MASSIMO INTROVIGNE, Cristianità n. 195-196 (1991)
Il problema delle nuove religioni nel quarto Concistoro straordinario
Nei giorni dal 4 al 7 aprile 1991, nell’aula del Sinodo, in Vaticano, si è tenuto il quarto Concistoro straordinario, presieduto dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, Concistoro che ha attirato l’attenzione della Chiesa universale su due temi emergenti come priorità pastorali negli anni Novanta: le minacce contemporanee contro la vita, con particolare riguardo all’aborto, e il sorgere e il diffondersi di “sette” o nuovi movimenti religiosi.
L’attenzione — accanto al tema dell’aborto (1) — alla questione dei nuovi movimenti religiosi conferma la rilevanza pastorale primaria di questa problematica, non sempre facile da intendere in un paese come l’Italia dove, con la sola consistente eccezione dei testimoni di Geova, tali movimenti — pure numerosi — hanno finora attirato nelle loro file una percentuale della popolazione relativamente bassa, specialmente rispetto a paesi come il Giappone, le Filippine, l’intero continente africano e numerose aree dell’America Latina (2). La Chiesa — che “ragiona” in una prospettiva universale — considera il problema in tutta la sua gravità. Sarebbe del resto sbagliato valutare l’importanza delle nuove religioni facendo riferimento soltanto al dato statistico dei loro aderenti. Infatti, al di là di esse, si diffonde una nuova religiosità, che interessa cerchie sempre più vaste di persone e penetra fra gli stessi fedeli cattolici. Così, statistiche relative ai paesi della Comunità Europea rivelerebbero che un europeo su quattro crede nella reincarnazione (3); se la statistica è esatta, è lecito supporre — e del resto altri dati lo confermano — che fra costoro vi sia un buon numero di cattolici, e anche di cattolici praticanti. In Concistoro non si è mancato di definire “preoccupante […] la silenziosa penetrazione fra i Cristiani di movimenti non-Cristiani che favoriscono la doppia appartenenza. Questi movimenti guadagnano terreno al di là dei propri confini attraverso la diffusione di credenze e pratiche che sono contrarie alle verità essenziali della fede” (4). Si avrebbe dunque torto a sottovalutare la rilevanza della nuova religiosità anche in paesi come l’Italia dove le nuove religioni hanno un numero relativamente limitato di aderenti.
Un’altra ragione di attenzione particolare al fenomeno delle nuove religioni è costituita — come in Concistoro è stato ripetutamente rilevato — dal loro carattere di vera e propria cartina di tornasole in grado di rivelare le debolezze della stessa presenza pastorale della Chiesa. Le nuove religioni — per usare un’espressione di Carl Gustav Jung, autore tutt’altro che estraneo alla nuova religiosità contemporanea — costituiscono in un certo senso l’“ombra” della pastorale cattolica, ne rivelano le aree di maggiore presenza, ma anche i punti deboli. Se in un’area geografica, sociale o generazionale le nuove religioni si sviluppano in modo sorprendentemente rapido o abnorme, è lecito supporre che in quell’area la pastorale cattolica abbia qualche cosa da rimproverarsi. Lungi dal costituire un “alibi” (5) che rischierebbe di distogliere dai problemi intra-ecclesiali, lo studio delle nuove religioni — al contrario — induce e quasi costringe a riflettere anche sui problemi interni della Chiesa. Del resto, appunto ai problemi sollevati da discutibili correnti teologiche cattoliche — che, promuovendo una visione relativistica del rapporto fra le grandi religioni storiche, finiscono per favorire il diffondersi di varie forme di nuova religiosità — è stata dedicata una delle due relazioni generali della parte del Concistoro relativa ai nuovi movimenti religiosi, svolta dal card. Jozef Tomko, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, sul tema La sfida delle Sette e l’annuncio di Cristo unico Salvatore (6).
Riducendo al minimo le considerazioni a margine, intendo proporre una sintesi della relazione generale del card. Francis Arinze, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, sul tema La sfida delle Sette o nuovi movimenti religiosi: un approccio pastorale. Infatti, mi sembra doveroso far conoscere a una cerchia più vasta di quella degli “addetti ai lavori” un testo di notevole importanza che — pur richiamando il documento del 1986 Sette o Nuovi Movimenti Religiosi: sfida pastorale — tiene indubbiamente conto dei progressi della ricerca scientifica sul tema che, se nel 1986 — specialmente nel mondo cattolico — era per molti versi ai suoi inizi, nel successivo quinquennio si è articolata in una molteplicità di iniziative, di congressi e di pubblicazioni talora di notevole spessore. L’attenzione alla ricerca scientifica — e l’invito a tenerne conto — è appunto una caratteristica centrale del documento, il quale — a proposito della posizione dei vescovi — rileva anzitutto che “[…] in molti casi la mancanza di un’adeguata informazione può condurre o a nessuna azione pastorale o a una reazione eccessiva” (n. 1). La relazione si divide in sei parti, relative alla terminologia, alla tipologia dei nuovi movimenti religiosi, alle loro origini e alle ragioni della loro diffusione, ai problemi che pongono, e alle risposte pastorali rispettivamente generali e specifiche.
