Giovanni Cantoni, Cristianità n. 368 (2013)
I. Un ricco eremita in casa propria: il “certosino dell’altopiano”
Pubblicato con il titolo redazionale Gomez Davila il conservatore, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, Roma 7-5-1999, e qui riproposto con note e aggiornamenti. L’intero paragrafo biografico, costruito a suo tempo sulla base di fonti giornalistiche, quindi intrise non solo d’imprecisioni e di approssimazioni ma anche di colore, è stato integralmente rielaborato grazie alle informazioni di prima mano fornitemi dalla figlia dello stesso, Rosa Emilia Gómez de Restrepo, e dal suo ultimo confessore, monsignor Luis Carlos Ferreira Sampedro, tuttora decano emerito del capitolo della cattedrale di Bogotá, e a quelle criticamente vagliate dal professor Franco Volpi (1952-2009), dell’università di Padova, il maggior studioso accademico di Gómez Dávila.
1. “Vivere con lucidità una vita semplice, silenziosa, discreta, tra libri intelligenti, amando poche persone”
Nicolás Gómez Dávila nasce il 18 maggio 1913 a Santa Fe de Bogotá, capitale dello Stato iberoamericano denominato República de Colombia, in una famiglia dell’alta società: il padre era infatti banchiere e commerciante di tappeti e di tessuti. A sei anni si trasferisce con la famiglia in Francia, dove frequenta una scuola tenuta da monaci benedettini. Colpito da una grave forma di polmonite, è costretto a letto per circa due anni, quindi obbligato a proseguire gli studi privatamente. Non si laurea e della sua formazione si possono considerare regolari solo gli studi medi superiori compiuti durante la lunga permanenza francese, che si protrae fino ai ventidue anni.
A ventitré anni ritorna a Bogotá e sposa Emilia Nieto Ramos (1909-1995), dalla quale avrà tre figli: Rosa Emilia, Nicolás e Juan Manuel (1946-2006).
Nel 1948 una caduta da cavallo nella tenuta Canoas-Gómez — situata in provincia di Soacha, nel dipartimento di Cundinamarca, di cui è capoluogo Santa Fe de Bogotá — lo lascia leggermente claudicante.
Con queste premesse Gómez Dávila vive quasi sessant’anni come in clausura, da “certosino dell’altopiano” (1) — la felice definizione è di Óscar Torres Duque, uno dei suoi primi critici, e l’altopiano è quello dov’è situata Santa Fe de Bogotá, a 2.630 metri d’altitudine —, nella propria casa, “ubicata in un’affollata via di Bogotá, in mezzo al traffico e al rumore della strada, come un monumento preistorico che la routinesembra condannare alla dimenticanza, nonostante la sua isolata bellezza” (2): in questi termini lo stesso critico descrive suggestivamente l’abitazione, in stile Tudor. E la “cella” di questo “certosino” sui generis è costituita dalla monumentale biblioteca, di oltre trentamila volumi, in lingua originale: infatti rifiuta le traduzioni; parla e legge, oltre allo spagnolo, il francese e l’inglese — appreso nel corso di soggiorni estivi in Gran Bretagna durante la permanenza in Francia —, e legge il greco, il latino, il tedesco, il portoghese, l’italiano e un poco il russo. La “cella” è soprattutto il luogo dello studio, della lettura, della riflessione e della scrittura, il luogo dove ha sempre a portata di mano una Bibbia in latino e una copia dell’Imitazione di Cristo, pure in latino. Merita di essere ricordato il fatto che, fra le sue ultime letture, vi era il Catechismo della Chiesa Cattolica, sul cui stile esprimeva per altro un giudizio negativo. Sempre esigente e accurato con i suoi scritti, li batte a macchina personalmente e corregge i testi da pubblicare.
Non ama le grandi riunioni, ma non solo la sua casa, bensì pure la sua biblioteca sono sempre aperte a tutti; in primo luogo ai figli, non soltanto per fare i compiti, ma pure per giocare, per chiacchierare e per scherzare, purché non si litighi; ed anche agli amici, con i quali amava intrattenersi in piacevoli conversazioni sui temi più diversi, accompagnate da una tazza di caffè.
