Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 13 (1975)
Il risultato della consultazione elettorale del 15 giugno, dopo il primo momento di trauma – troppo tenue e troppo breve -, è in corso di riassorbimento da parte della opinione pubblica, italiana e no.
Come forse non era difficile prevedere – anche se contro ogni evidenza storica – l’unguento con cui si lenisce la ferita, che può essere mortale, senza cura adeguata, è costituito dal sorgente o risorgente mito di un “comunismo all’italiana”, di un “comunismo diverso”, che toglie animo alla lotta e prepara alla sconfitta.
A smascherare la falsa prospettiva di un “comunismo diverso”, pubblichiamo un articolo del professor Plinio Corrêa de Oliveira, presidente del consiglio nazionale della TFP brasiliana, in cui i “diversi” comunismi appaiono come strumenti di una manovra, come sempre al servizio dell’imperialismo rosso.
Lo scritto, che colpisce giustamente anche la proditoria teorizzazione di un postcomunismo a opera della falsa destra, è comparso sei anni fa sulla Folha de S. Paulo del 27 agosto 1969, con il titolo O “plateau de fromages“. Non avendo assolutamente perduto in puntualità – anche se è mutato il nome di qualche attore, ma i lettori sapranno benissimo fare le sostituzioni! -, prova tra l’altro che in questi anni la battaglia principale non è cambiata e che la dottrina cattolica contro-rivoluzionaria è strumento di una analisi che non invecchia.
Alcuni anni fa il comunismo internazionale costituiva un monolito dottrinale, culturale e politico.
In seguito, questo monolito si è venuto rompendo. In Europa, sono nati gli scismi iugoslavo e albanese. In Asia, si è aperta l’enorme spaccatura con la Cina. Ne è derivato il frazionamento degli ambienti comunisti di tutto il mondo in due tendenze rivali, quella filosovietica e quella filocinese. La rivoluzione marcusiana del 1968 e la sommossa cecoslovacca – dal canto loro – hanno reso più precisa la distinzione, già precedentemente abbozzata, tra il neocomunismo liberale e perfino anarchico e il comunismo sovietico, ferreamente dittatoriale.
Tutto questo, fuori dalla Russia. Anche al suo interno il carattere monolitico del comunismo ha subito profondi mutamenti. Accanto ai comunisti del vecchio ceppo staliniano, sono comparsi i comunisti “disgelati” del tipo Kruscev. Poi sono nati i comunisti post-krusceviani che sembrano una mistura di kruscevismo e di stalinismo. I post-krusceviani, a loro volta, si dividono in colombe e falchi. E infine – a giudicare dalle verbose informazioni dello scrittore Kuznetsov – il comunismo russo starebbe perdendo la propria identità, e starebbe sfociando in qualcosa di brutale e di indefinito, che riserva nel suo seno ogni genere di sorprese. La fiamma del comunismo si sarebbe rifugiata nel petto di alcuni intellettuali perseguitati.
Come si può vedere, è tutto eterogeneo e confuso. Si direbbe che i frammenti del comunismo hanno perso i loro contorni, si sono sciolti e hanno finito per trasformarsi in un magma, nel quale frantumi diversissimi si incontrano, si combinano e si respingono, senza però cessare di far parte della stessa massa liquida.
So bene che del fatto sono state date molte spiegazioni: rivalità di capi e di fazioni all’interno della Russia, scontri di interessi nazionali nel blocco sovietico, esplosioni di liberalismo come reazione a mezzo secolo di tirannia, ecc. ecc. L’intellighenzia di tutto il mondo si incarica di sviluppare queste spiegazioni. Filosofi, sociologi e letterati hanno divagato a loro piacimento sull’argomento. Ciascuno cerca di spiegare il fenomeno secondo l’angolazione dalla quale lo osserva. Queste spiegazioni, che il più delle volte non si contraddicono, vengono rovesciate sul pubblico attraverso libri, conferenze, riviste e giornali. Nell’insieme, instillano nella opinione pubblica di tutto l’occidente la convinzione che, a un certo punto, si sono messi in azione fattori molteplici e disparati, nati dalle più profonde e misteriose viscere della realtà, che, simultaneamente, hanno spezzato e liquefatto il vecchio monolito.
Il presupposto di questa convinzione è che tutti i comunisti che si agitano in questo pandemonio siano sinceri. Che tutti dicano ciò che pensano e facciano ciò che dicono. In questo modo, ciascuno avrebbe, nel caos rosso, un proprio gioco, che eseguirebbe fino alla fine.
