Massimo Introvigne, Cristianità n. 330-331 (2005)
Fino a non molti anni fa, il tema della guerra combattuta dagl’insorgenti messicani chiamati cristeros — dal loro grido di battaglia “¡Viva Cristo Rey!”, “Viva Cristo Re!” — per la libertà di religione e contro la persecuzione anti-cattolica scatenata dal governo del presidente Plutarco Elías Calles (1877-1945) era ampiamente censurato, in Messico e all’estero. Oggi, certo anche in conseguenza di una nuova situazione politica nel paese iberoamericano, dove per la prima volta nella sua storia il Partito Rivoluzionario Istituzionale — erede dell’anticlericalismo politico di Calles — non esprime più, dal 2000, il presidente della Repubblica, la letteratura sul tema è semmai troppo ampia, e orientarsi non è facile.
La tesi maggioritaria, soprattutto nella storiografia messicana, è di tipo riduzionista, e muove dalla premessa generale — di origine marxista, ma che resta diffusa nelle scienze sociali in genere anche dopo la crisi del marxismo — secondo cui i fenomeni che si presentano a prima vista come religiosi sono la semplice conseguenza sovrastrutturale di più profonde realtà strutturali di tipo economico. La guerra che scoppia nel 1926 è così normalmente interpretata come lotta fra ceti rispettivamente favoriti e impoveriti dalla riforma agraria del Governo Calles e dei suoi predecessori, così che la storia dei cristeros è considerata inseparabile da quella degli agraristas, a loro volta visti in primo luogo come beneficiari del riformismo agrario e solo in secondo luogo — e in conseguenza — come filo-governativi e anticlericali. La versione più sofisticata di questa vulgata è quella offerta nel 1999 da Jennie Purnell nel suo Popular Movements and State Formation in Revolutionary Mexico. The Agraristas and Cristeros of Michoacán (1), che integra al tema della riforma agraria quello del conflitto fra uno statalismo centralizzatore e un localismo che difende gli antichi diritti delle comunità contro gli Stati, e degli Stati della federazione messicana contro il governo centrale. Ma anche la ricerca della Purnell “[…] soffre di una riluttanza a integrare in modo significativo la religione nell’analisi” (2).
Lo sviluppo di una corrente detta “revisionista”, che rivede in modo critico la presunta epopea della Rivoluzione messicana, ha ispirato altri autori, a partire dallo storico francese Jean Meyer — i cui lavori in materia rimangono comunque decisivi (3) — a presentare la guerra del 1926-1929 come una resistenza popolare, simile a quella opposta dalla Vandea alla Rivoluzione francese, a élite anticlericali che cercavano d’imporre un’ideologia di tipo illuminista e massonico estranea al comune sentire del popolo cattolico messicano.
In un nuovo studio, Popular Piety and Political Identity in Mexico’s Cristero Rebellion. Michoacán, 1927-29, che costituisce una versione riveduta di una tesi di dottorato sostenuta all’Università di Oxford nel 2000 (4), Matthew Butler critica il riduzionismo dominante, ma esprime qualche riserva anche sui lavori di Meyer e della sua scuola, di cui nota che “[…] il lungo dominio di questo campo di studi” (p. 5) — almeno fuori del Messico — sembra oggi in via di esaurimento. A Meyer e ai suoi colleghi Butler riconosce il merito di aver proposto “il primo tentativo serio” (p. 6) di capire i cristeros e le loro ragioni, mettendo inoltre adeguatamente in luce il carattere primario della motivazione religiosa.
Tuttavia, almeno su scala regionale — giacché lo stesso Meyer ha tenuto conto delle differenze fra regione e regione —, il panorama religioso delineato dai “revisionisti” appare a Butler “piatto” (ibidem) e “poco dotato di flessibilità” (ibidem). Sembra che, almeno alla scala del villaggio o del gruppo di villaggi, le persone religiose o i cattolici rappresentino un insieme unitario, unanimemente opposto all’anticlericalismo governativo, mentre le cose per lo storico inglese sono assai più complicate.
