Massimo Introvigne, Cristianità n. 55 (1979)
Gli sviluppi del “germe” seminato da de Sade, con il contributo di Marx, Freud e Nietzsche. Il sistema di Georg Groddeck, significativo esponente della sinistra freudiana e combinazione sui generis di Freud e Nietzsche. Il monismo gnostico dell’Es, realtà unica e sostanzialmente inconoscibile, le cui modificazioni “libere” tessono il mondo. Iniziazione al Nulla e alla morte attraverso la dissoluzione della religione, dei valori e, infine, degli stessi fatti.
Introduzione: “la scuola del sospetto”
“I filosofi – scrive Marx nella undicesima tesi su Feuerbach – hanno solo interpretato il mondo in modi diversi: ora però si tratta di mutarlo” (1). Questo assunto di Marx, opportunamente parafrasato, può sintetizzare lo sviluppo del processo della Rivoluzione sessuale da de Sade alla sua fase “scientifica”: de Sade ha lanciato un appello per la estirpazione della morale sessuale dal corpo sociale, ha indicato alcuni fini; ora si tratta di raggiungerli, e di raggiungerli socialmente (2). Come il socialismo, secondo il noto titolo di un‘opera di Engels, anche la Rivoluzione sessuale doveva passare, dopo de Sade, “dall’utopia alla scienza“, paludarsi delle presunte leggi delle “scienze umane” positivistiche e così divenire parte di quella cultura diffusa, che orienta la mentalità e la vita dell’uomo moderno. Alle origini del passaggio dall’immoralismo postulatorio sadiano all’immoralismo articolato e scientifico stanno, soprattutto, i maestri di quella che Ricoeur ha chiamato “la scuola del sospetto“: Marx, Freud, Nietzsche (3).
Il marxismo, negazione del primato dell’essere e autentica adorazione filosofica del divenire, si propone di dissolvere tutte quelle realtà che ostacolano, per il loro carattere stabile, il flusso dell’evoluzione verso quella che Bloch chiama la eterna, “ultravioletta” promessa del Noch-Nicht-Seins, del non-essere-ancora. Fra queste realtà colpevoli di lesa evoluzione (4) un posto centrale occupa la famiglia, non soltanto come istituzione, ma come deposito naturale di valori morali presentati come stabili. Il marxismo si propone di estirpare le radici sociali della morale sessuale abolendo la famiglia: “che l’abolizione dell‘economia separata sia inseparabile dall’abolizione della famiglia – scrivono Marx e Engels ne L’ideologia tedesca – è cosa che s’intende da sé” (5).
La psicanalisi di Freud tenta, dal canto suo, di estirpare le radici individuali della morale sessuale mediante la negazione della coscienza. Freud attribuisce alla coscienza una origine spuria: essa è soltanto una “autorità estrinseca“, corrisponde a un super-io che non è che l’introiezione delle interdizioni parentali della fanciullezza. “Della coscienza morale – scrive Freud – non si dovrebbe parlare prima di avere constatato un super-io” e “la durezza del super-io è la stessa cosa della severità della coscienza“: “la rinuncia agli impulsi inflitta dal di fuori crea la coscienza, che poi esige una ulteriore rinuncia agli impulsi” (6).
Il marxismo e la psicanalisi mettono in dubbio la morale come dato, considerandola rispettivamente semplice sovrastruttura dei rapporti economici e dell’inconscio; Nietzsche getta il sospetto anche sulla morale come valore, denunciandola come malsano ricatto dei più deboli verso i più forti, arma difensiva dei vili e degli schiavi dopo il crepuscolo della società aristocratica e il funesto rovesciamento dei valori, l’Umwertung der Werte. Al di là della secolare mistificazione successiva all’Umwertung, Nietzsche propone la instaurazione di una rinnovata Herrenmoral, imposta dalla volontà di potenza di una nuova casta di dominatori, a prescindere da ogni ordine oggettivo. All’interno di questa nuova anti-morale scomparirà anche la morale sessuale, sostituita dallo sbrigativo aforisma: “la donna è per il riposo del guerriero, il resto è sciocchezza” (7).