1. Terminologia
Il problema della terminologia (nn. 2-6) costituisce certamente una vexata quaestio per chiunque si occupi di nuove religioni. La stampa — come in genere chi adotta un atteggiamento ostile nei confronti del fenomeno — attacca spesso le “sette” o i “culti”; la ricerca accademica preferisce parlare di “nuove religioni” o “nuovi movimenti religiosi”. La relazione invita a riconoscere un dato di fatto: non vi è, a nessun livello, “una terminologia universalmente accettata” (n. 6). In particolare, la parola “setta” viene usata in un gran numero di significati.
“In America Latina, per esempio, vi è la tendenza ad applicare questo termine a tutti i gruppi non-Cattolici, anche quando questi appartengono alle Chiese Protestanti tradizionali” (n. 3); in Giappone — paradossalmente — il termine di solito tradotto con “setta” non ha un senso dispregiativo e indica una “scuola” legittima all’interno dello shintoismo o del buddhismo, mentre il termine “nuove religioni” — oggi peraltro largamente usato — è nato con un intento spregiativo. “Culto”, cult, ha un senso spregiativo in lingua inglese, ma implica realtà differenti — o non è facilmente comprensibile — in aree linguistiche diverse da quella anglofona.
La relazione prende posizione contro l’uso indiscriminato della parola “setta” e, seguendo la pratica più comune negli ambienti accademici, suggerisce di riferirla ai gruppi che hanno “un retroterra cristiano” (n. 6), ma sono diversi dalle “Comunità Ecclesiali Protestanti” (ibidem). Per i gruppi che non hanno un retroterra cristiano si raccomanda di utilizzare altri termini, come “nuove religioni”. All’interno dei gruppi con un retroterra cristiano la relazione riconosce che le distinzioni fra “sette” e “comunità ecclesiali protestanti” sono agevoli fra i gruppi che si situano agli estremi di un continuum — per esempio i luterani sono certamente una “comunità protestante”, e i testimoni di Geova sono certamente una “setta” —, mentre diventano molto più difficili nell’ambito del cosiddetto neo-protestantesimo dei “gruppi neo-pentecostali e gruppi evangelici fondamentalisti” (ibidem). La relazione suggerisce di studiare questi ultimi gruppi nell’ambito della categoria più generale di “”Nuovi Movimenti Religiosi” (abbreviato in NMR)” (ibidem), denominandoli “nuovi movimenti di origine protestante” (ibidem). Più in generale ritiene utile — in assenza, come si è accennato, di un consenso universale sulla terminologia — parlare di “Nuovi Movimenti Religiosi” (ibidem) come categoria “abbastanza generale da includere i nuovi movimenti di origine protestante, le sette con un retroterra cristiano, i nuovi movimenti orientali o africani e quelli di tipo gnostico o esoterico” (ibidem).
La messa in guardia contro l’uso generalizzato del termine “setta” sarà certamente accolta con favore dagli specialisti, anche se gli interventi di vari porporati nello stesso Concistoro mostrano come la terminologia è tutt’altro che uniforme: un cardinale latinoamericano ha elencato fra le “sette” i battisti, che ben pochi specialisti escluderebbero dal mondo protestante. Per quanto riguarda l’uso del termine “nuovi movimenti religiosi” è importante notare — e il documento se ne rende conto — che si tratta di una scelta di tipo convenzionale: infatti, non tutti i movimenti in questione sono “nuovi” o presentano nello stesso modo il carattere della novità, dal momento che alcuni hanno pochi anni, altri alcuni secoli; né di tutti si può dire con certezza che siano “religiosi”, poiché alcuni sono piuttosto gnostici o magici: ma, naturalmente, anche dell’aggettivo “religioso” sono state proposte definizioni molto diverse. Inoltre, chi legge il documento dovrà tenere conto che il termine “nuovi movimenti religiosi” viene spesso usato — soprattutto dai sociologi — in un’accezione più restrittiva, per indicare soltanto i movimenti di origine recente, quindi con esclusione delle “sette” con retroterra cristiano nate nel secolo scorso, come i testimoni di Geova o i mormoni. D’altro canto l’espressione “nuove religioni” non manca di porre analoghi problemi, e lo stesso vale per formulazioni meno usate — che pure il documento richiama — come “religioni marginali, movimenti religiosi liberi, movimenti religiosi alternativi, gruppi religiosi marginali” (n. 5), che sono difficili da precisare, se non si fa riferimento a un’area geografica specifica: per esempio, i mormoni non sono certamente “alternativi” o “marginali” nello Utah, mentre — da un punto di vista strettamente sociologico — la Chiesa cattolica è certamente una presenza “marginale” in Arabia Saudita o in Mauritania.
