Giovanni Cantoni, Cristianità n. 308 (2001)
I fatti accadono, i fatti hanno un significato, ma i fatti non insegnano nulla fino a quando il loro messaggio non è stato recepito, il loro significato non è stato colto, il loro “mistero” almeno parzialmente svelato. Nessuno può affermare — né, peraltro, vi è chi affermi — che quanto è accaduto a New York l’11 settembre 2001, il Martedì Nero, e l’inizio dell’operazione Libertà Duratura, il 7 ottobre seguente, sia di poco rilievo, ma mi preoccupa non che tali avvenimenti vengano dimenticati, ma che siano circondati, immersi, affogati quasi in un mare di chiacchiere. Ho imparato, in questi mesi, una sentenza puntuale di Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.): “Curae leves loquuntur, ingentes stupent”, “Si dicono gli affanni piccoli, rendono muti quelli grandi” (1); forse, meglio e più fruibile nel caso concreto: “Le piccole preoccupazioni fan parlare, le grandi lasciano a bocca aperta”; mi chiedo se il gran parlare dei fatti ricordati non sia forse segno che si sono scambiati per piccoli accadimenti enormi, sui quali non è necessario riflettere. Per parte mia, il mio modo di tacere, di “restare a bocca aperta”, consiste nel proporre qualche riflessione in proposito, come spunti di riflessione per altri.
1. “Meglio “amerikano” che “dhimmi””
Vi è stata una stagione della storia del mondo, nel secolo scorso, il famigerato secolo XX, in cui personaggi ambigui diffusero uno slogan, apparentemente pacifista, sostanzialmente arrendista: “Meglio rosso che morto”. A fronte del pericolo costituito da un conflitto nucleare, con “realismo”, il soggetto suggeriva di cedere pur di aver salva la vita, senza peraltro dare risposta adeguata al quesito relativo alla cosiddetta “qualità della vita”, una nozione che sembra venire in questione solo quando si sarebbe parlato di ecologia.
Il secolo XX si è chiuso con la fine della malattia, l’utopia socialcomunista, e, né poteva essere diversamente posto il carattere letale del morbo, con la contestuale morte del malato, il mondo occidentale e cristiano. Più ci allontaniamo da date fatali, più appare chiaro che l’implosione del sistema imperiale socialcomunista è stata implosione del mondo moderno tutto. Senza vincitori, se non presunti o sedicenti tali, teorizzatori della fine della storia. Del mondo moderno rimangono il “mondo”, il suo sostrato umano, e residui, attaccati dai materiali e dai germi di putrefazione del mondo defunto e da un nemico che approfitta della debolezza mortale di una società per mettere all’incasso — per così dire — cospicui capitali d’invidia e di risentimento storici, rispettivamente i “popoli di Seattle” (2) e il cosiddetto fondamentalismo islamico (3). A fronte di quest’ultima aggressione mi chiedo se non sia meglio esser malato che morto, non per uno smodato amore alla vita terrena, che per certo finisce, tale da indurre all’accanimento terapeutico, ma come tempo per convertirsi e per meritare. Ma qualcuno sostiene, di fatto, che la cultura islamica è solo un’altra “vita”, che rifiuta di morire dei morbi da cui l’Occidente cristiano è affetto; quindi, è possibile condizione di decorosa sopravvivenza, se non addirittura fonte di trasfusione di energia vitale. E propone, sempre di fatto, un nuovo slogan: “Meglio “dhimmi” che morto”, meglio “protetto” in un mondo islamizzato — o almeno islamizzante — che “libero” in un mondo in cui “siamo tutti americani”, anzi, appunto, “amerikani”. E “morto” non evoca una fine radicale, ma la condizione di decadenza in cui versa il mondo occidentale e cristiano. Le ragioni umane, “naturali”, per non prestare ascolto a queste sirene, per contrastare la loro proposta sono molte; ma una primeggia, di gran lunga, su tutte: il “protetto” non può fare missione, quindi è, istituzionalmente, un “cristiano dimezzato”. Per parte mia, ringrazio il Signore di poter ancora scegliere: “Meglio “amerikano” che “dhimmi””.
2. Lepanto, 7 ottobre 1571, Libertà Duratura, 7 ottobre 2001: una coincidenza?
Il 7 ottobre 2001, quando ha preso inizio l’operazione Libertà Duratura, qualcuno ha notato che la reazione dell’Occidente cristiano iniziava nella ricorrenza della battaglia di Lepanto. Prevedibilmente non sono mancate osservazioni intese a schernire non solo chi aveva notato la coincidenza, ma la coincidenza stessa.
