Massimo Introvigne, Cristianità n. 366 (2012)
Il viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI in Libano, che si è svolto dal 14 al 16 settembre 2012, è stato “motivato principalmente dalla firma e dalla consegna dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente“ (1), un’esortazione apostolica postsinodale che fa seguito all’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, celebrata in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010. Si tratta, ha detto il Pontefice nel momento della solenne firma nella basilica di San Paolo ad Harissa, di un documento “destinato certamente alla Chiesa universale” (2), ma che “[…] riveste un’importanza particolare per l’intero Medio Oriente” (3). “Con la consegna di questo documento, iniziano il suo studio e la sua appropriazione da parte di tutti i protagonisti della Chiesa” (4). È una lettera che dovrebbe diventare vita e impegno quotidiano per le Chiese del Medio Oriente e, nelle parti che non si riferiscono solo a queste Chiese, per tutti i cattolici. Ai giovani libanesi il Pontefice ha ricordato “[…] le parole di San Paolo ai Corinzi: “La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani” (2 Cor 3,2-3). Anche voi, cari amici, potete essere una lettera viva di Cristo. Questa lettera non sarà scritta su carta e con una penna. Sarà la testimonianza della vostra vita e della vostra fede” (5).
La firma dell’esortazione apostolica e il ricordo dell’imperatore Costantino I
Il Papa ha voluto firmare l’esortazione apostolica il 14 settembre 2012, nel giorno della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la cui celebrazione è nata in Oriente nel 335, all’indomani della dedicazione della basilica della Risurrezione costruita sul Golgota e sul sepolcro di Nostro Signore dall’imperatore Costantino I (274-337), “[…] che voi — ha detto Papa Benedetto XVI ai cristiani libanesi — venerate come santo”(6), e nei cui confronti ha usato toni assai positivi, quasi a far giustizia di tante inutili polemiche. A proposito di Costantino il Pontefice ha ricordato il 14 settembre che “fra un mese si celebrerà il 1700° anniversario dell’apparizione che gli fece vedere, nella notte simbolica della sua incredulità, il monogramma di Cristo sfavillante, mentre una voce gli diceva: “In questo segno, vincerai!”. Più tardi, Costantino firmò l’editto di Milano e diede il proprio nome a Costantinopoli” (7). L’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, secondo il Pontefice, può precisamente “[…] essere letta e interpretata alla luce della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e più particolarmente alla luce del monogramma di Cristo, il X (chi) e il P (ro), le due prime lettere della parola Χριστός“ (8). Non si tratta di una semplice curiosità: “Una tale lettura conduce ad un’autentica riscoperta dell’identità del battezzato e della Chiesa, e costituisce al tempo stesso come un appello alla testimonianza nella e mediante la comunione. La comunione e la testimonianza cristiane non sono infatti fondate sul Mistero pasquale, sulla crocifissione, la morte e la risurrezione di Cristo?” (9).
Il Sinodo del 2010 ha proposto a “tutta la Chiesa” (10) di ascoltare dal Medio Oriente “[…] il grido ansioso e percepire lo sguardo disperato di tanti uomini e donne che si trovano in situazioni umane e materiali ardue, che vivono forti tensioni nella paura e nell’inquietudine, e che vogliono seguire Cristo — Colui che dà senso alla loro esistenza — ma che ne sono spesso impediti” (11). Per questo, spiega il Papa, “[…] ho desiderato che la Prima Lettera di San Pietro sia la trama del documento”(12). Perché quando ci si trova in una condizione di crisi occorre tornare all’essenziale: “la sequela Christi, in un contesto difficile e talvolta doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o dimenticare la Croce gloriosa” (13). E invece occorre esortarsi a vicenda “[…] a non avere paura, a rimanere nella verità e a coltivare la purezza della fede. Questo è il linguaggio della Croce gloriosa! Questa è la follia della Croce: quella di saper convertire le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di misericordia verso il prossimo; quella di saper anche trasformare degli esseri attaccati e feriti nella loro fede e nella loro identità, in vasi d’argilla pronti ad essere colmati dall’abbondanza dei doni divini più preziosi dell’oro” (14).
Non si tratta affatto “[…] di un linguaggio puramente allegorico, ma di un appello pressante a porre degli atti concreti che configurano sempre più a Cristo” (15): “atti simili a quelli dell’imperatore Costantino che ha saputo testimoniare e far uscire i cristiani dalla discriminazione per permettere loro di vivere apertamente e liberamente la loro fede” (16). E chi vive apertamente la fede del Battesimo diventa “[…] un figlio della Luce, un essere illuminato da Dio, una lampada nuova nell’oscurità inquietante del mondo affinché dalle tenebre facciano risplendere la luce”(17). Il documento, ha detto ancora il Papa, “[…] vuole contribuire a spogliare la fede da ciò che la imbruttisce, da tutto ciò che può offuscare lo splendore della luce di Cristo” (18), e a ripetere alle Chiese in Medio Oriente: “[…] non temete, perché il Signore è veramente con voi fino alla fine del mondo! Non temete, perché la Chiesa universale vi accompagna con la sua vicinanza umana e spirituale!” (19).
Il Libano: più che un Paese, un messaggio
L’esortazione apostolica si divide in tre parti. La prima presenta il contesto in cui la Chiesa svolge la sua missione in Medio Oriente, in un momento in cui “[…] questa terra benedetta e i popoli che vi abitano, sperimentano in maniera drammatica i travagli umani. Quanti morti, quante vite saccheggiate dall’accecamento umano, quante paure e umiliazioni! Sembrerebbe che non ci sia freno al crimine di Caino […]. Il peccato adamitico, consolidato dalla colpa di Caino, non cessa di produrre spine e cardi (cfr Gen 3, 18) ancora oggi. Come è triste vedere questa terra benedetta soffrire nei suoi figli che si sbranano tra loro con accanimento, e muoiono!” (20). “La violenza e l’odio invadono la vita, le donne e i bambini ne sono le prime vittime” (21). “Il Successore di Pietro, che io sono, non dimentica le tribolazioni e le sofferenze dei fedeli di Cristo e, soprattutto, di quelli che vivono in Medio Oriente. Il Papa è in modo speciale unito a loro spiritualmente. Ecco perché nel nome di Dio domando ai responsabili politici e religiosi delle società, non solo di alleviare queste sofferenze, ma di eliminare le cause che le producono”(22).
