Giovanni Cantoni, Cristianità n. 328 (2005)
Se dico “storia” e “ideologia” richiamo immediatamente un’ipotesi, quella della “lettura ideologica della storia”, cioè dell’interpretazione della storia, della “biografia” di un gruppo umano se non dell’umanità tutta, nella prospettiva e sulla base di un’”idea fissa” che, prescindendo dal suo valore — certamente esistente dal momento che nessuna realtà ne è radicalmente priva — “risale” in modo abusivo e prevaricatorio rispetto alla sua posizione nella scala, nella gerarchia dei valori.
L’esempio a tutti tragicamente noto — dico “tragicamente” per le sue ricadute che hanno segnato il secolo XX — è quello costituito dalla lettura della storia secondo la prospettiva marxista, caratterizzata da una valorizzazione debordante dell’economia e dalla sua intronizzazione a causa prima di ogni scelta umana, individuale e comunitaria.
Purtroppo l’ipotesi evocata costituisce però richiamo non solo immediato, ma quasi esclusivo. E trascura un’altra possibile relazione fra la storia e l’ideologia, quella per cui la storia stessa viene non solo interpretata erroneamente, in quanto letta in modo parziale, ma mutilata, interi aspetti di essa vengono occultati e, in versioni abbreviate, perfino cancellati. Sia detto di passaggio: talora questa cancellazione produce un esito grottesco costituito da vincitori di vinti scomparsi, da medaglieri di campagne e di battaglie condotte contro un “nemico ignoto” e ignorato.
Gli esempi si sprecano. Nella storia degl’italiani, per esempio, abbiamo assistito alla “scomparsa” di quanti si opposero ai rivoluzionari scesi dalla Francia dopo il 1789, e quasi solo la vanteria per le vittorie di questi ultimi — per i loro massacri e per i loro saccheggi — è rimasta, per circa due secoli, a testimonianza di tale opposizione, cioè dell’Insorgenza (2).
Ma l’esempio tratto dalla storia degl’italiani non è unico. Anzi. Ho fra mani due opere che — considerati il genere letterario e gli argomenti — si possono qualificare come “recenti”: Império e Missão. Um novo monarquismo brasileiro (3) e À la droite de Dieu. La Fédération nationale catholique. 1924-1944 (4). La prima è di Teresa Malatian, docente all’UNESP, l’Universidade Estadual Paulista Júlio de Mesquita Filho, nel campus di Franca, e la seconda di Corinne Bonafoux-Verrax, docente all’università della Savoia.
Nella prima opera l’autrice segue la storia del movimento monarchico brasiliano Patria Nova dalla nascita al suo esaurimento (1928-1972), con particolare, inevitabile richiamo anche all’attività di chi — con altri — l’ha fondato, Arlindo Veiga dos Santos (1902-1978), uomo d’azione, giornalista, congregato mariano, pure fondatore e dirigente della Frente Negra Brasileira (1931-1937), un’associazione per la difesa dei diritti politici e sociali dei neri che giunge ad avere migliaia di aderenti. E denuncia il fatto che il fenomeno monarchico sia stato spesso menzionato con sdegnosa condiscendenza, a margine del discorso storico, come costituito da “maniaci nostalgici” (5). Quindi, a sostegno dell’opportunità di prestare attenzione a tale fenomeno, rimanda all’opera Os subversivos da República, di Maria de Lourdes Mônaco Janotti (6), docente all’USP, l’Universidade de São Paulo, secondo cui, nei primi anni della Repubblica, proclamata nel 1899, esso fu temuto come una reale minaccia per l’ordine repubblicano e i suoi aderenti furono allontanati dalle cariche pubbliche, esiliati, arrestati e perfino assassinati. Poi — osserva la Malatian — la storiografia è venuta accreditando “l’immagine dei restauratori come donchisciotteschi, visionari, passatisti inoffensivi” (7), stendendo su di loro il velo del consenso nazionale e dell’indifferenza al mutamento di regime. Al contrario, “benché avessero proposto una soluzione tradizionalista per la ricostruzione nazionale, i patrianovisti si rivelarono uomini del loro tempo. Il loro discorso rispose a problematiche contemporanee fra il 1928 e il 1964, sì che non si può identificare il loro esser monarchici come puramente nostalgico o visionario. Nelle loro proposte ebbe un peso decisivo una visione religiosa del mondo, dalla quale derivavano gli altri punti del loro programma. In questo senso si spiega la loro proposta di costruire una società armonica senza conflitti, nella quale la “questione sociale” sarebbe stata risolta secondo la logica organicistica cattolica” (8). Dunque — nota Tânia Regina de Luca, pure docente all’UNESP, campus di Assis, nella Prefazione all’opera della Malatian — “i patrianovisti […] costruirono una visione comune del mondo, proposero una lettura condivisa del passato, immaginarono un futuro” (9), mostrando, fra l’altro, “il sempre così ben articolato e operativo campo delle culture politiche di destra in Brasile” (10).
Nella seconda opera l’autrice, introducendo l’esposizione della storia della Fédération Nationale Catholique, fondata nel 1924 dal generale Éduard de Curières de Castelnau (1851-1944) e attiva fino al 1944, nota che “[…] la scelta politica dei cattolici fra le due guerre è spesso riassunta nell’alternativa fra Action française e democrazia cristiana. Orbene, queste due escrescenze, delle quali non si tratta di negare le influenze, rappresentano soltanto una minoranza di cattolici” (11). Quindi dichiara il proprio proposito: interessarsi de “la massa dei cattolici raccolti sotto la bandiera della Fédération Nationale Catholique (FNC).
