MASSIMO INTROVIGNE, Cristianità n. 269 (1997)
“Saranno puniti con la reclusione da due a cinque anni […] coloro che attraverso […] manovre di costrizione psicologica contro un individuo avranno attentato ai suoi diritti fondamentali […] abusando della sua credulità per persuaderlo dell’esistenza di false entità, di un potere immaginario o di futuri avvenimenti chimerici” (1). Questa norma penale non risale ai tempi del Terrore e della repressione giacobina della “superstizione”, cioè della religione. È stata seriamente proposta per l’introduzione nel codice penale belga da una commissione d’inchiesta sulle “sette” della Camera dei Rappresentanti del Belgio, che ha reso il suo rapporto il 28 aprile 1997. Questo rapporto rappresenta un’ulteriore tappa di un processo che — muovendo dalla preoccupazione, in sé certamente legittima, di lottare contro gli abusi di movimenti religiosi che violano le comuni norme del diritto penale — finisce per utilizzare le “sette” come pretesto per campagne che mirano a restringere la sfera della libertà religiosa e associativa, e a dilatare i poteri di controllo dello Stato sulle religioni. L’esempio belga è particolarmente interessante perché l’attacco, questa volta, è portato al cuore non solo delle “nuove” ma anche delle “vecchie” religioni. Di uno solo dei 189 movimenti che figurano nella lista che accompagna il rapporto — un progresso, rispetto ai “soli” 172 nomi del rapporto della commissione parlamentare francese (2) — si afferma che la documentazione è stata “trasmessa al procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bruxelles”. Si tratta dell’Oeuvre, Het Werk, una comunità cattolica fondata nel 1938 in Belgio e riconosciuta in venti diocesi europee, fra cui quella di Roma, dove ha sede. Nella lista figurano anche l’Opus Dei, il Rinnovamento Carismatico — noto in Italia come Rinnovamento nello Spirito —, l’OPSTAL — una piccola comunità diretta da padri gesuiti —, e la Comunità di Sant’Egidio. Quest’ultima peraltro è citata con una nota dove si precisa che dovrà essere “eliminata dalla lista” (3) su domanda del comandante della Gendarmeria belga. In extremis, tre giorni prima della pubblicazione del rapporto, l’alto ufficiale ha scritto alla commissione — il 25 aprile 1997 — che “la scheda che vi è stata trasmessa e che precisa che i membri sarebbero sfruttati dalla setta è […] inesatta” (4) . Per non far torto al protestantesimo, nella lista figurano anche le Assemblee di Dio — la maggiore denominazione pentecostale mondiale, che conta oltre ventidue milioni di membri —, oltre a comunità pentecostali minori. La lista menziona pure le Assemblee dei Fratelli e perfino la YWCA, la Young Women’s Christian Association, mentre — per ragioni misteriose — è assente l’omologa associazione maschile YMCA, la Young Men’s Christian Association. Se si passa al buddhismo, ai consueti attacchi contro organizzazioni di scuola Nichiren, come la Soka Gakkai, si accompagna l’inclusione nell’elenco dell’intero buddhismo theravada e di quello zen, senza ulteriori precisazioni e distinzioni. La lista — e anche il rapporto — si permettono un’incursione pure all’interno dell’ebraismo ortodosso, rubricando nella lista e attaccando con espressioni particolarmente forti la comunità Satmar, che fa parte dell’hassidismo (5). Mi astengo dal ripetere in questa sede considerazioni di ordine generale sulle campagne contro le “sette” in Europa (6). Mi limito a esaminare il contesto in cui si sono svolti i lavori della commissione d’inchiesta belga, il metodo adottato e i risultati cui si è pervenuti.
1. Il contesto
La commissione belga è stata costituita il 28 marzo 1996, sulla scia della pubblicazione avvenuta il 10 gennaio 1996 del rapporto parlamentare francese. Il rapporto francese è senza dubbio un documento discutibile, con centinaia di errori di fatto. Ha tuttavia almeno un merito, riconosciuto da più parti. Nella sua parte giuridica — la meno improvvisata e dilettantesca — conclude che non è opportuno varare una legislazione specifica in tema di “sette”. Non raccomanda neppure una norma che incrimini la “destabilizzazione mentale” — espressione che la commissione francese ha preferito a quella, certamente più screditata, di “lavaggio del cervello” — perché una tale norma rischierebbe di violare le libertà fondamentali (7) . Sembra tuttavia che gli ambienti anti-sette che hanno largamente ispirato il rapporto parlamentare francese abbiano constatato, dopo la sua pubblicazione, che la repressione delle “sette” non procede in modo sufficientemente rapido, e abbiano cambiato idea sull’opportunità di una legislazione speciale. Comparendo come testimone di fronte alla commissione parlamentare belga, lo psichiatra Jean-Marie Abgrall — uno degli esponenti più importanti degli ambienti anti-sette in Francia (8) — ha affermato che “[…] diversamente da quello che credeva all’epoca [del rapporto parlamentare francese] considera oggi che invece si devono far entrare la nozione di setta e quella di manipolazione mentale nel diritto positivo, mettendole in relazione con incriminazioni specifiche. Sarà in seguito compito della giurisprudenza affinare questa nozione caso per caso, per analogia” (9).
Sulla scia del rapporto francese, anche il Cantone di Ginevra ha chiesto nel gennaio 1996 un Audit sur les dérives sectaires a un gruppo di giuristi, pubblicato nel febbraio del 1997 (10). Come ho avuto occasione di rilevare in altra sede, il tono e il metodo del rapporto cantonale di Ginevra sono, per alcuni versi, più accettabili rispetto al rapporto francese (11). Tuttavia — nella parte firmata dall’avvocato Maurice Harari — il rapporto di Ginevra tiene conto della mutata opinione degli ambienti anti-sette. Propone d’introdurre nel diritto svizzero un delitto di “destabilizzazione mentale” (12), “se lo stato di destabilizzazione mentale può essere constatato dai medici” (13); “in alternativa, se una definizione medica non sarà possibile […], si potrà comunque dettare una norma che incrimini le azioni che tendono alla destabilizzazione” (14). Questa evoluzione si riflette — oltre che nei dibattiti in corso in Germania, dove è all’opera una commissione parlamentare d’inchiesta sulle “sette”, il cui rapporto è atteso per il 1998 (15) — nei lavori della commissione belga. Quest’ultima ha peraltro tenuto conto, in modo evidente e anzi dichiarato, anche di alcune critiche rivolte al rapporto parlamentare francese. Ha deciso per esempio — contrariamente alla commissione francese — di tenere la maggior parte delle udienze a porte aperte, e di pubblicare i verbali, sottoposti preventivamente ai testimoni per l’approvazione, anche di quelle tenute a porte chiuse. Mentre la commissione francese non ha ascoltato nessun esperto universitario, quella belga ha sentito sei “rappresentanti degli ambienti accademici” (16). Fra questi, tre non sono particolarmente specializzati in materia di nuovi movimenti religiosi. Due sono invece specialisti di questa materia — la professoressa Anne Morelli e il professor Karel Dobbelaere — e uno è specialista di esoterismo, il dottor Luc Nefontaine. Infine, la commissione belga si è sentita in dovere di dedicare tre pagine all’analisi delle critiche del CESNUR — il Centro Studi sulle Nuove Religioni — al rapporto parlamentare francese esposte nel volume Pour en finir avec les sectes. Se la commissione belga conclude prendendo una posizione “contraria alle tesi di questo gruppo di sociologi delle religioni” (17), l’analisi rimane almeno su un tono rispettoso. Il CESNUR è definito — in modo non completamente preciso, ma certamente non diffamatorio — come un’associazione “di docenti universitari specializzati nella storia delle religioni, la maggior parte sociologi delle religioni” (18). Devo tuttavia deplorare che sia stato dato alle stampe, senza un commento che segni una presa di distanza della commissione — come invece è avvenuto in altri casi —, l’incredibile sproloquio del dottor Jean-Marie Abgrall sul CESNUR. Secondo lo psichiatra francese, dopo il limitato successo della FIREPHIM, la Federazione internazionale delle religioni e delle filosofie minoritarie, promossa dal Movimento raeliano e da altri nuovi movimenti religiosi, “le sette hanno creato una struttura parallela, il CESNUR” (19). Il dottor Abgrall è convinto che “oggi l’Europa ha di fronte a sé due pericoli principali: l’estrema destra e i movimenti totalitari settari” (20). Fornisce pertanto come “prove” delle affiliazioni settarie del CESNUR il fatto che chi scrive, che del CESNUR è direttore, insegni al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e sia “responsabile” di “Alliancia Catholica” (sic) (21). Il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum è stato fondato dai Legionari di Cristo. Per il dottor Abgrall — che di questa congregazione religiosa di origine messicana evidentemente conosce solo il nome — “i Legionari di Cristo sono un movimento molto vicino all’estrema destra europea, in effetti un’estrema destra cattolica integrista. E attraverso questi circuiti tutte le sette europee cercano di ottenere una cauzione morale, pubblica e politica” (22). Quanto ad Alleanza Cattolica sarebbe semplicemente “l’equivalente romano di Tradizione, Famiglia, Proprietà, che è una setta di estrema destra” (23). Si tratta, evidentemente, di farneticazioni che si commentano da sole. Fra l’altro il CESNUR non potrebbe essere stato fondato come reazione al limitato successo della FIREPHIM, per il buon motivo che la FIREPHIM è stata costituita nel 1992, cioè quattro anni dopo la fondazione del CESNUR, che risale al 1988. Questo genere di attacchi rivela piuttosto quale siano il “rigore” e la “professionalità” con cui si muovono certi personaggi (24). Il loro discorso si situa alla periferia della cultura e del semplice buonsenso, ma riesce incredibilmente a farsi prendere sul serio dai mezzi di comunicazione, dai tribunali e perfino dalle commissioni parlamentari.