Non è un caso che l’esortazione apostolica sia stata firmata in Libano. Il Libano è un Paese speciale — Papa Benedetto XVI ha rievocato le parole del beato Giovanni Paolo II (1978-2005) secondo cui “[…] più di un Paese è un messaggio” (23)— segnato da una plurisecolare presenza cristiana e da Chiese cattoliche di diverso rito, unite da uno speciale legame con il Pontefice. Fra l’altro, “è per evidenziare la loro grande devozione a Simon Pietro, che i Patriarchi maroniti aggiungono al loro nome quello di Boutros” (24), “Pietro” in lingua araba. Il Papa è venuto in Libano per meditare sul “famoso equilibrio libanese” (25) fra cattolici di diversi riti, fra cattolici e cristiani ortodossi, e fra cristiani e musulmani: per rinnovare “la collaborazione tra le varie Chiese, tutte parti dell’unica Chiesa cattolica, in uno spirito di comunione fraterna con gli altri cristiani, e, al tempo stesso, la convivenza e il dialogo rispettoso tra i cristiani e i loro fratelli di altre religioni” (26). Fra i simboli del Libano, pranzando presso il refettorio del patriarcato armeno cattolico di Bzommar, il Pontefice ha ricordato il monaco Hagop (XV-XVI sec.) “[…] soprannominato Méghabarde — Peccatore —, [che] è per noi un esempio di preghiera, di distacco dai beni materiali e di fedeltà a Cristo Redentore. 500 anni fa egli promosse la stampa del Libro del Venerdì,stabilendo così un ponte tra l’oriente e l’occidente cristiani. Alla sua scuola, possiamo imparare il senso della missione, il coraggio della verità e il valore della fraternità nell’unità” (27). “Perché Dio ha scelto questa Regione? — si è chiesto il Papa di fronte alle autorità politiche libanesi —Perché essa vive nella tormenta? Dio l’ha scelta, mi sembra, affinché sia esemplare, affinché testimoni di fronte al mondo la possibilità che l’uomo ha di vivere concretamente il suo desiderio di pace e di riconciliazione!”(28). Ma “questo equilibrio, che viene presentato ovunque come un esempio, è estremamente delicato. Esso rischia a volte di rompersi allorquando è teso come un arco, o sottoposto a pressioni che sono troppo spesso di parte, interessate, contrarie ed estranee all’armonia e alla dolcezza libanesi” (29). Da dove vengono queste tensioni? “Dobbiamo essere ben coscienti — ha detto il Pontefice di fronte alla platea significativa dei politici del Libano — che il male non è una forza anonima che agisce nel mondo in modo impersonale o deterministico. Il male, il demonio, passa attraverso la libertà umana, attraverso l’uso della nostra libertà. Cerca un alleato, l’uomo. Il male ha bisogno di lui per diffondersi. È così che, avendo offeso il primo comandamento, l’amore di Dio, viene a pervertire il secondo, l’amore del prossimo. Con lui, l’amore del prossimo sparisce a vantaggio della menzogna e dell’invidia, dell’odio e della morte” (30).
La Chiesa chiede dunque la pace. Ma è molto facile farsi della pace un’idea sbagliata. In realtà, “[…] la pace non è solamente un patto o un trattato che favorisce una vita tranquilla, e la sua definizione non può essere ridotta alla semplice assenza di guerra. La pace significa secondo la sua etimologia ebraica: essere completo, essere intatto, compiere una cosa per ristabilire l’integrità. È lo stato dell’uomo che vive in armonia con Dio, con se stesso, col suo prossimo e con la natura. Prima di essere esteriore, la pace è interiore” (31). “Il cristiano sa che la politica terrena della pace non sarà efficace se la giustizia in Dio e tra gli uomini non ne è l’autentica base, e se questa stessa giustizia non lotta contro il peccato che è all’origine della divisione” (32).
Il Medio Oriente, crocevia dell’ecumenismo
Il primo contributo che la Chiesa dà alla ricerca della pace in Medio Oriente è costituito dall’ecumenismo e dal dialogo interreligioso. La situazione delle Chiese cristiane in Medio Oriente, particolarmente frammentata, fa certo nascere la nostalgia dell’unità. Ma “l’unità è un dono di Dio che nasce dallo Spirito e che occorre far crescere con una paziente perseveranza (cfr 1 Pt 3, 8-9). Noi sappiamo che è una tentazione, quando delle divisioni ci oppongono, fare appello al solo criterio umano” (33). L’ecumenismo non nasce dal compromesso umano, ma dallo sguardo rivolto a Gesù Cristo. Se ne leggiamo i documenti secondo i criteri indicati dal Magistero, ci accorgiamo che “il Concilio Vaticano II ha incoraggiato questo “ecumenismo spirituale” che è l’anima del vero ecumenismo” (34).
L’ecumenismo promuove una maggiore comunione fra le Chiese e le comunità cristiane. Ma “questa comunione non è certo una confusione”(35). Più difficile in campo teologico ed ecclesiologico, dovrebbe partire da un impegno comune in campo morale. “Nella fedeltà alle origini della Chiesa e alle sue tradizioni viventi, è importante ugualmente pronunciarsi con una sola voce sulle grandi questioni morali a proposito della verità umana, della famiglia, della sessualità, della bioetica, della libertà, della giustizia e della pace” (36). Quanto alla vita sacramentale comune, alla communicatio in sacris, questa “[…] può essere raccomandabile in alcune circostanze favorevoli” (37), ma solo “in base a norme precise e con l’approvazione delle autorità ecclesiastiche” (38).
Il dialogo interreligioso con ebrei e musulmani
Oltre al dialogo ecumenico, che riguarda i cristiani, “la natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni. Questo dialogo in Medio Oriente è basato sui legami spirituali e storici che uniscono i cristiani agli ebrei e ai musulmani. Questo dialogo, che non è principalmente dettato da considerazioni pragmatiche di ordine politico o sociale, poggia anzitutto su basi teologiche che interpellano la fede. Esse derivano dalle Sacre Scritture e sono chiaramente definite nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium (39), e nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate (40)“ (41) del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).
Il Pontefice non tace la necessità, ma non si nasconde la difficoltà, del dialogo con le altre due grandi religioni presenti in Medio Oriente, l’ebraismo e l’islam. “Se l’ebraicità del “Nazareno” consente ai cristiani di assaporare con gioia il mondo della Promessa, introducendoli in modo decisivo nella fede del popolo eletto e unendoli ad esso, la persona e l’identità profonda dello stesso Gesù li separano, poiché i cristiani riconoscono in Lui il Messia, il Figlio di Dio” (42). Papa Benedetto XVI ribadisce la condanna dell’antisemitismo: “Inescusabili e altamente condannabili sono le persecuzioni insidiose o violente del passato!” (43). Nota pure che, “[…] nonostante queste tristi situazioni, gli apporti reciproci nel corso dei secoli sono stati così fecondi che hanno contribuito alla nascita e alla fioritura di una civiltà e di una cultura chiamata comunemente giudeo-cristiana. Come se questi due mondi che si dicono differenti o contrari per diversi motivi, avessero deciso di unirsi per offrire all’umanità un nobile legame. Questo legame che unisce, mentre li separa, giudei e cristiani, deve aprirli a una nuova responsabilità gli uni per gli altri, gli uni con gli altri” (44).
