greenpeace. Conclusioni dell’Avvocato Generale Bot del 10-3-2011, cit., par. 47.
(41) Guido Alpa, Il significato di natura e vita nelle costituzioni moderne, in Pietro Barcellona (a cura di), Nuove frontiere del diritto. Dialoghi su Giustizia e Verità, Dedalo, Bari 2001, pp. 105-108 (p. 107).
(42) “La ragione della temuta “esplosione” soggettivistica dell’interpretazione è […] da rintracciare nel carattere pluralistico della società attuale e di quella società parziale che è la comunità dei giuristi e di coloro che operano attraverso il diritto […]. La causa dell’incertezza nei processi di applicazione del diritto non è in una cattiva disposizione mentale dei giuristi ma nel deperimento di un quadro di principi di senso e valore generalmente condiviso. […] In presenza di diversi contesti di senso e valore, nemmeno la lettera è una certezza. […] Senza considerare che molte domande nuove poste al diritto dal progresso tecnologico (si pensi alla tecnologia genetica) forse più opportunamente possono trovare una prima risposta in una procedura giudiziaria in cui si mettano a confronto prudentemente i principi coinvolti, piuttosto che in assemblee politiche dove il richiamo ai principi è spesso uno strumento di militanza di parte” (Gustavo Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Einaudi, Torino 1992, pp. 201-203).
(43) Il testo completo è consultabile all’indirizzo Internet: <http://www.venice.coe.int/WCCJ/Papers/ECHR_Rozakis_E.pdf>.
(44) Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, S.H. e altri v. Austria, application n. 57813/00, judgement 3 November 2011, par. 117, consultabile attraverso il motore di ricerca all’indirizzo Internet: <http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?skin=hudoc-en>.
(45) Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, 13-2-2010, in Insegnamenti di Benedetto XVI. VI, 1. 2010. Gennaio-Giugno, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 217-220 (pp. 218-219).
(46) Cfr. Gustave Thibon (1903-2001), Ritorno al reale. Nuove diagnosi, in Idem, Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, con Prefazione di Gabriel Marcel (1889-1973), a cura e con Considerazioni introduttive di Marco Respinti, trad. it., Effedieffe, Milano 1998, pp. 147-321.