GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 200 (1991)
Fra il 28 novembre e il 14 dicembre 1991 si è svolta in Vaticano l’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, inaugurata e conclusa con solenni concelebrazioni, presiedute dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nella basilica patriarcale di San Pietro (1). Lo stesso 28 novembre S. Em. il card. Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha tenuto la relazione generale precedente la discussione (2), quindi il 7 dicembre, dopo i lavori delle prime dieci congregazioni generali, ha svolto una nuova relazione comprensiva dei contributi emersi dagli interventi in aula (3). Finalmente il 13 dicembre è stato reso pubblico il testo della Dichiarazione “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato”, che si articola in un Proemio, in quattro parti — I. Il significato dell’ora presente nella prospettiva della fede cristiana e della storia d’Europa, II. Il centro vivo e le molte vie della nuova evangelizzazione, III. La necessità del dialogo e della cooperazione con gli altri cristiani, con gli ebrei e con tutti coloro che credono in Dio e IV. L’impegno della Chiesa per l’edificazione di un’Europa aperta alla solidarietà universale — e in una Conclusione (4).
L’Assemblea Speciale per l’Europa era stata annunciata dal Santo Padre Giovanni Paolo II in occasione della visita al santuario di Velehrad, nella Repubblica Federativa Ceca e Slovacca, il 22 aprile 1990 (5), poi richiamata in una lettera ad hoc, inviata dallo stesso Pontefice ai vescovi d’Europa da Fatima, il 13 maggio 1991 (6); quindi ricordata tematicamente in più occasioni e, finalmente, nelle meditazioni introduttive all’Angelus domenicale in Piazza San Pietro sia prima della celebrazione del sinodo che dopo la sua chiusura (7).
In preparazione dell’avvenimento, la Segreteria del Sinodo dei Vescovi aveva fatto pervenire ai singoli presuli un questionario, cui era premessa una traccia di riflessione (8); quindi, dalle risposte a questo questionario era stato ricavato un Sommario (9). Sempre in preparazione dell’avvenimento, era stato convocato un simposio presinodale sul tema Cristianesimo e cultura in Europa: Memoria, Coscienza, Progetto, che — organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura — si è tenuto in Vaticano dal 28 al 31 ottobre 1991 (10).
Poiché il significato e la portata sia dell’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi che del documento con cui si è chiuso vanno certamente oltre la routine ecclesiale, per altro sempre meritevole di attenzione; e poiché, per contro, sono stati messi in opera sforzi rilevanti, sia dai mass media esterni al mondo cattolico che da centri e da apparati d’informazione all’interno di esso, per accreditare prima il profilo basso dell’accadimento, poi il suo fallimento — la montagna avrebbe partorito il classico topolino —, procedo a una lettura della Dichiarazione “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato”. Si tratta di una lettura che non vuole però render conto di tutti i temi trattati in essa, ma intende prestare particolare attenzione alle indicazioni di principio e a quelle che interessano specificamente il laicato cattolico, di nuovo — fra queste — privilegiando quanto attiene all’azione culturale e sociale nel senso lato di quest’ultimo termine, cioè nel senso in cui esso è consuetamente usato nei documenti della Chiesa, quindi inglobante gli aspetti politici, sociali ed economici della vita umana.
1. “Il significato dell’ora presente nella prospettiva della fede cristiana”
Nella Dichiarazione “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato”, la celebrazione del Sinodo viene anzitutto messa in relazione con la nuova evangelizzazione e con la congiuntura storica, che fonda la necessità di “discernere le vie per la nuova evangelizzazione del nostro continente” (Proemio): “La nostra Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi si è svolta due anni dopo l’inizio del crollo così repentino e realmente straordinario del sistema comunista, nel quale grande parte ha avuto la testimonianza eroica delle Chiese cristiane. Anche molti non credenti hanno visto in questi eventi quasi un “miracolo”. Alla luce della fede e sotto la guida dello Spirito Santo, vogliamo discernere in quest’ora i veri segni della presenza e del disegno di Dio. Per i cristiani in questi eventi si è manifestato un autentico kairòs della storia della salvezza e una grande sfida a continuare l’opera rinnovatrice di Dio, dal quale in ultima istanza dipendono i destini delle nazioni.
“Senza dubbio il crollo dei regimi totalitari dell’Europa centro-orientale ha avuto delle ragioni di carattere economico e socio-politico. Ma, più in profondità, ha avuto una motivazione etico-antropologica e, in definitiva, spirituale. Alla radice del marxismo vi è infatti “un errore di carattere antropologico”, nel senso che in esso la persona umana è ridotta alla sola sua dimensione materiale ed economica. Da un’antropologia distorta e riduttiva come questa non potevano non conseguire un’economia e una politica profondamente ingiuste e contro la persona umana, e per questo destinate inevitabilmente al fallimento. Elemento caratteristico, ed anzi intrinseco, di tale ideologia e, di conseguenza, anche del sistema comunista sul piano pratico era l’ateismo programmatico e coercitivo” (n. 1).
Dunque, quanto è accaduto oltre la Cortina di Ferro non si può assolutamente ridurre a conseguenza di cause politico-economiche: infatti non mancano al crollo del comunismo motivazioni etico-antropologiche, cioè, in ultima analisi, spirituali; inoltre, non vanno esclusi né la capitalizzazione di grazia prodotta — per così dire — dalle persecuzioni e dai martiri, né caratteri straordinari, “miracolosi”.