Ancora più delicata è la questione del dialogo interreligioso con l’islam. Da una parte, il Pontefice prende le distanze dalle posizioni che considerano il dialogo con i musulmani impossibile e sempre inopportuno. “Fedele all’insegnamento del Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica guarda i musulmani con stima, essi che rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il digiuno, che venerano Gesù come profeta senza riconoscerne tuttavia la divinità, e che onorano Maria, la sua madre verginale” (45). Rivolgendosi ai ragazzi musulmani — alcuni dei quali venuti, in circostanze drammatiche, dalla Siria — che hanno partecipato al suo incontro con i giovani, ha detto: “Voi siete con i giovani cristiani il futuro di questo meraviglioso Paese e dell’insieme del Medio Oriente. Cercate di costruirlo insieme! E quando sarete adulti, continuate a vivere la concordia nell’unità con i cristiani. Poiché la bellezza del Libano si trova in questa bella simbiosi. Bisogna che l’intero Medio Oriente, guardando voi, comprenda che i musulmani e i cristiani, l’Islam e il Cristianesimo, possono vivere insieme senza odio, nel rispetto del credo di ciascuno, per costruire insieme una società libera e umana”(46). “In Libano, la Cristianità e l’Islam abitano lo stesso spazio da secoli— ha ricordato alle autorità politiche —. Non è raro vedere nella stessa famiglia entrambe le religioni. Se in una stessa famiglia questo è possibile, perché non dovrebbe esserlo a livello dell’intera società?” (47).
E tuttavia il Papa sa che la storia della regione ha visto troppo spesso “[…] giustificare, in nome della religione, pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione” (48). La stessa storia, però, offre anche un modello di possibile dialogo. I cristiani della regione, “essendo parte integrante del Medio Oriente, hanno sviluppato nel corso dei secoli una sorta di rapporto con l’ambiente che può servire come insegnamento. Si sono lasciati interpellare dalla religiosità dei musulmani, ed hanno proseguito, secondo i propri mezzi e nella misura del possibile, a vivere e promuovere i valori evangelici nella cultura circostante. Il risultato è una particolare simbiosi” (49), che crea una situazione non priva di ambiguità e pericoli ma per altri versi è a suo modo affascinante.
Il più fondamentale dei diritti: la libertà religiosa
Certamente l’esortazione apostolica riafferma nei termini più decisi il diritto dei cristiani medio-orientali alla piena libertà religiosa e civile. “I cattolici del Medio Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria. Devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori” (50). La questione della libertà religiosa, che tanto sta a cuore a Papa Benedetto XVI, assume però in Medio Oriente profili particolarmente delicati. Talora i musulmani affermano che quello alla libertà religiosa è un diritto intrinsecamente occidentale o cristiano, che non potrebbe trovare posto in un contesto islamico storicamente e strutturalmente diverso. Il Pontefice risponde che, certo, “[…] i cristiani riservano particolare attenzione ai diritti fondamentali della persona umana. Affermare tuttavia che questi diritti non sono che diritti cristiani dell’uomo non è giusto. Sono semplicemente diritti connessi alla dignità di ogni persona umana e di ogni cittadino, a prescindere dalle origini, dalle convinzioni religiose e dalle scelte politiche” (51). La libertà religiosa è un elemento di “[…] questa grammatica che è la legge naturale inscritta nel cuore umano” (52), che come tale s’impone a tutti gli uomini dotati di retta ragione a prescindere dalla loro affiliazione religiosa. Senza accettare la legge naturale come grammatica comune per uomini di tutte le fedi “[…] non è possibile costruire l’autentica pace”(53). La coesistenza pacifica fra persone di fedi diverse “[…] è possibile solamente nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture, perché sono radicate nella natura della persona umana. Questi valori, che sono come un substrato, esprimono i tratti autentici e caratteristici dell’umanità. Essi appartengono ai diritti di ogni essere umano” (54).
È anche sbagliato considerare la libertà religiosa solo una libertà fra tante altre: “[…] la libertà religiosa è il diritto fondamentale da cui molti altri dipendono” (55). “La perdita o l’indebolimento di questa libertà priva la persona del sacro diritto ad una vita integra sul piano spirituale”(56). “La libertà religiosa è il culmine di tutte le libertà. È un diritto sacro e inalienabile” (57). E la libertà religiosa non si riduce solo alla libertà di celebrare il culto chiusi nelle proprie chiese, secondo un equivoco frequente in certi ambienti musulmani del Medio Oriente. “Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà deve essere possibile a chiunque” (58). “Comporta sia la libertà individuale e collettiva di seguire la propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto. Include la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza” (59). Concretamente, “deve essere possibile professare e manifestare liberamente la propria religione e i suoi simboli, senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà personale” (60). La costrizione in materia di religione, “[…] che può assumere forme molteplici e insidiose sul piano personale e sociale, culturale, amministrativo e politico, è contraria alla volontà di Dio. Essa è una fonte di strumentalizzazione politico-religiosa, di discriminazione e di violenza che può condurre alla morte” (61). A chi giustifica il terrorismo Papa Benedetto XVI ricorda che “Dio vuole la vita, non la morte. Egli proibisce l’omicidio, anche quello dell’omicida” (62).
Con un occhio forse rivolto anche a discussioni europee — fra cui quelle con la Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) —, il Pontefice spiega, riaffermando e insieme interpretando la dichiarazione Dignitatis humanae (63) del Concilio Ecumenico Vaticano II, che nel contesto attuale non è più sufficiente parlare di tolleranza religiosa. “La tolleranza religiosa esiste in diversi paesi, ma essa non impegna molto perché rimane limitata nel suo raggio di azione. È necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa”(64). Infatti, “la sedicente tolleranza non elimina le discriminazioni, talvolta invece le rinforza” (65). Rispondendo appunto alle critiche secondo cui passare dalla nozione di tolleranza religiosa a quella di libertà religiosa, com’è avvenuto con la dichiarazione Dignitatis Humanae, favorirebbe il relativismo, il Papa afferma che “questo passaggio non è una porta aperta al relativismo, come alcuni affermano. Questo passo da compiere non è una crepa aperta nella fede religiosa, ma una riconsiderazione del rapporto antropologico con la religione e con Dio. Non è una violazione delle verità fondanti della fede, perché, nonostante le divergenze umane e religiose, un raggio di verità illumina tutti gli uomini” (66). Per comprendere perché sia così, è necessario approfondire la riflessione sul rapporto fra la nozione filosofica e quella teologica di verità. “Sappiamo bene che la verità non esiste al di fuori di Dio come una cosa in sé. Sarebbe un idolo. La verità si può sviluppare soltanto nella relazione con l’altro che apre a Dio, il quale vuole esprimere la propria alterità attraverso e nei miei fratelli umani” (67). E tuttavia “la verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all’altro non possiamo imporre la verità; solo nell’incontro di amore la verità si dischiude” (68). Ancora, la libertà religiosa non è solo un diritto individuale relativo al cosiddetto foro interno: “[…] ha una dimensione sociale e politica” (69).