2. Il metodo
Purtroppo le udienze pubbliche, l’audizione di alcuni rappresentanti della comunità scientifica, e l’esame di pubblicazioni critiche rispetto al rapporto francese non hanno evitato ai parlamentari belgi di cadere negli stessi errori dei loro colleghi francesi, e di commetterne alcuni anche più gravi. Gli stessi errori metodologici sono stati ripetuti e amplificati nelle 670 pagine del rapporto belga.
a. Anzitutto, la commissione si è posta nell’ottica — tipica dell’accostamento anti-sette —, secondo cui sarebbe possibile separare rigidamente deed e creed, comportamento e credenza. Si potrebbero così analizzare i comportamenti nocivi delle “sette” a prescindere da un’analisi globale, che tenga conto anche dei problemi di carattere dottrinale. Così facendo si esaminano movimenti religiosi — occasionalmente definendoli “pseudo-religiosi”, con un puro esercizio di carattere nominalistico — eliminando dall’analisi precisamente gli elementi di carattere religioso che costituiscono il cuore del problema. Inoltre — come ho mostrato altrove — la separazione rigida fra dottrina e comportamento è fattualmente impossibile: i comportamenti di un movimento religioso possono essere non soltanto interpretati, ma anche ricostruiti e compresi solamente sulla base delle dottrine da cui derivano (25). Esaminare alcune azioni o comportamenti a prescindere dal loro contesto e dalle loro motivazioni significa, semplicemente, considerare le attività di persone umane come se fossero poste in essere da robot senza psicologia e senza anima. Ragionare in questo modo significa creare un’autentica cortina di ferro, che impedisce l’apprezzamento dell’esperienza di ciascun gruppo nel suo contesto globale, dove gli elementi dottrinali giocano un ruolo di primo piano. Beninteso, questo apprezzamento non porta affatto a giustificare tutti i movimenti religiosi. In alcuni casi, anzi, la valutazione globale sarà negativa, e potrà anche portare a concludere che il movimento rappresenta un pericolo per la società nel suo insieme. Ma questo giudizio eventualmente negativo costituirà un punto d’arrivo, non un punto di partenza. Non potrà essere seriamente pronunciato se non al termine di un itinerario che esamini pazientemente la storia, la dottrina, gli scopi e le modalità operative di ciascun movimento o gruppo nella loro interazione con il contesto socio-religioso in cui opera. Il dialogo fra la commissione belga e i testimoni che si sono presentati a difendere alcuni movimenti religiosi — nessuno convocato, ma tutti ascoltati “su loro domanda”, a differenza dei rappresentanti delle associazioni anti-sette, che sono stati debitamente convocati (26) —, nonché con gli specialisti universitari, rivela questo problema metodologico. La commissione sembra scarsamente interessata a conoscere le caratteristiche specifiche di ciascun gruppo o movimento. “Contesta” invece ai testimoni — l’espressione, di sapore poliziesco, è reiteratamente usata dalla commissione stessa — specifiche violazioni di legge o affermazioni discutibili, estratte da articoli di giornale o — molto spesso — da pubblicazioni dei movimenti anti-sette. Non si tratta qui, naturalmente, di negare la realtà di molti dei fatti contestati dalla commissione a questo o quel movimento. Si tratta — prima ancora di esaminare gli episodi specifici — di porre un problema di carattere metodologico. Se ci si limita a esaminare ritagli di giornale e fotocopie fornite da chi fa polemica contro un movimento, difficilmente si riuscirà ad apprezzarne l’esperienza complessiva, o semplicemente a comprendere di che tipo di movimento si tratta. Ci si limiterà a una collezione aneddotica di fatti più o meno rilevanti. Emblematico — per limitarci a un solo esempio fra diverse decine — è il caso della Soka Gakkai, un’associazione buddhista di origine giapponese che conta circa quindici milioni di aderenti nel mondo. Questo movimento — fra i più studiati dai sociologi — è esaminato dalla commissione parlamentare in dodici righe, nella parte in cui riassume le deposizioni a porte chiuse. Vale la pena di riportarle integralmente: “Questo gruppo non conta troppi adepti in Belgio ma recluta tra persone di alto livello (funzionari europei…). Sembra che cerchi di impiantarsi vicino ai siti nucleari, ma se ne ignora la ragione. Questo movimento che in Giappone conterebbe circa otto milioni di adepti possiede numerosi sostenitori nella stampa, e ha anche creato un’università. Cerca di penetrare in tutti i centri di potere e decisionali e ha fondato nel 1949 un partito politico nazionalista in Giappone, il Komeito” (27). Il problema, qui, non consiste tanto nel carattere impreciso delle affermazioni — gli aderenti in Giappone sono più di otto milioni, il Komeito non è un partito “nazionalista” ma di centro-sinistra —, o nelle insinuazioni sfornite di prova — “sembra che cerchi di impiantarsi vicino ai siti nucleari”. Colpisce, piuttosto, il carattere raffazzonato e aneddotico della presentazione. Ci si limita a elencare alcuni aneddoti che mettono in una luce negativa il movimento. Tuttavia non ci si chiede quali siano le caratteristiche salienti, l’origine, la storia, la dottrina, le ragioni per cui è riuscito a convertire milioni di fedeli. Si potrebbe naturalmente obiettare che si tratta qui di un riassunto delle deposizioni testimoniali, e non di una posizione che la commissione presenta come propria. Ma per molti movimenti, in assenza di altre analisi, questa silloge di testimonianze fornisce l’unica base alle conclusioni che sono tratte nelle parti finali del rapporto. La scelta stessa dei due esperti che hanno redatto le conclusioni del rapporto belga conferma l’ottica della separazione fra deed e creed. Si tratta di due specialisti del diritto penale e della criminalità, il giudice Marcel Trousse, presidente emerito del Tribunale di prima istanza di Liegi, e il professor Johan Goethals, professore all’Università Cattolica di Lovanio e specialista in criminologia e vittimologia (28). Per loro stessa ammissione, questi due “esperti” non sono specialisti di questioni religiose. La scelta di penalisti e di criminologi per trattare di nuovi movimenti religiosi mostra già in quale direzione la commissione intendeva muoversi.