“La FNC ha avuto un ruolo molto importante e relativamente misconosciuto. Infatti ha realizzato quanto era stato già tentato molte volte: riunire i cattolici, al di là delle loro preferenze politiche, per farne un gruppo di pressione efficace nella società francese. Per certo, la sua azione non è riuscita completamente e ha lasciato rapidamente sulla sua destra cattolici fedeli all’Action française e sulla sua sinistra i democratici cristiani. Ma non è meno vero che ha raccolto, almeno nei primi anni,quasi due milioni di uomini cattolici.
“L’importanza numerica della FNC e il ruolo reale giocato nel cattolicesimo francese non hanno attirato molto l’attenzione degli storici “ (12): infatti, a causa della sua “[…] natura ibrida […] — Lega di difesa delle libertà religiose, prima forma d’Azione cattolica, ma nche gruppo di pressione inteso a dare al voto cattolico un’evidenza nella società francese —” (13), gli storici della politica la classificano fra i fenomeni religiosi e gli storici della Chiesa di Francia fra quelli politici, mentre, “per rispettare la natura del movimento e comprenderne il senso, va studiato nello stesso tempo sotto l’angolazione della storia religiosa e sotto quella della storia politica” (14).
Dunque, posto che — come affermato da uno dei “padri della patria repubblicana” brasiliana, Ruy Barbosa (1849-1923), giornalista, giurista e uomo politico — “prima della repubblica esisteva il Brasile; e il Brasile è nato cristiano, è cresciuto cristiano, e cristiano continua a essere fino a oggi” (15), molti cristiani brasiliani — pure fra i neri — hanno continuato a essere monarchici, e attivamente monarchici, anche dopo la proclamazione della repubblica; e in Francia moltissimi francesi “cattolici e basta”, quindi “alla destra del Padre”, hanno operato anche durante lo scontro fra i seguaci dell’Action Française e gli adepti della democrazia cristiana; quasi sempre, tuttavia, soltanto gli aderenti a prospettive ideologiche entrano nella storia.
Per concludere, mi chiedo anzitutto come possa essere magistra vitae una storia non dico male interpretata, ma narrata in modo gravemente mutilo, come un testo teatrale dalla cui rappresentazione siano stati espunti alcuni personaggi, e — talora — corposi personaggi, autentici protagonisti. Quindi rileggo i nomi delle storiche che ho citato: Teresa, Corinne, Maria de Lourdes e Tânia Regina, e rilevo che sono tutte donne. Così — mentre vado con la mente a Frances Amelia Yates (1899-1981), a Gina Fasoli (1905-1992) e a Régine Pernoud (1909-1998) — ricordo un pensiero di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) in Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, secondo cui, “a ben vedere, la memoria appartiene al mistero della donna più che a quello dell’uomo” (16).
Note:
(1) Testo integrato e annotato dell’articolo comparso con il titolo I dimenticati della Storia, in L’Indipendente, anno XI, n. 75, Roma 17-3-2005, p. 4.
(2) Cfr. un quadro europeo del fenomeno — benché limitato cronologicamente —, in Jacques Godechot (1907-1994), La controrivoluzione. Dottrina e azione. (1789-1804), 1961, trad. it., Mursia, Milano 1988; per l’Italia — con analogo pregio e analoghe limitazioni cronologiche, nonché ideologiche —, cfr. Giacomo Lumbroso (1897-1944), I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo XVIII (1796-1800), 1932, nuova ed. riveduta e annotata, con un saggio bio-bibliografico introduttivo di Oscar Sanguinetti, Maurizio Minchella Editore, Milano 1997; cfr. pure — con un’ampia visione d’insieme e una lettura non convenzionale — Chiara Continisio (a cura di), Le insorgenze popolari nell’Italia napoleonica. Crisi dell’antico regime e alternative di costruzione del nuovo ordine sociale. Atti del Convegno di studio Milano, 25-26 novembre 1999, Ares, Milano 2001; quindi, Francesco Pappalardo e O. Sanguinetti, Insorgenti e sanfedisti dalla parte del popolo. Storia e ragioni delle insorgenze anti-napoleoniche in Italia, Tekna, Potenza 2000.
(3) Cfr. Teresa Malatian, Império e Missão. Um novo monarquismo brasileiro, Companhia Editora Nacional, San Paolo 2001.
(4) Cfr. Corinne Bonafoux-Verrax, À la droite de Dieu. La Fédération nationale catholique. 1924-1944, Fayard, Parigi 2004.
(5) T. Malatian, op. cit., p. 9.
(6) Cfr. Maria de Lourdes Mônaco Janotti, Os subversivos da República, Editora Brasiliense, San Paolo 1986.
(7) T. Malatian, op. cit., p. 9.
(8) Ibid., p. 141.
(9) Tânia Regina de Luca, Prefácio a T. Malatian, op. cit., pp. 7-8 (p. 8).
(10) Ibidem.
(11) C. Bonafoux-Verrax, op. cit., p. 7.
(12) Ibidem.
(13) Ibid., p. 8.
(14) Ibidem.
(15) Ruy Barbosa, Collegio Anchieta. Discurso pronunciado na collação de grau aos bachareis de 1903, in Idem, Elogios academicos e Orações de paranympho, Edição da “Revista de Lingua Portuguesa”, Rio de Janeiro 1924, pp. 269-336 (p. 314).
(16) Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, Milano 2005, pp. 176-177.