Un primo errore che avvelena il Medio Oriente: il laicismo
Alla vera nozione di libertà religiosa, e al corretto rapporto fra religione e politica, si oppongono — in Medio Oriente come altrove — da una parte il laicismo e dall’altra il fondamentalismo. “Come il resto del mondo, il Medio Oriente conosce due realtà opposte: la laicità, con le sue forme talvolta estreme, e il fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa” (70). Il problema è che spesso alcuni ambienti musulmani, rifiutando il laicismo — cioè l’inaccettabile e assoluta separazione fra religione e politica — finiscono per rifiutare anche la laicità, che è invece la corretta e necessaria distinzione fra queste due realtà, che evita la confusione tra loro tipica del fondamentalismo. “È con grande sospetto che alcuni responsabili politici e religiosi medio-orientali, di tutte le comunità, considerano la laicità come atea o immorale. È vero che la laicità può talvolta affermare, in maniera riduttiva, che la religione riguarda esclusivamente la sfera privata, come se non fosse che un culto individuale e domestico, situato fuori dalla vita, dall’etica, dalla relazione con l’altro. Nella sua forma estrema e ideologica, questa laicità, diventata secolarismo, nega al cittadino l’espressione pubblica della sua religione e pretende che solo lo Stato possa legiferare sulla sua forma pubblica” (71). In verità, nota il Papa, “queste teorie sono antiche. Esse non sono più soltanto occidentali e non possono essere confuse con il cristianesimo” (72). I musulmani hanno ragione di rifiutarle, anche nelle forme in cui si sono manifestate in Medio Oriente, ma questo rifiuto del laicismo non dovrebbe coinvolgere la laicità, che ha anche una sua forma sana e accettabile.
La spiegazione di che cosa si debba intendere per sana laicità, distinta e anzi opposta al laicismo, è particolarmente importante. “La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l’indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senzaaffermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell’opposizione. Il rapporto appropriato si fonda, innanzitutto, sulla natura dell’uomo — dunque su una sana antropologia — e sul pieno rispetto dei suoi diritti inalienabili. La presa di coscienza di questo rapporto appropriato permette di comprendere che esiste una sorta di unità-distinzione che deve caratterizzare il rapporto tra lo spirituale (religioso) e il temporale (politico), perché ambedue sono chiamati, pur nella necessaria distinzione, a cooperare armoniosamente al bene comune. Una tale laicità sana garantisce alla politica di operare senza strumentalizzare la religione, e alla religione di vivere liberamente senza appesantirsi con la politica dettata dall’interesse, e qualche volta poco conforme, o addirittura contraria, alle credenze religiose. Per questo la sana laicità (unità-distinzione) è necessaria, anzi indispensabile ad entrambe” (73). Fra religione e politica non dovrebbero esserci né confusione né separazione, ma insieme unità e distinzione nella collaborazione. A causa delle peculiari circostanze del Medio Oriente, riconquistare questa verità non è facile. “La sfida costituita dalla relazione tra politica e religione può essere affrontata con pazienza e coraggio mediante una formazione umana e religiosa adeguata. Occorre richiamare continuamente il posto di Dio nella vita personale, familiare e civile, e il giusto posto dell’uomo nel disegno di Dio. E soprattutto, a tale scopo, occorre pregare di più”(74).
Un secondo errore mortale: il fondamentalismo
Il rischio, naturalmente, non è costituito solo dal laicismo, Vi è anche, all’estremo opposto, il fondamentalismo. Già nel volo che lo ha portato in Libano, il Pontefice ha rinnovato la condanna del “[…] fondamentalismo [che] è sempre una falsificazione della religione. Va contro l’essenza della religione” (75). Si tratta di un tema fondamentale dell’intero pontificato di Papa Benedetto XVI. La convivenza pacifica richiede l’equilibrio fra fede e ragione. Quando la ragione nega il ruolo della fede emerge il laicismo. Quando la fede nega il ruolo della ragione emerge il fondamentalismo, il quale viola la legittima distinzione — che è cosa diversa dalla separazione laicista — fra fede e ragione, pretendendo di dedurre anzitutto il contenuto della fede dalla “semplice letteralità del testo” (76) sacro, saltando quel “processo di comprensione” (77) che necessariamente chiama in causa la ragione, quindi di dedurre direttamente dalla fede, senza mediazione razionale, le norme che regolano la vita sociale e politica. Dunque, per il Pontefice “un’alta purificazione della religione da queste tentazioni [del fondamentalismo] è sempre necessaria. È nostro compito illuminare e purificare le coscienze e rendere chiaro che ogni uomo è un’immagine di Dio; e noi dobbiamo rispettare nell’altro non soltanto la sua alterità, ma, nell’alterità, la reale essenza comune di essere immagine di Dio, e trattare l’altro come un’immagine di Dio. Quindi, il messaggio fondamentale della religione dev’essere contro la violenza, che ne è una falsificazione, come il fondamentalismo, e dev’essere l’educazione e l’illuminazione e la purificazione delle coscienze” (78).
“Le incertezze economico-politiche, l’abilità manipolatrice di certuni ed una comprensione insufficiente della religione, tra l’altro, costituiscono la base del fondamentalismo religioso. Quest’ultimo affligge tutte le comunità religiose, e rifiuta il vivere insieme secolare. Esso vuole prendere il potere, a volte con violenza, sulla coscienza di ciascuno e sulla religione per ragioni politiche” (79). Cristiani, ebrei e musulmani dovrebbero lavorare insieme al fine “[…] di sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni”(80). “Utilizzare le parole rivelate, le Sacre Scritture o il nome di Dio, per giustificare i nostri interessi, le nostre politiche così facilmente accomodanti, o le nostre violenze, è un gravissimo errore” (81).
La questione delle cosiddette “primavere arabe”
In questo contesto non poteva non emergere il problema delle “primavere arabe” (82), che hanno portato nei Parlamenti e nei governi di diversi Paesi — una volta deposti i vecchi dittatori, che spesso proponevano idee a diverso titolo laiciste — esponenti politici musulmani sia fondamentalisti, riconducibili all’organizzazione internazionale dei Fratelli Musulmani, sia “ultra-fondamentalisti”, intendendo con questo nome quelli che la stampa internazionale chiama spesso “salafiti” — termine peraltro ambiguo, perché il riferimento ai “pii antenati”, salaf, dell’epoca d’oro dell’islam si trova anche al di fuori del fondamentalismo — e che presentano una versione radicale e aggressiva del fondamentalismo, che non esclude neppure la violenza e il terrorismo come mezzi “legittimi” di lotta politica (83).