Non dispongo di elementi per discutere, in questa sede, se l’alluvione di spiegazioni nate da questo presupposto siano completamente obiettive. Ma mi pare poco prudente e contrario alle leggi della logica ammettere – come punto di partenza per una visione così ampia dell’attuale realtà comunista – un presupposto che non sia stato previamente sottoposto a una analisi accurata.
Senza avviare ora questa analisi, desidero trasmettere ai lettori alcune osservazioni e riflessioni che forse li possono aiutare a intraprendere da soli questo lavoro.
In primo luogo, notiamo che la separazione Russia-Cina, così vistosamente proclamata dalla stampa di queste due potenze, è assai meno profonda di quanto sembra. Tra i due “grandi” del comunismo persistono punti di contatto di vitale importanza, ma accuratamente lasciati in ombra da entrambi. Così, Mosca e Pechino continuano ad appoggiare il Vietnam del Nord, e lo fanno con tanto entusiasmo e vigore che Nixon pensa di essere costretto ad abbandonare gradualmente il Vietnam del Sud alla sua triste sorte.
In secondo luogo, non dimentichiamo che Ciang Kaiscek non sbarca le sue truppe sulla Cina continentale, per iniziarvi la contro-rivoluzione, solo perché gli Stati Uniti glielo proibiscono. E qual’è la ragione di questa proibizione? Gli Stati Uniti potrebbero forse essere sconfitti dalla Cina? Evidentemente no. Se lo sbarco dei cinesi in appoggio agli anticomunisti della loro patria non avviene, è perché gli Stati Uniti temono rappresaglie sovietiche. Per tutte queste ragioni è giocoforza ammettere che la Russia e la Cina non sono poi tanto divise; e che entrambe nascondono qualcosa dietro la ostentata separazione.
Ma qualche lettore chiederà quale vantaggio tutte queste apparenti divisioni del comunismo portano al suo gioco. Non è evidente che il caos porta solo svantaggi?
Da parte mia, trovo che a questo punto l’avverbio “solo” sia molto azzardato. Infatti alcuni vantaggi li vedo chiaramente. Ora ne indicherò soltanto uno.
Da molti anni Mosca sta tentando di instaurare una vigliacca “coesistenza pacifica” con l’Occidente. Mirando a questo modo alla smobilitazione della reazione anticomunista mondiale, i dirigenti del Cremlino hanno messo in campo tutte le loro risorse propagandistiche. Invano. La grandissima maggioranza degli occidentali ha sospettato trattarsi di una manovra, ed è rimasta ostinatamente fredda.
Ora, con il frazionamento del monolito, il sospetto è diminuito. Il comunismo ha cominciato a sembrare meno machiavellico. Ha assunto un tono di spontaneità nelle sue reazioni, di apertura nel rivelare le sue ferite interne, di maggiore sincerità, in una parola.
Bisogna aggiungere che i diversi frantumi nel magma comunista vanno assumendo un aspetto curioso. Vi è un pezzo per tutti i gusti. Chi nel mondo occidentale ha il gusto della libertà, dell’avventura, della sfrontatezza può lasciarsi sedurre dal comunismo marcusiano. Chi ama i drammi sentimentali, può intenerirsi con le disavventure degli intellettuali comunisti perseguitati in Russia. Chi, invece, ama l’ordine, l’organizzazione, il metodo, ha in Duclos il paradigma dell’uomo che pensa, intelligente e fermo. Chi apprezza l’aggressione, la violenza, il delitto, non ha più bisogno di fare ricorso ai romanzi gialli: legga la vita del Che e di Camilo Torres, o mediti sui pensieri di Mao Tse-tung. Se invece qualcuno apprezza il dialogo, volga lo sguardo verso l’astuto PC italiano. Se qualcuno si aspetta tutto da una politica di reciproche concessioni, guardi a Ceausescu e a Tito. Insomma, si direbbe che, come il classico plateau de fromages francese, in cui vi sono formaggi per tutti i gusti, anche il comunismo attuale è un enorme plateau di comunismi, con varietà di comunismo per tutte le voglie.
Sì, per tutte, anche per quella di una certa destra. Infatti, che cosa può a essa riuscire più gradito della dittatura post-comunista che qualche Kuznetsov vede emergere dalla Russia di oggi?
Smobilitazione della diffidenza universale, apertura di incontestabili zone di simpatia in tutta l’opinione pubblica mondiale: niente serve meglio la causa della coesistenza insidiosa proposta dalla Russia … mentre si sta armando fino ai denti.
Se, quindi, questo frazionamento del blocco comunista porta consistenti vantaggi alla sua causa, bisogna per forza chiedersi se questo plateau de fromages offerto al mondo dall’orso comunista non sia una grande manovra.
Una manovra che, ovviamente, si serve di molta gente che non si rende conto di favorirla …
PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA