Franco Campia, Cristianità n. 4 (1974)
Carl Wahren, 40 anni, due lauree ad Uppsala e una a Los Angeles, liberale di sinistra, vive in una bella casa a Upplands Vasby, un sobborgo di Stoccolma immerso in un bosco di betulle. Qui è andato a trovarlo Giovanni Giudici, inviato dal suo giornale L’Espresso per fornire ai lettori italiani notizie più dettagliate su una proposta che, partita da Wahren, ha suscitato un ammirato stupore, pur nella sua Svezia notoriamente “civile” ed “evoluta” (1).
Wahren, infatti, che è a capo del SIDA, l’ente di Stato svedese che si occupa della assistenza ai paesi in via di sviluppo, ha proposto che a ogni coppia coniugata vengano rilasciati due tagliandi, corrispondenti ai due soli figli che dovrebbero esserle concessi dalla legge. Conforta il sapere che l’autore di un simile progetto è “uno degli studiosi più preparati in una materia (lo sviluppo demografico) ancor più esplosiva del problema dell’energia” e, proprio per questo, va soppesato adeguatamente l’argomento centrale della motivazione con la quale egli accompagna la sua proposta: “Tutto è già regolato dalla legge: il modo della nostra nascita e quello della nostra morte, la nostra vita nella scuola, la nostra vita nel lavoro, la nostra circolazione nella città. Perché non dovrebbe esserlo il nostro concepimento? Avere un bambino è una cosa troppo importante per essere decisa dai genitori” (2).
Queste tesi non sono nuove: come ricorda A. Buzzati Traverso in un suo editoriale sul Corriere della Sera “la proposta di un eventuale tesseramento delle potenzialità riproduttive dell’uomo è stata formulata per la prima volta nel 1964 dall’economista americano Kenneth E. Boulding. Convinto che entro breve tempo il problema del sovrappopolamento avrebbe raggiunto gravissimi livelli nel mondo in generale ed anche nel suo paese, Boulding riteneva che un sistema di tessere vendibili per avere dei figli fosse il solo che consentisse all’un tempo un minimo di controllo da parte della società ed un massimo di libertà individuale e di scelta etica. […] Le donne nubili o che non possono o non desiderano avere figli potrebbero vendere i loro tagliandi a quelle desiderose di numerosa prole” (3). Purtroppo per Boulding l’eccessiva preoccupazione per la libertà individuale e le scelte etiche gli ha tirato addosso le critiche del prof. Georg Borgström, uno svedese che insegna negli Stati Uniti e che è considerato un’autorità mondiale nella crociata contro la fame: a parere di quest’ultimo “razionare i figli non basta, è troppo poco. Bisogna arrivare alla sterilizzazione obbligatoria dopo il secondo figlio: entro il 2000 questa procedura sarà per tutti i paesi una realtà” (4).
Paul Ehrlich, biologo della Università di Stanford in California, instancabile zelatore del movimento Z.P.G. (Zero population growth, “crescita nulla della popolazione”, noto anche per essersi fatto sterilizzare in coerenza con i suoi principi, propone invece una soluzione diversa, e cioè l’adulterazione dei cibi e dell’acqua potabile con sostanze sterilizzanti. Questa tesi è stata esposta da Ehrlich alla XIII assemblea nazionale della commissione americana dell’UNESCO, organizzazione che non è aliena dall’incoraggiare la diffusione di simili progetti. Ben più in là va la sorella maggiore dell’UNESCO, l’ONU, che appoggia il Population Council, ente finanziato dalle grosse fondazioni americane e presieduto dal prof. Bernard Berendson, la cui strategia può succintamente essere riassunta in 5 fasi: a) permesso legale di aborto; b) controllo coattivo della natalità mediante ricorso massiccio, da parte dei singoli governi, a sostanze anticoncezionali da sciogliersi negli acquedotti per le zone urbane e utilizzando altrove veicoli appropriati, come le materie prime alimentari: c) licenza di procreazione da concedersi in modo analogo a quello proposto in Svezia: d) sterilizzazione temporanea di tutte le donne giovani a mezzo di capsule speciali, “restando riservata a una agenzia governativa la facoltà di sospendere il contraccettivo“; e) sterilizzazione obbligatoria dei padri con tre o più figli viventi e aborto obbligatorio per tutte le gravidanze illegittime.
