Giovanni Cantoni, Cristianità n. 308 (2001)
Gilles Kepel — nato a Parigi nel 1955, direttore di ricerca del CN-RS, il Centre National de la Recherche Scientifique, e responsabile del programma di dottorato sul mondo musulmano all’Institut d’Ètudes Politiques de Paris — è già noto in Italia per il dossier L’Islam ieri e oggi (1) e per i saggi La rivincita di Dio (2) e A ovest di Allah (3). Nel primo studia il risveglio religioso nell’ambito di ebraismo, di cristianesimo e d’islam, a partire dalla metà degli anni 1970, quando si passa dal tentativo di adeguamento ai valori secolari all’ipotesi di una “riconquista” religiosa della società; nel secondo analizza il modo di porsi e di organizzarsi delle comunità musulmane in tre diverse situazioni contemporanee: negli Stati Uniti d’America, nel Regno Unito e in Francia.
In Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico (4), a conclusione di una ricerca durata più di cinque anni — della quale viene indicata come precorritrice quella del politologo pure francese Olivier Roy in L’échec de l’Islam politique (5), mai tradotta in italiano —, Kepel affronta una materia enorme, il cosiddetto integralismo islamico e le sue articolazioni nel tempo e nello spazio, in Malaysia, in Pakistan, in Algeria, in Egitto, in Turchia, in Iran e in Bosnia, per citare solo qualche esempio (pp. 11-19).
Così, dopo la gestazione alla fine degli anni 1960, illustrata come un’autentica rivoluzione culturale con la descrizione del movimento egiziano dei Fratelli Musulmani, matrice dell’islamismo moderno, e dell’ideologo egiziano Sayyd Qotb (1906-1966), è la volta degli altri due componenti di un’ideale triade: il politico islamista indiano Mawdudi (1903-1979) e il rivoluzionario religioso iraniano Khomeini (1902-1989), cui si affianca il pensatore pure iraniano Ali Shari’ati (1933-1977) (pp. 21-64), per certo esponente minore del movimento, ma forse il testimone più significativo dell’intuizione di Roy, secondo cui il fondamentalismo islamico è una sorta di “teologia della liberazione” appunto islamica (6). E tale intuizione apre — ma un’affermazione in questo senso non è assolutamente esplicita in Roy se non addirittura estranea alla sua prospettiva — all’ipotesi che l’islam tutto sia una “teologia della liberazione” dal peccato sociale piuttosto che da quello personale, dal momento che nell’orizzonte dottrinale musulmano è assente la nozione di peccato originale: dunque, l’islam costituirebbe una “liberazione” dalla jahiliyya, dalla “barbarie pre-islamica” assunta a categoria storica, attraverso il jihad, la “lotta” fra i mostakbirine, gli “arroganti”, gli oppressori, e i mostadafine, gl’”indeboliti”, i “diseredati”, gli oppressi.
Kepel passa quindi a descrivere l’assestamento del movimento fondamentalista sulle rovine del nazionalismo arabo a cavallo fra gli anni 1960 e 1970 (pp. 65-128); la sua espansione in Iran, in Palestina, in Algeria e in Sudan (pp. 129-220), quindi la frattura prodotta al suo interno dalla Guerra del Golfo (pp. 241-340).
Di particolare interesse — anche se la più esposta a contestazione, ma non potrebbe essere diversamente — la parte dedicata all’Europa come “terra d’islam” (pp. 221-239) e la conclusione sulla guerra, giudicata fallita, del fondamentalismo islamico contro l’Occidente (pp. 341-358 e 369-409). Comunque, dopo il Martedì Nero, lo studio acquista certamente in attualità ma viene letteralmente “sconvolto” nella tesi di fondo, in qualche tesi di dettaglio — come, per esempio, quella relativa a Osama bin Laden (pp. 359-368), a giudizio di Massimo Introvigne inquinata da un anti-americanismo di fondo (7) — e nella conclusione (pp. 411-426).
Quanto all’edizione italiana meritano di essere positivamente segnalate sia la coraggiosa iniziativa dell’editore che la straordinaria tempestività — l’opera è stata pubblicata in Francia, per i tipi di Gallimard, a Parigi, nel 2000 (8) — nonché l’accuratezza della traduzione, mentre sono purtroppo venute meno quasi tutte le appendici. Infatti, a esclusione delle carte, mancano un testo programmatico di Qotb (9), un glossario (10), l’indice dei nomi di persona (11) e quello dei nomi di luogo (12); e non posso non notare come soprattutto questi ultimi due siano sempre utili, ma divengano pressoché indispensabili quando si tratta — come nel caso — di un’opera di mole, la cui fruizione inoltre — almeno per un certo numero di lettori — non si esaurisce certamente con la lettura, ma che si raccomanda anche come testo di consultazione. Non resta che augurare e sperare in una seconda edizione.
Note:
* Recensione pressoché integralmente anticipata, senza note, in Il Corriere del Sud. Periodico indipendente culturale politico economico di formazione ed informazione, anno X, n. 17, Crotone 16/31-10-2001, p. 43.
(1) Cfr. Gilles Kepel, L’Islam ieri e oggi, trad. it., Giunti, Firenze 1989.
(2) Cfr. Idem, La rivincita di Dio, trad. it., Rizzoli, Milano 1991.
(3) Cfr. Idem, A ovest di Allah, trad. it., Sellerio, Palermo 1996.
(4) Cfr. Idem, Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, trad. it., Carocci, Roma 2001, pp. 440, L. 43.000; i rimandi alla paginazione dell’opera vengono dati fra parentesi nel testo della recensione.
(5) Cfr. Olivier Roy, L’échec de l’Islam politique, Éditions du Seuil, Parigi 1992.
(6) Cfr. Idem, Généalogie de l’islamisme, Hachette, Parigi 1995, p. 28.
(7) Cfr. Massimo Introvigne, Osama bin Laden. Apocalisse sull’Occidente, Elledici, Leumann (Torino) 2001, p. 54.
(8) Cfr. G. Kepel, Jihad. Expansion et déclin de l’islamisme, Gallimard, Parigi 2000, pp. 462.
(9) Cfr. ibid., p. 427.
(10) Cfr. ibid., pp. 429-431.
(11) Cfr. ibid., pp. 439-446.
(12) Cfr. ibid., pp. 447-452.