b. In secondo luogo la commissione belga, come quella francese, ha rinunciato a svolgere un’opera di mediazione, che pure dovrebbe essere propria dei poteri pubblici di fronte a un argomento controverso, in presenza di un conflitto fra narrative (29). In materia di nuovi movimenti religiosi esistono narrative diverse e anzi opposte. Provengono dai membri dei movimenti, dagli ex membri indifferenti o ancora piuttosto favorevoli ai gruppi che hanno lasciato, dagli ex membri ostili, dalle associazioni anti-sette, dagli specialisti accademici, dalle Chiese maggioritarie e dai mezzi di comunicazione. È difficile — soprattutto per chi non è specialista di questo difficile settore — determinare quale narrativa presenti maggiori elementi di analogia con la realtà. Il metodo di una commissione parlamentare dovrebbe essere almeno quello di una par condicio — come si ama dire in Italia — fra le diverse fonti. La commissione belga, come quella francese, ha optato per un metodo diverso. Anzitutto, sulla base di un pregiudizio razionalista che emerge spesso dagli interventi del presidente della commissione nel suo dialogo con i testimoni, e che ha un profondo radicamento nella storia del laicismo e dell’anticlericalismo belga, una fonte di narrative sui movimenti presi in esame è stata ignorata. I rappresentanti ufficiali delle Chiese maggioritarie sono stati tenuti fuori della porta, mentre sarebbe stato di grande interesse, come minimo, sapere che cosa pensa la Chiesa cattolica di realtà ecclesiali messe sotto accusa come l’Oeuvre, il Rinnovamento nello Spirito o l’Opus Dei. In compenso ha avuto ampio spazio un sacerdote cattolico marginale come Rick Devillé. Questo sacerdote è autore di un’opera diffamatoria sull’Oeuvre, in cui pone perfino il quesito se la Chiesa cattolica nel suo insieme, sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo II, non sia divenuta una “setta” (30). Nella categoria “autori” (31) sono stati ascoltati sei testimoni, uno autore di uno studio su Internet e cinque autori di opere anti-sette fra le più virulente. Ci s’interroga sulle ragioni di questa scelta, dal momento che la letteratura sui nuovi movimenti religiosi è vastissima. Giacché sono stati convocati autori non belgi, si sarebbero potuti trovare con facilità, anche nel mondo del giornalismo e della psichiatria e psicologia clinica, privilegiati dalla commissione in questo gruppo di testimonianze, decine di “autori” con opinioni diverse e più equilibrate. Fra i rappresentanti di associazioni sono stati convocati quattro rappresentanti di associazioni anti-sette belghe, la presidentessa dell’UNADFI, l’Unione nazionale delle Associazioni di difesa delle famiglie e dell’individuo, il maggior movimento anti-sette francese, e il dirigente di un’associazione anti-sette lussemburghese. Costituisce un aspetto positivo di queste audizioni il fatto che i loro verbali siano stati resi pubblici. Essi mostrano l’inconsistenza e la povertà culturale del discorso delle associazioni anti-sette, che ignora totalmente la letteratura scientifica in materia di nuovi movimenti religiosi e si limita a citare testi che emanano dai suoi stessi ambienti e ritagli di giornale. Ci si chiede, tuttavia, perché non siano stati convocati i rappresentanti di organismi che hanno un accostamento diverso al problema, come INFORM — Information Network Focus on Religious Movements, “Rete di informazione sui movimenti religiosi” — in Gran Bretagna, che ha sede presso la London School of Economics, è consultato dal governo ed è sostenuto dalle Chiese maggioritarie. O perché siano state ignorate le grandi associazioni di sociologia e di storia delle religioni, che si occupano spesso di questi problemi; fra l’altro, l’attuale presidentessa della SISR, la Società Internazionale di Sociologia delle Religioni, la professoressa Liliane Voyé, è belga. Infine, come accennato, sono stati ascoltati ex membri di quarantanove movimenti, convocati dalla commissione, evidentemente su suggerimento dei movimenti anti-sette. Dieci dei movimenti attaccati sono stati ascoltati su loro richiesta; un undicesimo, il Sahaya Yoga, ha spiegato in una lettera le ragioni per cui preferiva non presentarsi. Come si vede, più che di mediazione fra le narrative, si può parlare di opzione preferenziale per la narrativa anti-sette, e il principio della par condicio, evidentemente, non è stato rispettato.
Questo squilibrio è ancora più grave nell’uso delle fonti scritte, per quanto riguarda sia la scelta dei testi, sia la loro interpretazione. Relativamente alla giurisprudenza, la commissione ha certamente potuto avere un accesso diretto alle fonti belghe. Per quanto invece riguarda le sentenze pronunciate in altri paesi, la commissione dichiara candidamente che “i casi citati sono, per la gran parte, ripresi dall’opera di Bernard Fillaire Le grand écervelage [sic]“ (32). Quest’opera — il cui titolo esatto è Le grand décervelage e di cui è autore uno dei giornalisti più attivi negli ambienti anti-sette francesi — si segnala piuttosto per la sua pessima qualità, oltre che per gli attacchi particolarmente virulenti all’Opus Dei e a Papa Giovanni Paolo II, accusato di proteggerla. Non costituisce certamente una fonte scientifica. Non vi è quindi da sorprendersi se quasi tutte le sentenze citate sono sfavorevoli ai nuovi movimenti religiosi. Per gli Stati Uniti d’America, per esempio, sono citate due decisioni del 1982 e del 1983, ignorando accuratamente tutta la giurisprudenza che, a partire dal caso Fishman del 1990, ha respinto le teorie del lavaggio del cervello e della destabilizzazione mentale e ha condannato severamente i “deprogrammatori” e le associazioni anti-sette che li sostengono (33). Considerando la centralità degli Stati Uniti d’America per il dibattito sui nuovi movimenti religiosi ci si chiede come una commissione attenta ai problemi giuridici abbia potuto arrestare l’esame della giurisprudenza all’anno 1983, ignorando i successivi quattordici anni. Anche per quanto riguarda l’Italia è ricordata esclusivamente la decisione della Corte d’Appello di Milano — contro la quale pende un ricorso per Cassazione —, che condanna severamente un certo numero di scientologi. Esistono sentenze ugualmente interessanti che si sono pronunciate in senso diverso a proposito sia di altri movimenti, sia della stessa Scientologia. A questo proposito, non si riesce a sfuggire all’impressione che la letteratura giuridica straniera non sia stata accostata direttamente dalla commissione belga, ma le sia stata fornita dai movimenti anti-sette. La stessa sensazione si prova quando ci si trova di fronte alla letteratura sulla conversione ai nuovi movimenti religiosi. Il professor Goethals — il criminologo che ha redatto questa parte, tutt’altro che secondaria, del rapporto — ha la correttezza d’indicare per ciascuno dei paragrafi le “fonti” (34) di cui si è servito. Si tratta esclusivamente di opere anti-sette, fra cui quella del 1996 del dottor Abgrall (35), il libro del 1994 di due attiviste legate ai movimenti anti-sette americani, Madeleine Landau Tobias e Janja Lalich (36), e un articolo del professor Louis J. West, personaggio particolarmente controverso negli Stati Uniti d’America per le sue proposte estreme in tema di repressione dei nuovi movimenti religiosi (37). Questo articolo è estratto da un’opera pubblicata dall’American Psychiatric Association nel 1989, che presenta una varietà di punti di vista diversi: ci si chiede perché soltanto l’articolo del professor West sia stato preso in considerazione. Il fatto che le citazioni di questi articoli siano incomplete o scorrette (38) autorizza l’ipotesi che il criminologo di Lovanio abbia avuto a disposizione, più che i testi nel loro insieme, semplici fotocopie fornite dal movimento anti-sette. La scelta delle fonti è, in ogni caso, obiettivamente scandalosa. La letteratura scientifica soprattutto in lingua inglese in tema di conversione ai nuovi movimenti religiosi e di polemiche sul “lavaggio del cervello” conta migliaia di titoli, in gran parte opera di specialisti universitari (39). Un semplice esame delle rassegne bibliografiche che compaiono di tanto in tanto sulle più autorevoli riviste scientifiche americane, come il Journal for the Scientific Study of Religion o Religion, sarebbe stato opportuno. Avrebbe facilmente convinto il criminologo belga che i testi di attivisti anti-sette come Lalich o West — per non parlare dell’opera del dottor Abgrall, che ne rappresenta una versione divulgativa piena di errori francamente ridicoli — espongono un punto di vista assolutamente minoritario e marginale nel dibattito accademico contemporaneo. Si deve dunque porre la domanda su come il professor Goethals abbia selezionato le sue fonti, all’interno di una letteratura che conta migliaia di testi. È partito da una tesi preconcetta e ha cercato dei testi che la confermassero? O ha semplicemente seguito gli interessati “suggerimenti” di movimenti anti-sette? Il criminologo di Lovanio potrebbe obiettare che alle tesi che ha tratto dalla discutibile letteratura di cui si è servito ha sempre affiancato “riscontri” tratti dalle deposizioni rese dai testimoni di fronte alla commissione. Tuttavia, come abbiamo visto, la grande maggioranza dei testimoni provenivano dagli stessi ambienti anti-sette e non rappresentavano quindi una fonte diversa rispetto alla letteratura citata. Bisogna riconoscere al professor Goethals il merito di aver talora temperato le tesi più estreme delle sue fonti con un minimo di buon senso. Tuttavia anche per i rapporti parlamentari — come per i computer — vale la nota regola garbage in, garbage out, “spazzatura dentro, spazzatura fuori”. Se si lavora sulla base di fonti d’informazione prive di valore scientifico e piene di pregiudizi, per quanto le si elabori il risultato non potrà essere di buona qualità.