Persona estremamente riservata, discreta, semplice, gentile, amabile, cortese e dotato di un grande senso dello humour, fu molto vicino alla sua famiglia e ai suoi amici e sempre disponibile ad ascoltare. Il suo gusto per la solitudine fu una scelta di vita — forse anche per questo, oltre che per ragioni di principio, non accettò mai cariche pubbliche, che gli furono spesso offerte —, ma non permise mai che questa scelta lo isolasse da quanti lo circondavano.
Sempre in “cella” riceve una mezza dozzina d’interlocutori, fra i quali il critico e scrittore Hernando Téllez (1908-1966) (3), il dotto frate minore Félix Antonio Wilches (1905-1972) (4) — conosciuto a Roma nel 1949 in occasione della sua seconda permanenza in Europa, questa volta solo poco più che semestrale, realizzata in compagnia della moglie —, l’uomo politico conservatore e diplomatico Douglas Botero Boshell (1916-1997) (5) e il matematico, diplomatico e uomo politico Mario Laserna Pinzón, fondatore dell’Universidad de los Andes; e l’abbandona per lunghe, quasi quotidiane, passeggiate in città, e per le uscite, una o due volte la settimana, allo scopo di partecipare a un consiglio di amministrazione della banca cui è interessata la sua famiglia oppure di visitare il magazzino di tappeti e di tessuti pure di famiglia. “Quanti, attirati dalla sua figura prossima ai due metri, baffi, sigaro e bastone, lo vedevano camminare lentamente per il centro di Bogotá, erano colpiti tanto dalla familiarità con cui lo salutavano lustrascarpe e venditori di biglietti di lotteria […], come per la calma con cui osservava le vetrine nella sua passeggiata di mezzogiorno verso il Jockey Club. Questo succedeva quando usciva una o due volte alla settimana per presenziare a un consiglio d’amministrazione della banca o per visitare il suo magazzino di tessuti” (6). E dalla “cella” esce pure per recarsi in “cappella”, la chiesa del convento francescano de La Porciúncula — dal 1980 solo chiesa parrocchiale —, situata nella stessa via in cui abita, e nella quale assiste alla Messa domenicale.
Insomma, la sua vita sembra, anzi, è la realizzazione compiuta di un programma da lui stesso enunciato: “Vivere con lucidità una vita semplice, silenziosa, discreta, tra libri intelligenti, amando poche persone” (7).
Muore il 17 maggio 1994, mentre s’appresta a studiare il danese per accostare Søren Kierkegaard (1813-1855), lasciando la moglie, i tre figli, sette nipoti e una bisnipote. Le esequie sono celebrate il giorno seguente, nella ricorrenza della sua nascita, da monsignor Luis Carlos Ferreira Sampedro, che lo ha assistito spiritualmente da qualche anno prima del 1986, quando gli era stato raccomandato e affidato in “cura d’anima” da mons. Emilio de Brigard Ortiz (1888-1986), arcivescovo titolare di Dysti e arcivescovo ausiliare emerito di Bogotá, parente dello stesso pensatore, che lo seguiva in precedenza, ma non era più in grado di farlo per ragioni d’età — era ormai prossimo ai cent’anni — e, quindi, di salute.
2. Gli scritti: “glosse a un testo implicito”
Di fatto Gómez Dávila è autore di una sola grande opera continua, Escolios a un texto implícito, che comincia a esser pubblicata con questo titolo nel 1977, quindi nel 1986 come Nuevos escolios a un texto implícito (8) e finalmente, nel 1992, come Sucesivos escolios a un texto implícito (9). Tutti questi volumi hanno la stessa struttura e sono frutto della stessa concezione: una sequenza di escolios, di “glosse”, di genere anticipate, con il modesto titolo di Notas, nel 1954 in un’edizione privata in Messico (10), quindi, nel 1956, sulla rivista d’avanguardia colombiana Mito (1955-1962). In apparenza diverso è il volume Textos I, del 1959 (11), un testo unico con qualche rara suddivisione, che raccoglie pensieri in paragrafi l’uno seguente l’altro, poi “svanito” nella stessa consapevolezza dell’autore, così come costituiscono eccezioni, dal punto di vista formale, i saggi Il vero reazionario (12) e De Jure (13). Ma in Notas e in Textos I sono già presenti i caratteri delle glosse, meno il “testo implicito”: un pensiero libero e concentrato e un’espressione ricercata.