2. Tipologia
Nella seconda parte (nn. 7-9), la relazione fa cenno a tre diverse tipologie che sono state proposte per mettere ordine all’interno della multiforme galassia della nuova religiosità.
a. La prima distinzione che il documento richiama è di carattere fenomenologico, e si ritrova già nei primi autori cattolici e protestanti che si sono accostati al fenomeno negli anni Cinquanta e Sessanta. Questa tipologia distingue fra:
— “movimenti provenienti dalla Riforma Protestante” (n. 7), in particolare correnti neo-protestanti di tipo evangelico-pentecostale o fondamentalista;
— “sette con radici cristiane ma con considerevoli differenze dottrinarie” (ibidem), come, per esempio, testimoni di Geova e mormoni;
— “movimenti provenienti da altre religioni” (ibidem);
— “movimenti derivati da un background umanitario o cosiddetto “potenziale umano”” (ibidem), come molti gruppi del New Age e “religioni del potenziale umano” come la Scientologia;
— “movimenti derivanti da un “potenziale divino” che si trova particolarmente nelle tradizioni religiose orientali” (ibidem);
— “nuovi movimenti religiosi nati attraverso contatti fra le religioni universali e le culture religiose primitive” (ibidem), come le Chiese Africane Indipendenti e i movimenti profetici o messianici sempre in Africa.
Questa tipologia fenomenologica è stata largamente utilizzata per anni, ma in molti casi fra le diverse categorie “[…] la distinzione non è sempre chiaramente definita” (ibidem) e i confini fra i vari gruppi rimangono fluidi.
b. Una seconda tipologia è di tipo epistemologico e distingue quattro gruppi di nuovi movimenti religiosi, a seconda del “background di Sistema di Conoscenza” (n. 8):
— gruppi “basati sulla Sacra Scrittura” (ibidem), a cui spesso aggiungono altre scritture sacre: benché, per alcuni versi, siano più vicini al cristianesimo, sono spesso i più aggressivi nei confronti della Chiesa cattolica;
— movimenti che traggono il loro sistema di conoscenza “da altre religioni come l’induismo, il buddhismo o le religioni tradizionali” (ibidem), talvolta assumendo “in maniera sincretista elementi provenienti dal cristianesimo” (ibidem);
— movimenti che ritornano “al paganesimo” (ibidem) con “elementi di magia” (ibidem);
— movimenti di tipo “gnostico” (ibidem), i quali propongono “una strada che non richiede decisioni morali ma offre soltanto “illuminazione”” (ibidem).
c. La terza distinzione presa in esame è di tipo dottrinale, e su questa la relazione vuole attirare particolarmente l’attenzione, giacché “la Chiesa […] non può astenersi dal giudicare” (n. 9) e non può limitarsi a una pura fenomenologia. Da questo punto di vista la relazione fa cenno a una tipologia che distingue quattro categorie di movimenti “a seconda della loro distanza dalla visione cristiana del mondo” (ibidem):
— movimenti “che rifiutano la Chiesa” (ibidem), secondo la formula “Cristo sì, Chiesa no”;
— movimenti “che rifiutano Cristo” (ibidem), secondo la formula “Dio sì, Cristo no”;
— movimenti “che rifiutano il ruolo di Dio (e mantengono ancora un senso generico di religione)” (ibidem), secondo la formula “religione sì, Dio no”;
— movimenti “che rifiutano il ruolo della religione (e mantengono un senso del sacro, ma manipolato dall’uomo per poter acquisire potere su altri o sul cosmo)” (ibidem) (7), secondo la formula: “sacro sì, religione no” tipica di quelli che “[…] alcuni sociologi preferiscono chiamare “nuovi movimenti magici”” (ibidem) (8).