Non è la prima volta che il Pontefice si occupa delle cosiddette primavere arabe. Già nel viaggio apostolico nel Bénin del 2011 aveva rilevato che “in questi ultimi mesi, numerosi popoli hanno espresso il loro desiderio di libertà, il loro bisogno di sicurezza materiale, e la loro volontà di vivere armoniosamente” (84) sulla base di semplici richieste di dignità economica, umana e politica. Il Papa aveva definito allora queste richieste come derivate da “una rivendicazione legittima” (85), anche se “a volte violenta” (86). La critica del laicismo implica tra l’altro una critica di quelle dittature arabe che sia propagandavano sia praticavano il laicismo. Come dimenticare, per esempio, che il regime tunisino, il primo a cadere nel gennaio 2011, menava vanto del fatto di avere legalizzato l’aborto nel 1973, due anni prima che lo facesse la Francia nel 1975?“Direi — ha affermato Papa Benedetto XVI – che, di per sé, la primavera araba è una cosa positiva: è un desiderio di maggiore democrazia, maggiore libertà, di maggiore cooperazione, di una rinnovata identità araba. E questo grido della libertà, che viene da una gioventù più formata culturalmente e professionalmente, che desidera maggiore partecipazione nella vita politica, nella vita sociale, è un progresso, una cosa molto positiva e salutata proprio anche da noi cristiani” (87).
“La Chiesa — aveva però aggiunto nel Bénin il Pontefice — non offre alcuna soluzione tecnica e non impone alcuna soluzione politica” (88), ma ricorda — sulla base della sua dottrina sociale — che non ci si deve attendere la realizzazione della libertà e della giustizia come esito automatico di un tipo di regime, fosse pure la democrazia: “nessun regime politico è l’ideale” (89). Benché la richiesta di libertà sia di per sé legittima, occorre sempre chiedersi di quale libertà precisamente si tratti. Vi è infatti anche nelle “primavere arabe” un rovescio di medaglia. “Naturalmente, dalla storia delle rivoluzioni, sappiamo che il grido della libertà, così importante e positivo, è sempre in pericolo di dimenticare un aspetto, una dimensione fondamentale della libertà, cioè la tolleranza dell’altro; il fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa, che solo nella condivisione, nella solidarietà, nel vivere insieme, con determinate regole, può crescere. Questo è sempre il pericolo, così è anche il pericolo in questo caso. Dobbiamo fare tutti il possibile perché il concetto di libertà, il desiderio di libertà vada nella giusta direzione”(90). L’esigenza di libertà è dunque di per sé positiva, “[…] ma purché sia concepita in modo giusto” (91) e “[…] risponda a maggior dialogo e non al dominio di uno contro gli altri” (92), cioè in concreto alla dominazione dei musulmani fondamentalisti e ultra-fondamentalisti sui musulmani che non apprezzano il fondamentalismo, e dei musulmani in genere sulle minoranze religiose dei loro Paesi, in massima parte cristiane.
L’analisi delle “primavere arabe” da parte di Papa Benedetto XVI non si ferma alla politica. Si estende alla morale e alla teologia della storia. Senza una profonda liberazione dalle tentazioni che vengono dal “demonio” (93) e dall’uomo peccatore suo alleato, “[…] le “liberazioni” umane tanto desiderate deludono, perché si muovono nello spazio ridotto concesso dalla ristrettezza di spirito dell’uomo, dalla sua durezza, dalle sue intolleranze, dai suoi favoritismi, dai suoi desideri di rivincita e dalle sue pulsioni di morte” (94). Perché nelle nuove società arabe si viva in pace non basta cambiare regime politico, occorre cambiare i cuori e convertirsi. Questa prospettiva del Pontefice, che può sembrare irrealistica, è in realtà l’unico realismo disponibile in Medio Oriente, perché solo così sarà possibile alle diverse fazioni perdonare i torti reciproci del recente passato e far cessare le vendette e il caos. “La trasformazione in profondità dello spirito e del cuore è necessaria per ritrovare una certa chiaroveggenza e una certa imparzialità, il senso profondo della giustizia e quello del bene comune. Uno sguardo nuovo e più libero renderà capaci di analizzare e di mettere in discussione sistemi umani che conducono a vicoli ciechi, per andare avanti tenendo conto del passato, per non ripeterlo più con i suoi effetti devastanti. Questa conversione richiesta è esaltante perché apre delle possibilità facendo appello alle innumerevoli risorse che abitano il cuore di tanti uomini e donne desiderosi di vivere in pace e pronti ad impegnarsi per la pace. Ora essa è particolarmente esigente: si tratta di dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare. Perché solo il perdono dato e ricevuto pone le fondamenta durevoli della riconciliazione e della pace per tutti” (95).
Emigrazione e immigrazione
Le conseguenze degli errori in tema di rapporti fra religione e politica denunciati nell’esortazione apostolica non si limitano alla sfera teorica. Si manifestano in modo tragico, inducendo i cristiani della regione a emigrare, mentre nei Paesi più ricchi della zona affluiscono lavoratori immigrati, spesso a loro volta cristiani, i cui diritti alla libertà religiosa e alla dignità del lavoro raramente sono rispettati. I cristiani, “per esperienza, sanno anche di essere vittime designate quando vi sono dei disordini. Dopo aver partecipato attivamente nel corso dei secoli alla costruzione delle rispettive nazioni e contribuito alla formazione della loro identità e alla loro prosperità, i cristiani sono numerosi a scegliere cieli più propizi, luoghi di pace in cui essi e le loro famiglie potranno vivere degnamente e in sicurezza, e spazi di libertà dove la loro fede potrà esprimersi senza che siano sottomessi a diverse costrizioni” (96). Questa massiccia emigrazione dei cristiani dovrebbe essere ove possibile prevenuta, mentre nei Paesi dove si recano i cristiani medio-orientali dovrebbero essere oggetto di un adeguato accompagnamento pastorale, che ne rispetti le peculiarità.