3. La fortuna dello “scrittore reazionario” o la “celebrità discreta”
Gli scritti del pensatore colombiano vengono proposti al pubblico nonostante la sua ritrosia e solo grazie all’interessamento dei pochi ma fedelissimi amici, fra i quali spicca l’uomo politico conservatore e diplomatico Botero Boshell. Del resto — la notazione è dello stesso Gómez Dávila —, “lo scrittore reazionario deve rassegnarsi a una celebrità discreta, dal momento che non si può ingraziare gl’imbecilli”(14).
La letteratura critica è limitata a qualche saggio quando non a rievocazioni giornalistiche. I suoi scritti e il suo pensiero hanno però trovato eco nel mondo di lingua tedesca, negli anni 1980, grazie a un’editrice conservatrice viennese, la Karolinger Verlag, così acquisendo fra i suoi estimatori Ernst Jünger (1895-1998), Erik von Kuehnelt-Leddihn (1909-1999) e Robert Spaemann. Sono pure riferibili i giudizi di noti scrittori suoi compatrioti. Il romanziere e poeta Álvaro Mutis Jaramillo — suo frequentatore — parla di Escolios a un texto implícitocome di “un capolavoro del pensiero occidentale” (15), “[…] una vasta summa di sapere, disseminata […] di allusioni e di elusioni, la cui piena utilizzazione supporrebbe lunghe veglie con i testi essenziali della nostra eredità ebraica, ellenica, romana, cristiana e occidentale” (16); e la definisce “opera superba che presenta nello stesso tempo una feconda teoria della storia e un’inconfutabile dottrina politica, un’essenziale meditazione sulla poesia e un non meno definitivo esame del pensiero metafisico e teologico” (17), tale da essere — prevede — motivo di scandalo per gli “eredi della tradizione liberale e democratica nata con la riforma protestante, incubata nel secolo dei lumi e battezzata con il sangue nelle giornate del 1789” (18), ma atta a esser utilizzata anche dall’uomo qualunque, come dice con espressione italiana (19), dal momento che, per quanto “inconsueta e vasta” (20), “[…] concerne anche i nostri affari di tutti i giorni” (21). E del romanziere Gabriel García Márquez viene citata l’impegnativa affermazione: “Se non fossi comunista, penserei in tutto e per tutto come lui” (22).
4. Il genere letterario: la tecnica “pointilliste” e il “testo breve”
L’opera del pensatore colombiano va esaminata secondo le prospettive formale e contenutistica non per scelta del critico, ma perché indicate, più che soltanto suggerite, dalla titolazione spoglia dei suoi volumi, senza nessuna intenzione di richiamo, ma costituita dalla reiterazione di “glosse” e di “testo implicito”. Si tratta infatti di consistenti raccolte di pensieri brevi — oltre diecimila —, ai quali l’autore nega la natura di aforismi: “Il lettore non troverà aforismi in queste pagine” (23) — scrive —, “le mie brevi frasi sono i tocchi cromatici di una composizione “pointilliste”” (24). E il riferimento alla tecnica pittorica pointilliste — forse non a caso in una delle prime glosse della prima raccolta — costituisce indicazione ermeneutica fondamentale, che vieta un giudizio non d’insieme sulla “composizione” e sull’”artista” — sua la dichiarazione: “Pretendo soltanto di non aver scritto un libro lineare, ma un libro concentrico” (25) — e che suggerisce un apprezzamento corrispondente dei singoli “punti”, dei singoli “tocchi cromatici”: “Il discorso continuo — sentenzia — tende a occultare le rotture dell’essere.
“Il frammento è espressione del pensiero onesto” (26). Quanto alle “brevi frasi”, “un testo breve non è affermazione presuntuosa, ma un gesto che scompare appena abbozzato” (27); e l’aforisma “negato” è però difeso, svelando la consapevolezza della difficoltà di definirlo — “Accusare l’aforisma di esprimere soltanto parte della verità equivale a supporre che il discorso prolisso possa esprimerla tutta” (28) —; viene denunciata la prolissità — “la prolissità non è eccesso di parole, ma scarsità di idee” (29) — e tessuto l’elogio del testo breve in quanto “poetico”, cioè creativo, quindi costruttivo per il lettore: “L’opera frammentaria conquista la propria poesia obbligandoci a completare le sue curve mutile” (30). Lo “spettro” dell’aforisma va infatti dalla definizione alla massima, alla “degnità” (31) — il richiamo è a Giambattista Vico (1668-1744) —, alla “monografia compressa” (32) — la formula è dello studioso canadese della comunicazione Marshall McLuhan (1911-1981) —, alla glossa, alla breve osservazione, al rimando, all’appunto, alla nota a margine. E costituisce retaggio dell’oralità ed elemento di una plurisecolare farmacopea spirituale.
