Giovanni Cantoni, Cristianità n. 318 (2003)
1. Il mondo dopo il 1989
Quarantaquattro anni fa, cioè nel 1959, Fernand Braudel (1902-1985) lanciava un monito, in qualche modo, perentorio, “per sempre”: “[…] per chi ha la pretesa di giungere a comprendere il mondo attuale e a maggior ragione per chi pretende di inserirvi la propria azione, è utile impresa — scriveva lo storico francese in un saggio poi raccolto con altri in Scritti sulla storia e significativamente intitolato La storia delle civiltà: il passato spiega il presente — saper discernere sulla carta del mondo le civiltà oggi esistenti, fissarne i limiti, determinarne i centri e le periferie, le province e l’aria che vi si respira, le “forme” particolari e generali che vi vivono e vi si associano. Altrimenti che disastri o grossolani errori in prospettiva!” (1).
Da allora tale monito si è venuto caricando di sempre maggiore attualità, in un certo senso raggiungendo il suo climax — o almeno un suo picco — dopo il 1989, data dalla quale il mondo vive un’oggettiva stagione d’indispensabile ristrutturazione da ogni punto di vista, che presuppone un’altrettanto indispensabile “ricostruzione” concettuale, dopo l’ubriacatura dell’età delle ideologie; e la necessità di tale ricostruzione è stata vistosamente e clamorosamente ribadita l’11 settembre 2001 (2).
Quindi — come ingiunge un proverbio che trovo nell’opera dello storico, letterato e pensatore svizzero Gonzague de Reynold (1880-1970) — “à nouveaux faits nouveaux conseils”, “a fronte di nuovi fatti, quindi di nuove situazioni, s’impongono nuove decisioni” (3).
2. La situazione dell’Europa
Il mondo contemporaneo costringe a pensare in grande, non solo — come sempre — perché al grande induce il fatto stesso di pensare, ma perché il mondo nel quale oggi si vive è appunto “mondiale”, cioè tecnologicamente ridotto, in certo qual modo tendenzialmente deterritorializzato.
In questa situazione s’impone più che mai l’ottemperanza al monito di Braudel. E, per provvedere alla necessità, porta uno straordinario contributo l’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II il 28 giugno 2003 (4). Il documento, che fa stato dei lavori di due sinodi dei vescovi europei — il primo del 1991 e il secondo del 1999 —, costituisce il quinto di una serie in cui sono elaborate le “proposte”, le propositiones, avanzate al Santo Padre da parte di altrettante assemblee episcopali di carattere continentale celebrate a Roma in previsione del Grande Giubileo dell’Anno 2000.
Come si può notare, si tratta di una qualificata riflessione sulla situazione della Chiesa in Europa, quindi — considerata l’importanza oggettiva della Chiesa in specie e della religione in genere nella vita degli uomini, singoli e associati — dell’umanità in Europa. Ancora: si tratta di una riflessione immediatamente collegata con una delle quaestio d’attualità, quella del richiamo al cristianesimo nella Costituzione europea in corso di elaborazione nella prospettiva dell’approvazione entro il 2003.
3. L’Europa è un continente?
La prima notazione che s’impone è fisica, geografica. Infatti, nell’orizzonte del Magistero della Chiesa cattolica, il mondo costituito dalle terre emerse è suddiviso in cinque continenti — da continere, “congiungere”, quindi “terre continue, non interrotte dal mare” — cioè in cinque complessi di terre emerse. Tale suddivisione fa proprio il dato elementare, comunemente accettato, quindi corrente, con ogni evidenza senza porsi il problema — tecnico e convenzionale insieme — di un sesto continente, l’Antartide, né quello della puntualità dell’attribuzione all’Europa dello statuto di continente, cui non manca chi preferisce quello, più soddisfacente rispetto al parametro enunciato — l’essere un insieme di terre emerse definite dall’oceano —, di penisola del continente asiatico (5).
4. L’Europa è un’unità etnica?
Ma, se la geografia non risponde in modo soddisfacente alla domanda “Perché, se l’Europa non è un continente geografico, attribuirle tale statuto?”, neppure soddisfa una prospettiva etnica — un tempo, forse, si sarebbe detta “razziale”, ma il termine è oggi male sonante —, contrastata com’è da innumerevoli fatti — non solo in corso, ma anche passati —, ai quali è comunque difficile attribuire princìpi caratterizzati da qualche stabilità, princìpi un tempo — ancora — ricercati attraverso elementi di linguistica storica (6). Dunque, neppure etnicamente pare reggere la tesi dell’Europa resa continente almeno da un’attuale coerenza appunto etnica.