Sono note, tuttavia, le ragioni per cui il programma delineato dai “maestri del sospetto” non apparve, tra i loro primi discepoli, suscettibile di immediata realizzazione. La esigenza marxista di dissolvere la famiglia si scontrò, nella Unione Sovietica di Lenin e di Stalin, con la necessità concreta di non frantumare completamente il tessuto sociale, di non snervare nella débauche i sudditi dell’impero comunista, mantenendoli in qualche modo idonei all’arruolamento nell’Armata Rossa. Così, il programma di rivoluzione sessuale, lanciato nell’immediato indomani della rivoluzione bolscevica, venne abbandonato da Stalin; i teorici marxisti del libero amore – come Rjazanov – “sparirono” nelle purghe degli anni Trenta; il militante della Rivoluzione integrale, sognato da Marx, si trasformò nel militante staliniano impegnato nella esportazione armata del comunismo.
Come il marxismo mostrò di avere bisogno – almeno temporaneamente – del mantenimento di un minimum di ordine nella vita individuale, così la psicanalisi finì per riconoscere di essere in grado di iniziare il suo sviluppo soltanto all’interno di un certo ordine sociale. Lo psicanalista trova il suo habitat naturale nel clima amorale e opulento della società permissiva, di cui può diventare persino il confessore o lo stregone: mentre il caso sovietico dimostra che la psicanalisi non è (o, almeno, non è ancora) in grado di egemonizzare le convulsioni rivoluzionarie, e in esse finisce per soccombere. Si assiste così al “compromesso storico” fra psicanalisi e mondo borghese: se “Marx è morto” – come ha scritto il “nuovo filosofo” Benoist – in Lenin e in Stalin, anche Freud, in qualche modo, è morto sul lettino dello psicanalista à la page di Londra o di New York, che non comprende il radicalismo rivoluzionario del maestro e aspira a fare del freudismo soltanto una moda.
Quanto al pensiero di Nietzsche, il fallimento pressoché generale dei tentativi di tradurlo in una qualche prassi ne rivela la invivibilità individuale – che condusse il filosofo tedesco a una particolarissima e tutta filosofica follia – e l’”apolitìa” sociale: il che sembra rendere lecita la conclusione secondo cui a nessuno è possibile desumere fedelmente la propria vita dal crittogramma nietzschiano.
Né Marx, né Freud, né Nietzsche, così come vennero interpretati dagli immediati continuatori, sembrano, dunque, offrire strumenti sufficienti per realizzare un effettivo programma di rivoluzione sessuale. Spetterà a una seconda generazione di discepoli, talora “eretici”, far passare veramente la Rivoluzione sessuale “dall’utopia alla scienza”, attingendo liberamente al pensiero dei maestri della “scuola del sospetto” e utilizzando le loro idee come mezzi al servizio dei fini già oscuramente indicati da de Sade.
Il pensiero che risulta dalla fusione di elementi che derivano da Marx e da Freud, da Nietzsche e da de Sade, si articola e si arricchisce di dimensioni nuove, solo accennate nella disordinata speculazione sadiana. L’itinerario dei più maturi alfieri della Rivoluzione sessuale va dalla sociologia o dalla psicologia all’antropologia: ma dall’antropologia si espande verso la cosmologia e verso una completa visione del mondo. La corrispondenza microcosmo-macrocosmo, magnificamente articolata nel pensiero cristiano medievale, viene rivisitata in chiave sovversiva: dalla dissoluzione del soggetto alla dissoluzione del mondo, fino a un nuovo panteismo come religione atea della natura e del sesso. L’antropologia materialista di de Sade, che risolve il dualismo cartesiano considerando l’uomo come pura res extensa, acquista una dimensione cosmica: il mondo è esso stesso un universo di res extensa, un oceano di materia carica di valenze sessuali. È il passaggio che caratterizza, in particolare, alcuni autori della sinistra freudiana, in questa prospettiva particolarmente significativi, come Groddeck e Reich.
