GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 211 (1992)
Dal 6 ottobre 1992 l’opinione pubblica mondiale — interessi o meno, nessuno lo chiede a nessuno — viene tenuta puntualmente informata circa le difficoltà di Mikhail Serghevic Gorbaciov a ottenere il passaporto, cioè a lasciare la Russia, dal momento che rifiuta di testimoniare nel processo relativo alla legittimità dei decreti del presidente Boris Eltsin sulla messa fuorilegge del famigerato PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, di cui è stato segretario generale dal 1985 fino allo scioglimento; inoltre, si parla con sempre maggiore insistenza, a suo proposito, di operazioni finanziarie all’estero di dubbia natura, o che almeno appaiono tali a chi ha oggi responsabilità politiche e giudiziarie nella Federazione Russa.
Nel corso di uno degli episodi di questa querelle, l’esponente socialcomunista si è servito di espressioni grossolane, che gualciscono un poco — almeno in tesi — l’immagine signorile, da gentleman, che i mass media gli sono venuti costruendo in Occidente; ha cioè seguito le orme verbali del generale Cambronne — Pierre-Jacques-Étienne, barone di — (14), mentre in difesa del suo “diritto al passaporto” si sono levati con perfetta inconsistenza giuridica, ma con altrettanto perfetta complicità politica, esponenti di rilievo dell’establishment italiano, che sono giunti evocare in proposito “diritti fondamentali” (15) — e all’estero non sono mancati episodi analoghi (16) —, peraltro sempre senza dir nulla circa il “diritto al passaporto” per la comune dei cittadini dell’ex URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, finché Mikhail S. Gorbaciov ne è stato presidente.
Così, alzando il tono — non certo la qualità — di voce, Mikhail S. Gorbaciov fa il possibile per manipolare ulteriormente l’immagine già ampiamente artefatta che di lui è accreditata presso la pubblica opinione, sia pure colorandola in modo discutibile. Appunto con una pennellata di materiale improprio intende forse far dimenticare che, all’università, nel 1951 e nel 1952, ha fatto l’informatore ufficiale del KGB; che, quindi, dal 1979 al 1984, ha diretto i cosiddetti Organi Amministrativi, attraverso cui era supervisore del KGB e dell’apparato militare; che nel 1979 ha firmato con altri l’ordine d’invasione dell’Afghanistan, nel 1980 quello di repressione in Polonia, e dal 1982 al 1990 gli ordini di intervenire manu militari nel Caucaso e nei paesi baltici; che, inoltre, dal 1987 al 1991, ha ordinato, con disposizioni firmate di suo pugno, trasferimenti illegali di decine di miliardi di dollari in Occidente — fra essi l’ordine del 26 aprile 1990 —, destinati non ad aiutare i partiti comunisti — il che già non sarebbe poco —, ma a costituire un fondo per tessere nuove reti di spionaggio e di sovversione nello stesso Occidente, mentre ufficialmente recitava la parte dell’uomo della distensione e dell’intesa con i governi appunto occidentali (17).
Più il tempo passa, più evidentemente si rafforza in intere generazioni politiche — sia del mondo occidentale che dell’Europa Orientale — la presunzione di farla franca, cioè di sottrarsi al redde rationem se non storico, almeno di cronaca giudiziaria: se non disinteressate a quanto dirà di loro la storia, allo stato paiono interessate solamente al loro potere attuale, spesso semplicemente benessere.
A futura memoria, ma con lo scopo confesso di affrettare, nella misura del possibile, questo futuro, trascrivo una meditata risposta a un quesito di rilievo, che evoca atmosfere napoleoniche e quindi si adatta puntualmente a chi finalmente recita la parte del barone, di nobilitazione appunto napoleonica, di Cambronne.
Nell’agosto del 1990, lo storico Michel Heller chiudeva il suo ponderoso Le 7e Secrétaire. Splendeur et misère de Mikhaïl Gorbatchev, con questa affermazione: “Nel momento più alto della gloria napoleonica, Metternich affermava che il sistema di Napoleone riposava completamente su una base malsana e che, perciò, avrebbe finito per crollare. Tutto il problema sta nel sapere, aggiungeva lo statista austriaco, quando e come.
“Alla domanda: perché Gorbaciov ha intrapreso la perestrojka, vi è una sola risposta: per rimandare al massimo la caduta del sistema sovietico” (18).
Dunque, accanto alle colpe ricordate, l’unico “merito” che si può attribuire all’esponente socialcomunista è quello di aver operato per ritardare il più possibile la caduta del regime socialcomunista nel mondo e nell’URSS; e di questo “merito” intendono evidentemente partecipare — e, comunque, partecipano di fatto, bon gré mal gré — tutti i suoi esaltatori e tutti i difensori dei suoi pretesamente conculcati “diritti fondamentali”.
Giovanni Cantoni
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(14) Cfr. Paolo Valentino, A Mosca è l’ora di Cambronne, in Corriere della Sera, 16-10-92.
(15) Cfr. “Negati i diritti fondamentali”, ibid., 8-10-1992; e L’Italia grida al tradimento, ibid., 15-10-1992.
(16) Cfr. Riccardo Orizio, Un perseguitato politico? Strasburgo si divide, ibid., 8-10-1992.
(17) Cfr. Disinformation/Gorbatchev, in Breves / Hebdo. Supplément du CEI, anno 15, n. 38, 11-10-1992, n. 10.
(18) Michel Heller, Le 7e Secrétaire. Splendeur et misère de Mikhaïl Gorbatchev, Olivier Orban, Parigi 1990, p. 400.