Non vi è solo “il “miele amaro” dell’emigrazione, con lo sradicamento e la separazione in cambio di un futuro incerto” (97). Si può anche, tragicamente, emigrare senza lasciare il proprio Paese: soprattutto i giovani sono esposti al rischio di emigrare da se stessi, rifugiandosi nella droga, nella pornografia, nell’uso ossessivo dei social network su Internet, che non sono di per sé negativi ma che vanno usati con ragionevolezza e con moderazione perché non diventino una fuga dalla realtà. “Le frustrazioni presenti — ha detto il Papa ai giovani libanesi — non devono condurvi a rifugiarvi in mondi paralleli come quelli, tra gli altri, delle droghe di ogni tipo, o quello della tristezza della pornografia. Quanto alle reti sociali, esse sono interessanti ma possono facilmente trascinarvi alla dipendenza e alla confusione tra il reale e il virtuale”(98). Anche la ricerca ossessiva del denaro, “[…] questo idolo tirannico che acceca al punto da soffocare la persona e il suo cuore” (99), può diventare una forma di emigrazione da se stessi e di fuga da un apprezzamento realistico del contesto storico e politico.
Nello stesso tempo, il Medio Oriente conosce oggi “[…] la presenza nei paesi ad economia forte della regione di lavoratori di ogni sorta provenienti dall’Africa, dall’Estremo Oriente e dal subcontinente indiano. Queste popolazioni costituite da uomini e donne spesso soli o da intere famiglie, affrontano una doppia precarietà. Sono stranieri nel paese dove lavorano, e sperimentano troppo spesso delle situazioni di discriminazione e d’ingiustizia” (100). “Sfruttati senza potersi difendere, con contratti di lavoro più o meno limitati o legali, queste persone sono talvolta vittime di infrazioni delle leggi locali e delle convenzioni internazionali. D’altra parte, subiscono forti pressioni e gravi limitazioni religiose” (101). La Chiesa è al loro fianco, e chiede per loro giustizia nei rapporti di lavoro e libertà religiosa.
La risposta delle comunità cattoliche alla crisi del Medio Oriente
Se la prima parte dell’esortazione apostolica descrive il contesto sociale, politico e religioso del Medio Oriente — occasione per riflessioni che interessano tutta la Chiesa universale —, la seconda e la terza entrano più direttamente nei problemi delle comunità cattoliche locali. Giacché, a differenza della prima parte del documento, la seconda e la terza si rivolgono solo occasionalmente alla Chiesa universale, e interessano più specificamente i cattolici medio-orientali, mi limito in questa sede a segnalare alcuni spunti. Anzitutto, com’è noto, nei riti cattolici orientali vi sono — a differenza che nel rito latino — sacerdoti sposati, che sono a pieno titolo sacerdoti cattolici e coesistono con presbiteri che hanno scelto il celibato. Il Pontefice afferma che “il celibato sacerdotale è un dono inestimabile di Dio alla sua Chiesa, che occorre accogliere con riconoscenza, tanto in Oriente quanto in Occidente, poiché rappresenta un segno profetico sempre attuale. Ricordiamo, inoltre, il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali. Vorrei rivolgere il mio incoraggiamento anche a questi presbiteri che, con le loro famiglie, sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro condizioni di vita a volte difficili. A tutti ribadisco che la bellezza della vostra vita sacerdotale susciterà senza dubbio nuove vocazioni che toccherà a voi coltivare” (102).
La ricchissima storia del monachesimo medio-orientale dovrebbe a sua volta spingere tutti i cattolici, anche quelli che monaci non sono, a “[…] meditare lungamente e con cura sui consigli evangelici: l’obbedienza, la castità e la povertà, per riscoprire oggi la loro bellezza, la forza della loro testimonianza e la loro dimensione pastorale. Non può esserci rigenerazione interna del fedele, della comunità credente e della Chiesa intera senza che ci sia un ritorno deciso e senza equivoci, ciascuno secondo la propria vocazione, verso il quaerere Deum, la ricerca di Dio che aiuta a definire e a vivere in verità il rapporto con Dio, col prossimo e con se stessi” (103).
Altre indicazioni ribadiscono temi spesso affrontati da Papa Benedetto XVI anche in contesti diversi da quello medio-orientale. Così, i laici sono invitati a “[…] superare le divisioni e ogni interpretazione soggettivistica della vita cristiana. Fate attenzione a non separare questa — con i suoi valori e le sue esigenze — dalla vita in famiglia o nella società, nel lavoro, nella politica e nella cultura, perché tutti i vari campi della vita del laico rientrano nel disegno di Dio” (104). Ai laici libanesi e medio-orientali il Papa ripete, come fa ovunque, che i princìpi non negoziabili relativi a vita, famiglia ed educazione devono prevalere su ogni altra ragione o criterio d’impegno politico. Questo primato è così fondamentale che il Pontefice sente il bisogno di riaffermarlo anche in un contesto di tragedia e di guerra com’è quello medio-orientale. Nessuna circostanza autorizza deroghe al criterio che mette al primo posto i princìpi non negoziabili. È un errore pensare che in una situazione di guerra si possa perseguire la pace prescindendo da questi princìpi. Al contrario, “per costruire la pace, la nostra attenzione deve dunque portarsi verso la famiglia, al fine di facilitare il suo compito, per sostenerla così e dunque promuovere dappertutto una cultura di vita. L’efficacia dell’impegno per la pace dipende dalla concezione che il mondo può avere della vita umana. Se vogliamo la pace, difendiamo la vita!” (105). Non basta combattere solo “gli atti terroristici, ma anche ogni attentato alla vita dell’essere umano, creatura voluta da Dio” (106).
Gli attacchi alla vita vengono da ideologie che aggrediscono nello stesso tempo anche la famiglia. “Certe ideologie, mettendo in causa in modo diretto o indiretto, o persino legale, il valore inalienabile di ogni persona e il fondamento naturale della famiglia, minano le basi della società. Dobbiamo essere coscienti di questi attentati all’edificazione e all’armonia del vivere insieme“ (107), tanto più che all’interno stesso della Chiesa “[…] le proprietà essenziali del matrimonio sacramentale — unità e indissolubilità (cfr Mt 19, 6) — ed il modello cristiano della famiglia, della sessualità e dell’amore sono ai nostri giorni, se non contestati, almeno incompresi da certi fedeli. Vi è la tentazione di appropriarsi dei modelli contrari al Vangelo, veicolati da una certa cultura contemporanea, diffusa dappertutto nel mondo” (108).
Né il Papa dimentica il terzo principio non negoziabile, relativo all’educazione. Ma “l’educazione, nella famiglia o a scuola, dev’essere anzitutto educazione ai valori spirituali che conferiscono alla trasmissione del sapere e delle tradizioni di una cultura il loro senso e la loro forza. Lo spirito umano ha il gusto innato del bello, del bene e del vero. È il sigillo del divino, l’impronta di Dio in esso! Da questa aspirazione universale deriva una concezione morale ferma e giusta, che pone sempre la persona al centro” (109). Anche in Medio Oriente, “il compito dell’educazione è di accompagnare la maturazione della capacità di fare scelte libere e giuste, che possano andare contro-corrente rispetto alle opinioni diffuse, alle mode, alle ideologie politiche e religiose” (110).