Comunque, la relazione ricorda che — se le tipologie sono, da un certo punto di vista, indispensabili in presenza di migliaia di movimenti diversi — occorre sempre tener conto dei loro limiti, evitare le “generalizzazioni” (ibidem) di cui “la letteratura sui NMR è piena” (ibidem), e cercare di non “proiettare in tutti loro la piccola parte di realtà che una persona osserva” (ibidem): “[…] non ci si dovrebbe impegnare in una condanna indiscriminata o in generalizzazioni — prosegue il documento —, applicando a tutti i NMR gli aspetti più negativi di alcuni. I NMR non dovrebbero essere neppure giudicati incapaci di evolversi in un senso positivo” (ibidem). Infatti, spesso lo specialista deve rilevare che le opinioni sulle “sette” facilmente trasmesse dalla letteratura più divulgativa o dalla stampa pretendono di dare valore generale e di applicare alle migliaia di nuovi movimenti religiosi diversissimi fra loro osservazioni e riflessioni ricavate dall’esame di qualche decina di movimenti, se non di tre o quattro. In Italia, spesso, si generalizzano osservazioni sui testimoni di Geova; in America, i sociologi hanno notato che l’idea, generalmente ostile, della maggioranza del corpo sociale su tutti i nuovi movimenti religiosi dipende in larga parte da campagne condotte dapprima contro i Bambini di Dio e poi contro i Big Three — i “tre grandi” fra i nuovi movimenti religiosi — cioè la Chiesa dell’Unificazione, gli Hare Krishna e la Scientologia.
3. Origine dei nuovi movimenti religiosi e ragioni della loro diffusione
La terza parte della relazione (nn. 10-18) prende in considerazione l’origine dei nuovi movimenti religiosi — che segue percorsi assai complessi e diversi negli Stati Uniti, in America Latina, in Africa, in Asia e in Europa — e soprattutto le ragioni della loro diffusione. Il documento indica in particolare otto motivazioni per l’attuale diffusione dei nuovi movimenti religiosi.
a. Anzitutto, i nuovi movimenti religiosi confermano — anche nella nostra epoca secolarizzata — la perdurante “esistenza di bisogni spirituali” (n. 10), che spesso “[…] non sono stati identificati, oppure che la Chiesa e altre istituzioni religiose non hanno percepito o a cui non hanno saputo rispondere” (ibidem). Con questa osservazione la problematica dei nuovi movimenti religiosi viene ricondotta alle sue dimensioni specificamente religiose, superando le facili spiegazioni monocausali e i riduzionismi di tipo psicologico o politico-economico.
b. Dal punto di vista sociologico “un periodo di cambiamenti culturali, che genera un senso di smarrimento” (n. 11) può portare molte persone, attraverso meccanismi di reazione molto vari, ad aderire all’uno o all’altro tipo di nuovi movimenti religiosi.
c. La maggior parte delle persone che vanno a ingrossare le file dei nuovi movimenti religiosi sono cristiani, spesso cattolici. In questa prospettiva può spingere verso i nuovi movimenti religiosi una “sete di conoscenza delle Scritture, di cantare, danzare, di avere soddisfazioni emotive e risposte chiare e concrete” (n. 12). La confusione teologica e le condanne affrettate della cosiddetta religiosità popolare possono, in questo senso, aver favorito l’espansione dei nuovi movimenti religiosi.
d. Anche fuori dall’ambito cristiano, molte persone si rivolgono ai nuovi movimenti religiosi alla ricerca della “guarigione fisica e psicologica” (n. 13), della “protezione contro la stregoneria, il fallimento, la sofferenza, la malattia e la morte” (ibidem). Sono riferimenti che non devono stupire e che interessano “milioni di persone, compresi i cristiani” (ibidem): tutti gli specialisti di nuove religioni africane — un fenomeno immenso, che secondo alcuni coinvolgerebbe ormai il venti per cento della popolazione del Continente Nero — hanno sottolineato come moltissimi africani lascino la Chiesa cattolica e le comunità protestanti aderendo ai nuovi movimenti religiosi locali e accusando le Chiese maggioritarie di non prendere sufficientemente sul serio la stregoneria, l’azione del Demonio e le “fatture” degli stregoni, da cui sentono un vivo bisogno di essere protetti.