Il punto di arrivo di questo itinerarium mentis ad Revolutionem corrisponde, tuttavia, ancora a una precisa indicazione di de Sade: il culto naturalistico della res extensa, attuato per la via di una magia sexualis con pretese scientifiche, conduce al culto del divenire come fluire di tutte le cose verso la morte, al culto della morte e del nulla. E se è vero che il culto della morte è il movente e il fine della Rivoluzione, emerge, nel pensiero rivoluzionario contemporaneo, la centralità di un filosofo solitario che ha proclamato, in esplicito, la religiosa identità della trasgressione sessuale e del nulla: Bataille, per cui la morte è, insieme, il significante dell’erotismo e il significato del mondo.
L’ “Es” come trama del mondo
Premessa: Lo “psicanalista selvaggio”
- Lo sviluppo del riduzionismo psicanalitico
La critica sovversiva mossa, secondo i canoni della “scuola del sospetto“, alla intera costellazione dei valori tradizionali viene condotta nella forma del riduzionismo e articolata in proposizioni del tipo “A non è altro che B”. La riduzione rivoluzionaria, secondo l’attenta analisi di Emanuele Samek Lodovici, può essere descritta “come un procedimento attraverso il quale si riduce una forma ignota ad una forma nota, solitamente qualitativamente più povera e, sulla base di alcune somiglianze che si pensa di intravedere, si afferma che quest’ultima spiega totalmente la prima, anzi è la prima” (8). La coscienza morale, come si è accennato, è ridotta – in questo senso – da Freud al super-io; più in generale, lo schema psicanalitico consiste nel ridurre ogni attività umana (arte e religione, politica e letteratura, diritto e scienza) a semplice manifestazione dell’inconscio individuale o collettivo.
Ma è possibile un passaggio ulteriore. Se tutta la vita “psichica” umana può essere ridotta all’inconscio – cioè a un principio oscuro definibile solo negativamente come “non-conscio” -, perché non dovrebbe essere possibile ridurre a un sottofondo inconscio e oscuro anche la vita organica dell’uomo? Tra i discepoli di Freud, Ferenczi inventa la “bioanalisi“, “l’analisi dei regni della vita situati al di fuori della sfera puramente psichica“, e riduce la vita psichica e organica degli uomini, e in seguito di tutti i viventi, a un misterioso principio comune, il Bios (9).
Per Groddeck, amico e collaboratore per anni sia di Freud che di Ferenczi, il passaggio ferencziano al Bios non basta ancora: il sottofondo oscuro deve essere identificato come background non solo dell’uomo e dei viventi, ma di tutto l’universo. Il riduzionismo giunge alle conseguenze estreme: Groddeck vede in quello che chiama Es non soltanto l’inconscio dell’uomo, ma la trama del mondo, ciò a cui è possibile ridurre la vita degli uomini, psichica e organica, la vita dei viventi diversi dall’uomo e persino la non-vita. L’Es di Groddeck è certamente l’inconscio: ma è anche – panteisticamente – l’anima dell’universo.
- Groddeck e Freud
Ci si può chiedere se lo sviluppo groddeckiano rappresenti una deviazione dal freudismo classico o se, al contrario, Groddeck non svolga la tesi psicanalitica fino alla sua perfetta consequenzialità, rendendo evidente che anche la psicanalisi, oltre al marxismo, può essere descritta come una religione secolarizzata di tipo gnostico-panteistico, diversa dal comunismo, semmai, soltanto in quanto nella psicanalisi l’iniziazione individuale è più importante del rito rivoluzionario collettivo.
Fin troppo nota è l’affermazione di Groddeck: “Io sono uno psicanalista selvaggio“. Questa frase, pronunciata nel 1920 al congresso psicanalitico dell’Aja (10), viene oggi per lo più assunta come manifesto del carattere “eretico” della psicanalisi di Groddeck rispetto all’ortodossia freudiana; ma è dubbio se si tratti veramente di una eresia. Il carteggio Freud-Groddeck mostra piuttosto il fascino inquietante che le teorie groddeckiane esercitarono sul padre della psicanalisi, che dal discepolo tedesco finì per rimanere profondamente influenzato, fino a introdurre nella sua terminologia – e con un ruolo centrale – l’espressione “Es“. Se pure si ritraeva, come spaventato, di fronte a certe conclusioni radicali, Freud sembrava vedere in Groddeck la coerenza ultima del suo stesso pensiero, condotto con rigore fino alle conseguenze estreme.