Speciale attenzione ha destato la parte dell’esortazione apostolica che, in un contesto segnato da discussioni sul tema specie all’interno del mondo musulmano, ribadisce la nozione cristiana dell’uguale dignità fra l’uomo e la donna. “Il primo racconto della creazione mostra l’uguaglianza ontologica tra l’uomo e la donna (cfr Gen 1, 27-29). Questa uguaglianza è ferita dalle conseguenze del peccato (cfr Gen 3, 16; Mt 19, 4). Superare questa eredità, frutto del peccato, è un dovere per ogni essere umano, uomo o donna” (111). “Vorrei assicurare a tutte le donne — prosegue Papa Benedetto XVI — che la Chiesa cattolica, collocandosi nella fedeltà al disegno divino, promuove la dignità personale della donna e la sua uguaglianza con l’uomo, di fronte alle forme più varie di discriminazione alle quali è sottomessa per il semplice fatto di essere donna. Tali pratiche feriscono la vita di comunione e di testimonianza. Esse offendono gravemente non solo la donna, ma anche e soprattutto Dio, il Creatore” (112).
Il Pontefice afferma che “[…] i cristiani dei paesi della regione devono avere la possibilità di applicare nel campo matrimoniale e negli altri campi il loro diritto proprio, senza restrizione” (113), cioè non devono essere sottoposti al diritto di famiglia islamico nei Paesi dove questo si confonde con la legge civile. È possibile tuttavia che anche nell’applicazione del diritto canonico cattolico ci siano talora problemi che derivano dal contesto culturale. Ecco allora la raccomandazione secondo cui “[…] nelle vertenze giuridiche che, purtroppo, possono opporre l’uomo e la donna soprattutto in questioni di ordine matrimoniale, la voce della donna deve essere ascoltata e presa in considerazione con rispetto, al pari di quella dell’uomo, per far cessare certe ingiustizie”(114). “La giustizia della Chiesa deve essere esemplare a tutti i suoi livelli e in tutti i campi che essa tocca. Bisogna assolutamente aver cura che le vertenze giuridiche relative a questioni matrimoniali non conducano all’apostasia” (115).
La vita interna delle Chiese medio-orientali, il “Catechismo della Chiesa Cattolica” e l’Anno della fede
La terza parte dell’esortazione fornisce indicazioni pastorali, catechistiche e liturgiche, che partono dall’accostamento alla Sacra Scrittura, raccomandando lo studio di un importante documento del Magistero dello stesso Papa Benedetto XVI: “Nella prospettiva di un approccio ecclesiale alla Bibbia, una lettura, individuale e in gruppo, dell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini sarà di grande utilità” (116). Dal contesto storico medio-orientale, il Pontefice trae un richiamo ai princìpi fondamentali illustrati nella stessa Verbum Domini. “Le scuole esegetiche di Alessandria, di Antiochia, di Edessa o di Nisibi hanno contribuito potentemente all’intelligenza e alla formulazione dogmatica del mistero cristiano nel IV e nel V secolo. La Chiesa intera ne è loro riconoscente. I sostenitori delle diverse correnti di interpretazione dei testi concordavano su alcuni principi tradizionali di esegesi, comunemente ammessi dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Il più importante è credere che Gesù Cristo incarna l’unità intrinseca dei due Testamenti e di conseguenza l’unità del disegno salvifico di Dio nella storia (cfr Mt 5, 17)” (117). “Viene poi la fedeltà ad una lettura tipologica della Bibbia, secondo la quale certi fatti dell’Antico Testamento sono una prefigurazione (tipo e figura) delle realtà della Nuova Alleanza in Gesù Cristo, chiave di lettura di tutta la Bibbia” (118).
Sul piano pastorale, le Chiese del Medio Oriente aggiungono ai loro impegni quello di accogliere i milioni di pellegrini che vengono in Terrasanta. Si tratta di un pellegrinaggio cui la Chiesa non può rinunciare. “Improntato alla penitenza per la conversione e alla ricerca di Dio, ripercorrendo i passi storici di Cristo e degli Apostoli, il pellegrinaggio ai luoghi santi e apostolici può essere, se vissuto con fede e profondità, un’autentica sequela Christi. In un secondo tempo, dà anche ai fedeli la possibilità di impregnarsi maggiormente della ricchezza visiva della storia biblica che delinea davanti a loro i grandi momenti dell’economia della salvezza” (119). A chi organizza pellegrinaggi Papa Benedetto XVI fornisce anche un’ulteriore indicazione specifica: “Al pellegrinaggio biblico è opportuno anche associare il pellegrinaggio ai santuari dei martiri e dei santi, nei quali la Chiesa venera Cristo, fonte del loro martirio e della loro santità” (120).
L’esortazione si chiude con due raccomandazioni consuete nel Magistero recente, relative all’Anno della fede e al Catechismo della Chiesa Cattolica. “L’Anno della fede che si situa nel contesto della nuova evangelizzazione sarà, se vissuto con intensa convinzione, un forte stimolo per promuovere una evangelizzazione delle Chiese della regione, e per consolidare la testimonianza cristiana” (121). “Il Catechismo della Chiesa Cattolica è una base necessaria. Come ho già indicato, la sua lettura e il suo insegnamento devono essere incoraggiati, come anche un’iniziazione concreta alla Dottrina sociale della Chiesa” (122), che è oggi preziosa pure come criterio d’interpretazione della crisi economica internazionale. “La logica economica e finanziaria vuole continuamente imporci il suo giogo e far primeggiare l’avere sull’essere!” (123). Si tratta, invece, di dare all’essere il primato sull’avere.
L’Anno della fede, ha spiegato il Pontefice, permetterà anche di reagire alle troppe immagini che dipingono Gesù Cristo solo come un grande maestro di morale e di vita. Questi accostamenti possono attirare inizialmente chi è lontano dalla Chiesa e aiutarlo a iniziare a percorrere “[…] la via della verità. Ma, senza essere necessariamente falsi, rimangono insufficienti, poiché non raggiungono il cuore dell’identità di Gesù. Soltanto chi accetta di seguirlo sulla sua via, di vivere in comunione con lui nella comunità dei discepoli, può averne una conoscenza autentica” (124), che non potrà mai essere trovata fuori della fede della Chiesa.
L’Anno della fede dovrà essere anche un anno delle opere, secondo la parola di san Giacomo ricordata dal Pontefice in Libano: “Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc. 2,18). Sì, il male, il demonio e i suoi alleati sono all’opera nella storia. Ma “l’inoperosità degli uomini dabbene non deve permettere al male di trionfare. E il non far nulla è ancora peggio” (125).