5. L’Europa è un focolaio di cultura
A fronte della situazione brevemente illustrata, la Chiesa cattolica, attraverso il suo Magistero, suggerisce una tesi, che trova un consistente riscontro anche in ipotesi.
Infatti nel documento richiamato, appunto Ecclesia in Europa, Papa Giovanni Paolo II, facendo propria una propositio del sinodo episcopale del 1999, scrive dell’Europa : “Più che come luogo geografico, essa è qualificabile come “un concetto prevalentemente culturale e storico, che caratterizza una realtà nata come Continente grazie anche alla forza unificante del cristianesimo, il quale ha saputo integrare tra loro popoli e culture diverse ed è intimamente legato all’intera cultura europea”“ (7).
Dunque, il Pontefice suggerisce un serio motivo di qualificazione come continente di un’area geografica, connotata da svariate presenze etniche. Sì che la stessa qualificazione geografica trova il suo possibile fondamento non nella geografia e neppure nella razza, ma in una cultura.
6. Cultura e cultura cristiana
A questo punto s’impone una definizione di cultura, per la quale — per coerenza — mi rivolgo alla stessa fonte: “Del resto la cultura non riguarda solo gli uomini di scienza, così come non deve rinchiudersi nei musei. Essa è, direi quasi — l’affermazione, del 1985, è sempre del regnante Pontefice —, la dimora abituale dell’uomo, ciò che caratterizza tutto il suo comportamento e il suo modo di vivere, persino di abitare e di vestirsi, ciò ch’egli trova bello, il suo modo di concepire la vita e la morte, l’amore, la famiglia e l’impegno, la natura, la sua stessa esistenza, la vita associata degli uomini, nonché Dio. Questa sera considererò tuttavia la cultura a livello del suo dinamismo profondo, delle sue problematiche primordiali, della coscienza che ne hanno gli uomini e della ricerca che è la gloria dello spirito umano” (8).
Se quella proposta è una possibile definizione di cultura — chiaramente ispirata alla prospettiva dell’antropologia culturale —, si fa necessario passare dal genere alla specie e chiedersi quale cultura faccia dell’Europa l’Europa, di una penisola un continente, in quanto terra d’origine di una cultura chiaramente distinta dalle altre presenti sull’orbe terracqueo, anche se il suo supporto geografico non è perfettamente distinguibile e quello etnico almeno confuso.
Ebbene, il continente europeo è il luogo in cui — tacendo della cosiddetta “civiltà materiale” (9) — si è proceduto “[…] all’edificazione di strutture che, ispirandosi ai grandi valori evangelici o confrontandosi con essi, promuovano la vita, la storia e la cultura dei diversi popoli del Continente.
“Sono molteplici le radici ideali che hanno contribuito con la loro linfa al riconoscimento del valore della persona e della sua inalienabile dignità, del carattere sacro della vita umana e del ruolo centrale della famiglia, dell’importanza dell’istruzione e della libertà di pensiero, di parola, di religione, come pure alla tutela legale degli individui e dei gruppi, alla promozione della solidarietà e del bene comune, al riconoscimento della dignità del lavoro. Tali radici hanno favorito la sottomissione del potere politico alla legge e al rispetto dei diritti della persona e dei popoli. Occorre qui ricordare lo spirito della Grecia antica e della romanità, gli apporti dei popoli celtici, germanici, slavi, ugro-finnici, della cultura ebraica e del mondo islamico. Tuttavia si deve riconoscere che queste ispirazioni hanno storicamente trovato nella tradizione giudeo-cristiana una forza capace di armonizzarle, di consolidarle e di promuoverle. Si tratta di un fatto che non può essere ignorato; al contrario, nel processo della costruzione della “casa comune europea”, occorre riconoscere che questo edificio si deve poggiare anche su valori che trovano nella tradizione cristiana la loro piena epifania. Il prenderne atto torna a vantaggio di tutti” (10).
7. La cultura europea nel mondo: la Grande Europa
A conferma della tesi enunciata, cioè dell’attenzione all’Europa, da parte del Magistero della Chiesa cattolica, come a fatto culturale piuttosto che geografico e/o etnico, contribuisce un’altra propositio recepita sempre nell’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa: “Dire “Europa” — vi si legge — deve voler dire “apertura”. Nonostante esperienze e segni contrari che pure non sono mancati, è la sua stessa storia ad esigerlo: “L’Europa non è in realtà un territorio chiuso o isolato; si è costruita andando incontro, al di là dei mari, ad altri popoli, ad altre culture, ad altre civiltà”“ (11).