Freud si sforzerà, invero, di sfuggire al “volo nella filosofia” del suo singolare allievo: “perché mai dalla Sua bella piattaforma – scriveva già nella sua lettera a Groddeck, del 1917 – Lei si butta nel misticismo … si fissa su teorie filosofiche che sono fuori luogo?” (11). Tuttavia, la filosofia di Groddeck non è che un’applicazione – analogica ed estensiva, ma conseguente, – del principio metodologico che presiede al riduzionismo di Freud. A immagine dell’uomo freudiano Groddeck costruisce un mondo: se si tratta di un mondo informe e sconvolto, è perché tale è ab initio il soggetto psicanalitico, scisso e dilacerato in sé medesimo dalla negazione della coscienza e dal trionfo panico dell’inconscio.
- La dissoluzione universale
Freud arresta il suo slancio rivoluzionario indirizzandolo nel vicolo cieco della regressione da fatto a fatto, nel cerchio di quella che un idealista potrebbe ancora chiamare “cattiva infinità” (12). Con Groddeck la psicanalisi divorzia dal positivismo: non ci si limita a tornare dal “fatto di coscienza” al “fatto inconscio”, ma si dissolve ogni fatto nel caos inafferrabile dell’Es. Negati i fatti, la critica groddeckiana può attaccare in modo radicale anche i valori: privati del loro supporto realistico, anch’essi sfumano verso l’infinito, finché sono a loro volta vittime di un hegeliano aufheben. I valori, cioè, sono insieme superati e conservati: la morale non tanto viene negata ma piuttosto finisce, muore; dalle sue ceneri rinasce una nuova moralità che è anch’essa imposta dall’Es. Nella critica dei valori, e nella prospettiva della morale nuova che l’Europa oscuramente attende, emerge la rilevanza dell’influsso nietzschiano su Groddeck: se Reich rappresenta la fusione di Freud e di Marx, di Groddeck si può dire che in qualche modo egli combina – sia pure con caratteri del tutto personali e peculiari – Freud e Nietzsche (13).
Negato l’universo dei fatti, e superato l’universo dei valori, anche la religione, privata di tutti i preambula, scompare. Groddeck prende posto fra i profeti della morte di Dio: Dio muore in un panteismo dell’inconscio che è l’aspetto propriamente mistico della psicanalisi groddeckiana. Non vi sono fatti, né valori; non vi sono uomini, né dei: il reale affonda nell’oceano profondo dell’inconscio universale, il Thalassa “azzurro, azzurro, azzurro” di cui aveva parlato Ferenczi, che perennemente si dà in un silenzio di morte, che è il silenzio assoluto del Nulla.
- La dissoluzione dei fatti
- La negazione della malattia
Per il mondo del positivismo non vi è fatto più tipico e certo di quello descritto dalla scienza medica: la malattia è il fatto per eccellenza e il medico è il tipo stesso dello scienziato. In una storia filosofica della medicina occidentale, intesa come storia del progressivo allontanamento dall’ars patiendi del Medioevo, dove la lotta contro il male era anzitutto morale e la malattia era considerata come signum Dei e cifra della finitudine umana, il medico positivista potrebbe prendere posto come il più conseguente adepto del meccanicismo della medicina post-cartesiana, che vede nell’uomo una macchina e nella tecnica medica la sua riparazione (14). Nelle tappe della Rivoluzione nella medicina, Groddeck rappresenta però un momento ultimale, in cui il male fisico non è più signum Dei, ma nemmeno, in qualche modo, è signum hominis: la malattia è una astuzia dell’Es, “è il palcoscenico di cui l’Es si serve per rivelare ciò che non può dire attraverso la bocca” (15).
La medicina di Groddeck consiste nella fusione fra la psicosomatica di Schweininger e la psicanalisi di Freud: tutte le malattie derivano dall’inconscio, sono modi di esprimersi dell’Es, che attraverso l’alterazione organica comunica un messaggio. Applicando una distinzione proposta da Sedlmayr per la storia dell’arte, si può dire che dopo il realismo banale della medicina positivistica Groddeck rovescia per diametrum il super-realismo medico medievale (dove la malattia non era solo un fatto, ma un significante morale e religioso) in un surrealismo medico che è sub-realismo, riferimento del male fisico non a influenze superiori, ma a forze infere (16).