Dunque, glosse a margine. Ma a margine di che? S’impone, oltre il contenuto di tali glosse, l’identificazione del texto implícito, di cui i critici propongono — in alternativa o in combinazione — quella letterale, stretta, che rimanda a un ampio tratto dei Textos I relativo alla democrazia e all’uomo democratico e di corrispondente dura polemica sia con la democrazia che con l’uomo democratico; e quella lata, che identifica tale testo con l’intero corpus culturale dell’Occidente, da Omero ai contemporanei.
5. Il “pensiero reazionario”
Se il genere dell’opera favorisce l’apprezzamento anzitutto del paradosso, un’attenzione maggiore permette l’identificazione in essa di una dialettica di tipo vichiano fra “stoltezza” e “sapienza”, nascoste dalla varietà delle formulazioni dell’una e dell’altra: “Gli uomini cambiano meno idee che le idee maschere.
“Nel decorso dei secoli dialogano le stesse voci” (33).
Perciò “imbecillità”, “stupidità” e “follia”, oppure, con riferimento temporale, “modernità”, possono suggerire nell’autore pura emotività e far dimenticare sia la gamma espressiva che l’espressione singola, talora strutturata a paradosso, cioè a figura logica in apparenza assurda in quanto contrastante non solo, eventualmente, con il buon senso, ma, nel caso, con l’opinione corrente, e atta peraltro a decantare in proverbio.
Dal punto di vista culturale, del pensiero reazionario Gómez Dávila non coglie soltanto l’ascendenza spagnola — ricordo, anche per consonanza formale, i Pensamientos varios (34) di Juan Donoso Cortés (1809-1853) —, francese o anglosassone, ma pure quella tedesca, quindi procede a un ricupero del romanticismo, non solo del pre-romanticismo della sensibilité e della sensibility, sia contenutisticamente, sia espressivamente, attraverso l’apprezzamento della continuità fra pensiero contro-rivoluzionario e poesia soprattutto ottocentesca. Infatti, “la poesia del secolo XIX è l’eredità che la contro-rivoluzione soffocata ha lasciato alla letteratura” (35). Sì che — osserva acutamente —, “identificando romanticismo e democrazia, così condannando il romanticismo, Maurras [Charles, 1868-1952] è caduto in un terribile errore.
“Condannando il romanticismo, Maurras condannava il pensiero reazionario e adottava un’ideologia rivoluzionaria in nome della contro-rivoluzione” (36).
Dal punto di vista sostanziale “la saggezza si riduce a non insegnare a Dio come si devono fare le cose” (37) e a vivere l’individualità, l’irripetibilità e la frammentarietà nel mistero: “Contro lo svuotamento moderno del mistero affermiamo la sua presenza inglobante” (38). Però “la radice del pensiero reazionario non è la sfiducia nella ragione, ma la sfiducia nella volontà” (39); e il pensiero reazionario viene abbozzato almeno su tre “cavalletti”, suggeriti da un’autoqualificazione: esser l’autore “cattolico, reazionario e retrogrado” (40). Cioè non ha solo dimensioni politiche e culturali, ma radici religiose ed esistenziali: se “la Reazione comincia a Delfi” (41) e se “la Reazione è cominciata con il primo pentimento” (42), “la reazione esplicita comincia alla fine del secolo XVIII; ma la reazione implicita comincia con l’espulsione del diavolo” (43); ed “essere reazionario significa capire che l’uomo è un problema senza soluzione umana” (44). Così i testi brevi sono percorsi da una vena polemica, talora esplicita e dura, in aggressivo contrasto con ogni filosofia e con ogni teologia razionalistiche — perché “razionalismo è lo pseudonimo ufficiale dello Gnosticismo” (45), “la democrazia è la politica della teologia gnostica” (46), “la Gnosi è la teologia satanica dell’esperienza mistica.