e. Vi sono, indubbiamente, “punti deboli nel ministero pastorale e nella vita delle comunità cristiane che possono essere sfruttati dai NMR” (n. 14) e che ne spiegano la crescita. La relazione cita la scarsità del clero, l’ignoranza della dottrina cattolica, le parrocchie troppo vaste e impersonali, il clericalismo e l’emarginazione dei laici, la freddezza e il disordine liturgico, l’intellettualismo delle omelie e la confusione teologica quanto al “genuino insegnamento cattolico sulla salvezza unicamente nel nome di Gesù Cristo, sulla necessità della Chiesa, e sull’urgenza dell’attività missionaria e della conversione” (ibidem).
f. “Non si devono escludere — secondo la relazione — considerazioni finanziarie” (n. 15): soprattutto “in alcune parti dell’Africa e dell’America Latina” (ibidem) vi sono casi di “fondatori delle sette [che] si sono ben presto arricchiti” (ibidem), o dove l’avversione di certi ambienti politici ed economici verso la dottrina sociale della Chiesa li spinge a favorire i nuovi movimenti religiosi. Si tratta peraltro di considerazioni che non valgono per tutti i gruppi, e che non devono essere neppure sopravvalutate.
g. Molti nuovi movimenti religiosi — il cui spessore dottrinale è certamente modesto — sono assai più sofisticati dal punto di vista dei metodi di proselitismo. Alcuni di questi metodi sono “contrari allo spirito evangelico” (n. 16) e anche “assolutamente sleali” (ibidem), per quanto riguarda le “procedure di indottrinamento” (ibidem), la “distribuzione di denaro” (ibidem), la diffamazione organizzata delle Chiese e delle comunità maggioritarie e in particolare della Chiesa cattolica. Tuttavia “[…] non basta condannare questi metodi” (ibidem), e inoltre “non tutti i metodi meritano disapprovazione” (ibidem).
Anzi — per quanto riguarda vari nuovi movimenti religiosi — “il dinamismo della loro azione missionaria, la responsabilità evangelizzatrice assegnata al nuovo “convertito”, il loro utilizzo dei mass-media, il mettere in risalto gli obiettivi da ottenere, potrebbero farci porre domande su come rendere più dinamica l’attività missionaria della Chiesa” (ibidem).
h. Infine, “non dovremmo escludere, fra le spiegazioni del sorgere e della diffusione di sette o NMR, l’azione del diavolo” (n. 17). Questo non significa, naturalmente, immaginare evocazioni notturne del Diavolo compiute dai dirigenti o dai membri dei nuovi movimenti religiosi. Al contrario, l’azione del Diavolo è normalmente “sconosciuta alla gente coinvolta” (ibidem): ma non è meno reale, giacché la presenza di zizzania e di confusione nel campo dell’evangelizzazione induce a concludere che “un nemico ha fatto questo” (9).
4. Problemi e sfide posti dai nuovi movimenti religiosi
I problemi e le sfide posti dai nuovi movimenti religiosi — oggetto della quarta parte della relazione (nn. 19-28) — non sono “né pochi di numero né di poco peso”. Il documento mette in evidenza in particolare tre tipi di sfide.
a. Vi è anzitutto una sfida sociale, giacché “alcuni NMR” (n. 26) — non tutti: si tratta di un punto su cui è particolarmente importante evitare le generalizzazioni — possono produrre “danni psicologici sugli individui” (ibidem) o rifiutarsi di “insegnare ai loro membri a essere cittadini responsabili che si interessano di adempiere i propri doveri verso gli altri” (n. 27). Comunque, qualche “caso estremo” (ibidem) non deve essere esteso indebitamente a tutti i nuovi movimenti religiosi.
b. Vi è, inoltre, una sfida culturale che va al di là della cerchia degli aderenti ai nuovi movimenti religiosi: idee come la reincarnazione, l’“auto-realizzazione […] esaltata più della vita di grazia” (n. 21), la sfiducia nella Chiesa gerarchica — diffuse da vari nuovi movimenti religiosi — possono infatti penetrare, e di fatto sono penetrate, anche all’interno della Chiesa cattolica. Quest’ultima, inoltre, patisce le conseguenze della propaganda aggressiva di alcuni nuovi movimenti religiosi nei confronti della Chiesa e della sua storia, talora oggetto di campagne di diffamazione sistematica: volutamente, in tutto il documento, non viene nominato alcun gruppo, ma il pensiero in questo caso corre ai testimoni di Geova. La presenza dei nuovi movimenti religiosi induce, infine, confusione quanto all’ecumenismo. Peraltro, “la distinzione fra relazioni ecumeniche e rapporti della Chiesa con le sette deve essere ancora attentamente considerata” (n. 20). Se è vero che l’enciclica Redemptoris missio distingue attentamente fra le “sette” e “le comunità ecclesiali con le quali essa [la Chiesa cattolica] intrattiene un dialogo” (10), non è meno vero che rimangono zone grigie di confine dove la distinzione fra comunità protestanti e “sette” non è ovvia, e vi sono aree geografiche dove “[…] le attività dei membri di alcune Comunioni Cristiane Mondiali con le quali la Chiesa cattolica è in dialogo teologico sono indistinguibili da quelle delle sette” (ibidem). Da questo punto di vista, ci si può chiedere perché alcuni porporati latinoamericani in Concistoro hanno incluso fra le “sette” gruppi protestanti come i battisti: se, dal punto di vista di una tipologia scientifica, questa classificazione è difficilmente accettabile, non è meno vero che esistono in America Latina gruppi battisti — e più in generale protestanti — che adottano nei confronti dei fedeli cattolici gli stessi metodi di proselitismo aggressivo che vengono rimproverati alle “sette”.