La commissione cade poi in un errore di fondo per quanto riguarda il dibattito scientifico in corso su scala internazionale in tema di nuovi movimenti religiosi. Afferma che “il mondo accademico si divide singolarmente sul modo di considerare le sette. Esistono pochi campi d’investigazione dove gli specialisti si oppongano come in questo” (40), fino ad arrivare a “regolamenti di conti piuttosto personali — a viva voce o per iscritto — fra certe personalità dei due campi. Sono soprattutto i “teorici” — sociologi e storici delle religioni — e i “pratici” — le persone che si occupano di assistenza e in particolare quelle che sono attive in seno ai movimenti anti-sette — che si affrontano. Il conflitto oppone ugualmente […] i sociologi citati a un certo numero di psicologi e di psico-terapisti che effettuano lavori clinici (e scientifici) presso (ex) adepti di sette” (41). La commissione prosegue osservando che “il primo gruppo è organizzato in particolare in seno al CESNUR” (42) e propone quindi la sua analisi del volume Pour en finir avec les sectes (43). Per quanto riguarda il secondo gruppo, sono citati fra gli esponenti nuovamente Landau Tobias, Lalich, Galanter e Abgrall. La commissione afferma che “[…] ha preso coscienza di questa divisione del mondo accademico” (44), e ha deciso di effettuare una vera e propria scelta di campo. “Fondandosi sui propri lavori (e in particolare su decine di audizioni di ex vittime) la commissione arriva alla conclusione che non può condividere le conclusioni del gruppo dei sociologi delle religioni, perché questi ultimi sottovalutano in modo manifesto i pericoli potenziali che le organizzazioni settarie rappresentano, in ragione dell’accostamento restrittivo e unilaterale che adottano” (45). In particolare i sociologi — e il CESNUR — negano l’esistenza della “manipolazione mentale” (46), mentre la commissione “[…] è stata messa di fronte a diverse testimonianze su questo punto” (47) che l’hanno convinta del contrario. La commissione si permette anche di fare la morale ai sociologi, in quanto “[…] deplora che le conclusioni di questo tipo di analisi che si riferiscono ai “nuovi movimenti religiosi” siano pubblicate senza esame approfondito. È estremamente contestabile sul piano etico considerare un’organizzazione settaria come “nuovo movimento religioso” […]. Le analisi di questo tipo, che ignorano una faccia della realtà, finiscono in qualche modo per giustificare organizzazioni settarie nocive. Hanno per effetto di dare loro carta bianca o, almeno, di permettere che si dedichino più facilmente alle loro pratiche perniciose” (48).
Certamente la commissione ha ragione sui “regolamenti di conti piuttosto personali” — di cui il rapporto offre un esempio diretto con le farneticazioni del dottor Abgrall a proposito del CESNUR —, e anche sul fatto che esistano dibattiti nel mondo accademico. Non esiste un “partito” dei sociologi in tema di “sette”: esiste, al contrario, una vivace discussione che nasce da accostamenti diversi alla sociologia dei movimenti religiosi. Tuttavia la commissione belga si sbaglia profondamente sull’oggetto di questi dibattiti. Se è certamente vero che questo o quel movimento religioso sono diversamente valutati dagli specialisti, l’opposizione al modello anti-sette fondato sulle teorie della manipolazione mentale e del lavaggio del cervello rasenta l’unanimità sia fra gli psicologi sia fra i sociologi della religione. Nel 1987 l’American Psychological Association — probabilmente la più autorevole organizzazione del mondo nel settore delle scienze psicologiche — ha pubblicato un documento dove si afferma che le teorie della manipolazione mentale e del lavaggio del cervello applicate a nuovi movimenti religiosi mancano di “rigore scientifico” e non devono essere presentate come scientifiche. L’American Sociological Association ha appoggiato questa risoluzione. Le due organizzazioni scientifiche hanno in seguito vinto un processo intentato loro, in seguito a questa risoluzione, dalla principale sostenitrice nell’ambito del movimento anti-sette americano della teoria della manipolazione mentale, Margaret Singer (49). Non esiste quindi nessuna “divisione del mondo accademico” che lo ripartisca in due campi, uno contrario e uno favorevole alle tesi dei movimenti anti-sette. La stragrande maggioranza dei ricercatori accademici rigetta queste tesi come non scientifiche. Gli autori citati nel “secondo gruppo” (50) dalla commissione belga non hanno nulla a che fare con il “mondo accademico” (51), come Lalich o Abgrall. Il professor Galanter, al contrario, è certamente un accademico: infatti le sue tesi sono diverse e per molti versi opposte a quelle dei movimenti anti-sette. Io stesso ho promosso, in una collana da me diretta, la traduzione in italiano della sua opera principale, Culti. Psicologia delle sette contemporanee (52); quanto all’articolo citato dalla commissione (53), non sostiene affatto le tesi che gli si attribuiscono. Un importante articolo di Galanter, del 1982, è citato nel volume La Mécanique des sectes del dottor Abgrall (54). Lo psichiatra francese tuttavia non spiega che si tratta precisamente di una delle più importanti critiche del modello del lavaggio del cervello. Non resta che sospettare che la commissione citi Galanter senza averlo letto, e si limiti a ricopiare i riferimenti del dottor Abgrall. È così inventata una “divisione del mondo accademico” che non esiste, e si perviene a conclusioni presuntuose e diffamatorie nei confronti degli studiosi. È paradossale che una commissione, che dichiara di aver esaminato — all’interno di una letteratura che consta di migliaia di volumi e di articoli scientifici — soltanto tre o quattro libri, accusi i sociologi delle religioni di adottare un “approccio restrittivo e unilaterale” e li attacchi anche “sul piano etico” perché usano l’espressione “nuovi movimenti religiosi” piuttosto di quella, che la commissione preferisce, di “sette”. Se chi ha redatto il testo avesse letto anche una minima parte della letteratura che critica — senza limitarsi a sfogliare Pour en finir avec les sectes — avrebbe compreso che nell’espressione “nuovo movimento religioso” l’aggettivo “religioso” non ha alcuna connotazione di giudizio di valore, né negativo né positivo. Un movimento religioso — e anche una religione — può certamente macchiarsi di crimini contro la morale e il diritto comune. Nessuno storico delle religioni dubita che la religione degli aztechi, pure fondata sul sacrificio umano, fosse — precisamente — una religione: se ne dovrà concludere che gli storici giustificano il sacrificio umano? Se il rilievo terminologico della commissione belga cela un’accusa di relativismo morale, questa accusa deve essere rispedita al mittente. In realtà il vero relativista è chi — eliminando le religioni che si comportano in modo sgradevole dal campo del religioso, e parlando di “pseudo-religioni” e di “sette” — sopprime in modo radicale la questione della verità. Evita così di chiedersi quali rapporti le diverse forme religiose intrattengano con la verità e con i valori. Una volta eliminate le forme religiose poco simpatiche come “pseudo-religiose”, tutte le religioni diventano — quasi per definizione — di uguale valore. Certo, le questioni dell’autenticità, della legittimità e anche della moralità degli innumerevoli cammini spirituali che sono proposti in una società pluralista sono delicate e difficili. Ma non le si risolve certamente con i giochi di parole sulle “sette”, né offendendo gli studiosi che a questi giochi rifiutano di prestarsi.
3. Le conclusioni e le proposte
Le conclusioni e le proposte del rapporto belga — nonostante gli sforzi, talora lodevoli, della commissione — non possono che risentire degli errori metodologici e della scelta selettiva del materiale in base al quale il fenomeno è stato ricostruito. La commissione belga, come quella francese, riconosce che è difficile definire la “setta” (55) e la sua differenza dalla religione. Definisce tuttavia l’“organizzazione settaria nociva” (56). Si tratterebbe di “[…] un gruppo a vocazione filosofica o religiosa, o che si pretende tale, che nella sua organizzazione e nella sua pratica si dedica ad attività illegali nocive, nuoce agli individui o alla società o attenta alla dignità umana” (57). Vi sarebbe poco da obiettare se questa definizione criminologica di “organizzazione settaria nociva” fosse ristretta alle “organizzazioni” (58) che si dedicano sistematicamente ad attività illegali previste dal diritto penale esistente e accertate dai tribunali. Tuttavia — attraverso l’introduzione, accanto alle attività “illegali”, di quelle “nocive agli individui e alla società” o che “attentano alla dignità umana” — la commissione non si limita ai crimini di diritto comune previsti dalle leggi in vigore. Accenna immediatamente a “pratiche nocive o illegali” nuove, per il momento non previste dalle leggi. La principale sarebbe “il ricorso alla manipolazione mentale” (59) che, come nel rapporto francese del 1996, costituirebbe l’elemento unificante e il rimprovero comune che potrebbe essere mosso a gruppi pure diversissimi fra loro. Si ritorna così — nonostante il passaggio dalla “setta” alla “organizzazione settaria nociva” — alla definizione proposta alla commissione belga, nella sua testimonianza, dalla signora Janine Tavernier, presidente dell’associazione anti-sette francese UNADFI. Secondo la signora Tavernier una setta è “[…] un gruppo nel quale c’è una manipolazione mentale e affettiva” (60), definizione che ha almeno il pregio della chiarezza.