“Oggi in Europa il comunismo come sistema è crollato, ma restano le sue ferite e la sua eredità nel cuore delle persone e nelle nuove società che stanno sorgendo. Le persone hanno difficoltà nel retto uso della libertà e del regime democratico; i valori morali radicalmente sovvertiti debbono essere rivivificati. Allo stesso tempo la Chiesa, resa povera nelle sue strutture e nei suoi mezzi, ha imparato più profondamente a confidare soltanto in Dio.
“Il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista, e mostra coi fatti, oltre che in linea di principio, che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell’uomo” (ibidem).
Quindi — soprattutto — il socialcomunismo non può essere “ritagliato” all’interno della storia culturale e politica del mondo in genere e dell’Europa in specie, e definito — come è stato fatto e viene ancora fatto per il fascismo, tutte le volte in cui le “foto di famiglia” si sono rivelate o si rivelano eccessivamente numerose — una “parentesi” con la quale l’ideologia storicistica isola ciò che non capisce o, in quanto organica al potere, non vuol capire: apertis verbis e a chiare lettere, “il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista, e mostra coi fatti, oltre che in linea di principio, che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell’uomo” (ibidem).
Infatti, “benché il marxismo imposto con la forza sia crollato, l’ateismo pratico e il materialismo sono molto diffusi in tutta l’Europa: senza essere imposti con la forza, e per lo più nemmeno esplicitamente proposti, essi inducono a pensare e a vivere “come se Dio non esistesse”.
“Allo stesso tempo persiste la ricerca dell’esperienza religiosa, sebbene in una molteplicità di forme non sempre coerenti tra loro e che spesso conducono lontano dall’autentica fede cristiana. Soprattutto i giovani cercano la propria felicità in molti simboli, immagini e anche in cose vane, e sono così facilmente inclini verso nuove forme di religiosità e sette di diversa origine. In realtà, tutta l’Europa si trova oggi di fronte alla sfida di una nuova scelta di Dio” (ibidem).
2. “Il centro vivo e le molte vie della nuova evangelizzazione”
La dettagliata descrizione del momento storico che l’Europa sta vivendo costituisce quadro di fondo adeguato per cogliere il significato dell’ora presente nella prospettiva della fede cristiana e della storia d’Europa, e per mettere a fuoco il problema corrispondente: di fatto, si tratta di identificare nel patrimonio comune della civiltà europea le radici culturali e spirituali dell’Europa, oltre le profonde ferite e le alterazioni subite nel corso della storia, a partire dalle guerre di religione conseguenti alla rottura dell’unità ecclesiale dei secoli XVI e XVII, e oltre le sue fondazioni improprie, per farne il centro vivo della “nuova evangelizzazione”. Infatti, “certamente questo comune patrimonio della civiltà europea ha subito profonde ferite e alterazioni nel corso della storia. Nell’Europa occidentale e centrale, a partire dalle guerre di religione conseguenti alla rottura dell’unità ecclesiale dei secoli XVI e XVII, si è affermata una visione della vita, soprattutto nella sua dimensione pubblica e sociale, che si concepisce in modo diverso e come basata unicamente sulla ragione umana. Non tutti i valori che hanno la loro matrice nella fede cristiana sono stati però messi direttamente in discussione: si è piuttosto tentato di conservarli dando loro una nuova fondazione puramente immanente. Soltanto nel nostro secolo la debolezza di una tale fondazione è emersa anche praticamente, e quei valori sono divenuti oggetto di contestazione in larghe fasce della coscienza collettiva e nelle legislazioni civili” (n. 2).
In quest’ottica vengono affrontati i problemi relativi alla nozione di “nuova evangelizzazione” e ai suoi possibili fraintendimenti.
a. Anzitutto i Padri Sinodali affermano che “la nuova evangelizzazione non è il progetto di una cosiddetta “restaurazione” dell’Europa del passato, ma lo stimolo a riscoprire le proprie radici cristiane e a instaurare una civiltà più profonda, veramente più cristiana e perciò anche più pienamente umana. Questa “nuova evangelizzazione” vive dell’inesauribile tesoro della rivelazione compiuta una volta per sempre in Gesù Cristo. Non c’è un “altro Vangelo”. Di proposito si chiama nuova evangelizzazione perché lo Spirito Santo rende sempre nuova la parola di Dio e sollecita continuamente gli uomini nel loro intimo (1 Gv 3, 2). È nuova, questa evangelizzazione, anche perché non è legata immutabilmente a una determinata civiltà, in quanto il Vangelo di Gesù Cristo può risplendere in tutte le culture” (n. 3).
È purtroppo significativo che i Padri Sinodali abbiano sentito la necessità di chiarire che la Chiesa “non progetta una cosiddetta “restaurazione” dell’Europa del passato”: infatti, si tratta di una tesi tanto ovvia che, in un contesto culturale meno avvelenato dalle ideologie, non sarebbe stata certamente evocata. Ma tant’è.
Comunque, se con il termine “restaurazione” s’intende un semplicistico “ritorno al passato”, la sua strutturale impossibilità lo esclude; se si allude a un’evocazione quasi spiritica del passato stesso, la sua ambiguità lo vieta; se, invece, si tratta di tener conto della legge secondo cui “quando un essere organico intristisce e declina, ciò proviene dal cessato influsso delle cause che gli diedero forma e consistenza; [per cui] […] non c’è dubbio che, a rifarlo sano e fiorente, bisogna restituirlo ai vitali influssi di quelle cause medesime” (11), allora quest’opera risponde semplicemente a “[…] lo stimolo a riscoprire le proprie radici cristiane e a instaurare una civiltà più profonda, veramente più cristiana e perciò anche più pienamente umana” (ibidem).
