Giovanni Cantoni, Cristianità n. 3 (1974)
La funzione della Democrazia Cristiana nella strategia comunista
Quando, nel 1971, Plinio Corrêa de Oliveira scriveva l’articolo Berlinguer, Amendola e soci – nel quale, analizzando i risultati di una riunione del comitato centrale del PC italiano, vedeva in essi chiaro l’intento di lanciare la “via cilena” a livello europeo – poteva sembrare, al lettore del tempo, che si trattasse di una pura ipotesi, fondata principalmente sull’abito mentale preconcetto di interpretare sempre “maliziosamente” ogni mossa comunista (1).
I fatti però hanno dato a quella ipotesi il carattere di una puntuale previsione, così come è accaduto nel caso del “servizio” di Fabio Vidigal Xavier da Silveira Frei, il Kerensky cileno, nel quale l’autore, nel 1967, previde, “profetizzò” quasi, l’avvento al potere del socialista Allende, in un paese come il Cile che pareva, in quel tempo, semplicemente destinato a diventare l’esempio concreto di un “nuovo modello di sviluppo” dei paesi sudamericani, l’incarnazione sudamericana della “nuovo frontiera” kennediana (2).
Oggi, infatti, quanto allora Plinio Corrêa de Oliveira preannunciava si sta svolgendo sotto i nostri occhi. La “via cilena”, sotto il nome nuovo e seducente di “grande compromesso storico”, è diventata il leitmotiv, il motivo conduttore e dominante non solo della politica comunista italiana, ma anche della politica comunista in Europa e in altre zone del mondo.
Comunisti, socialisti e cattolici sono chiamati a unirsi per fare fronte ai diversi problemi nazionali e mondiali, in nome della volontà e della necessità di operare grandi trasformazioni sociali, decisive per l’assetto dell’intero pianeta nel secolo XX.
Ma il “grande compromesso storico” di questi mesi sta rivelandosi qualcosa di più di una “via cilena” riveduta e corretta sulla base della “lezione cilena”; sta infatti rivelando un giudizio politico e storico delle forze della Rivoluzione su tutto quanto rimane nel nostro mondo.
L’area di partenza del “compromesso storico” è l’Italia e il motivo immediato del suo lancio è costituito dalla riflessione sui fatti cileni: potrebbe quindi parere soltanto una manovra avente lo scopo di conquistare il potere nel nostro paese. Il suo lancio europeo, cui Berlinguer si è dedicato attivamente nei suoi recenti viaggi oltre la cortina di ferro, potrebbe sembrare semplicemente un abile lavoro di tessitura di una ragnatela in cui far cadere l’Italia, considerata come un elemento del sistema europeo da costruire attraverso una unione plurinazionale e superiore – o indifferente – ai blocchi, una unione, come si dice, “finlandizzata”.
La mossa in Italia e i suoi corollari europei orientali potrebbero esaurire lo scopo e spiegarsi da soli, almeno parzialmente, se non intervenisse a questo punto un fatto diverso, un passaggio e un elemento eterogeneo al fine supposto, anche se di una eterogeneità puramente storico-politica e non sostanziale.
Il fatto al quale accenno è riferito da una notizia dell’Agência Boa Imprensa di San Paolo – non ne conosco altre versioni – che dà ulteriori informazioni sul viaggio del padre Pedro Arrupe, preposito generale della Compagnia di Gesù, nell’isola di Cuba, nonché sull’agenda dell’importante prelato.
Ecco il testo della nota d’agenzia, firmata da Flávio Braga:
“Il superiore generale dei gesuiti ha fatto di recente un viaggio a Cuba. Nell’isola, sottoposta a regime tirannico, ha negoziato con il presidente Dórticos e con Castro la creazione di un partito democristiano.
“Lo stimato lettore sarà stato certamente spaventato dalla notizia. Come può esistere un partito autenticamente cristiano e democratico in un paese che si trova sotto il giogo brutale del marxismo? Perplessità ancora maggiore causa il fatto che la creazione della DC a Cuba sia stata negoziata dal padre Arrupe, successore del mirabile sant’Ignazio di Loyola.
“Che ragioni avranno portato il religioso a intraprendere questa ingloriosa impresa? Il lettore non avrà difficoltà a rispondere analizzando la seguente dichiarazione del padre Arrupe: “La mia visita a Cuba mi ha convinto che i gesuiti e gli altri sacerdoti distaccati in quel paese possono collaborare con il governo marxista”. E “la Democrazia Cristiana cubana sarà rivoluzionaria e mostrerà simpatia per alcune riforme realizzate da Fidel Castro”.
“Possiamo dunque chiederci quali saranno le conseguenze di questa strana visita, più politica che apostolica, del superiore generale della Compagnia di Gesù. Per 2000 anni il programma della Chiesa è stato sempre quello sia di convertire l’umanità, che di combattere i nemici della fede.
“È quindi doloroso che, nei tristi giorni in cui viviamo, un religioso, dell’importanza di un generale dei gesuiti, finisca per accettare e anche per elogiare le funeste realizzazioni di un regime ateo e socialista, in conformità con un riprovevole “spirito di dialogo” … ” (3).