Come per il rapporto francese e per l’Audit del Cantone di Ginevra, la questione centrale per valutare le conclusioni del rapporto belga è dunque quella della “manipolazione mentale”. Come si è accennato, le conclusioni del rapporto sul punto sono state redatte dal criminologo Goethals. Egli afferma che nelle “organizzazioni settarie nocive” non si ritrova il “lavaggio del cervello” — che richiederebbe la presenza della “violenza fisica” — ma si ritrova la “manipolazione psicologica”, la cui esistenza sarebbe provata dalle “dichiarazioni dei testimoni e dalle fonti scientifiche” (61). Per quanto riguarda i testimoni, fra migliaia di ex membri di nuovi movimenti religiosi — i quali, per la gran parte, non adottano un atteggiamento militante nei confronti dei gruppi che hanno lasciato — la commissione ne ha ascoltati una cinquantina. Quasi tutti si sono mostrati pronti a ripetere la vulgata anti-sette della “manipolazione mentale”. La commissione non ha preso in esame alcuno studio di tipo quantitativo o statistico sull’universo degli ex membri in generale. Nessun rappresentante della parte — largamente maggioritaria — della psichiatria accademica e non accademica internazionale che contesta il modello della “manipolazione mentale” è stato ascoltato. Fra le “fonti scientifiche” (62), come abbiamo visto, il professor Goethals confessa di essersi servito esclusivamente di tre testi, il cui carattere “scientifico” può essere messo in discussione e che costituiscono piuttosto esempi di discorso militante anti-sette. Da questi testi il criminologo belga risale alle tesi sulla “riforma del pensiero” (63) del professor Robert Jay Lifton. Ignora tuttavia le discussioni che l’applicazione di queste tesi ai nuovi movimenti religiosi ha suscitato negli Stati Uniti d’America e le posizioni oscillanti e ambigue dello stesso Lifton sulla possibilità di questa applicazione (64). Evidentemente — se si ignora la letteratura psicologica e sociologica universitaria maggioritaria, che contesta il modello della “manipolazione mentale” e si propone un semplice riassunto di testi che emanano dagli attivisti anti-sette — i risultati possono essere solo unilaterali. Vengono anche presentati nel linguaggio di un razionalismo d’altri tempi, quando per esempio si afferma che uno dei “sintomi” che permettono di riconoscere la presenza di una “manipolazione mentale” sarebbe “la difficoltà di pensare in maniera razionale” (65).
Non riprendo quanto ho sviluppato in altre sedi in tema di “manipolazione mentale” (66). A chi conosce i miei scritti in materia sarà immediatamente chiaro come denunciare il mito della manipolazione mentale non significa favorire la creazione di un contro-mito secondo cui tutte le tecniche di persuasione utilizzate dai nuovi movimenti religiosi sarebbero “buone”, accettabili e oneste. Al contrario vi sono tecniche di persuasione disoneste, per esempio fondate sull’uso di menzogne di fatto, forse non illecite sul piano strettamente giuridico ma che si ha il diritto e il dovere di denunciare. Vi sono tecniche che — fondate su forme di inganno del consumatore cui è proposto un “prodotto” di tipo spirituale, per esempio un corso o un seminario — ricadono nell’ambito di applicazione del diritto civile e in particolare delle leggi che proteggono i consumatori. Non mancano tecniche — infine — illecite per il soggetto su cui si esercitano — minore o debole mentale — o per l’oggetto della persuasione — suicidio, omicidio e violenza carnale. In tutti questi casi il fatto che non ci si trovi in presenza di tecniche presunte “magiche” o irresistibili di lavaggio del cervello o di “manipolazione mentale” non esclude la presenza di attività di persuasione disoneste o, a vario grado, illecite. Più in generale, il modello della “manipolazione mentale” è, ancora una volta, di tipo relativista. Dopo aver eliminate le scelte sgradevoli come pseudo-scelte non libere, che non deriverebbero veramente dalla volontà dell’individuo, si può agevolmente concludere che tutte le vere scelte sono ugualmente buone. Negare lo stereotipo della “manipolazione mentale” e ritenere che le scelte di chi aderisce a un nuovo movimento religioso siano in gran parte libere — naturalmente le scelte assolutamente libere non fanno parte dell’esperienza umana — non significa chiudere il dibattito, ma aprirlo. Non tutte le scelte libere sono buone, e le scelte non si dividono soltanto in libere e non libere, ma anche — sul piano etico — in buone e cattive (67).
Le osservazioni sui singoli movimenti religiosi presi in esame sono largamente dominate dallo stereotipo della manipolazione mentale, e dall’idea secondo cui le testimonianze degli ex membri ostili sono una fonte privilegiata d’informazioni, per definizione affidabile. Il rapporto si presenta, da questo punto di vista, in modo ambiguo. Riporta le testimonianze di alcuni ex membri che hanno accettato di essere identificati con il loro nome, mentre per quaranta movimenti è la commissione a proporre una sua sintesi degli “elementi d’informazione” (68) ricavati dalle audizioni a porte chiuse. Si può immaginare che si tratti qui di affermazioni di testimoni di cui la commissione si limita a prendere atto, senza necessariamente condividerle. Se tuttavia si legge la quinta parte del rapporto — dedicata all’analisi del fenomeno delle “sette” e della sua “pericolosità evolutiva” (69) — ci si accorge che, con rare e occasionali riserve, le affermazioni dei testimoni, spesso di un solo testimone per ogni movimento, vengono senz’altro presentate come se si trattasse di fatti stabiliti (70). Sarebbe veramente troppo lungo elencare gli errori di fatto nelle sintesi di “elementi d’informazione” preparate dalla commissione. In via generale si può rilevare che espressioni come “lavaggio del cervello” o “manipolazione mentale” sono utilizzate da numerosi testimoni come se si trattasse di mantra. È sufficiente pronunciarle perché magicamente un’associazione o movimento sia classificato come “organizzazione settaria nociva”, e non sia più necessario dare troppe spiegazioni. Una parola “magica” simile è guru, che è usata veramente a sproposito per definire, per esempio, i pastori pentecostali delle Assemblee di Dio — di cui una testimone afferma sbrigativamente che “[…] questa setta presenta delle somiglianze con i Testimoni di Geova” (71) — e di una comunità pentecostale che ne costituisce uno scisma, l’Action Evangélique de Pentecôte (72). Sulle comunità pentecostali in genere la commissione afferma che si caratterizzano per “il ruolo centrale della festa di Pentecoste” (73) e che “[…] s’interessano particolarmente agli intellettuali” (74), osservazioni la cui pertinenza sarà senza dubbio apprezzata da qualunque specialista del pentecostalismo. Un esempio particolarmente significativo dell’uso di parole “magiche” come “setta”, “manipolazione mentale”, “distruzione della personalità” e “lavaggio del cervello” emerge dalla sintesi che la commissione propone delle testimonianze sull’Oeuvre, presentate dal sacerdote Rick Devillé. Sono undici pagine di un’autentica requisitoria (75). Se ne conclude che “l’Oeuvre non ha in realtà niente a che vedere con la Chiesa cattolica né con la sua missione” (76). È una conclusione su cui ci si è guardati bene dal richiedere un parere delle istanze ufficiali della Chiesa cattolica, che pure dovrebbero avere una parola da dire su quali comunità ne fanno o non ne fanno parte.