Per completare in qualche modo questo panorama resta da ricordare il massiccio impegno di molte organizzazioni internazionali e di governi di grandi potenze in favore dell’uso generalizzato e sistematico degli anticoncezionali; tale impegno è manifestato sia dalla propaganda e dalla distribuzione di preparati contraccettivi, come avviene da parte dell’ONU, dell’UNICEF (emanazione dell’ONU che si occupa dei problemi dell’infanzia) o dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità); sia da vere e proprie imposizioni: la Banca Mondiale è stata accusata, senza sollevare smentite, di avere condizionato suoi finanziamenti a paesi del Terzo Mondo all’attuazione di una politica interna di controllo delle nascite. Il Congresso degli Stati Uniti ha stanziato a più riprese centinaia di milioni di dollari a sostegno dei centri, diffusi in tutti i paesi del Terzo Mondo, per l’insegnamento delle forme più appropriate di controllo delle nascite.
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L’aberrazione morale e sociale implicita negli episodi e nelle proposte sin qui descritte (5) dovrebbe essere tale da provocare violentemente la sensibilità, seppure ottenebrata, degli abitanti dei paesi “civili”; se ciò spesso non accade è anche perché, a monte di essi, si sono andate diffondendo tesi che ne costituiscono la “copertura” pseudo-scientifica e ne proclamano l’ineluttabilità.
Negli ultimi anni, infatti, si è assistito in tutto il mondo al moltiplicarsi rapido e diffuso di ogni tipo di indagini, ricerche, seminari, convegni, pubblicazioni di saggi e articoli aventi come oggetto la futurologia, vale a dire lo studio delle condizioni di vita sulla terra negli anni a venire. Protagonisti di questa massiccia ricognizione nel futuro sono in genere fondazioni private, commissioni governative o enti internazionali, dotati tutti di grandi mezzi finanziari e di amplissime possibilità di audizione e credito presso l’opinione pubblica; in più, il materiale elaborato a livello specialistico e teorico viene largamente volgarizzato dai grandi mezzi di informazione, che ne garantiscono una diffusione capillare e drammatizzata: la psicosi ecologica dei nostri giorni ne è un esempio, irrazionale ed emotiva, inadeguata alla serietà del problema che pur vorrebbe affrontare.
I risultati di questi studi sono, invero, tutt’altro che univoci: esistono ricercatori che si esprimono in termini estremamente realistici e di cauta speranza, altri che cadono nell’ottimismo più utopistico e ingiustificato, altri ancora che precipitano invece in un catastrofismo apocalittico. È un fatto che il filone maggiormente conosciuto, che gode di un trattamento privilegiato da parte dei canali di informazione e delle autorità internazionali, è proprio quest’ultimo. La sua tesi è che, in mancanza di drastici provvedimenti, la fine della civiltà moderna si avvicina rapidamente, propiziata da un lato dall’incalzante aumento demografico, dall’altro dall’irreversibile e progressivo esaurirsi delle risorse terrestri.
Il lettore è già in grado di orientarsi sulla natura dei “drastici provvedimenti”…
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Il “catastrofismo apocalittico” ha dunque raccolto ampi consensi a livello di massa, ma contrastanti valutazioni nell’ambito scientifico, dove non sono mancate autentiche stroncature, anche da parte di studiosi di valore universalmente e oggettivamente riconosciuto. Tra questi ultimi è d’obbligo ricordare il nome del prof. Colin Clark (6), che è stato di recente invitato a Roma a tenere una conferenza sul tema Demografia e sviluppo; sarà di estremo interesse seguire alcune sue considerazioni.
Abbiamo spesso sentito dire che due terzi della popolazione mondiale soffrono la fame (e poi proseguire: questo oggi, figurarsi domani se non si provvederà a bloccare l’incremento demografico!). Questa affermazione è grossolanamente falsa: il “falsario” è stato un direttore generale della FAO, lord Boyd-Orr, che aveva semplicemente confuso due colonne di dati in una tabella statistica; un errore da nulla, ma – come ricorda Colin Clark – rivestire una carica importante comporta grandissime responsabilità, perché, sebbene l’affermazione risalga a oltre 20 anni fa e in seguito sia stata smentita a tutti i livelli possibili, c’è ancora moltissima gente che vi crede. Comunque, i funzionari della FAO si resero perfettamente conto dell’inesattezza, tanto che qualche anno dopo hanno aggiunto una rettifica, affermando che la “metà del mondo soffriva di malnutrizione“. Colin Clark, allora direttore dell’Istituto di Economia Agraria dell’università di Oxford, chiese alla FAO in che termini definisse la malnutrizione e su che prove si fondasse quella affermazione. Ricevette una risposta sconcertante: “Per il momento abbiamo fatto quest’affermazione: a cercare le prove ci penseremo dopo!“. Dopo parecchio tempo avvalendosi di esperti economisti per convalidarla, tutto quello che riuscirono ad aggiungere per giustificare la loro affermazione fu che metà della popolazione del mondo “non si nutriva come gli abitanti dell’Europa occidentale“. Naturalmente, considerare l’alimentazione dell’Europa occidentale come se fosse la linea di confine tra alimentazione sana e malnutrizione è insostenibile, visto che molti abitanti dell’Europa occidentale sono affetti da grave, patologica supernutrizione.