“Nell’interpretazione gnostica dell’esperienza mistica si genera la divinizzazione dell’uomo” (47), e “l’ugualitarismo è inferenza gnostica: infatti ogni particella della divinità è ugualmente divina” (48) —, in una prospettiva filosofica e teologica negativa, che richiama quella platonico-tomistica di Joseph Pieper (1904-1997) (49). A tale vena se ne affianca un’altra, antimoralistica ma non certo immorale, percorsa dall’evangelica “prudenza del serpente” da affiancare alla “semplicità della colomba” (cfr. Mt. 10, 16), la cui divisa potrebbe essere “Credere in Dio, confidare in Cristo, guardare con malizia” (50), e la cui espressione è talora non solo dura quanto al contenuto ma pure cruda quanto al modo. Insomma — la dichiarazione è formale —, Gómez Dávila elabora ed espone “un platonismo esistenziale e uno storicismo agostiniano” (51).
Ma l’orizzonte limitato e cupo non alimenta la disperazione, anche se “la nostra ultima speranza sta nell’ingiustizia di Dio” (52) e “l’unica precauzione sta nel pregare in tempo” (53): infatti, poiché “per rinnovare non è necessario contraddire, basta approfondire” (54), e siccome “il peso di questo mondo si può sopportare solo in ginocchio”(55), “l’unica ragione di sperare è stata espressa perfettamente da Huizinga [Johan, 1872-1945] in una delle sue ultime parole: “Per fortuna l’uomo non ha l’ultima parola”” (56).
II. “Quando l’ago nel pagliaio si fa trovare… in una metropoli dall’altra parte del mondo”. Nota su qualche aspetto di Nicolás Gómez Dávila
Testo inedito, redatto in due tempi, il 6-9-2001 e il 15-12-2002, con aggiornamenti fra parentesi quadre.
1. Mercoledì 16 maggio 2001, a Roma, sull’autobus 64 diretto alla Stazione Termini, il dottor Achille Paliotta, socio di Alleanza Cattolica, risponde a una richiesta d’informazione di un anziano sacerdote, al quale chiede, di rimando, di che nazionalità sia: saputolo colombiano, gli dichiara l’interesse dell’associazione per un pensatore appunto colombiano, Nicolás Gómez Dávila (1913-1994). Il breve scambio di battute è concluso dal sacerdote con l’affermazione: “Sono stato il suo confessore”.
2. Immediatamente informato dell’incontro dal dottor Paliotta, l’ho pregato di chiedere all’ecclesiastico la possibilità di un colloquio; avutala, e appreso che era di partenza per ritornare al suo paese sabato 19, venerdì 18 mi sono recato a Roma e, accompagnato dal dottor Paliotta, ho incontrato il sacerdote alla Domus Internationalis “Paulus VI”.
3. Monsignor Luis Carlos Ferreira Sampedro nasce a Bogotá nel 1920 da famiglia forse di origini portoghesi, ma colombiana da quattro generazioni; è ordinato sacerdote nel 1944; vicario del Tribunale Ecclesiastico Superiore di Colombia, è attualmente decano [emerito] del capitolo della cattedrale di Bogotá, città alla cui periferia vive, alla Finca Loyola. Ha tre fratelli pure sacerdoti: monsignor Gustavo, presidente [emerito] del Tribunale Ecclesiastico d’Appello di Colombia, don [monsignor] José Gregorio [1935-2012], parroco di Guaymaral, e don [monsignor] Daniel, parroco di San Juan de Avila.
4. Dopo il nostro incontro del 18 maggio 2001, ho scritto a monsignor Ferreira, in data 6 luglio, per chiedere conferma delle informazioni ricevute nell’occasione e per formulare nuovi quesiti, ricevendo in risposta una lettera datata 4 settembre; a questa missiva ho risposto il 27 ottobre, ma tale risposta, con quesiti rinnovati e precisati, è purtroppo tornata al mittente e non è mai giunta per le vie per le quali era stata inoltrata; infatti, è stata consegnata al destinatario brevi manuil 2 luglio 2002 da un seminarista colombiano, Martín Elías Leal Infante. Studente in Italia presso il Seminario della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli e membro dell’OMME, l’Opus Mariae Matris Ecclesiae, un’associazione clericale eretta in tale diocesi, è ritornato temporaneamente in patria nel corso dell’estate del 2002 e, nell’occasione, il 2 luglio ha incontrato l’ecclesiastico colombiano, gli ha consegnato la lettera mai pervenuta e ha registrato un’intervista con le risposte ai quesiti contenuti in tale missiva.