c. Anche in questa parte, la relazione privilegia comunque la sfida di carattere dottrinale. Per la Chiesa cattolica — che in questo senso si differenzia nettamente dai movimenti “anti-sette” di origine laicista — il problema principale non è di natura sociale, né è soltanto culturale: i nuovi movimenti religiosi destano preoccupazione perché “allontanano i cattolici dall’unità e dalla comunione della Chiesa” (n. 19), dono inestimabile di Gesù Cristo agli uomini, e inducono ad “abbandonare la […] fede” (n. 22). In qualche caso inoltre, a causa del loro scarso spessore dottrinale, i nuovi movimenti religiosi possono rapidamente deludere chi vi ha aderito, inducendolo finalmente a “guardare a tutta la religione come un inganno” (n. 23), e preparando così involontariamente “il terreno all’ateismo” (ibidem).
5. La risposta pastorale della Chiesa
Le parti quinta (nn. 29-33) e sesta (nn. 34-42) della relazione esaminano “[…] quale posizione pastorale la Chiesa debba adottare verso i NMR”, formulando alcune considerazioni sia di fatto, sia dottrinali, com’è nella natura del documento.
a. Dal punto di vista dei fatti, la relazione passa in rassegna le attività svolte nell’ambito della Chiesa cattolica dopo il documento del 1986 Sette o Nuovi Movimenti Religiosi: sfida pastorale. La Chiesa ha soprattutto incoraggiato “un maggiore studio” (n. 30) di una realtà non ben conosciuta. Nel 1988 quattro dicasteri della Curia Romana — il Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso, il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Non Credenti, il Pontificio Consiglio per la Cultura, il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani —, “hanno chiesto” (n. 32) alla Federazione Internazionale delle Università Cattoliche, la FIUC, di “avviare un progetto più grande di ricerca sui NMR” (n. 30), che — sotto la direzione del professor Michael Fuss, della Pontificia Università Gregoriana — ha una prima conclusione in quattro seminari internazionali, di cui uno tenuto nel maggio del 1991 a Omaha, nel Nebraska: “Più di 50 esperti dei 5 continenti stanno lavorando sul complesso progetto, ognuno per la sua disciplina, sotto l’aspetto teologico, sociologico, psicologico e altri” (n. 32). “I risultati della ricerca della FIUC saranno senza dubbio molto utili per il lavoro pastorale della Chiesa. La questione dei NMR non permette soluzioni rapide o facili. Analisi scientifiche e interdisciplinari sono elementi necessari per un approccio pastorale ben fondato e durevole” (ibidem). Accanto a questa iniziativa promossa dalla Curia Romana esistono iniziative culturali e pastorali di singole diocesi e di conferenze episcopali nazionali e regionali. La Chiesa guarda con attenzione anche a iniziative private in cui collaborano specialisti cattolici e non cattolici allo scopo di raccogliere e di confrontare osservazioni e dati. La relazione menziona specificamente una di queste iniziative: “Degno di nota è il Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR) di cui è presidente l’Arcivescovo di Foggia-Bovino. E composto da un comitato internazionale scientifico e ecumenico che ogni anno organizza convegni sulla sociologia religiosa. Il colloquio che è stato organizzato a Lugano nell’aprile 1990 sui nuovi movimenti religiosi in Europa era ricco di informazioni” (n. 31).