Note:
(1) Benedetto XVI, Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale Rafiq Hariri di Beirut, del 16-9-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 17/18-9-2012.
(2) Idem, Visita alla Basilica di St. Paul ad Harissa e firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale, del 14-9-2012, ibid. 16-9-2012.
(3) Ibidem.
(4) Idem, Consegna dell’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente al Beirut City Center Waterfront, del 16-9-2012, ibid. 17/18-9-2012.
(5) Idem, Incontro con i giovani nel piazzale antistante il Patriarcato maronita di Bkerké, del 15-9-2012, ibidem.
(6) Idem, Visita alla Basilica di St. Paul ad Harissa e firma dell’Esortazione apostolica post-sinodale, cit.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Ibidem.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(13) Ibidem.
(14) Ibidem.
(15) Ibidem.
(16) Ibidem.
(17) Ibidem.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, del 14-9-2012, n. 8.
(21) Idem, Angelus al Beirut City Center Waterfront, del 16-9-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 17/18-9-2012.
(22) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 96.
(23) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica a tutti i vescovi della Chiesa Cattolica sulla situazione del Libano, del 7-9-1989, n. 6. Cfr. Benedetto XVI, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Libano, del 14-9-2012, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 16-9-2012.
(24) Benedetto XVI, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto Rafiq Hariri di Beirut, del 14-9-2012, ibid. 15-9-2012.
(25) Ibidem.
(26) Ibidem.
(27) Idem, Pranzo con i Patriarchi e i Vescovi del Libano, con i Membri del Consiglio Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi e con il Seguito Papale nel Refettorio del Patriarcato Armeno cattolico di Bzommar, del 15-9-2012, ibid. 16-9-2012.
(28) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, del 15-9-2012, ibidem.
(29) Idem, Cerimonia di benvenuto all’aeroporto Rafiq Hariri di Beirut, cit.
(30) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(31) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 9.
(32) Ibid., n. 10.
(33) Ibid., n. 11.
(34) Ibidem.
(35) Ibid., n. 12.
(36) Ibid., n. 13.
(37) Ibid., n. 16.
(38) Ibidem.
(39) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium”, del 21-11-1964.
(40) Idem, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane “Nostra aetate”, del 28-10-1965.
(41) Ibid., n. 19.
(42) Ibid., n. 20.
(43) Ibid., n. 22.
(44) Ibidem.
(45) Ibid., n. 23.
(46) Idem, Incontro con i giovani nel piazzale antistante il Patriarcato maronita di Bkerké, cit.
(47) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(48) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 23.
(49) Ibid., n. 24.
(50) Ibid., n. 25.
(51) Ibidem.
(52) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(53) Ibidem.
(54) Ibidem.
(55) Ibidem.
(56) Ibidem.
(57) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 26.
(58) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(59) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 26.
(60) Ibidem.
(61) Ibidem.
(62) Ibidem.
(63) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulla libertà religiosa “Dignitatis humanae“, del 7-12-1965.
(64) Ibidem., n. 27.
(65) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(66) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 27.
(67) Ibidem.
(68) Ibidem.
(69) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(70) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 29.
(71) Ibidem.
(72) Ibidem.
(73) Ibidem.
(74) Ibidem.
(75) Idem, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Libano, cit.
(76) Idem, Incontro con i rappresentanti della cultura nel Collège des Bernardins, Parigi, 12-9-2008, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. IV, 2, 2008. (Luglio-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 270-280 (p. 275)
(77) Ibidem.
(78) Idem, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Libano, cit.
(79) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 30.
(80) Ibidem.
(81) Ibidem.
(82) Cfr. il mio Islam. Che sta succedendo? Le rivolte arabe, la morte di Osama bin Laden, l’esodo degli immigrati, Sugarco, Milano 2011.
(83) Cfr. il mio Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2004.
(84) Benedetto XVI, Incontro con i Membri del Governo, i Rappresentanti delle Istituzioni della Repubblica, il Corpo Diplomatico e i Rappresentanti delle principali Religioni nel Palazzo Presidenziale di Cotonou, del 19-11-2011, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 20-11-2011. Cfr. sul punto il mio La speranza che viene dall’Africa. Il viaggio di Papa Benedetto XVI in Bénin, in Cristianità, anno XL, n. 363, gennaio-marzo 2012, pp. 1-11.
(85) Benedetto XVI, Incontro con i Membri del Governo, i Rappresentanti delle Istituzioni della Repubblica, il Corpo Diplomatico e i Rappresentanti delle principali Religioni nel Palazzo Presidenziale di Cotonou, cit.
(86) Ibidem.
(87) Idem, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Libano, cit.
(88) Idem, Incontro con i Membri del Governo, i Rappresentanti delle Istituzioni della Repubblica, il Corpo Diplomatico e i Rappresentanti delle principali Religioni nel Palazzo Presidenziale di Cotonou, cit.
(89) Ibidem.
(90) Idem, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso il Libano, cit.
(91) Ibidem.
(92) Ibidem.
(93) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(94) Ibidem.
(95) Ibidem.
(96) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 31.
(97) Idem, Incontro con i giovani nel piazzale antistante il Patriarcato maronita di Bkerké, cit.
(98) Ibidem.
(99) Ibidem.
(100) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 33.
(101) Ibid., n. 34.
(102) Ibid., n. 48.
(103) Ibid., n. 54.
(104) Ibid., n. 56.
(105) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(106) Ibidem.
(107) Ibidem.
(108) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 58.
(109) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(110) Ibidem.
(111) Idem, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 60.
(112) Ibidem.
(113) Ibid., n. 61.
(114) Ibidem.
(115) Ibidem.
(116) Ibid., n. 70. Cfr. sul punto don Pietro Cantoni e M. Introvigne, Esegesi biblica e Concilio Ecumenico Vaticano II. Una riflessione sull’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Papa Benedetto XVI, in Cristianità, anno XXXVIII, n. 358, ottobre-dicembre 2010, pp. 19-33.
(117) Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” ai Patriarchi, ai Vescovi, al Clero, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici sulla Chiesa in Medio Oriente: comunione e testimonianza, cit., n. 70.
(118) Ibidem.
(119) Ibid., n. 83.
(120) Ibidem.
(121) Ibid., n. 88.
(122) Ibid., n. 93.
(123) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.
(124) Idem, Santa Messa e consegna dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale per il Medio Oriente al Beirut City Center Waterfront. Omelia del Santo Padre, del 16-9-2012, Ibid. 17/18-9-2012.
(125) Idem, Incontro con i Membri del Governo, delle Istituzioni della Repubblica, con il Corpo Diplomatico, i Capi religiosi e Rappresentanti del mondo della cultura nel Salone 25 maggio del Palazzo Presidenziale di Baabda, cit.