L’opera di Butler muove dai nuovi orientamenti che stanno prevalendo nella sociologia di lingua inglese — di cui peraltro non cita esplicitamente le principali opere di riferimento —, secondo cui i fenomeni religiosi, contrariamente al riduzionismo un tempo dominante, hanno come cause principali, anche se non uniche, motivazioni appunto religiose. Queste teorie sociologiche postulano però pure l’esistenza di una domanda religiosa assai differenziata, che anche all’interno dello stesso campo religioso — per esempio cattolico — va da forme rigorose ad altre progressiste e ultra-progressiste, con un centro maggioritario di tipo conservatore (5). Le stesse teorie si sono a lungo occupate dell’Iberoamerica, dando particolare rilievo alla concorrenza religiosa fra cattolici e protestanti, e all’importanza di una presenza protestante assai più antica di quanto si creda e delle opere dei primi specialisti che hanno ritenuto di dover cominciare a studiarla (6).
Non sorprende pertanto che Butler insista particolarmente sulla presenza di diverse comunità protestanti nella zona cui confina la sua indagine, la parte orientale dello Stato di Michoacán, su cui del resto si era già concentrata Jennie Purnell. In alcuni comuni, come quello di Zitácuaro, il numero di pastori protestanti si avvicinava negli anni 1920 a quello dei sacerdoti e dei religiosi cattolici, e le comunità protestanti erano così attive e diffuse — fino a coinvolgere da un quarto a un terzo della popolazione — (cfr. pp. 128-133) da rendere difficile spiegare la loro presenza solo con il generoso supporto governativo, come vorrebbero alcuni “revisionisti”. Questo aiuto del governo, del resto, era unanime in tutta l’area: tuttavia in alcune località le missioni protestanti non ebbero alcun successo, mentre in altre — secondo Butler — arrivarono a godere di un genuino sostegno popolare. Gli storici “revisionisti” sembrano qui talora ricadere in un errore tipico di sociologi e di politologi degli anni 1970 e 1980 — peraltro, in genere, di orientamento politico opposto a quello di molti “revisionisti” —, che consideravano — del tutto erroneamente — il protestantesimo iberoamericano — molte delle cui forme erano invece di origine locale, e indipendenti dalle missioni straniere — come un fenomeno spiegabile solo con il sostegno degli Stati Uniti d’America, delle multinazionali ostili alla “teologia della liberazione” cattolica e di alcuni governi locali (7).
Va detto che l’opera di Butler non si occupa, a stretto rigore, della guerra del 1926-1929, a proposito della quale sostiene — fra l’altro — che il poetico termine Cristiada sia stato coniato da Jean Meyer prendendo a prestito il titolo di un poema epico pubblicato a Lima nel 1611 da Fray Diego de Hojeda (1570-1615), ma non sia mai stato usato dai cristeros né dai loro discendenti, almeno prima che questi ultimi avessero appunto letto le opere di Meyer (cfr. p. 5). Alla guerra in quanto tale sono dedicate solo trentaquattro pagine (pp. 179-212) — sulle 251 dell’opera, e l’interesse primario dell’autore è mostrare come le vicende belliche confermino le sue ipotesi, presentate nei capitoli precedenti.
Dopo un’Introduzione (pp. 1-14) di carattere metodologico, l’opera esamina la storia pre-rivoluzionaria del Michoacán orientale dalla Conquista alla Rivoluzione (pp. 15-49), la Riforma agraria dal 1915 al 1929 (pp. 50-79), la campagna anticlericale della Educazione rurale dal 1920 al 1929 (pp. 80-104), la Vita parrocchiale dal 1920 al 1925 (pp. 105-145), la Crisi e persecuzione [anticlericale] dal 1926 al 1929 (pp. 146-178), prima di occuparsi appunto de La ribellione dei cristeros, 1926-1929 (pp. 179-212) e di proporre una Conclusione (pp. 213-221), seguita da tabelle sulla riforma agraria nella zona presa in esame (pp. 222-227), da un’ampia Bibliografia (pp. 229-245) e da un Indice dei nomi e dei concetti che è invece piuttosto succinto (pp. 247-251).