Resistendo alla tentazione di elencare tutti gli errori del rapporto, vale però la pena di segnalarne alcuni particolarmente paradossali o francamente ridicoli. Secondo il rapporto nella Chiesa di Cristo di Bruxelles, che fa parte delle International Churches of Christ, “gli adepti che intrattengono buone relazioni con la loro famiglia sono colpevolizzati” (77). L’affermazione è ridicola se è intesa in senso generale — e non riferita alle sole famiglie che eventualmente manifestano ostilità al gruppo — se solo si riflette sull’insistenza della International Churches of Christ sui valori familiari. I bahà’ì sarebbero “[…] anzitutto un gruppo di interessi finanziari e politici che, come la Scientologia, si propone un nuovo ordine mondiale, una nuova nazione con un solo padrone” (78), affermazione che veramente si commenta da sola. Sûkyô Mahikari, “[…] una delle organizzazioni settarie più pericolose nel nostro paese” (79), sarebbe “[…] un gruppo di estrema destra, che fa riferimento a simboli come la croce uncinata” (80) e avrebbe come “obiettivo principale la raccolta di denaro” (81). Se la seconda affermazione è meramente caricaturale, la prima sembra ignorare che l’uso della svastica come simbolo religioso in Oriente risale ad almeno duemila anni prima della fondazione del partito nazionalsocialista. Presso i testimoni di Geova, che evidentemente preferiscono avere figli maschi, “[…] le bambine sono sistematicamente svalutate nelle relazioni con i membri maschi della famiglia; sono picchiate e sottoposte a una violenza fisica continua” (82). Questa affermazione gravissima — e falsa — è riportata nella sintesi delle deposizioni dei testimoni senza cercare nessun riscontro o elemento di prova.
Da ultimo, si deve obbligatoriamente — e purtroppo — citare il quadro che, sulla base di un testimone, la commissione propone della comunità Satmar — di cui preferisce la grafia Szatmar —, che fa parte dell’ebraismo hassidico. Questo gruppo, diffuso ad Anversa, “[…] vicino agli ambienti dell’industria del diamante” (83) con un “impatto economico considerevole” (84), avrebbe “rapporti piuttosto difficili con la giustizia” (85) in quanto applicherebbe il “principio secondo il quale non si denuncia un ebreo — anche criminale — a un non ebreo” (86); negli Stati Uniti d’America i giudici “[…] lascerebbero passare certe cose per paura di vedere questo blocco elettorale [Satmar] rivolgersi contro di loro al momento del rinnovo del loro mandato” (87). “Infine casi di rapimento di bambini che sono poi nascosti in seno alle ramificazioni internazionali della corrente non costituirebbero delle pratiche isolate” (88). Contrariamente a quello che pensa la commissione belga, la comunità Satmar è stata largamente studiata dagli specialisti, particolarmente — ma non esclusivamente — negli Stati Uniti d’America (89). Si tratta certamente di un gruppo cosciente della sua “diversità” rispetto alla società circostante, e anche ad altre correnti dell’ebraismo: si oppone, per esempio, all’attuale Stato di Israele e al sionismo. I satmar sono diventati un simbolo delle minacce che le minoranze religiose corrono soprattutto nel delicato settore della libertà d’educazione quando nel 1994 la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America — dove prevale da anni una maggioranza laicista —, con la sentenza Kiryas Joel, ha dichiarato incostituzionale una norma dello Stato di New York. La norma aveva creato un distretto scolastico speciale per permettere ai bambini satmar — in particolare quelli handicappati — di essere educati nell’ambito della loro comunità senza essere obbligati a frequentare scuole statali estranee alla loro cultura (90). La sentenza è stata pronunciata nonostante il “furioso dissenso” di tre giudici della Corte Suprema — il presidente William Rehnquist, Clarence Thomas e Antonin Scalia — ed è stata oggetto di vivaci critiche anche in ambienti cattolici (91). La vicenda ha fatto dei satmar un simbolo delle battaglie per la libertà religiosa e di educazione. Forse proprio con riferimento a queste battaglie la commissione belga accusa i satmar di gestire “[…] scuole chiuse, spesso illegali, nella misura in cui il programma scolastico che seguono non corrisponde alle prescrizioni” (92). Peraltro la sentenza Kiryas Joel non accusa le scuole satmar di nessuna “illegalità”. I rilievi contro i satmar riportati dalla commissione belga sono spesso semplici calunnie, del resto comuni nella propaganda contro le comunità hassidiche e qualche volta, più semplicemente, nella propaganda antisemita. L’accusa secondo cui i satmar si dedicherebbero al “rapimento di bambini”, che sarebbero poi “nascosti in seno alle ramificazioni internazionali della [loro] corrente” è di quest’ultimo tipo, e sembra uscire direttamente dalle officine ideologiche della peggiore propaganda antisemita. È anche ridicola, dal momento che nell’ebraismo ultra-ortodosso le conversioni sono considerate sostanzialmente impossibili. Può far parte della comunità soltanto chi è nato da madre ebrea: non si vede quindi l’interesse al rapimento dei bambini, a meno che si voglia insinuare che non si tratti di integrarli nella comunità ma di utilizzarli per scopi più sinistri. In ogni caso è semplicemente scandaloso che una commissione che si preoccupa spesso di denunciare l’“estrema destra” e i suoi veri o presunti collegamenti con le “sette” riporti senza battere ciglio affermazioni incredibili che si possono leggere, più o meno negli stessi termini, negli opuscoli di propaganda del dottor Joseph Goebbels.
Le “conclusioni e raccomandazioni” della commissione occupano soltanto diciannove pagine sulle quasi settecento del rapporto (93), e sono singolarmente scarne. Se ne potrebbe concludere che la montagna ha partorito un topolino: ma il topolino è capace di mordere e di far male. La commissione sottolinea, certo, “la necessità di una informazione del pubblico e dei giovani in particolare” (94) e la “[…] creazione di un osservatorio delle sette, centro indipendente, pluralista e pluridisciplinare, che raggruppi persone competenti in questo campo” (95). Si tratta di conclusioni che si possono in astratto condividere. Si sarebbe tentati di applaudirle, se l’esperienza francese non costituisse un precedente sospetto. In Francia l’“informazione del pubblico e dei giovani” è stata affidata, in concreto, dal ministero della Gioventù e dello Sport non a esperti indipendenti ma alle associazioni anti-sette. Nell’osservatorio creato in Francia gli unici “esperti” sono il dottor Abgrall e il generale Jean-Pierre Morin, noto per la proposta, considerata estrema anche negli stessi ambienti anti-sette, di creare un crimine di “violenza psichica” in analogia con la violenza carnale. I cattivi pensieri su chi potrebbe essere in concreto chiamato a gestire l’informazione e l’osservazione non sembrano ingiustificati, se si considera che “la commissione domanda al governo di far iscrivere nell’ordine del giorno del consiglio dei ministri della Giustizia dell’Unione Europea la questione della sovvenzione alla Federazione europea dei centri di ricerca e di informazione sul settarismo (FECRIS)” (96), federazione che ha sede presso l’UNADFI francese e che riunisce le associazioni anti-sette più militanti dei diversi paesi europei.
Per quanto riguarda l’introduzione di nuove disposizioni di legge, la commissione propone varie disposizioni penali “specifiche” e una “generale” (97). Per quanto riguarda le disposizioni specifiche, si propone d’incriminare la “provocazione attiva al suicidio” (98), proposta condivisibile che colma quella che sembra essere una lacuna specifica del diritto belga. Si propone pure di riprendere dal codice penale francese le norme sull’“abuso della situazione di debolezza” (99). A proposito di queste norme, tuttavia, s’introducono dei commenti ambigui che lasciano supporre il proposito di estendere il loro campo di applicazione anche a quanti non sono minorenni né deboli mentali (100). Particolarmente grave — e si tratta della proposta più significativa del rapporto — è la norma generale, che ho riportato in apertura di questo studio. Essa vuole punire con una pena di reclusione fino a cinque anni o con un’ammenda da determinare coloro che attentino ai diritti fondamentali di un individuo non solo attraverso “vie di fatto, violenza o minacce” (101) ma, come ho accennato, anche attraverso “manovre di costrizione psicologica” (102). Questi attentati ai diritti dell’individuo potrebbero essere messi in atto non solo “[…] facendogli credere di esporre a un danno la sua persona, la sua famiglia, i suoi beni o il suo impiego” (103) ma anche — e soprattutto — “[…] abusando della sua credulità per persuaderlo dell’esistenza di false entità, di un potere immaginario o di futuri avvenimenti chimerici” (104).