Ogni malattia è un segnale psicosessuale che proviene dal mondo oscuro dell’universale inconscio. Talora il male ha un fine utilitaristico: una febbre che ci costringe a casa per evitarci un impegno indesiderato; la miopia ci evita di vedere cose sgradevoli; altre volte, la malattia è una punizione dell’Es: “chi si fa male a un braccio, ha peccato con esso o con esso intendeva peccare“, “chi è rauco ha un segreto che non osa rivelare ad alta voce” e cosi via (17). Ma, soprattutto, l’infermità ha un significato specificamente sessuale: l’espettorazione del tisico riproduce l’orgasmo e ne rivela il desiderio represso; il gozzo maschile (di cui soffrì lo stesso Groddeck) svela l’aspirazione segreta dell’uomo a essere donna e ad avere gravidanze; il cancro è da sempre collegato al granchio e al complesso simbolismo erotico di questo animale; la morte stessa, infine, è una fuga dal mondo, che le frustrazioni hanno reso angoscioso, giacché “in realtà muore solo chi vuole morire, colui per il quale la vita è divenuta insopportabile” (18).
La critica della ragione medica di Groddeck rivela qui i suoi veri obiettivi: la finitudine umana viene negata, le malattie – e perfino la morte – non sono più il segno innegabile del limite imposto all’uomo; al contrario, si ammala solo chi vuole ammalarsi, “muore solo chi vuole morire“. Ma l’apice della esaltazione dell’uomo coincide con la sua massima degradazione: questo Io, che sarebbe onnipotente, in realtà non esiste, è schiavo dell’Es e dissolto nell’inconscio. Al medico, allora, non resta che la possibilità di un faustiano patto col male, di venire, in qualche modo, a compromesso con l’Es che, come la natura di Bacone, non nisi parendo vincitur. Il motto del suo maestro Schweininger, NASAMECU – natura sanat, medicus curat – significa per Groddeck che “è l’Es che guarisce, mentre il medico si limita a curare” (19). Ma l’Es, in ultima analisi, “fa quello che vuole“. Così, la scienza medica si avvia al suo naufragio: il presunto trionfo della medicina conclude in una scettica confessione di fallimento.
- La negazione del comportamento
La medicina, che dal morbo risale alla sua origine, è da sempre un paradigma del conoscere umano, che dagli effetti vuole ascendere alle cause: felix qui potuit rerum conoscere causas. Dopo la tempesta scettica, che nega le cause, la conoscenza arretra le sue trincee fino a descrivere semplici sistemi di effetti: è il caso del behaviourismo, psicologia senza anima, che elenca i comportamenti degli uomini senza chiedersi i loro perché. Groddeck estende il dubbio riduzionistico anche al comportamento: tutti i comportamenti umani non sono che maschere assunte dall’Es secondo il meccanismo del Symbolisierungszwang, la “coazione a simbolizzare” che costringe gli uomini a esprimere in ogni gesto, senza volerlo né saperlo, le pulsioni, soprattutto sessuali, dell’inconscio universale (20).
Con Freud, l’autore del Libro dell’Es afferma l’origine inconscia dei piccoli gesti degli uomini, del modo di camminare, di gestire, di fumare, che rivela i desideri repressi; dei sogni, delle fiabe, delle tradizioni popolari, che sono il grande deposito del rimosso dell’inconscio collettivo. Ma, al di là di Freud, Groddeck afferma che anche dell’opera sedicente consapevole, come l’opera dell’artista, il vero autore è l’Es, e neppure l’inconscio individuale di un uomo, ma l’Es collettivo: l’artista crede di creare, ma in realtà “gli rimane soltanto la configurazione della forma e forse, se si va più in profondità, nemmeno quello” (21). Così la Madonna Sistina di Raffaello a Dresda, nonostante e contro le intenzioni religiose dell’artista, è un misterioso intrico di simboli femminili e virili che convergono verso il centro del quadro a simboleggiare l’originaria unione dei due sessi nell’androgino: i diversi elementi delle nature morte elencano e ordinano i vari momenti della congiunzione carnale; tra i libri, “il più importante testo sull’inconscio” è paradossalmente Pierino Porcospino, vera foresta di metafore sessuali che il suo autore (peraltro medico alienista) neppure sospettava (22). La riduzione psicanalitica conosce con Groddeck il suo fantastico trionfo: l’Es parla attraverso la musica, il diritto, l’economia, la matematica, che non sono altro che sistemi di simboli, per lo più sessuali.