A Butler interessa soprattutto mostrare il carattere variegato di quello che i sociologi cui s’ispira chiamerebbero il mercato religioso — un’espressione che lo storico inglese peraltro non usa — nel Michoacán orientale, caratterizzato da una differenziazione tanto ampia quanto misconosciuta. Butler la fa risalire all’epoca della “secolarizzazione”, che nella storia del Messico — come in quella del vicino Texas, nonché di altri paesi iberoamericani — è un termine tecnico utilizzato per indicare il passaggio della quasi totalità delle parrocchie fra il secolo XVIII e il XIX dagli ordini religiosi al clero secolare, incaricato dai vescovi e dalla Corona di Spagna — non senza qualche retroterra ideologico che l’autore definisce “razionalista” (p. 24) e influenzato dall’Illuminismo europeo — di purificare la religiosità popolare da scorie considerate emotive e superstiziose, e ritenute a torto o a ragione da molti vescovi legate soprattutto alla predicazione dei francescani.
Il modo più o meno delicato con cui la “secolarizzazione”, che investe il Michoacán orientale fra il 1758 e il 1804, è portata a termine nelle singole località e villaggi determina — secondo Butler — conseguenze di lunghissimo periodo, che durano fino ai giorni nostri. Dove la “secolarizzazione” è rapida, severa e poco sensibile ai desiderata e alla sensibilità popolare, lì permane un risentimento nei confronti del clero e della Gerarchia. Così a Zitácuaro, dove la “secolarizzazione” avviene con queste modalità, non solo vi saranno molti protestanti e pochi cristeros, ma ancora nelle elezioni statali del 2001 il Partito Rivoluzionario Istituzionale di matrice anti-clericale conserverà la maggioranza in elezioni vinte invece in tutte le località vicine dal filo-cattolico PAN, Partito di Azione Nazionale (cfr. p. 221). Al contrario, dove la “secolarizzazione” avviene per gradi, e con successo, come a Maravatío e a Zinapécuaro — nonché, in misura minore, nella città oggi chiamata Ciudad Hidalgo —, vi saranno pochi protestanti e una massiccia adesione all’insorgenza dei cristeros.
La “secolarizzazione” è, peraltro, solo la radice remota di una differenziazione del mercato religioso che l’azione dei governi anticlericali, soprattutto attraverso la scuola di Stato, modula e cerca di distorcere a vantaggio dei protestanti e di minoranze che vivono l’ateismo come una vera e propria religione, ma non crea. Le differenze fra cattolici ultra-conservatori, progressisti — molti dei quali diventeranno peraltro atei militanti o protestanti delle denominazioni liberal — e centristi-conservatori — i termini derivano dalla teoria sociologica dell’economia religiosa (8), e non coincidono sempre con quelli usati da Butler — sono presenti nella regione da un’epoca precedente alle campagne anticlericali. Le varianti locali sono numerose, così che non si può leggere la contrapposizione negli anni 1926-29, secondo Butler, né in termini economici — lotta fra chi profitta e chi perde dalla riforma agraria, o in modo ancora più semplicistico fra poveri manipolati dai ricchi e poveri dotati di un’adeguata coscienza di classe — né, semplicemente, come scontro fra popolo cattolico ed élite anticlericali. In realtà vi sono un popolo cattolico che rimane freddo di fronte ai cristeros, élite economiche e culturali che ne abbracciano la causa e muoiono sul campo, beneficiari della riforma agraria che diventano cristeros e altri che li combattono in armi, vere espressioni popolari di attaccamento a un protestantesimo presente ormai da qualche decennio, che si traducono in ostilità armata ai cristeros, presenza di minoranze comuniste e “religiosamente atee” — l’espressione anche qui è mia, non di Butler — a tutti i livelli della scala sociale.