Il dibattito in Belgio si è concentrato in gran parte su quest’ultima proposta — che, secondo giuristi belgi, non ha nessuna possibilità di essere tradotta in legge e urta contro obiezioni insormontabili di carattere costituzionale — e soprattutto sulla lista di 189 nomi che accompagna il rapporto (105). Questa lista è presentata come una semplice “enumerazione” (106) di movimenti segnalati come possibili “sette” dalla “[…] gendarmeria, polizia giudiziaria, sicurezza dello Stato, servizio generale d’informazioni e della sicurezza, tribunali” (107) o da testimoni interrogati dalla commissione. Quest’ultima dichiara di non assumere alcuna responsabilità sul fatto che ciascuno dei movimenti elencati “sia una setta e, a fortiori, che sia pericoloso” (108). Nonostante queste cautele l’inclusione di cinque realtà che fanno senza dubbio parte della Chiesa cattolica e di organizzazioni del buddhismo e del protestantesimo maggioritario hanno suscitato una vivace polemica anche internazionale (109). Hanno rischiato di provocare una spaccatura all’interno della stessa maggioranza che sostiene il governo belga, e hanno condotto — su iniziativa del primo ministro — a una soluzione di compromesso per cui il parlamento ha votato il rapporto, approvandolo, ma non ha votato la lista (110). Si tratta di un primo segnale politico che mostra come i parlamenti e le forze politiche non siano disponibili a lasciarsi completamente guidare dai movimenti anti-sette. Peraltro il danno è fatto, in quanto la lista, largamente diffusa dalla stampa belga, sarà certamente alle origini — com’è avvenuto per l’analoga “lista nera” francese — di discriminazioni odiose. Del resto molte delle accuse riportate nella lista a margine dei nomi delle organizzazioni citate si ritrovano, negli stessi termini, nel corpo del rapporto. A proposito del testo completo mi permetto di chiedere quanti dei parlamentari che lo hanno votato hanno avuto il tempo di leggerlo nella sua massiccia integralità.
Rimane comunque la sensazione che i movimenti e gli ambienti anti-sette, che hanno largamente ispirato il rapporto belga, questa volta abbiano esagerato. Vengono in mente il proverbio secondo cui “non tutto il male viene per nuocere”, e l’altro — forse ancora più pertinente al tema — secondo cui “il Diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”. Infatti, le reazioni negative sono state molte, e fra queste si segnala la tempestiva e puntuale presa di posizione della Conferenza episcopale cattolica belga (111). Queste reazioni negative possono costituire un buon punto di partenza per chiedersi — dopo le esperienze in Francia e in Belgio — se le commissioni parlamentari siano davvero il luogo più opportuno per affrontare un problema così delicato. All’interno o all’esterno di commissioni, si potrà forse aprire un dibattito più serio, pacato e sereno sulla questione dei nuovi movimenti religiosi. Quanto al mondo cattolico, può certo lamentare la ferita che gli è stata inferta denunciando come “sette” realtà che ne fanno parte a pieno titolo come il Rinnovamento Carismatico, l’Opus Dei o l’Oeuvre. Farà bene a interrogarsi anche sulle vere ragioni dell’autentico accanimento con cui l’Oeuvre, in particolare, è stata attaccata dalla commissione. Il rapporto belga costituisce, peraltro, l’ennesima conferma del fatto che non è più sufficiente, difendendo realtà cattoliche ingiustamente attaccate, affermare che non si tratta di “sette”. Accettare la nozione di “setta” proposta dai movimenti anti-sette — e sostanzialmente ribadita dalla commissione —, fondata sull’elemento invisibile e inafferrabile della “manipolazione mentale”, e sostenere che tale nozione è in sé giusta, ma male applicata a questa o quell’altra realtà del mondo cattolico, costituisce una difesa debole, inadeguata e ultimamente perdente. Si tratta, invece, di denunciare le nozioni di “setta” e di “manipolazione mentale” come intrinsecamente equivoche, non scientifiche e mistificatorie. Come mi sono sforzato di mostrare — contrariamente a quanto sembra temere la commissione belga — questa denuncia non darà “carta bianca” (112) ai nuovi movimenti religiosi eventualmente intenzionati a commettere reati di diritto comune. Al contrario — eliminando dal dibattito, e anche dalle aule giudiziarie, nozioni fumose e poco precise, che si prestano a discussioni interminabili — renderà la lotta contro quella minoranza di nuovi movimenti religiosi che commette in effetti reati sanzionati dal diritto comune non meno, ma più efficace.
Massimo Introvigne
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(1) Chambre des Représentants de Belgique, Enquête parlementaire visant à élaborer une politique en vue de lutter contre les pratiques illégales des sectes et les dangers qu’elles répresentent pour la société et pour les personnes, particulièrement les mineurs d’âge. Rapport fait au nom de la Commission d’Enquête par MM. Duquesne et Willems, 2 voll., Chambre des Représentants de Belgique, Bruxelles, 28 aprile 1997, vol. II, p. 224.
(2) Cfr. Assemblée Nationale, Rapport fait au nom de la Commission d’Enquête sur les sectes (document n. 2468): Les Sectes en France – Président: M. Alain Gest, Rapporteur: M. Jacques Guyard, Député, Documents d’information de l’Assemblée Nationale, Parigi 1996; cfr. una critica in Massimo Introvigne e J. Gordon Melton (a cura di), Pour en finir avec les sectes. Le débat sur le rapport de la commission parlementaire, 3ª ed., Dervy, Parigi 1996; e M. Introvigne, “Sette” e “diritto di persecuzione”: le ragioni di una controversia, in Giovanni Cantoni e M. Introvigne, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996, pp. 59-116.
(3) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, p. 266.
(4) Ibidem.
(5) Cfr. ibid., vol. I, pp. 358-359.
(6) Cfr. M. Introvigne, “Sette” e “diritto di persecuzione”: le ragioni di una controversia, cit.; e Idem, Il fantasma della libertà. Le controversie sulle “sette” e i nuovi movimenti religiosi in Europa, in Cristianità, anno XXV, n. 264, aprile 1997, pp. 13-26.
(7) Cfr. Assemblée Nationale, doc. cit., pp. 99-100.
(8) Sulle teorie inaccettabili, e a tratti curiose, di questo personaggio, cfr. Ermanno Pavesi, La psichiatria e i movimenti anti-sette, in Cristianità, anno XXV, n. 263, marzo 1997, pp. 7-21.
(9) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, pp. 105-106.
(10) Cfr. Audit sur les dérives sectaires. Rapport du groupe d’experts genevois, Éditions Susanne Hurter, Ginevra 1997.
(11) Cfr. M. Introvigne, Le nom de la rose, ou l’”Audit sur les dérives sectaires” du groupe d’experts genevois, in La lettre du CESNUR, n. 2, aprile 1997, pp. 1-3.
(12) Audit sur les dérives sectaires. Rapport du groupe d’experts genevois, cit., p. 293. Il 22 maggio 1997, in una conferenza stampa tenuta a Ginevra, gli stessi esperti hanno annunciato l’intenzione del Cantone di proporre alla Confederazione Elvetica, secondo le indicazioni del rapporto, l’inserimento di un delitto di manipolazione mentale nel Codice penale svizzero (cfr. Jean-Noel Cuenod, Un observatoire sur les dérives…, in Tribune de Genève, 23-5-1997).
(13) Audit sur les dérives sectaires. Rapport du groupe d’experts genevois, cit., pp. 294.
(14) Ibidem.
(15) Il 5 giugno 1997 chi scrive è stato invitato a testimoniare come esperto di fronte alla commissione tedesca a Bonn, in particolare sullo stato dei dibattiti accademici in materia di “lavaggio del cervello”. Nella stessa seduta è stato invitato a testimoniare anche il pastore Thomas Gandow, forse il più noto esponente degli ambienti che promuovono campagne anti-sette in Germania. Più cauto dei rapporti francese e belga, il pre-rapporto pubblicato a metà del cammino della commissione tedesca (Zwischenbericht der Enquete-Kommission “Sogenannte Sekten und Psychogruppen” [Pre-rapporto della commissione d’inchiesta sulle cosiddette sette e psicogruppi], doc. 13/8170, Deutscher Bundestag, Bonn 1997) solleva comunque perplessità (cfr., all’interno del pre-rapporto, l’opinione di minoranza firmata dal professor Hubert Seiwert e dalla parlamentare Köster-Lossack, ibid., pp. 39-42).
(16) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, p. 2.
(17) Ibid., vol. II, p. 117.
(18) Ibid., p. 114.
(19) Ibid., p. 102.
(20) Ibid., p. 107.
(21) Ibid., vol. I, p. 102.
(22) Ibidem.
(23) Ibidem.
(24) Il dottor Jean-Marie Abgrall afferma all’inizio del suo volume La Mécanique des sectes (Payot, Parigi 1996) di voler “[…] osservare il più grande rigore e la più grande professionalità” (p. 10).
(25) Cfr. M. Introvigne, Il fantasma della libertà. Le controversie sulle “sette” e i nuovi movimenti religiosi in Europa, cit.
(26) Cfr. Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, p. 12.