Questa nota è redatta sulla base delle informazioni raccolte nelle diverse occasioni e nelle modalità segnalate, cui si aggiungono quelle che ho ricevuto dalla figlia del pensatore colombiano, Rosa Emilia Gómez de Restrepo, in due e-mail: la prima, del 13 dicembre 2002, in risposta a una lettera del 28 agosto, tornata al mittente e fatta pervenire, finalmente, alla destinataria tramite l’editore Vallegas; la seconda, del 14 dicembre, in risposta a una mia del giorno precedente.
5. Monsignor Luis Carlos Ferreira conosce Nicolás Gómez Dávila grosso modo nella prima metà degli anni 1980: non ricorda con precisione, ma si tratta certamente di un anno precedente il 1986, dal momento che gli è stato raccomandato e affidato in “cura d’anima” da mons. Emilio de Brigard Ortiz (1888-1986), arcivescovo titolare di Dysti e arcivescovo ausiliare emerito di Bogotá, parente dello stesso pensatore, che lo seguiva in precedenza, ma non era più in grado di farlo per ragioni d’età — era ormai prossimo ai cent’anni — e, quindi, di salute. “Ho conosciuto don Nicolás. Non dico di esser stato suo confessore o suo direttore spirituale perché mi pare di non meritare nessuno dei due titoli. Gli ho prestato assistenza sacerdotale per diversi anni, amministrandogli i sacramenti e, siccome si trattava di una personalità così illustre, rispondendo ai suoi quesiti, poiché era uomo di virtù cristiane e perciò pieno di umiltà”. Dal rapporto nasce “non un’amicizia nata dalle convenienze sociali, ma dall’affetto. Si trattava di una persona insieme straordinaria e semplice, che mi chiamava per qualsiasi cosa. Ma non perché io fossi un intellettuale, ma piuttosto perché ero un “sacerdote bigotto””. Il riferimento è a un escolio da me ricordato in questa stessa nota, sottoposta in una prima stesura al controllo dell’ecclesiastico in occasione dell’incontro con Leal Infante, dove il termine “bigotto” è usato provocatoriamente e polemicamente in senso positivo. Senza assolutamente stupirmi più di tanto, formato come sono all’apologia delle bigotte redatta da Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) in una meditazione, del 1943, sulle stazioni della Via Crucis, in specie sull’ottava stazione (57).
Negli ultimi anni di vita di Gómez Dávila, monsignor Ferreira si reca tutte le domeniche a portargli la Comunione; gli va incontro con lui, appoggiato al bastone, anche la moglie, Emilia Nieto de Gómez (1909-1995), nata Nieto Ramos, “mano nella mano”, di qualche anno più anziana del marito e scomparsa più di un anno e mezzo dopo il suo decesso. Quanto l’assistenza sia stata gradita è — fra l’altro — certificato dalla dedica che la figlia di Gómez Dávila ha apposto all’esemplare di Escolios a un texto implícito. Selección — l’antologia dei “testi brevi” del padre da lei curata nel 2001 per Villegas Editores, di Bogotá — donato a monsignor Ferreira: “Mille grazie per tutta la comprensione che ha avuto per papà e mamma”. Infine l’ecclesiastico, che ha seguito spiritualmente e accompagnato sacramentalmente il pensatore colombiano fino al decesso avvenuto il 17 maggio 1994, ne celebra le esequie il giorno 18 maggio e, nell’occasione, ricorda un escolio, quello che recita “La nostra ultima speranza sta nell’ingiustizia di Dio” (58), e lo collega al salmo 130 (129), 3.
6. Il giudizio sintetico del sacerdote sul pensatore descrive un soggetto molto attaccato alle forme — essendosi presentato la prima volta in clergymen, Gómez Dávila gli chiede per quale ragione si travestisse, e perciò passa alla talare —, molto caustico e nello stesso tempo molto rispettoso dello stato sacerdotale, “devoto ma non bigotto” — qui, evidentemente, il termine “bigotto” è usato nel senso corrente —, “molto semplice”, con un atteggiamento spirituale caratterizzato dal candore di “un bambino”.
Monsignor Ferreira conferma la relazione di Gómez Dávila con padre Félix Antonio Wilches O.F.M. (1905-1972) e il giudizio di stima del pensatore a proposito del frate minore. Conferma del rapporto e del giudizio ho pure da parte della figlia Rosa Emilia quando mi comunica che il padre era solito partecipare alla Messa presso il Convento de La Porciúncula, dove appunto viveva il religioso francescano, da lui conosciuto a Roma alla fine degli anni 1940.