Ebbene, 12 maggio 1982, sulla strada di Fatima, Papa Giovanni Paolo II riproponeva la sua interpretazione delle apparizioni e del messaggio per relazione alla sua stessa vita, e diceva: “[…] da quando avvenne il noto attentato nella Piazza di san Pietro, un anno fa, al riprendere conoscenza, il mio pensiero si rivolse immediatamente a questo Santuario, per deporre nel cuore della Madre celeste il mio ringraziamento per avermi salvato dal pericolo. Ho visto in tutto ciò che stava succedendo — non mi stanco di ripeterlo — una speciale protezione materna della Madonna. E nella coincidenza — non ci sono semplici coincidenze nei disegni della divina Provvidenza — ho visto anche un appello e, chissà, un richiamo all’attenzione verso il messaggio che da qui partì, 65 anni orsono, tramite tre fanciulli, figli di umile gente di campagna, i pastorelli di Fatima, come sono universalmente conosciuti” (4).
Dunque, se “[…] non ci sono semplici coincidenze nei disegni della divina Provvidenza”, farà forse eccezione quella fra la battaglia di Lepanto e l’esordio dell’operazione Libertà Duratura?
3. Guerra, guerra di religione e crociata
Mentre si combatte in Afghanistan, non contro gli afghani, ma contro un regime che ospita, anzi “cova” chi aggredisce l’Occidente cristiano, nell’Occidente ci si chiede se si tratti di guerra, e non manca chi fa sforzi perché le operazioni militari in corso non vengano qualificate come una “guerra di religione”, quindi non si possa parlare di una “crociata”. Per riflettere in qualche modo il problema cito un passo del radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, pubblicato da Papa Pio XII nel 1956, l’anno della rivolta d’Ungheria; dopo aver dichiarato la propria decisione di non “chiamare la Cristianità ad una crociata” (5), il Pontefice afferma: “Possiamo però richiedere piena comprensione del fatto che, dove la religione è un vivo retaggio degli antenati, gli uomini concepiscano la lotta, che viene loro dal nemico ingiustamente imposta, anche come una crociata” (6).
Inoltre, fra quanti poi diffidano della qualificazione di guerra di religione e di crociata, non sembra si abbia presente l’ipotesi che con “guerra di religione” si possa intendere non solo l’uso delle armi per imporre una pratica religiosa, ma per difenderne l’esistenza e la vivibilità; né viene mai in questione la sofferenza che tale guerra difensiva comporta. Con riferimento alla battaglia di Vienna, Papa Giovanni Paolo II dichiara: “Ci sono casi in cui la lotta armata è una realtà inevitabile a cui in circostanze tragiche non possono sottrarsi neanche i cristiani” (7); e la contentezza per l’eventuale buon esito non toglie la sofferenza che si accompagna al suo perseguimento.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Lucio Anneo Seneca, Fedra, atto terzo, v. 607, trad. it. con testo a fronte, a cura di Fernando Solinas, con prefazione di Carlo Carena, vol. I, tomo secondo, Mondadori, Milano 1995, pp. 583-745 (p. 674); trad. it., Idem, Tutte le opere. Dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, a cura di Giovanni Reale, con la collaborazione di Aldo Marastoni, Monica Natali e Ilaria Ranelli, Bompiani, Milano 2000, pp. 1173-1206 (p. 1189).
(2) Cfr. I popoli di Seattle, in liMes. Rivista Italiana di Geopolitica, n. 3, Roma giugno 2001, pp 1-207.
(3) Cfr. Jean-François Mayer, I fondamentalismi, trad. it., Elledici, Leumann (Torino) 2001, soprattutto pp. 24-32; e Massimo Introvigne, Osama bin Laden. Apocalisse sull’Occidente, Elledici, Leumann (Torino) 2001.
(4) Giovanni Paolo II, Discorso all’arrivo a Fatima, del 12-5-1982, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. V, 2, pp. 1536-1548 (p. 1544).
(6) Pio XII, Radiomessaggio natalizio ai fedeli e ai popoli del mondo intero, del 23-12-1956, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XVIII, pp. 719-742 (p. 736), parzialmente trascritto in Cristianità, anno XIV, n. 138, ottobre 1986, pp. 10-11.
(6) Ibidem.
(7) Giovanni Paolo II, Discorso durante la celebrazione dei Vespri d’Europa nella Heldenplatz a Vienna, del 10-9-1983, n. 4, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VI, 2, pp. 436-444 (p. 440), parzialmente trascritto in questo stesso numero di Cristianità.