La FAO ha fatto anche delle dichiarazioni riguardanti il livello delle calorie, fissando la media calorica internazionale in 2300 calorie al giorno per abitante. L’antropologa australiana Margareth Mac Arthur ha dimostrato che, utilizzando un simile parametro, si scopre che 1/3 della popolazione giapponese soffre la fame (pur disponendo di auto e televisione in quasi ogni famiglia).
Successivamente, nel 1969, il direttore generale della FAO A. H. Boerma, che occupa tuttora tale incarico, se ne uscì con un’altra osservazione: “Metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo soffre di malnutrizione“. Si tratta chiaramente di cosa ben diversa da “metà della popolazione del mondo“. In seguito alla puntuale richiesta di Clark di conoscere le prove sulle quali la fondasse, rispose: “Nessuna, è solo un’affermazione senza prove“.
Lo scopo di Clark, come egli espressamente dichiara, non è certo di dimostrare l’inesistenza dei problemi della fame nel mondo o dello sviluppo, ma di combattere la scarsa serietà e la demagogia con cui essi vengono, spesso non disinteressatamente, trattati.
Nascono di qui le critiche che egli ha mosso a molte pagine de I limiti dello sviluppo, la notissima ricerca promossa dal Club di Roma e svolta da una équipe di studio del MIT (Massachusetts Institute of Technology), rivelatasi un autentico best-seller in molti paesi, tra cui l’Italia. I limiti dello sviluppo può essere considerata la voce più celebre nel coro dei profeti di sventura; i ricercatori del MIT hanno ideato un modello complesso rappresentativo della situazione mondiale, il cui andamento dipende da alcune variabili – 5 fattori critici: aumento della popolazione, produzione di alimenti, industrializzazione, esaurimento delle risorse naturali, inquinamento – delle quali, come pure del modello risultante, viene simulato il comportamento in termini matematici, calcolato con l’aiuto del calcolatore e rappresentato graficamente, secondo le tecniche di studio della Dinamica dei Sistemi.
La tesi finale che emerge dal lavoro ribadisce ciò che ormai già sappiamo: l’aumento della popolazione, combinandosi con gli effetti dell’esaurimento delle risorse naturali (minerali, acqua dolce, ecc…), con l’insufficiente crescere di quelle alimentari e infine con le conseguenze dell’inquinamento, porteranno entro il secolo a una incontrollabile e immane crisi del sistema mondiale, salvo radicali e immediati mutamenti di rotta.
Per invitare alla cautela nell’accogliere questi risultati, basterebbe ricordare l’enorme difficoltà insita nella costruzione di un modello mondiale, quanti fattori soggettivi e contingenti vi giochino (lo stesso modello del MIT, se concepito 10 o 15 anni fa, ben difficilmente avrebbe considerato l’inquinamento un fattore critico); la reale difficoltà è però ancora un’altra, che illustrerò con due esempi, il vero tallone d’Achille di tutto lo studio: anche ammesso, valido il modello, sono inattendibili o per nulla provate molte delle informazioni di base che vi sono state inserite per farlo funzionare. Nell’esemplificare mi appoggerò ancora alla esposizione di Colin Clark.
Il fabbisogno alimentare cresce continuamente, com’è ovvio, con la popolazione: a tale fabbisogno, secondo il Club di Roma, deve far fronte esclusivamente l’agricoltura; esso ammette, a dire il vero, che è teoricamente possibile rimuovere questa dipendenza dalla terra con la produzione di cibi sintetici o altro (coltivazione delle alghe, ecc.) ma non ritiene poi di doverne tener conto nel modello, senza fornirne il motivo. La terra coltivabile di tutto il globo ammonta, secondo il Club di Roma, a 3,2 miliardi di ettari; 0,4 ettari sarebbero mediamente sufficienti per sostentare un uomo. Con la sola fatica di una divisione saremo in grado di conoscere la massima popolazione nutribile della terra.