b. Dal punto di vista dei criteri dottrinali, la relazione spiega anzitutto che cosa l’atteggiamento pastorale della Chiesa “non dovrebbe essere” (n. 29), affermando che “non dovrebbe essere un attacco. Non dovrebbe essere negativo verso i loro membri, sebbene la Chiesa si debba difendere contro i NMR che la attaccano ingiustamente” (ibidem). Consapevole, come si è già osservato, che spesso — anche con buone intenzioni — vengono proposte generalizzazioni a partire dall’osservazione di pochi NMR fra i moltissimi che esistono, la relazione osserva: “Non dovrebbero essere fatte condanne indiscriminate dei NMR. I cattolici dovrebbero essere sempre pronti a studiare e identificare gli elementi o le tendenze che sono in se stessi buoni o nobili e dove sia possibile collaborare. Dovrebbero anche attendere allo studio e all’osservazione di movimenti che finora presentano un’immagine non chiara” (n. 33). Il documento esorta insieme alla vigilanza e al dialogo. Di fronte a “[…] quei NMR che perseguono una strategia aggressiva verso la Chiesa” (ibidem), pure “senza rifiutarsi di discutere con tali gruppi, la Chiesa deve considerare come difendersi con mezzi legittimi” (ibidem), ricordando che, se “la persona che è in errore dovrebbe sempre trovare nella Chiesa comprensione e prontezza al dialogo, […] con l’errore in sé non vi è possibilità di compromessi” (ibidem). Il dialogo con alcuni nuovi movimenti religiosi è certamente “possibile” (ibidem), ma insieme “particolarmente problematico” (ibidem) e da condurre “con la dovuta prudenza e discernimento” (ibidem), tenendo conto del fatto che per alcuni gruppi il “dialogo con la Chiesa cattolica” (ibidem) ha soprattutto lo scopo “di ottenere credibilità a livello mondiale” (ibidem). L’“apertura cattolica al dialogo” (ibidem) viene riaffermata, ma insieme si suggerisce di riservarlo a “pastori e […] persone ben preparate” (ibidem); al contrario, il dialogo “potrebbe essere inutile e dannoso per coloro non ben preparati al confronto con il forte proselitismo di alcuni NMR” (ibidem).
Se le considerazioni precedenti sono rivolte soprattutto ad extra, non mancano nella relazione indicazioni ad intra per la risposta pastorale della Chiesa, dal momento che “molti NMR attraggono i cattolici in luoghi dove nella comunità cattolica vi è disorientamento dottrinale o confusione” (n. 34). Il successo dei nuovi movimenti religiosi non di rado è favorito non soltanto dalla “ignoranza religiosa” (n. 35), ma anche dai “dubbi seminati da alcuni teologi cattolici e da altri che contestano alcuni insegnamenti del Magistero” (n. 34). Il documento raccomanda la diffusione dell’enciclica Redemptoris missio, che dovrebbe essere “studiata e meditata in modo sistematico in ogni diocesi e nazione” (ibidem), giacché — di fronte alla sfida dei nuovi movimenti religiosi — “è particolarmente importante che la comunità cattolica riceva un chiaro insegnamento sulla salvezza soltanto nel nome di Gesù Cristo, il Salvatore del mondo […] e sulla necessità della Chiesa come ordinaria via di salvezza” (ibidem).
Alcuni nuovi movimenti religiosi “pongono più l’accento sull’aspetto emozionale che su quello speculativo” (n. 38): per quanto cadano in un “eccesso” (ibidem), rispondono anche a esigenze e a bisogni reali. Prendendo lo spunto dalla loro sfida, “la dimensione dell’esperienza religiosa non dovrebbe essere dimenticata nella nostra presentazione del cristianesimo” (n. 37); anche le “celebrazioni paraliturgiche e popolari” (n. 38) dovrebbero essere rivalutate. Il documento raccomanda alcuni sacramentali e pratiche forse troppo rapidamente criticate o abbandonate, e che rispondono invece a esigenze che molti sono tentati di soddisfare nei nuovi movimenti religiosi: “l’acqua, la luce, il fuoco, l’incenso, il pane, il sale, le statue e le processioni” (ibidem), acqua benedetta, medaglie e scapolari.
Infine, i nuovi movimenti religiosi “[…] mostrano una grande attività laica” (n. 40), e attirano così l’attenzione sui pericoli di “un accentuato clericalismo” (ibidem), che “può emarginare il fedele laico e fargli vedere la Chiesa come un’istituzione guidata da funzionari burocratici ordinati” (ibidem).