7. Confesso l’emozione per un incontro di un’assoluta imprevedibilità — tanto più a Roma —, al punto da esser tentato d’interpretarlo più come un segno che come un caso, nonostante la mia radicata diffidenza nei confronti di ogni soprannaturalismo. A ciò contribuisce anche la data dell’incontro, quel 18 di maggio che, nel 1913, è data di nascita del pensatore colombiano e nel 1994 data del suo funerale… Comunque sia, si tratta di emozione ben fondata per un incontro sui generis con un elemento rilevante della circunstancia del pensatore colombiano e della sua opera, quindi — nelle mie scienza e coscienza — di non trascurabile utilità per portare a una qualche unità la lussureggiante produzione di “testi brevi”, dunque per comprendere l’autore e per comprenderne l’opera, almeno là dove scrive: “Canonico oscurantista del vecchio capitolo metropolitano di Santa Fe, acida bigotta di Bogotá, rude agricoltore dell’altopiano, siamo dello stesso genere.
“Con i miei compatrioti attuali ho in comune solo il passaporto” (59).
Note:
(1) Óscar Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, con servizio fotografico di Ernesto Monsalve, in Boletín Cultural y Bibliográfico, della Biblioteca Luis Ángel Arango di Bogotá, vol. 32, Bogotá 1995, n. 40, pp. 30-49 (p. 31).
(2) Ibid., p. 33.
(3) Cfr. Jorge H. Cadavid, Hernando Téllez: un consumado estratega, con servizio fotografico di Mauricio A. Osorio e Germán Téllez, ibid., pp. 74-95.
(4) Cfr. Luis Carlos Mantilla Ruíz O.F.M., Necrologio de la Provincia Franciscana de Colombia (1900-1980), Editorial Kelly, Bogotá 1980, pp. 184-185.
(5) Cfr. El descanso del patriarca, in Semana, anno XV, n. 785, Santa Fe de Bogotá 19/26-5-1997, pp. 72-73.
(6) Mario Laserna Pinzón, Nicolás Gómez Dávila, el Hombre, Prólogo a Nicolás Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito. Selección, a cura di Rosa Emilia Gómez de Restrepo, con prologo di M. Laserna Pinzón ed Epílogo di F. Volpi, Un Angel Cautivo en el Tempo, Villegas Editores, Bogotà D.C. 2001, pp. 10-16 (p. 11).
(7) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, 2 voll., Instituto Colombiano de Cultura, Santa Fé de Bogotá 1977, tomo I, p. 253 (trad. it., in Idem, Tra poche parole, a cura e con Introduzione di F. Volpi, Adelphi, Milano 2007, p. 37).
(8) Cfr. Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, 2 voll., 2a ed. definitiva, corretta sulla 1a riveduta dall’autore (Procultura, Bogotá 1986), Villegas Editores, Bogotá D.C. 2005, tomo II, p. 133.
(9) Cfr. Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, 2a ed. definitiva, corretta sulla 1a riveduta dall’autore (Instituto Caro y Cuervo, Santafé de Bogotá 1992), Villegas Editores, Bogotá D.C. 2005.
(10) Cfr. Idem, Notas, a cura di R. E. Gómez de Restrepo, con il Prólogo “Una voz inconfundible y pura” di F. Volpi, Villegas Editores, Bogotá D.C. 2003 (1a ed. fuori commercio fatta per conto dell’autore, Città del Messico 1954).
(11) Cfr. Idem, Textos I [unico edito], Villegas Editores, Bogotá D.C. 2002 (1a ed. Editorial Voluntad, Bogotá 1959).
(12) Cfr. Idem, El reaccionario autentico, in Revista Universidad de Antioquía, anno LX, n. 240, Medellín aprile-giugno 1995, pp. 16-33; trad. it., Il vero reazionario, in Cristianità, anno XXVII, n. 287-288, marzo-aprile 1999, pp. 18-20.
(13) Cfr. Idem, De Jure, in Revista del Colegio Mayor de Nuestra Señora del Rosario, anno 81, n. 542, Bogotá aprile-giugno 1988, pp. 67-85.
(14) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 202.