Diamo ora la parola a Clark:
“Ho cercato di appurare da quale fonte [il Club di Roma avesse] ottenuto la “consulenza” in materia di agricoltura. Non sono riuscito a scoprirlo, ma certo quei dati provengono da fonte assolutamente male informata.
“Il Club di Roma dichiara che occorrono quattromila metri quadrati per assicurare i mezzi di sussistenza ad un uomo.
“A dire il vero, invece, con duemila metri quadri un bravo agricoltore produrrà non solo i propri mezzi di sussistenza, ma potrà assicurare anche una alimentazione di tipo americano o europeo occidentale, vale a dire una alimentazione di gran lunga superiore a quanto è necessario per il sostentamento o anche per la semplice buona salute di un individuo.
“Il Club di Roma in effetti ha ripreso i dati pubblicati dal Comitato dei Consulenti Scientifici del Presidente degli Stati Uniti, riguardanti la superficie di terreno arabile del mondo; l’ha divisa poi per la cifra, errata, di quattromila metri quadri, senza tener conto sia che gran parte del terreno arabile nella zona tropicale può dare un doppio raccolto, sia che l’esistenza di zone estesissime di pascolo opportunamente concimate possono assicurare all’alimentazione dell’uomo un contributo pari, con tutta probabilità, a quello fornito dalla superficie di terreno arabile”.
Colin Clark non è meno critico circa la valutazione delle residue risorse minerarie della terra che viene proposta ne I limiti dello sviluppo; oltre a una serie di osservazioni relative allo scarso conto in cui si è tenuta la possibilità di recuperare minerali già usati o di sostituire, nelle applicazioni tecnologiche, minerali resisi rari con altri materiali, come l’esperienza del passato ha ampiamente dimostrato, egli si sofferma a ricordare quanto scarsa attendibilità, in genere, meriti questo tipo di stime:
“Il Club di Roma ha anche rilasciato dichiarazioni allarmanti sulle riserve minerarie. Poco dopo la loro costituzione nel 1949, le Nazioni Unite indissero una Conferenza sulla Conservazione e Utilizzazione delle Risorse, ed io fui invitato a fare un discorso nella seduta plenaria. Quanto dichiarai allora, me ne accorgo adesso, non era neppure abbastanza ottimistico. Ma a quella conferenza i geologi e gli ingegneri minerari presentarono le migliori prove allora disponibili sulla situazione delle scorte mondiali dei vari minerali. Perciò poco tempo fa, ho ripreso la tabella elaborata nel 1949, ho sottratto da essa i minerali che sono stati estratti dal terreno dal 1949 ad oggi, e mi sono accorto che abbiamo esaurito completamente le scorte del mondo di piombo e zinco già da cinque anni e che quest’anno esauriremo le riserve di rame!
“Le stime dei geologi si sono dimostrate quindi assolutamente errate. Gran parte del mondo è ancora inesplorato, e le stime degli ingegneri minerari sulla possibilità di accesso ai vari minerali mutano continuamente“.
Del resto, invito i lettori a una semplicissima controprova casareccia: ricerchino negli scaffali più alti e polverosi della biblioteca di famiglia qualche vecchio testo scolastico, o manuale o almanacco, dove di solito sono riportati dati del genere. In uno di questi degli anni Trenta, compaiono i dati forniti dal Servizio Geologico degli Stati Uniti: il totale delle riserve mondiali di petrolio era fatto ammontare a 70 milioni di barili (il Club di Roma oggi accetta la cifra di 455 miliardi di barili); tra i paesi produttori non figurano né l’Arabia Saudita, né la Libia né quegli sceiccati che hanno animato tante conversazioni durante le domeniche di austerity!
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È bene ora tirare qualche conclusione.
L’uomo è il protagonista immutabile di ogni società e ugualmente immutabili sono i parametri cui egli deve fare riferimento; la struttura del mondo in cui egli vive è invece cambiata nei secoli. La società odierna (e nulla realisticamente ci autorizza a pensare che le cose saranno diverse, almeno per le prossime generazioni) è estremamente complessa; nessuno dei suoi elementi costitutivi, famiglia o gruppo sociale o città o nazione, pur salvaguardando la sua sfera di autonomia, può prescindere, per il suo futuro, da quanto avverrà al di fuori di esso. Da un punto all’altro del pianeta, ad esempio, non esistono praticamente limitazioni, oltre a quelle di natura politica, al movimento dei capitali, delle risorse energetiche e alimentari, dei ritrovati tecnico-scientifici e così via. In particolare, queste interrelazioni intrecciano sempre più i destini dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo, accentuando oltre tutto i problemi di equità e giustizia nei rapporti internazionali.