Comunque, ancora, importa che le inevitabili differenze fra il passato e il presente — differenze che escludono assolutamente ogni identità, ma non ogni analogia, cioè non ogni similitudine maggiore o minore — non divengano occasione per accreditare un “altro Vangelo” (ibidem), che non si dà.
b. Quindi, coerentemente con la denuncia di un ipotetico “altro Vangelo” (ibidem), la stessa notazione viene ripetuta non più a proposito della dottrina, ma per relazione alla sua presentazione; viene cioè notato che, se “[…] il rinnovamento dell’Europa deve partire dal dialogo col Vangelo” (ibidem), “questo dialogo, promosso per impulso del Concilio Vaticano II, non deve indebolire la chiarezza delle posizioni” (ibidem): la prudenza è virtù che media fra il principio e il fatto, ma la sua pratica non deve essere assolutamente introdotta fra i princìpi.
c. Finalmente, contro ogni prospettiva individualistica, quando non addirittura “intimistica”, si precisa che “l’evangelizzazione […] deve raggiungere non solo i singoli, ma anche le culture. E l’evangelizzazione della cultura porta con sé “l’inculturazione” del Vangelo […] nella nuova situazione culturale dell’Europa, caratterizzata non solo dalla modernità, ma anche dalla cosiddetta post-modernità” (ibidem).
3. “I frutti del Vangelo: la verità, la libertà e la comunione”
Il documento sinodale passa quindi alla descrizione di quelli che chiama “i frutti del Vangelo: la verità, la libertà e la comunione” (n. 4), cioè di quei contenuti radicali con cui deve obbligatoriamente dialogare l’Europa per rinnovarsi realmente: “In realtà, la ricerca della libertà, della verità e della comunione costituisce l’istanza più profonda, più antica e più durevole dell’umanesimo europeo, che continua a operare anche nella sua fase moderna e contemporanea. Perciò, la proposta della nuova evangelizzazione, lungi dall’opporsi allo sviluppo di questo umanesimo, lo purifica piuttosto e lo rafforza nel momento in cui rischia di perdere la sua identità e la sua speranza di futuro, a causa di spinte irrazionalistiche e di un insorgente nuovo paganesimo” (ibidem).
L’affermazione chiarisce senza ombra di dubbio che non si tratta assolutamente di fare uno sforzo per “ripescare” la cosiddetta “modernità” come sistema di risposte ai quesiti che l’uomo si può e si deve porre sulla vita e sul mondo, ma unicamente di richiamare e di valorizzare “l’istanza più profonda, più antica e più durevole dell’umanesimo europeo, che continua a operare anche nella sua fase moderna e contemporanea” (ibidem), cioè appunto “la ricerca della libertà, della verità e della comunione” (ibidem). Quindi è da “ripescare” proprio questa istanza, questa esigenza, permanente nonostante le erronee risposte che ha ricevuto nell’età moderna e in quella contemporanea, mostrando a chi ne è portatore che “[…] la proposta della nuova evangelizzazione, lungi dall’opporsi allo sviluppo di questo umanesimo, lo purifica piuttosto e lo rafforza” (ibidem), e così intervenendo proprio “[…] nel momento in cui [questo stesso umanesimo] rischia di perdere la sua identità e la sua speranza di futuro, a causa di spinte irrazionalistiche e di un insorgente nuovo paganesimo” (ibidem).
Quindi, proprio nel momento in cui, a lenire le ferite e la delusione prodotte dal sistema di risposte costituito dalla modernità, si offrono sistemi apparentemente alternativi, si tratta di denunciare in modo adeguato e corretto la solita modernità travestita da postmodernità: infatti anche questi sistemi di risposte all’istanza umanistica europea non sono sostanzialmente meno alienanti, cioè sono anch’essi tali da far “perdere la propria identità”; sono ugualmente “disperati”, senza speranza, in quanto chiusi in una dimensione esclusivamente terrena; sono frutti dello spregio per la ragione seguente gli eccessi del razionalismo; sono finalmente neopagani, in quanto ancora razionalisticamente avversi alla Rivelazione e, quindi, alla prospettiva di fede. Perciò si impone la loro denuncia tempestiva e circostanziata onde evitare — se possibile e nella misura del possibile — di aspettare che la loro debolezza emerga “anche praticamente” (n. 2), con le tragiche conseguenze sperimentate per la modernità. Perciò, ancora, “l’Europa non deve oggi semplicemente fare appello alla sua precedente eredità cristiana: occorre infatti che sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell’incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo” (ibidem).
“A questo proposito appare decisiva la questione del rapporto tra libertà e verità, troppo spesso concepito in termini antitetici dalla moderna cultura europea, mentre in realtà libertà e verità sono in tal modo reciprocamente ordinate che non possono essere raggiunte l’una senza l’altra. Egualmente essenziale è il superamento di un’altra alternativa, del resto collegata alla precedente: quella tra libertà e giustizia, libertà e solidarietà, libertà e comunione reciproca. La persona umana infatti, di cui la libertà costituisce la più alta dignità, si realizza non nel ripiegamento su se stessa ma nel dono di sé (cf. Lc 17, 33).