Tralasciando per il momento le considerazioni della nota d’agenzia – considerazioni che per altro non possono non trovare toto corde consenzienti – mi chiedo: è ancora possibile, a questo punto, considerare il “compromesso storico” un fatto italiano oppure europeo? A che cosa serve la ipotetica costituzione di una Democrazia Cristiana a Cuba? Le revisioni e le correzioni suggerite dalla “lezione cilena” bastano a spiegare la nuova mossa, o sono piuttosto posteriori a essa, sui semplici aggiustamenti?
Tutte queste domande mi paiono assolutamente legittime, e richiedono delle risposte, che cercherò di abbozzare.
La formulazione del “compromesso storico”, anteriormente ai viaggi europei di Berlinguer e soprattutto alla conoscenza della notizia sopra riportata, ne faceva un passaggio classico della strategia comunista – principalmente di quella del comunismo italiano, come si è svolto da Gramsci a Togliatti e oltre – e permetteva di esaurirla nella “pratica” della “teoria” enunciata da Gramsci stesso, nel lontano 1919, a proposito dei “popolari”, gli antenati degli attuali democristiani.
Scriveva Gramsci: “I popolari rappresentano una fase necessaria del processo di sviluppo del proletariato italiano verso il comunismo. […] Il cattolicismo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida. Assunta una forma, diventate una potenza reale, […] [le masse cattoliche] si saldano con le masse socialiste consapevoli, ne diventano la continuazione normale. Ciò che sarebbe stato impossibile per gli individui, diventa possibile per le vaste formazioni. Diventati società, acquistata coscienza della loro forza reale, questi individui comprenderanno la superiorità del motto socialista: “l’emancipazione del proletariato sarà opera del proletariato stesso”, e vorranno far da sé, e svolgeranno da sé stessi le proprie forze e non vorranno più intermediari, non vorranno più pastori per autorità, ma comprenderanno di muoversi per impulso proprio: diventeranno uomini nel senso moderno della parola, uomini che attingono nella propria coscienza i principi della propria azione, uomini che spezzano gli idoli, che decapitano dio.
“Perciò non fa paura ai socialisti l’avanzata impetuosa dei popolari […] I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin […]” (4).
Il discorso era ed è assolutamente chiaro, non faceva e non fa una grinza. È vero: “I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin”, ma a che cosa serve Kerensky quando Lenin è al potere? A che cosa serve la Democrazia Cristiana a Cuba? Si può capire un rilancio dei democristiani, un lancio del “compromesso storico” nell’area politica in cui è inserita l’Italia, cioè in Europa, ma riesce difficile capirlo anche a Cuba. L’Italia è certamente un boccone ghiotto per l’orso sovietico, ma una manovra così a largo raggio riesce incomprensibile se non si cambiano e piano di giudizio e piano di riferimento.
Se infatti si considera l’Italia non semplicemente come un paese inserito nel sistema europeo, non solo come una regione della Nazione Europa o come una patria dell’”Europa delle patrie”, ma come una nazione cattolica nel sistema della sopravvivente Cristianità, la nazione chiave della Cristianità in quanto sede della Chiesa di Roma, allora tutto si fa più chiaro.
Perché allora non perde verità l’affermazione secondo cui “non fa paura ai socialisti l’avanzata impetuosa dei popolari” dal momento che “i popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin“, ma ne emerge un’altra, che suona così: “fa paura ai comunisti la presenza e la resistenza, anche solo passiva, dei cattolici”, confessione del fatto che il cattolicesimo è il solo nemico del comunismo, la Chiesa l’unica avversaria della Rivoluzione.
Allora, finalmente, il “compromesso storico” appare nella sua tragica “grandezza”, non più soltanto mossa per conquistare il governo e il potere in Italia e in Europa, ma manovra per perdere la Cristianità come famiglia di popoli cattolici e per sferrare un colpo mortale – almeno nelle intenzioni – alla base storico-sociologica della Chiesa.
Convincersi di quanto ho affermato comporta un riesame della posizione di ciascuno a proposito del grande scontro del nostro tempo, della grande alternativa che Jean de Fabrègues ha sintetizzato in un suo scritto intitolato La Révolution ou la foi, “la Rivoluzione o la fede”, “la Rivoluzione o la Chiesa”.
La mossa comunista indica chiaramente chi la Rivoluzione teme, chi sono i suoi avversari. Se il comunismo privilegia i democristiani al punto da permetterne – o da favorirne – il fiorire dove non parrebbero più utili alla conquista del potere, è perché teme la reazione dei cristiani e si è reso conto che, al limite, sono incorruttibili.
Piaccia o non piaccia, né le acque del Tevere né tantomeno quelle del Piave, né quelle del Reno e tantomeno quelle del Tamigi e della Senna – per tacere del Gange, dell’Eufrate o del Nilo – servono per esorcizzare. Il demonio teme soltanto l’acqua santa, e per questo tenta di inquinarla.
Le mosse sono sempre più astute – prudentiores filii tenebrarum -, ma l’insuccesso è garantito – non prevalebunt!
Giovanni Cantoni
Note:
(1) L’articolo è raccolto in PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E TFP CILENA, Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, Cristianità, Piacenza 1973, pp. 143-147.
(2) Cfr. FABIO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, Frei, il Kerensky cileno, trad. it. Cristianità, Piacenza 1973.
(3) FLÁVIO BRAGA, A espantosa visita do Pe. Arrupe à Cuba, in ABIM, n. 73/16, p. 4.
(4) ANTONIO GRAMSCI, Scritti politici a cura di Paolo Spriano, 3ª ed., Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 256-257.