(27) Ibid., vol. I, p. 353.
(28) Cfr. ibid., vol. I, pp. 13-14.
(29) Sul problema del conflitto fra narrative, cfr. il mio Il fantasma della libertà. Le controversie sulle “sette” e i nuovi movimenti religiosi in Europa, cit.
(30) Rick Devillé, L’Oeuvre, une secte catholique, trad. francese, Golias, Villeurbanne-Bruxelles 1996 (“Non sfuggo più a questa domanda: sono membro di una setta [in quanto prete della Chiesa cattolica]?”, ibid., p. 171); cfr. Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, p. 121 e pp. 157-167.
(31) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, p. 3.
(32) Ibid., vol. II, p. 123; cfr. Bernard Fillaire, Le grand décervelage, Plon, Parigi 1993.
(33) Cfr. J. Gordon Melton, Historique des associations modernes anti-sectes aux Etats-Unis, relazione al convegno internazionale Les controverses en matière de “sectes” ou nouveaux mouvements religieux: un regard sur les mouvements anti-sectes, organizzato dal CESNUR France — Centre d’Études sur les Nouvelles Religions —, Parigi 17-9-1996.
(34) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, p. 136.
(35) Cfr. J.-M. Abgrall, op. cit.
(36) Cfr. Madeleine Landau Tobias e Janja Lalich, Captive Hearts, Captive Minds. Freedom and Recovery from Cults and Abusive Relationship, Hunter House, Alameda (California) 1994.
(37) Cfr. Louis J. West, Persuasive Techniques in Contemporary Cults. A Public Health Approach, in Marc Galanter (a cura di), Cults and New Religious Movements. A Report of The American Psychiatric Association, The American Psychiatric Association, Washington D.C. 1989, pp. 165-192.
(38) Per l’articolo del professor West l’indicazione delle pagine a p. 141 del vol. II del rapporto è sbagliata: si indicano le pp. 25-42 mentre si tratta delle pp. 165-192 del volume curato da Marc Galanter. Di questo volume, inoltre, non si fornisce l’editore, mentre in genere le note del rapporto riportano sempre l’indicazione della casa editrice. Per il volume di Madeleine Landau Tobias e di Janja Lalich non si riporta — anche qui contro l’abitudine normale del rapporto — il luogo di edizione: l’indicazione corretta “Alameda (California)” è sostituita da un semplice — e criptico — “Al. California”.
(39) Già nel 1987 il padre gesuita — e professore all’Università di Detroit Mercy — John Saliba, nella sua bibliografia Psychiatry and the Cults. An Annotated Bibliography, Garland, New York 1987, citava oltre duemila titoli soltanto per le scienze psicologiche e psichiatriche. La letteratura sociologica è molto più ampia: cfr. l’altra bibliografia, dello stesso autore, Social Science and the Cults. An Annotated Bibliography, Garland, New York 1990, e i titoli si sono moltiplicati negli anni 1990.
(40) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, p. 114.
(41) Ibidem.
(42) Ibidem.
(43) Cfr. ibid., pp. 115-116.
(44) Ibid., p. 117.
(45) Ibidem.
(46) Ibid., p. 118.
(47) Ibid., pp. 117-118.
(48) Ibid., p. 118.
(49) Per questi avvenimenti e relativa bibliografia, cfr. J. Gordon Melton, op. cit.
(50) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, p. 116.
(51) Ibid., p. 114.
(52) Cfr. Marc Galanter, Culti. Psicologia delle sette contemporanee, trad. it., SugarCo, Carnago (Varese) 1993.
(53) Cfr. Idem, Cults and New Religious Movements, in Idem (a cura di), Cults and New Religious Movements. A Report of The American Psychiatric Association, cit., pp. 25-42.
(54) Cfr. J.-M. Abgrall, op. cit., p. 324, che fa riferimento a M. Galanter, Charismatic Religious Sects and Psychiatry, in American Journal of Psychiatry, vol. 139 (1982), pp. 1539-1548.
(55) Cfr. Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, pp. 99-100.
(56) Ibid., p. 100.
(57) Ibidem.
(58) Ibidem.
(59) Ibidem.
(60) Ibid., p. 138.
(61) Ibid., vol. II, pp. 143-144.
(62) Ibid., p. 143.
(63) Ibid., p. 145.
(64) Cfr. anche per l’ampia bibliografia, James Richardson, Une critique des accusations de “lavage de cerveau” portées à l’encontre des nouveaux mouvements religieux: questions d’éthique et de preuve, in M. Introvigne e J. Gordon Melton (a cura di), Pour en finir avec les sectes. Le débat sur le rapport de la commission parlementaire, cit., pp. 85-97.
(65) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, p. 154.
(66) Cfr. il mio Rapport de synthèse al congresso organizzato dal CESNUR France sul tema La notion de manipulations mentales, Parigi, 25 aprile 1997, che si può leggere sul sito Internet del CESNUR (http://web.tin.it/cesnur_org/).
(67) Cfr., con riferimento specifico ai nuovi movimenti religiosi, l’opera di due noti specialisti protestanti, Irving Hexham e Karla Poewe, New Religions as Global Cultures. Making the Human Sacred, Westview Press, Colorado City-Oxford 1997. Scrivono i due specialisti canadesi: “Rifiutiamo la nozione di lavaggio del cervello perché è fondata su una nozione dell’essere umano che nega la scelta e la responsabilità. La nozione del lavaggio del cervello è da un lato anticristiana, dall’altro contraria a tutta la tradizione occidentale filosofica, politica e sociale” (ibid., p. 10).
(68) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, p. 4.
(69) Ibid., vol. II, p. 89.
(70) Cfr. ibid., pp. 89-227.
(71) Ibid., vol. I, p. 155.
(72) Cfr. ibid., pp. 155-156.
(73) Ibid., p. 341.
(74) Ibid., p. 343.
(75) Cfr. ibid., pp. 157-167.
(76) Ibid., p. 164.
(77) Ibid., p. 316.
(78) Ibid., p. 332.
(79) Ibid., p. 53.
(80) Ibid., p. 353.
(81) Ibid., p. 356.
(82) Ibid., p. 360.
(83) Ibid., p. 358.
(84) Ibidem.
(85) Ibidem.
(86) Ibidem.
(87) Ibidem.
(88) Ibid., p. 359.
(89) Cfr. Israel Rubin, Satmar. Two Generations of an Urban Island, 2a ed., Peter Lang, New York 1997; Jerome R. Mintz e Maud B. Weiss, The Challenge of Piety. Satmar Hasidim in New York, Gina Kehayoff, Monaco di Baviera 1995; George Kranzler, Hasidic Williamsburg. A Contemporary American Hasidic Community, Jason Aronson, Northvale (New Jersey)-Londra 1995.
(90) Cfr. Kiryas Joel v. Grumet, 93-517, 93-527, 93-539 USSC, 27 giugno 1994.
(91) Cfr. l’espressione “furioso dissenso” di William Bentley Ball, nella tavola rotonda The Church-State Game. A Symposium on Kiryas Joel ospitata dalla rivista cattolica First Things, n. 47, novembre 1994, pp. 36-42 (p. 37).
(92) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. I, p. 359.
(93) Cfr. ibid., vol. II, pp. 208-227.
(94) Ibid., vol. II, p. 222.
(95) Ibid., vol. II, p. 226.
(96) Ibid., vol. II, p. 222.
(97) Cfr. ibid., vol. II, pp. 223-225.
(98) Ibid., vol. II, p. 225.
(99) Ibid., vol. II, p. 224.
(100) Ibidem.
(101) Ibidem.
(102) Ibidem.
(103) Ibidem.
(104) Ibidem.
(105) Cfr. ibid., vol. II, pp. 228-273.
(106) Ibid., vol. II, p. 227.
(107) Ibidem.
(108) Ibidem.
(109) Cfr., per esempio, Romano Dapas, L’Opus Dei nell’elenco delle sette, in Il Messaggero, 1-5-1997; e Orazio Petrosillo, “È un’assurdità antiscientifica”, ibid., che include pure un’intervista a chi scrive.
(110) Cfr. Martine Dubuisson, La Chambre sauve Wathelet et dénonce les sectes, in Le Soir, 9-5-1997.
(111) Cfr. comunicato della Conferenza episcopale belga, del 30-4-1997, in cui i vescovi “manifestano il loro stupore di fronte al carattere vago del concetto di setta utilizzato nel rapporto” (Oui à la vigilance, mais à qui profite l’amalgame?, APIC, 30-4-1997).
(112) Chambre des Représentants de Belgique, doc. cit., vol. II, p. 118.