Tutto questo naturalmente non significa che i cristeros siano un fenomeno sociale inspiegabile. Il successo della loro insorgenza sul piano militare — quanto alle conclusioni politiche, si tratta di un tema di cui Butler volutamente non si occupa — conferma che in numerose località — con Zitácuaro come eccezione, per le ragioni ipotizzate — la presenza religiosa cattolica nel 1926 è maggioritariamente di tipo ultra-conservatore e conservatore, e che anche il “centrismo” conservatore reagisce fino alla rivolta armata quando è sottoposto a pressioni considerate intollerabili e quando prendere le armi è dichiarato lecito sul piano morale dal clero locale — cui la maggioranza di questi cattolici resta molto legata — e dalla gerarchia episcopale. E tuttavia non tutti i cattolici diventano cristeros: in alcune località, i combattenti sono pochi a causa dell’opposizione del parroco; quasi ovunque esistono minoranze di cattolici progressisti e talora ultra-progressisti, alcuni dei quali aderiscono addirittura all’ICAM, la Chiesa Cattolica Apostolica Messicana, una denominazione scismatica leale al Governo Calles che, mentre ricorda analoghi effimeri fenomeni sorti durante la Rivoluzione francese, anticipa per altri versi la cosiddetta Chiesa Patriottica della Cina comunista.
In ogni caso, le motivazioni dei cristeros — così come quelle di quanti, pur profondamente religiosi, fra questi molti protestanti, o anche cattolici praticanti, non diventano cristeros né simpatizzano per l’insorgenza — non sono ultimamente spiegabili senza considerare primario l’elemento religioso. Come sempre, conclude Butler, “[…] le scelte rispondevano a molteplici cause, ma la religione era una — e talora la — motivazione determinante” (p. 214).
Per quanto diverse osservazioni di dettaglio si prestino a critiche — e temi come il numero dei protestanti presenti in Messico prima che la statistica religiosa iniziasse a occuparsi della questione con metodi moderni, il che non è avvenuto prima degli anni 1970, pongano interrogativi forse insolubili —, il lavoro di Butler affronta il problema storiografico dei cristeros tenendo conto dei dibattiti sociologici più recenti, e — pur non pretendendo di affrontare la problematica politico-militare dell’insorgenza né le sue premesse in aree diverse dal Michoacán orientale — costituisce un ulteriore pregevole contributo a una bibliografia sull’insorgenza messicana degli anni dal 1926 al 1929 che, fortunatamente, si va continuamente arricchendo.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Jennie Purnell, Popular Movements and State Formation in Revolutionary Mexico. The Agraristas and Cristeros of Michoacán, Durham University Press, Durham-Londra 1999.
(2) Matthew Butler, Popular Piety and Political Identity in Mexico’s Cristero Rebellion. Michoacán, 1927-29, Oxford University Press, Oxford-New York 2004, p. 7.
(3) Cfr. soprattutto Jean Meyer, La Cristiada, 12a ed. riveduta e aumentata, 4 voll., Editorial Clío, Città del Messico 1997.
(4) Cfr. M. Butler, op. cit.; da questo punto, la paginazione dei rimandi è data fra parentesi nel testo.
(5) Cfr. un’esposizione di queste teorie nel mio Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2004; e in Rodney Stark e M. Introvigne, Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2003.
(6) Cfr., per esempio, David Martin, Tongues of Fire. The Explosion of Protestantism in Latin America, Blackwell, Oxford 1990;e R. Andrew Chesnut, Competitive Spirits. Latin America’s New Religious Economy, Oxford University Press, New York-Oxford 2003.
(7) Cfr. una critica di queste tesi, oggi di fatto quasi ovunque abbandonate dai sociologi della religione, nelle opere citate alla nota 6 e in M. Introvigne (a cura di), La sfida pentecostale, Elledici, Leumann (Torino) 1996.
(8) Cfr. un’esposizione di questa teoria nel mio Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa, cit.; e in Rodney Stark e M. Introvigne, op. cit.