Ettore Gotti Tedeschi, Cristianità n. 363 (2012)
Articolo ripreso da L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 20-1-2012, con la cortese autorizzazione dell’autore e del quotidiano.
La situazione economico-finanziaria che stiamo vivendo è epocale: i nostri nipoti la studieranno sui libri di storia, e non solo di quella economica. Ci troviamo di fronte a un nuovo ordine economico mondiale provocato dal crollo delle nascite in Occidente, dalla globalizzazione accelerata che ha delocalizzato troppe produzioni in Asia, dividendo il mondo fra Paesi consumatori e non produttori e Paesi produttori ma non ancora consumatori. Il nuovo scenario attuale è dovuto in sostanza alla crescita consumistica a debito, insostenibile, nel mondo occidentale.
Viste le recenti reazioni di molti Paesi, sembra che, in queste condizioni, “fare l’Europa” per risolvere la crisi sia un progetto persino limitato. Bisognerebbe quindi riflettere se non valga la pena di “fare l’Occidente”, in un’unione fra Stati Uniti ed Europa per superare le attuali difficoltà.
Il ciclo economico che genera la crisi nasce oltreoceano. Il problema recente di crisi di liquidità sui mercati finanziari peggiora soprattutto con il collocamento del debito sovrano statunitense. Ma è l’intero Occidente che deve ritrovare una posizione competitiva per creare occupazione, senza competere al suo interno, beccandosi come i manzoniani capponi di Renzo. Per raggiungere questo traguardo sono necessari cooperazione e accordi globali, visto che quelli europei non bastano.
Si pensi che la produttività europea media è inferiore del 25 per cento rispetto a quella statunitense. La crescita necessaria ad assorbire il debito deve essere quindi coordinata all’interno di un grande sistema economico, che sia comparabile a quello asiatico visto in prospettiva. Questo grande sistema economico è l’Occidente — Stati Uniti ed Europa insieme — che ancora oggi vale più del 50 per cento del PIL mondiale e conta un miliardo di abitanti. Non cresce, è vero, ma è ancora enorme e per ora resta insuperato. Insieme, Stati Uniti ed Europa “valgono” più di 25.000 miliardi di euro, mentre la Cina non arriva ancora a 4.500.
All’interno dell’area economica occidentale si assiste però a una competizione egoistica che vede i rispettivi Paesi gareggiare per collocare sui mercati i propri debiti sovrani, o di Stato, cresciuti negli ultimi quindici anni di più del 50 per cento. Per finanziare la crescita a debito nello stesso periodo, ogni nazione ha usato la leva del debito, pur in modo diverso.
I Paesi che per tradizione sostengono lo Stato sociale hanno usato il debito direttamente. Altri hanno usato la leva del debito privato, soprattutto quello delle famiglie. Altri ancora hanno fatto indebitare le imprese o le banche. Il debito di un sistema è costituito da quattro debiti, distinti finché si pagano, ma che diventano di Stato in caso di insolvenza. Se le famiglie o le imprese non pagano, sono infatti le banche a soffrirne e per salvarle interviene lo Stato, che così nazionalizza il debito. Non vi è però domanda illimitata di debiti sovrani: se la loro offerta cresce del 50 per cento in breve tempo, non sarà facile sottoscriverla, si creerà competizione nel collocamento e alcuni Paesi, classificati più rischiosi, non riusciranno a finanziarsi. Sarà quindi necessario aumentare i tassi, peggiorando la situazione. Il paradosso sta nel fatto che tassi considerati oggi alti e insostenibili in realtà non lo sono, essendo solo remunerativi: sembrano più alti dopo un lungo periodo di tassi tenuti artificialmente bassi per sostenere il debito contratto, escludendo l’ipotesi di inflazione.
Lo sgonfiamento del debito in questo sistema competitivo di collocamento che fa aumentare i tassi diventa difficile, se non rischioso, perché stimola la tentazione di una soluzione apparente e di respiro breve: fare crescere le tasse.
Per ridurre il debito del mondo occidentale è invece necessaria un’autentica crescita economica, che richiede il ritorno alla competitività produttiva. Bisogna quindi produrre all’interno e importare di meno, o addirittura invertire i flussi di importazione ed esportazione.
Ma il mondo è cambiato. Oggi l’Asia è fornitore e l’Occidente consumatore senza più redditi e risparmi, e a risentirne è l’occupazione. Il mondo va allora riequilibrato: per interesse globale, non egoistico. E per ritrovare competitività è necessario un sistema meno costoso, più efficiente, meno viziato da un assistenzialismo eccessivo. L’Europa deve avvicinarsi agli Stati Uniti e, a breve, porre mano alle necessarie riforme. Riuscirci in poco tempo sarà difficile. Sarà per questo necessaria una visione comune, basata su una vera solidarietà fra nazioni.