Dunque, “dire “Europa”“ non significa solo dire anzitutto cultura piuttosto che geografia e/o etnia, benché la base geografica e quella etnica non manchino e non possano evidentemente mancare. “Dire “Europa”“ significa fare riferimento soprattutto a una “costruzione” culturale, a una “casa comune” a più stanze, che trascende le basi geografica ed etnica convenzionali e — comunque — d’origine.
Credo lecito interpretare l’espressione secondo cui “l’Europa non è in realtà un territorio chiuso e isolato” come allusione alla Grande Europa, alla Magna Europa, cioè all’esito della cultura europea nel mondo, di cui è chiaro esempio quanto vive nei continenti America e Oceania (12), ma di cui non mancano saggi in Africa e nella stessa Asia, dove le Isole Filippine costituiscono l’estremo Occidente (13).
8. Verso una “translatio culturae christianae”?
Nell’anno 2003, Papa Giovanni Paolo II ha richiamato i fedeli cattolici a riflettere sull’importanza dell’Eucaristia, che edifica la Chiesa, attraverso la lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia (14). In analogia, mi pare di poter dire che, nello stesso anno del Signore, il Pontefice ha proposto ai cattolici, europei e non dal punto di vista geografico e/o etnico, una non troppo implicita “Europa de cultura christiana” nell’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa.
L’”Europa in Europa” ne ascolterà il messaggio? Il nome di Dio Uno e Trino verrà richiamato pubblicamente, almeno come traccia storica, nella Costituzione dell’Unione Europea? Se non dovesse accadere, sarebbe un segno ulteriore — di alto profilo simbolico — di quella translatio culturae nella Magna Europa, nell’”Europa fuori dall’Europa”, di cui la già avvenuta translatio imperii è, per certo, espressione d’avanguardia tutt’altro che secondaria.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Fernand Braudel, L’apport de l’histoire des civilisations, in Encyclopédie Française, vol. xx, Larousse, Parigi 1959, pp. 20.10-11/20.12-14 (p. 20.12-11), trad. it., La storia delle civiltà: il passato spiega il presente, del 1959, in Idem, Scritti sulla storia, con introduzione di Alberto Tenenti (1924-2002), Bompiani, Milano 2003, pp. 219-268 (pp. 259-260).
(2) Cfr. il mio Dopo il Martedì Nero, un passo verso il “reincanto” del mondo, in Cristianità, anno XXX, n. 309, gennaio-febbraio 2002, pp. 3-4.
(3) Gonzague de Reynold, Societé internationale et formations imperiales, dattiloscritto, pp. 1-14 (pp. 12-13), in Articles, conférences, études 1946-1947, Bibliothèque nationale suisse, Fonds Gonzague de Reynold, Ace (Articles, conférences, études), 96, 4.
(4) Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale “Ecclesia in Europa” su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, del 28-6-2003.
(5) Cfr. G. de Reynold, Formation de l’Europe, vol. I, Qu’est-ce que l’Europe?, Luf. Librairie de l’Université, Friborgo 1944, pp. 50-51.
(6) Cfr. Walter Pohl, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, trad. it., con presentazione di Aldo Angelo Settia, Viella, Roma 2000.
(7) Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Post-Sinodale “Ecclesia in Europa” su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, cit., n. 108; la cit. è da Sinodo dei Vescovi. Seconda Assemblea Speciale per l’Europa, Propositio 39.
(8) Idem, Discorso alla comunità universitaria di Lovanio, del 20-05-1985, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 1, pp. 1589-1597 (p. 1589).
(9) Cfr. F. Braudel, Capitalismo e civiltà materiale (secoli XV-XVIII), trad. it., Einaudi, Torino 1977, p. XVIII.
(10) Idem, Esortazione Apostolica Post-Sinodale “Ecclesia in Europa” su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, cit., n. 19.
(11) Ibid.; la cit. è da Idem, Messaggio al Cardinale Miloslav Vlk, Arcivescovo di Praga, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, del 16-10-2000, n. 7, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXIII, 2, pp. 624-628 (p. 628).
(12) Cfr. Henri Brugmans (1906-1997), Magna Europa, in Les Cahiers de Bruges. Recherches européennes, anno 5°, I, Bruges marzo 1955, pp. 108-115, soprattutto p. 115.
(13) Cfr. Pierre Chaunu, Les Philippines et le Pacifique des Ibériques (XVIe, XVIIe, XVIIIe siècles). Introduction Méthodologique et Indices d’activité, S.E.V.P. E. N., Parigi 1960, pp.19 e 22.
(14) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica “Ecclesia de Eucharistia” sull’Eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa, del 17-4-2003, soprattutto n. 21.