“Sotto l’oppressione del totalitarismo hanno potuto salvare la libertà del cuore e della professione di fede soltanto coloro che si erano legati più intensamente a Dio. La fede, l’adorazione e l’amore hanno un profondo rapporto con la libertà umana. In altro modo, anche nelle “società libere” vi sono delle sottili costrizioni che, come segreti seduttori, occupano la nostra mente, manipolano la nostra sensibilità e mirano a determinare il nostro modo di agire. Chi, nello spirito di adorazione del vero Dio, piega le ginocchia soltanto davanti a quest’unico Signore, è più facilmente in grado di sottrarsi all’attrattiva dei molti idoli.
“In realtà, la croce e la risurrezione di Gesù Cristo rivelano e ci donano, attraverso la grazia dello Spirito Santo quella libertà che veramente merita questo nome. La storia della vita e della morte del Signore manifestano come il culmine della libertà consista nella donazione sovranamente libera alla volontà del Padre e per la vita del mondo. Solo nel confronto con la piena misura di questa donazione di sé diventa evidente quanto l’uomo possa diventare schiavo di se stesso e consegnarsi a potenze che lo riducono in schiavitù.
“Poiché la libertà non si esaurisce nell’”avere”, il possesso e il piacere non sono valori ultimi (cf. 1 Cor 7, 29-31). Per quanto il cristiano riconosca il valore positivo della proprietà, che in ogni caso va sempre vista nella sua connessione col bene comune, e del godimento dei beni di questo mondo, egli sa tuttavia che tutte queste cose non costituiscono delle realtà definitive. La rinuncia evangelica, animata dalla carità, non ci impoverisce dei beni, ma ce li ridona nella loro originarietà ed anzi soltanto così ce li dona veramente: tutto ciò è di grande importanza per la salvaguardia della libertà in una società segnata dal consumismo.
“In questo modo abbiamo già cominciato a parlare anche del raggiungimento di un’autentica comunione. Essa può realizzarsi soltanto se ogni singolo rispetta la dignità umana e personale degli altri. Non c’è comunione, quando si impone agli uomini il collettivismo. Ma neppure nascerà un vero impegno verso gli altri, se i singoli coesistono l’uno accanto all’altro nell’indifferenza e perseguono ciascuno unicamente i propri interessi. La vera comunione nasce soltanto quando ciascuno percepisce la dignità inconfondibile e la diversità del prossimo come una ricchezza, riconoscendogli la medesima dignità senza alcuna tendenza all’uniformità, e si dispone allo scambio delle rispettive capacità e dei rispettivi doni.
“Per parteciparci la vita divina (cf. 2 Pt 1, 4), Gesù Cristo ha svuotato se stesso assumendo nell’incarnazione la condizione di servo e si è fatto obbediente fino alla morte di croce (Fil 2, 7ss.). Questa vita divina è la comunione delle tre divine Persone. Il Padre genera eternamente il Figlio consostanziale e il loro amore reciproco è lo Spirito Santo. Il Dio dei cristiani non è perciò un Dio solitario, ma il Dio vivente nella comunione di carità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E tale carità si è rivelata in modo supremo nell’autoannullarsi (kenosi) del Figlio. Per questo la comunione nella carità e la rinunzia a se stessi appartengono al cuore del Vangelo, che deve essere predicato all’Europa e a tutto il mondo, perché si realizzi il nuovo incontro tra la parola di Vita e le varie culture.
“Questa sintesi della verità, della libertà e della comunione, attinta dalla testimonianza della vita e del mistero pasquale di Cristo, in cui Dio uno e trino si è rivelato a noi, costituisce il senso e il fondamento di tutta l’esistenza cristiana e dell’agire morale che, contro un’opinione corrente, non si oppone alla libertà — poiché la legge nuova è la grazia dello Spirito Santo —, ma ne è allo stesso tempo condizione e frutto. Da questa fonte può nascere una cultura del dono reciproco e della comunione, che si realizza anche nel sacrificio e nell’impegno quotidiano per il bene comune” (n. 4).
4. “Gli evangelizzatori e le molte vie della nuova evangelizzazione”
Dopo la descrizione della situazione e dei pericoli in essa presenti, quindi dei frutti del Vangelo con i quali l’Europa deve entrare in dialogo, il documento passa a indicare gli operatori della “nuova evangelizzazione” e le molteplici vie aperte davanti a loro.
“La nuova evangelizzazione dell’Europa non sarà però possibile se non invitiamo a prendere parte attivamente a questo compito tutti i cristiani consapevoli della propria vocazione profetica” (n. 5). Dopo aver ricordati i vescovi, i presbiteri e i diaconi, e i religiosi, viene sottolineato — alla luce dell’esortazione apostolica Christifideles laici — che “[…] anche i laici debbono essere chiamati a prender parte pienamente a questo impegno della nuova evangelizzazione dell’Europa. Essi, con la loro propria vocazione, e partecipando a loro modo del ministero profetico di Cristo, possono penetrare in tutti quei campi ai quali i vescovi e i presbiteri non possono avere accesso: soltanto attraverso di loro diventeranno concretamente possibili l’evangelizzazione e l’edificazione della nuova Europa” (ibidem).
Ma, “per essere veri apostoli, noi tutti abbiamo bisogno di una continua evangelizzazione, attraverso la preghiera e la meditazione assidua della parola di Dio, nonché lo sforzo quotidiano di metterla in pratica secondo l’esempio altissimo che ci è offerto dalla Beata Vergine Maria. Solo attraverso il nutrimento della parola di Dio e del Pane eucaristico, e il frequente uso del sacramento della riconciliazione, può avvenire in noi una continua conversione e trasformazione personale, e si potrà efficacemente superare quel fenomeno pervasivo di “soggettivizzazione” della fede, per cui la parola di Cristo e della Chiesa è accolta solo nella misura in cui risponde alle proprie esigenze ed aspettative” (ibidem).
