Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Cristianità n. 332 (2005)
Quarant’anni fa, dopo la chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), avvenuta l’8 dicembre 1965, il pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) segnalava l’importanza dell’avvenimento in un articolo, Encerrado o Concilio: momento de importancia trascendente na historia da humanidade, pubblicato senza firma sulla rivista mensile Catolicismo (anno XVI, n. 181-182, Campos [Rio de Janeiro] gennaio-febbraio 1966, p. 6; per la certicazione dell’autore, cfr. ibid., anno LII, n. 623, San Paolo novembre 2002, p. 8, nella rubrica Correspondência). Traduzione redazionale.
Il cattolico autentico sa che la storia della Chiesa è il centro della storia dell’umanità. Insistiamo sull’espressione: proprio “dell’umanità” e non solo dei popoli cattolici.
Infatti la storia dell’umanità può essere vista da due angolazioni diverse. In primo luogo, come la storia della salvezza delle anime. In secondo luogo, come la storia dell’edificazione della civiltà autentica.
Circa la salvezza delle anime di tutti gli uomini, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, è indubbio che, poiché la Chiesa è lo strumento visibile istituito dal divino Redentore a questo fine, la storia del suo sviluppo — sia per quanto si riferisce alla sua crescita interna in santità, sia alla sua espansione su tutta la terra — è al centro della Storia.
Anche dal punto di vista dell’edificazione della civiltà autentica l’importanza della Chiesa è primaria. Infatti essa è custode e interprete dei Dieci Comandamenti della Legge di Dio, che sono la base di tutta la morale. A sua volta la conoscenza della morale vera e perfetta è la base della civiltà perfetta, che è la civiltà cristiana. Inoltre, la Chiesa è dispensatrice generosissima e sovrabbondante della grazia. E senza questa gli uomini non possono praticare integralmente e durevolmente la morale cristiana. In altri termini, benché la grazia sia data a tutti, la civiltà cristiana deriva dalla Chiesa, dal momento che può esistere soltanto dove esiste la Chiesa. Così, da un’angolazione o dall’altra — e per altro queste angolazioni si compenetrano, dal momento che la civiltà cristiana crea le condizioni di vita terrena completamente favorevoli alla vita delle anime —, la Chiesa è veramente e realmente al centro della storia dell’umanità.
Queste verità ci sono venute alla mente a proposito della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Nella misura in cui si va lentamente operando la presa di distanza storica, e che il fragore dei notiziari e delle polemiche viene cessando, agli occhi dei contemporanei si viene componendo a poco a poco la fisionomia con la quale la grande Assemblea verrà vista dalla Storia. E, in questo modo, veniamo notando con chiarezza ancora maggiore una delle caratteristiche del Concilio, cioè il portentoso interesse che ha suscitato in tutti gli angoli della terra e in tutti i settori dell’opinione pubblica.
Questo interesse dimostra adeguatamente che anche quanti sono fuori dalla Chiesa hanno colto il fatto che — bon gré, mal gré — le decisioni conciliari avevano avuto ripercussioni molto profonde anche in loro. Sorprendente manifestazione dell’universalità soprannaturale della santa Chiesa, alla cui azione non si possono sottrarre né i figli più radicalmente separati, né gli avversari più accanitamente furiosi. Infatti, i ruggiti di alcuni settori comunisti hanno provato, attraverso l’incremento dell’odio, che, di fronte al Concilio, nessuno poteva essere indifferente.
Un’altra manifestazione dell’universalità della Chiesa è stata data dal santo Sinodo agli occhi dell’umanità rapita. Si può dire che, nella persona dei loro vescovi, tutti i popoli della terra vi sono stati presenti. La Chiesa ha dato così la testimonianza che, in mezzo a innumerevoli difficoltà, realizzava gloriosamente il divino mandato di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni (cfr. Mt. 28, 19). Ai piedi della Cattedra di san Pietro, attorno al Santo Padre Paolo VI, si sono riuniti in un’immensa Epifania tutte le genti. E, a questo titolo, la sacra Assemblea, convocata con un gesto immortale da Giovanni XXIII e orientata da Paolo VI, con tanta e tanto costante sollecitudine, è stata per la Chiesa una manifestazione di prestigio che resterà registrata nei fasti dell’umanità fino alla fine del mondo.
Chiaramente questo prestigio rifluisce verso la persona augusta del Vicario di Cristo, il Papa Paolo VI, che entra nella fase postconciliare con mezzi straordinari per esercitare con ampiezza e con profondità la divina missione che gli ha affidato Nostro Signore Gesù Cristo.
L’opera realizzata dal Concilio è troppo vasta e ricca d’aspetti perché se ne possa dare una visione d’insieme in un articolo. Non sappiamo se basterebbe per farlo un libro intero.
Tuttavia, è incontestabile che la chiusura del Vaticano II segna uno dei momenti più solenni della Storia.
Prendendo in considerazione l’opera del Concilio dal punto di vista della storia dell’umanità, si può dire che l’augusta Assemblea, tenendo presente lo stato di crisi, di confusione e di logoramento a cui è giunto il mondo contemporaneo, come pure il rischio di un cataclisma atomico di proporzioni apocalittiche, ha deciso di fare una mossa senza precedenti.
Infatti, in tutte le deliberazioni conciliari si nota l’impegno a fare le maggiori concessioni, i maggiori sacrifici al fine di attirare la benevolenza di quanti si trovano separati dalla Chiesa. E, con il calore di questa benevolenza, il sacro Sinodo spera di toccare i cuori più induriti, di dissolvere i preconcetti più tenaci e di disarmare gli odi più furiosi. In questo modo i Padri Conciliari hanno sperato di aprire la via affinché la verità finalmente penetri nelle zone ideologiche in cui domina l’errore. E affinché l’umanità riconciliata possa godere dei benefici della pace.
Indubbiamente il Concilio non ha concepito quest’opera come tale da poter produrre tutti i suoi effetti da un momento all’altro. Esso non ha fatto altro che aprire vie d’accesso, con un gesto di un’ampiezza tale che, da un certo punto di vista, si potrebbe definire inimmaginabile. E indirizzare a tutti quanti vagano lontano dalla Chiesa un pressante invito a percorrere queste vie e ad avanzare in esse passo dopo passo.
Si potrebbe dire che l’invito alle nozze del figlio del re (cfr. Mt. 22, 1 ss.) non è mai stato tanto largo, tanto enormemente largo.
Che cosa faranno gl’invitati? A loro la parola.
Questo dialogo, nel quale il Concilio ha detto la prima parola, riassumerà tutta la storia contemporanea. Nel caso in cui gl’invitati accettino la chiamata e inizino il grande ritorno alla fede cattolica conosciuta nella totalità e nell’autenticità delle sue verità, e praticata nella pienezza della vita soprannaturale come pure nella soave e sublime austerità dei Comandamenti di Dio, non vi è bene che non si possa prevedere.
Se, al contrario — quod Deus avertat — un tale fatto non si realizzi, allora non sarà possibile impedire che l’umanità continui a scivolare di errore in errore verso un abisso le cui tenebrose profondità sono insondabili per l’occhio umano.
Viene così adeguatamente indicata la parte storica, di straordinaria importanza, del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Prendendo in considerazione la grandezza di questo momento storico con un atteggiamento di raccoglimento religioso, di commossa contemplazione e di fiduciosa preghiera, ci anima una certezza. Che, qualunque sia la direzione degli avvenimenti, si realizzerà la promessa di Fatima, che si fa udire nella nostra interiorità come un cantico celeste: “Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà”.
Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995)