Le ricerche sul futuro dell’umanità, in quanto facilitano la previsione e la comprensione di fenomeni che l’uomo deve essere in grado di dominare, sono di – indiscutibile validità; occorre però rifuggire dalla tentazione di assolutizzare i risultati anche di quelle condotte con la massima serietà, per le incertezze e le approssimazioni assolutamente non scindibili dal loro oggetto, e occorre ugualmente stare in guardia e smascherare le speculazioni e le menzogne che su tali risultati si costruiscono.
Abbiamo visto con quali deboli e discutibili argomenti si sostenga un tracollo imminente dell’umanità sotto la spinta della pressione demografica, eppure essi sono stati sufficienti per rendere legittime, se non gradite, agli occhi di tanti le allucinanti proposte descritte all’inizio.
In Italia, certo, ci si muove con più cautela; “l’oscurantismo secolare” che “pesa” sulla tradizione culturale e sul costume del nostro paese ha agito da freno, ma è ben chiaro che certe forze non demordono. A. Buzzati Traverso, nell’editoriale già citato all’inizio, è molto chiaro: Bernard de Fontenelle, il primo grande divulgatore scientifico, ha saggiamente lasciato scritto: l’attacco contro le convinzioni saldamente radicate può aver successo soltanto se viene condotto in modo graduale. […] Sarebbe quindi controproducente il discutere oggi la proposta Boulding nel contesto del nostro paese“.
Si noti la squisitezza del termine controproducente; Buzzati Traverso non manca certo di chiarezza, ma il suo collega Guido Ceronetti ha in più il pregio della concisione. Così scrive in un suo elzeviro intitolato Non c’è solo il divorzio: “Voterò per il divorzio arrossendo che questo voto mi sia stato chiesto. Ma gli elettori si rendano conto che la maga Micomicona li distrae con questa apparenza di problema dalla realtà di altri, paurosa. Il dramma della sovrappopolazione dell’homo insipiens che con la forza cieca del suo numero occupa tutto e distrugge tutto, è la verità grave che le cento mani della democrazia illusionista gli nascondono” (7).
Analoga concisione, che è concettuale e non si riferisce alla maga Micomicona, possiamo ritrovare in un altro proclama del Ceronetti, dove è descritto il secondo momento della sua strategia, che lo accomuna a forze ben più potenti e temibili di lui; dopo il divorzio “[…] la sola legge adeguata alle attuali condizioni di sovraffollamento, di disperazione, […] è quella che prevede l’aborto legale gratuito col massimo di assistenza possibile per le donne che non desiderano una maternità infelice” (8).
Se questi sono gli inizi, il resto, ormai, non è più una sorpresa…
FRANCO CAMPIA
Note:
(1) Cfr. L’Espresso, 13-1-1974.
(2) Ibidem.
(3) Corriere della sera, 7-1-1974.
(4) L’Espresso, 13-1-1974.
(5) L’argomento è ampiamente sviluppato negli articoli di P. G. PALLA, Imperialismo e birth control, in Studi Cattolici, n. 112, luglio 1970, e Isteria demografica, ibidem, p. 134, aprile 1972.
(6) Il prof. COLIN CLARK è uno degli economisti più famosi del mondo, inventore del concetto di PNL (prodotto nazionale lordo), oggi universalmente accettato e usato. Docente in varie università, è stato direttore dell’Istituto di Economia Agraria dell’Università di Oxford. Chiamato a svolgere opera di consulenza in varie parti del mondo da parte di autorità governative e istituti scientifici, Colin Clark, che è di religione cattolica, ha fatto parte della commissione pontificia incaricata di studiare i problemi che diedero origine all’enciclica Humanae Vitae. In questa commissione egli faceva parte della minoranza il cui pensiero fu accolto da Paolo VI. Le tesi di Clark e le citazioni che compaiono nell’articolo sono tratte dal testo della conferenza da lui recentemente tenuta a Roma e pubblicato come Quaderno ICU (Istituto per la Cooperazione Universitaria), V.le Rossini 26, 00198 Roma.
(7) La Stampa, 26-2-1974.
(8) Cfr. Inchiesta sull’aborto in Italia, in l’Espresso, 13-1-1974.