“Per ridare vitalità alla Chiesa” (ibidem), con la vita spirituale pure “la catechesi deve essere proposta costantemente non solo
ai fanciulli e agli adolescenti, ma specialmente anche ai giovani e agli adulti, in una forma adatta ad alimentare e a far crescere in loro la vita cristiana” (ibidem). A questo fine, grande speranza viene riposta nel “[…] catechismo universale: come sintetica esposizione integrale della dottrina cattolica secondo il vero spirito del Concilio Vaticano II, potrà essere di aiuto riguardo alla preoccupazione verso talune tendenze teologiche. Mentre infatti una teologia radicata nella parola di Dio e aderente al magistero della Chiesa è sommamente utile per il compito dell’evangelizzazione, si deve riconoscere che il “dissenso” teologico costituisce un ostacolo per l’opera evangelizzatrice, in primo luogo per quella che si deve attuare continuamente all’interno della Chiesa stessa” (ibidem)
Nello stesso ordine di idee si impone la considerazione per cui va certamente sottolineata la necessità del dialogo e della cooperazione con gli altri cristiani, con gli ebrei e con tutti coloro che credono in Dio, memori, fra l’altro, del fatto che “la cultura europea è cresciuta da molte radici” (n. 2), dal momento che “concorrono a questo complesso quadro d’insieme lo spirito della Grecia e la Romanità, gli apporti venuti dai popoli latini, celtici, germanici, slavi e ugro-finnici, la cultura ebraica e gli influssi islamici” (ibidem); ma se, “[…] in questo senso […] parliamo di “radici cristiane dell’Europa”, non già per sostenere una coincidenza tra Europa e cristianesimo” (ibidem), pur tuttavia “si può affermare che la religione cristiana ha dato forma all’Europa, imprimendo nella sua coscienza collettiva alcuni valori fondamentali per l’umanità: principalmente l’idea di un Dio trascendente e sovranamente libero ma anche definitivamente entrato per amore nella vita degli uomini con l’incarnazione e la Pasqua del suo Figlio; il concetto nuovo e centrale della persona e della dignità umana; la fondamentale fraternità umana come principio di convivenza solidale nella stessa diversità degli uomini e dei popoli” (ibidem).
Perciò, mentre ci si deve augurare che, per quanto riguarda le altre Chiese e le comunità ecclesiali, “[…] la comune esperienza della persecuzione possa creare una nuova base per una più profonda comprensione ecumenica e per una giusta pacificazione” (n. 7), “[…] non è possibile prescindere dai problemi dottrinali, se non vogliamo cadere nel pericolo di predicare il Vangelo in modi contraddittori” (ibidem); bisogna ricordare che, “nonostante le note difficoltà, il dialogo con i musulmani si rivela oggi quanto mai necessario; ma deve essere condotto con prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti, e con fiducia nel progetto di salvezza di Dio nei confronti di tutti i suoi figli. Affinché la solidarietà reciproca sia sincera, è necessaria la reciprocità nei rapporti, soprattutto nell’ambito della libertà religiosa, che costituisce un diritto fondato nella stessa dignità della persona umana e che pertanto deve essere valido in ogni luogo della terra” (n. 9). Comunque, “[…] il rispetto della libertà e la giusta consapevolezza dei valori che si trovano nelle altre tradizioni religiose non devono indurre al relativismo, né indebolire la coscienza della necessità e dell’urgenza del comandamento di annunciare Cristo. Nel presente contesto pluralistico, la scelta della Chiesa non è il relativismo, ma un sincero e prudente dialogo, che “lungi dall’indebolire la fede la renderà più profonda”. In realtà, la nuova evangelizzazione esige la formazione di sacerdoti, religiosi e laici pienamente radicati nella propria fede e pertanto capaci di intraprendere questo molteplice dialogo” (ibidem).
5. “L’impegno della Chiesa per l’edificazione di un’Europa aperta alla solidarietà universale”
Venendo a trattare dell’impegno della Chiesa per l’edificazione di un’Europa aperta alla solidarietà universale, i Padri Sinodali notano previamente che “la Chiesa […] ha la missione di dischiudere il mistero rivelato in Gesù Cristo per la salvezza del mondo e che riguarda tutti gli aspetti della vita umana” (n. 10). Quindi, alla luce del secondo momento, che dice relazione a tutti gli aspetti della vita umana, si presenta l’impegno della Chiesa per la costruzione della nuova Europa, cioè “per la costruzione di una società più umana” (ibidem) in Europa. “Benché questa missione riguardi tutti i fedeli, i laici — sia uomini che donne, sia adulti che giovani — e le loro varie associazioni possiedono in questo campo, in virtù della loro “indole secolare”, una missione del tutto particolare” (ibidem).
a. Circa la missione dei laici, viene richiamato sinteticamente quanto esposto nell’esortazione apostolica Christifideles laici, che “[…] ha descritto in modo accurato questa missione, a cui proprio i laici devono essere specialmente formati. Per il contributo dei laici alla costruzione della nuova Europa hanno principalmente valore la promozione della dignità umana, il rispetto inviolabile della vita, il diritto alla libertà di coscienza e di religione, il matrimonio e la famiglia come campi primari per l’impegno sociale e l’”umanizzazione” della società, il servizio della carità e le opere di misericordia, l’impegno per il bene comune e quello nella vita politica, la responsabilità nella vita economica, l’impegno per la salvaguardia del creato, l’evangelizzazione nel campo della cultura, dell’istruzione e dell’educazione, così come in quello dei mezzi di comunicazione sociale” (ibidem).