“I NMR spesso attirano le persone che hanno fame di qualcosa di più profondo nella loro vita religiosa. Il pericolo è che essi a breve termine offrano qualcosa di buono ma che a lungo termine si generi confusione. Così persone attirate da loro possono perdere le loro radici cattoliche e nonostante una crescita temporanea essere alla fine lasciate in una situazione spirituale peggiore” (n. 41). Questa osservazione di carattere generale si accompagna all’invito a uno studio capillare, in ogni diocesi, della realtà dei nuovi movimenti religiosi, accompagnato da opportune meditazioni e istruzioni — di cui sono responsabili i singoli vescovi — “per la catechesi e la liturgia” (n. 42). In ogni caso — osserva il documento nel suo paragrafo conclusivo —, “di fronte alla dinamica attività dei NMR, i pastori della Chiesa non possono semplicemente procedere come prima senza una speciale attenzione”(n. 43). In questa prospettiva il fenomeno dei nuovi movimenti religiosi è insieme “una sfida e un’opportunità” (ibidem), in quanto induce a riconsiderare la situazione dottrinale e pastorale delle Chiese particolari.
“La Chiesa — conclude il documento — non deve aver paura.
“La Beatissima Vergine Maria è l’Aiuto dei Cristiani. Quando la Chiesa nella storia è stata minacciata da eresie, persecuzioni e scismi, Lei ha mostrato se stessa come madre. La Chiesa dovrebbe ardentemente pregarLa per un adeguato approccio pastorale al fenomeno dei NMR” (ibidem).
Massimo Introvigne
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(1) Per un’esposizione della relazione svolta dal card. Joseph Ratzinger e per alcune considerazioni a commento, cfr. Mauro Ronco, La Chiesa nella lotta fra la “cultura” della morte e la civiltà dell’amore, in Cristianità, anno XIX, n. 193-194, maggio-giugno 1991.
(2) Per la tesi della scarsa presenza in Italia delle religioni diverse da quella cattolica, cfr. Franco Giarelli, Religione e Chiesa in Italia, il Mulino, Bologna 1991.
(3) Cfr. le statistiche presentate al Seminario Internazionale del CESNUR, il Centro Sudi sulle Nuove Religioni, tenuto a Lugano nel 1990: “I nuovi movimenti religiosi in Europa”, in Cristianità, anno XVIII, n. 182-183, giugno-luglio 1990.
(4) Card. Francis Arinze, La sfida delle Sette o nuovi movimenti religiosi: un approccio pastorale, del 5-4-1991, n. 1. Cito dalla traduzione italiana dell’originale inglese — il testo ufficiale — predisposta dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso. Tutte le citazioni senza indicazione di fonte sono tratte da questo testo e i numeri fra parentesi rimandano alla suddivisione in paragrafi del testo italiano completo. Il testo apparso con lo stesso titolo in L’Osservatore Romano, 6-4-1991, è una sintesi del testo italiano, realizzato con la tecnica di omettere alcune parti, sì che tutto quanto è stato pubblicato nella sintesi si trova letteralmente nel testo completo.
(5) Per una segnalazione di questo pericolo in chiave polemica, cfr. Stefania Falasca, L’alibi, in 30 Giorni nella Chiesa e nel mondo, anno IX, n. 4, aprile 1991, pp. 28-32. Ci si può chiedere se articoli di questo genere non possono a loro volta — certo contro le intenzioni di chi li scrive — fornire “alibi” a quanti preferiscono risparmiare la non piccola fatica necessaria per studiare i nuovi movimenti religiosi e per comprendere le ragioni della loro presenza.
(6) Cfr. una sintesi, con lo stesso titolo, in L’Osservatore Romano, cit.
(7) La distinzione delle nuove religioni in quattro categorie, a seconda della loro distanza dalla visione cristiana del mondo, è da qualche anno utilizzata come traccia per i lavori del CESNUR, ed è esposta in dettaglio nel mio I nuovi culti. Dagli Hare Krishna alla Scientologia, Mondadori, Milano 1990, pp. 14-18.
(8) Ho introdotto la categoria dei “nuovi movimenti magici” per indicare realtà che presentano la struttura sociologica dei nuovi movimenti religiosi, ma dove il contenuto dell’esperienza che viene proposto non è religioso ma magico: cfr. il mio Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, SugarCo, Milano 1990. I “movimenti magici”, a proposito dei quali il termine è stato coniato, sono “nuovi” in quanto, se l’esperienza magica è ovviamente antichissima, la sua organizzazione in forme associative strutturate simili a quelle dei nuovi movimenti religiosi è invece un fenomeno relativamente recente.
(9) Mt. 13, 28.
(10) Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris missio, del 7-12-1990, n. 50.