(15) Álvaro Mutis Jaramillo, Donde se vaticina el destino de un libro inmenso, in Revista del Colegio Mayor de Nuestra Señora del Rosario, cit., pp. 23-25 (p. 23).
(16) Ibidem.
(17) Ibid., p. 24.
(18) Ibidem.
(19) Cfr. ibidem.
(20) Ibidem.
(21) Ibidem.
(22) Cit. in F. Volpi, Nicolás Gómez Dávila. Il perfetto reazionario, in surplus. Rivista bimestrale di economia, anno I, n. 4, Roma 1999, pp. 55-58 (p. 58).
(23) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., tomo I, p. 15 (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 13).
(24) Ibidem (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 13).
(25) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 205.
(26) Ibid., p. 197.
(27) Idem, Escolios a un texto implícito, cit., tomo I, p. 15 (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 13).
(28) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 121.
(29) Ibid., p. 52 (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 41).
(30) Ibid., p. 53 (trad. it., ibid., p. 42).
(31) Cfr. i 114 “assiomi o degnità così filosofiche come filologiche”, in Giambattista Vico, Princìpi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, 1744, Conchiusione dell’opera. Sopra un’eterna repubblica naturale, in ciascheduna sua spezie ottima, dalla divina provvedenza ordinata, in Idem, Opere, 2 voll., a cura di Andrea Battistini, tomo I, Mondadori, Milano 1990, pp. 494-540.
(32) Marshall McLuhan, Introduzione a Harold Innis (1894-1952), Le tendenze della comunicazione, trad. it., SugarCo, Milano 1982, pp. 13-22 (p. 15).
(33) N. Gómez Dávila, Escolios a un texto implícito, cit., tomo I, p. 15 (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 13).
(34) Cfr. Juan Donoso Cortés, Pensamientos varios, in Idem, Obras completas, con Introducción general e note di Carlos Valverde S.J. (1922-2003), Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1970, vol. II, pp. 980-984.
(35) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo I, p. 13.
(36) Ibid., p. 145.
(37) Idem, Escolios a un texto implícito, cit., tomo I, p. 51 (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 40).
(38) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 69.
(39) Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, cit., p. 34.
(40) Cit. in Ó. Torres Duque, Nicolás Gómez Dávila: la pasión del anacronismo, cit., p. 34.
(41) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 16.
(42) Ibid., p. 122.
(43) Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, cit., p. 32.
(44) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 123.
(45) Ibid., tomo I, p. 8.
(46) Ibid., p. 140.
(47) Ibid., p. 142.
(48) Ibid., p. 150.
(49) Cfr. in genere Josef Pieper, Autopresentazione, trad. it., in Filosofia oggi, anno XIV, n. 55, Genova gennaio-marzo 1991, pp. 37-52; e Idem, La mia filosofia. Colloquio di Josef Pieper con Bernard Schumacher, trad. it., in La filosofia cristiana del Novecento (I). Josef Pieper, a cura di B. Schumacher, Edizioni Romane di Cultura, Roma 1997, pp. 17-30.
(50) N. Gómez Dávila, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 49.
(51) Ibid., p. 179.
(52) Idem, Escolios a un texto implícito, cit., tomo I, p. 19 (trad. it., in Idem, In margine a un testo implicito, cit., p. 16).
(53) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 13.
(54) Idem, Sucesivos escolios a un texto implícito, cit., p. 17.
(55) Ibid., p. 21.
(56) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, cit., tomo II, p. 37.
(57) Plinio Corrêa de Oliveira, Via Crucis. Due meditazioni, Prima Meditazione, VIII stazione, Gesù parla alle figlie di Gerusalemme, trad. it., con 14 tavole di Giorgio Fanzini, Cristianità, Piacenza 1991, pp. 17-58 (pp. 38-40).
(58) Nicolás Gómez Dávila, In margine a un testo implicito, trad. it., a cura di Franco Volpi (1952-2009), Adelphi, Milano 2001, p. 16.
(59) Idem, Nuevos escolios a un texto implícito, 2 voll., Procultura, Bogotá 1986, vol. II, p. 135; raccolto in Escolios a un texto implícito. Selección, a cura di Rosa Emilia Gómez de Restrepo, con prologo di Mario Laserna Pinzón ed epilogo di F. Volpi, Un Angel Cautivo en el Tempo, Villegas Editores, Bogotà D.C. 2001, p. 385.