b. Quindi viene affrontato un tema rilevantissimo com’è quello costituito dal rapporto fra Chiesa e Stato: “La Chiesa non può dunque rinunciare a svolgere la propria missione pubblica. Nello stesso tempo deve guardarsi dal ritornare, nell’adempimento della sua missione, a forme del passato, che oggi potrebbero essere dannose per la Chiesa stessa. Sotto l’impulso della rivelazione cristiana e attraverso lunghe vicissitudini storiche, la civiltà europea ha raggiunto quella distinzione senza separazione dell’ordine religioso e dell’ordine politico, che tanto contribuisce al progresso dell’umanità” (ibidem). Non si può non notare la formulazione prudenziale del giudizio storico — “forme del passato che oggi potrebbero essere dannose per la Chiesa stessa” (ibidem), ma non forme condannabili in sé — accanto alla categorica affermazione dottrinale relativa al fatto che “la Chiesa non può […] rinunciare a svolgere la propria missione pubblica” e alla “distinzione senza separazione dell’ordine religioso e dell’ordine politico” (ibidem).
c. Segue una considerazione circa i rapporti fra la Chiesa e i diversi regimi e sistemi politici: “Benché favorisca decisamente la democrazia, rettamente intesa, la Chiesa non è legata a un determinato sistema politico. Ha però una propria responsabilità riguardo alla formazione della società umana, a cui non può rinunciare e che adempie anzitutto per mezzo della sua dottrina sociale, che appartiene al compito della nuova evangelizzazione” (ibidem).
Evidentemente l’affermazione necessita di essere sciolta in quanto in essa il termine “democrazia” viene assunto in modo non univoco, producendo una sorta di corto circuito bisognoso di essere disinnescato: infatti, la Chiesa non si può certamente limitare a favorire la democrazia, dichiarandosi svincolata da ogni sistema politico, se si tratta della democrazia come regime, cioè di quella “democrazia, intesa in senso largo” (12), che divide lo spazio politico con il totalitarismo e si oppone a esso; né che la favorisca come forma di governo, dopo aver dichiarato di non essere legata a nessun sistema politico e purché rettamente intesa. Quindi, alla luce del rimando ai nn. 46 e 47 dell’enciclica Centesimus annus, di Papa Giovanni Paolo II, che a sua volta rinvia al n. 29 della costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, del Concilio Ecumenico Vaticano II, e al radiomessaggio natalizio del 1944 di Papa Pio XII, l’affermazione può significare solamente che, quanto ai regimi, la Chiesa si schiera dalla parte della democrazia contro il totalitarismo e favorisce ogni transizione dal totalitarismo alla democrazia; quanto alle forme di governo, o sistemi politici, non si sente legata a nessuno di essi, benché impegnata a influire sull’organizzazione della società umana attraverso la predicazione della sua dottrina sociale, e perciò, grazie alla diffusione di questa parte integrante della visione cristiana della vita, attraverso la formazione di una retta coscienza sociale.
d. Finalmente viene richiamato l’impianto della dottrina sociale della Chiesa, che si collega mirabilmente a quanto già affermato circa la comunione e la partecipazione alla vita divina: infatti, “[…]un’autentica comunione […] può realizzarsi soltanto se ogni singolo rispetta la dignità umana e personale degli altri. Non c’è comunione, quando si impone agli uomini il collettivismo. Ma neppure nascerà un vero impegno verso gli altri, se i singoli coesistono l’uno accanto all’altro nell’indifferenza e perseguono ciascuno unicamente i propri interessi” (n. 4); per contro, “[…] la comunione nella carità e la rinunzia a se stessi appartengono al cuore del Vangelo, che deve essere predicato all’Europa e a tutto il mondo, perché si realizzi il nuovo incontro tra la parola di Vita e le varie culture” (ibidem).
Perciò, la “[…] sintesi della verità, della libertà e della comunione, attinta dalla testimonianza della vita e del mistero pasquale di Cristo, in cui Dio uno e trino si è rivelato a noi, costituisce il senso e il fondamento di tutta l’esistenza cristiana e dell’agire morale che, contro un’opinione corrente, non si oppone alla libertà — poiché la legge nuova è la grazia dello Spirito Santo —, ma ne è allo stesso tempo condizione e frutto. Da questa fonte può nascere una cultura del dono reciproco e della comunione, che si realizza anche nel sacrificio e nell’impegno quotidiano per il bene comune” (ibidem).
Dal canto suo, solamente l’impegno per il bene comune fondato su una cultura del dono reciproco e della vera comunione, che “[…] nasce soltanto quando ciascuno percepisce la dignità inconfondibile e la diversità del prossimo come una ricchezza, riconoscendogli la medesima dignità senza alcuna tendenza all’uniformità, e si dispone allo scambio delle rispettive capacità e dei rispettivi doni” (ibidem), fa “rettamente intendere” la stessa democrazia come sistema politico; quindi, “il principio della dignità della persona umana — con i diritti fondamentali che le appartengono antecedentemente ad ogni statuizione sociale, e che pertanto non possono venirle negati o sottratti neppure attraverso una decisione della maggioranza —, il principio della sussidiarietà — che concerne i diritti e le competenze di tutte le comunità — e quello della solidarietà — che postula l’equilibrio tra i più deboli e i più forti —, possono costituire, in verità, come le colonne della nuova società che dev’essere edificata in Europa. Perciò la conoscenza della dottrina sociale è necessaria per tutti coloro che in spirito cristiano sono impegnati nella costruzione della nuova Europa. Il piano degli studi nelle scuole teologiche deve quindi contemplare la formazione alla dottrina sociale e alla promozione della diaconia della carità” (n. 10).
e. Inoltre, viene svolta en passant anche una considerazione, e viene data una corrispondente indicazione, in campo socio-economico: “Il riconoscimento della positività dell’economia di mercato e della libera impresa e la promozione del loro sviluppo anche nei paesi dell’Europa centro-orientale devono essere perseguiti con lucida consapevolezza. È necessario orientarli al bene comune e sostenere i legittimi sforzi dei lavoratori per conseguire il pieno rispetto della loro dignità e spazi maggiori di partecipazione nella vita delle aziende in cui prestano la loro opera” (ibidem).
6. “L’impegno della Chiesa per l’edificazione della nuova Europa”
Avviandosi a conclusione, la Dichiarazione “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato” ritorna a considerazioni contemporaneamente generali e circostanziate: “La casa comune europea si può costruire su fondamenta sicure se nasce non soltanto per motivi economici. Anzi, la nuova Europa presuppone sempre nella sua edificazione il consenso e il riconoscimento dei valori fondamentali e richiede una genuina ispirazione ideale. Sotto questo profilo, il contributo della Chiesa per la nuova Europa non rappresenta certo un elemento secondario e deve accompagnare l’impegno dei fedeli laici operanti in campo sociale e politico” (ibidem).
Circa l’ispirazione ideale, se ne possono ricavare spunti da considerazioni pur straordinariamente congiunturali, spunti attraverso i quali fa la sua comparsa la storia, che, se non è esaurita dal passato, è certamente anche il passato, quel passato di cui tanto si teme da alcuni la “restaurazione”. Infatti — notano i Padri Sinodali —, “mentre progredisce il cammino verso l’unità europea, si pone ora di nuovo in modo acuto, in molte parti d’Europa, il problema delle relazioni tra le nazioni. Esse rappresentano delle vitali realizzazioni culturali, che esprimono le ricchezze dell’Europa. Le differenze nazionali pertanto non devono scomparire, ma piuttosto essere mantenute e coltivate come il fondamento, storicamente sviluppatosi, della solidarietà europea. Tuttavia, dopo il crollo del regime marxista, che era collegato a una forzata uniformità dei popoli e all’oppressione delle piccole nazioni, non di rado insorge il pericolo che i popoli dell’Europa dell’Est e dell’Ovest ritornino a suggestioni nazionalistiche. In realtà, la stessa identità nazionale non si realizza se non nell’apertura verso gli altri popoli e attraverso la solidarietà con essi. I conflitti devono essere risolti mediante le trattative e i negoziati e non attraverso l’uso della violenza, in qualsiasi forma, finalizzata ad ottenere la sottomissione degli altri: violenza che anche durante il Sinodo, come hanno testimoniato i vescovi della Croazia, non cessa di distruggere la loro patria. Non bisogna dimenticare i diritti delle minoranze, ma piuttosto conservare e favorire le tradizioni di ogni popolo. La Chiesa cattolica — che riconosce e afferma il valore positivo dell’identità nazionale — in quanto comunità che si compone di molti popoli trascende allo stesso tempo tutti i particolarismi. La stretta comunione con la Chiesa universale — con Pietro e sotto di lui — ha spesso preservato in modo straordinario le Chiese particolari dall’essere assorbite dai diversi sistemi politici nazionali. Anche per la situazione odierna, questo principio della cattolicità deve conservare tutta la sua efficacia” (ibidem).
Oltre che ad intra, l’ispirazione ideale della nuova Europa deve prestare attenzione anche all’opera ad extra, allo scopo ricordando che “[…] il dinamismo missionario “ad gentes” […] di fatto appartiene alla storia e alla fisionomia dell’Europa ed è costitutivo della sua identità” (n. 6); che, “sebbene l’opera missionaria sia talvolta avvenuta non senza commistioni con l’espansione coloniale dei paesi europei e recando in sé il marchio della divisione tra i cristiani, per grazia di Dio le Chiese d’Europa hanno svolto un ruolo provvidenziale nell’annuncio della salvezza di Cristo ai popoli e nell’”implantatio Ecclesiae” in ogni parte del mondo” (ibidem); e che “l’Europa ha trasmesso a tutto il mondo molte conquiste culturali e tecniche che oggi costituiscono un patrimonio della civiltà universale. Tuttavia la storia dell’Europa conosce anche molti lati oscuri, tra i quali bisogna annoverare l’imperialismo e l’oppressione di molti popoli con lo sfruttamento sistematico dei loro beni. Dobbiamo perciò respingere un certo spirito eurocentrico, di cui possiamo oggi riconoscere tutte le conseguenze” (n. 11).
Chiudo la mia lettura — di cui ribadisco, a scanso di equivoci, il carattere selettivo, anche se, almeno nelle intenzioni, non “ideologicamente selettivo” — auspicando da parte di ogni laico cattolico un serio studio della Dichiarazione “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato”, quindi uno sforzo di rispettarne realmente le linee portanti, sulla cui base rivedere il proprio operato e, ancor più, esaminare i progetti in via di realizzazione o di concepimento. Infatti, è assolutamente necessario che l’indubbia accelerazione del tempo storico non produca vertigine; perciò importa tenersi a punti fermi, da osservare nella pratica con atteggiamento spiritualmente ispirato alla divisa certosina Stat crux dum volvitur orbis; e sotto la croce unirsi a Maria santissima e al discepolo prediletto, san Giovanni, evangelista del quarto Vangelo e dell’Apocalisse, dell’Alfa e dell’Omega, quindi di ogni principio e di ogni fine, nelle mani della Madonna deponendo l’alternativa se, quanto stiamo vivendo, abbia a rivelarsi finis Europae oppure principium Europae.
Giovanni Cantoni
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(1) Per le presenze, cfr. supplemento a L’Osservatore Romano, 28-11-1991; per la cronaca e gli interventi dei Padri Sinodali, cfr. ibid., 29-11-1991; 30-11-1991; 1-12-1991; 2/3-12-1991; 4-12-1991; 5-12-1991; 6-12-1991; 7-12-1991; 8-12-1991; 9/10-12-1991; 11-12-1991; 13-12-1991; 14-12-1991; e 15-12-1991.
(2) Cfr. card. Camillo Ruini, Relatio ante disceptationem, del 28-11-1991, supplemento ibid., 30-11-1991.
(3) Cfr. Idem, Relatio post disceptationem, del 7-12-1991, sintesi ibid., 8-12-1991.
(4) Sinodo dei Vescovi. Assemblea Speciale per l’Europa, Declaratio “Ut testes simus Christi qui nos liberavit”, supplemento ibid., 15-12-1991; trad. it., Declaratio “Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato”, supplemento ibid., 16/17-12-1991. Tutte le citazioni senza indicazione di fonte sono tratte da questo documento in traduzione italiana, e di esso vengono indicati fra parentesi i paragrafi. Per l’attività delle Conferenze Episcopali d’Europa prima dell’Assemblea Speciale, dal 1965 al 1989, cfr. Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, I Vescovi d’Europa e la nuova evangelizzazione, Centro Ambrosiano-Edizioni Piemme, Milano-Casale Monferrato (AL) 1991.
(5) Cfr. Giovanni Paolo II, Introduzione al Regina Caeli, nel santuario di Velehrad, del 22-4-1990, in L’Osservatore Romano, 23/24-4-1990.
(6) Cfr. Idem, Lettera ai Vescovi dell’Europa su alcuni aspetti dell’Assemblea Straordinaria per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, del 13-5-1991, ibid., 31-5/1°-6-1991; questo documento non è richiamato nella dichiarazione finale dell’Assemblea Speciale, benché il Sommo Pontefice abbia esplicitamente voluto collegare a Fatima l’assemblea sinodale: sul punto, cfr. il mio “Verità su Fatima”, in Cristianità, anno XIX, n. 193-194, maggio-giugno 1991; ripreso con lo stesso titolo e pressoché integralmente in Il Cuore della Madre. Rivista mensile dell’Apostolato Mondiale di Fatima (Armata Azzurra), in collaborazione con l’Unione Redazionale Mariana (URM), anno XXVIII, n. 11, novembre 1991, pp. 5-6.
(7) Cfr. Giovanni Paolo II, Verso l’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi/1. L’Europa non deve smarrire il coraggio della fedeltà a Cristo, riflessione all’Angelus, del 4-11-1991, in L’Osservatore Romano, 5/6-11-1991; Idem, Verso l’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi/2. Pregare Dio per comprendere il passato e camminare nella comunione verso il futuro, riflessione all’Angelus, del l’11-11-1991, ibid., 11/12-11-1991; Idem, Verso l’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi/3. I recenti avvenimenti del Continente europeo impegnano i cristiani nell’immediato futuro, riflessione all’Angelus, del 24-11-1991, ibid., 25/26-11-1991; e Idem, Ridisegnare il volto cristiano dell’Europa, riflessione all’Angelus, del 15-12-1991, ibid., 16/17-12-1991.
(8) Cfr. Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, “Traccia per la riflessione previa”, ibid., 17-4-1991; il testo dell’introduzione e della prima parte di questa traccia è stato quasi integralmente trascritto, con un titolo redazionale “Per essere testimoni di Cristo che ci ha liberati” nell’Europa postcomunista, in Cristianità, anno XIX, n. 193-194, maggio-giugno 1991.
(9) Sinodo dei Vescovi. Assemblea Speciale per l’Europa, Sommario “Ut testes simus Christi qui nos liberavit”, supplemento a L’Osservatore Romano, 10-11-1991.
(10) Cfr., per la cronaca, ibid., 30-10-1991; 31-10-1991; e 1-11-1991; per i contributi, Cristianesimo e cultura in Europa: Memoria, Coscienza, Progetto. Atti del Simposio presinodale (Vaticano 28-31 ottobre 1991), in Il Nuovo Aeropago, anno 10, n. 3-4 (39-40), luglio-dicembre 1991.
(11) Leone XIII, Lettera apostolica Pervenuti all’anno vigesimoquinto, del 19-3-1902, in Atti di Leone XIII, Tipografia dell’Immacolata, Mondovì (CN) 1902-1903, p. 652.
(12) Pio XII, I sommi postulati morali di un retto e sano ordinamento democratico. Radiomessaggio natalizio “Benignitas et humanitas” diretto ai popoli del mondo intero il 24 dicembre 1944, vigilia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, Cristianità, Piacenza 1991, p. 8.