La “fede nell’onnipotenza dell’Es” è riassunta da Groddeck nelle celebri affermazioni secondo cui l’uomo non agisce, ma “è agito dall’Es“, non vive, ma “è vissuto dall’Es“. A rigore, non si dovrebbe dire “Io vivo”, ma “Esso vive”, “Es lebt”, e dunque, meglio ancora, “l’Es mi vive” (23). Ma se dell’uomo si può parlare soltanto alla terza persona neutra, l’uomo, propriamente, non esiste più: attraverso la negazione del comportamento, e del vivere stesso, Groddeck perviene a negare l’uomo.
- La negazione dell’uomo
Riducendo alle pulsioni psicosessuali le malattie e tutti i comportamenti umani, e affermando che “corpo” e “anima” “sono soltanto dei modi di manifestarsi dell’Es“, Groddeck sembra restaurare – sia pure in modo deviato – l’unità di materia e di spirito, che, dopo la scissione cartesiana, l’uomo moderno aveva perduto. Ma all’unità si perviene, materialisticamente, attraverso la soppressione dell’anima, che per Groddeck è “una menzogna“, “un’eredità spaventosa, una maledizione che continua a lacerare senza sosta la nostra vita” (24). L’anima quindi, deve morire, e con essa la persona. Groddeck non si limita – come talora sembra fare Freud – a sostituire a ogni singolo uomo il suo inconscio, a scambiare alla pari l’Io con l’Es; al contrario; in ciascuno v’è “una miriade infinita di Es”: “piccoli Es” delle singole cellule, “catene di Es” degli organi e dei tessuti, e perfino “Es fittizi“, ma “con una loro peculiare esistenza“, come gli Es “della parte destra e di quella sinistra del corpo“, “della cavità interna del corpo umano“, e così via (25). E se questo non bastasse a dimostrare che “non esiste un Io“, Groddeck aggiunge che è impossibile dire quale atto è di un uomo e quale di un altro: il vivere e il sentire del presunto individuo sfumano continuamente nello psichismo collettivo.
Alla dissoluzione ontologica corrisponde puntualmente una dissoluzione gnoseologica: non esiste l’uomo, “c’è soltanto l’Es”, ma “quanto all’Es in se stesso, non ne sappiamo nulla”, l’Es rimane un noumeno inafferrabile come la kantiana cosa in sé (26). L’Es, come unico esistente, sarebbe l’unico oggetto possibile del conoscere: ma l’Es, di suo è inconoscibile, e dunque la conoscenza non esiste. Non resta che lo scetticismo assoluto, e lo psicanalista non può prendere sul serio neppure la propria scienza: non si deve credere, scrive Groddeck, “che io voglia veramente spiegare. Forse voglio solo divertirmi un po’ alle spalle della logica, o forse, chissà, c’è dietro anche qualche altra cosa… ” (27). In ogni caso, “dietro” e oltre il programma di Groddeck di dissoluzione dei fatti, c’è la dissoluzione di ogni tipo di valore: lo scetticismo metafisico e conoscitivo prepara la negazione della morale e la fine della religione tradizionale.
- La dissoluzione dei valori
- La fine del linguaggio
“Ogni parola del nostro linguaggio – scrive lapidariamente Groddeck – è una menzogna che violenta la realtà“, “il linguaggio mente, deve mentire, è nella sua natura” (28). La psicanalisi di Groddeck ha dissolto i fatti: ma nel linguaggio – la meta-realtà con cui si dicono i fatti e grazie alla quale si può confrontarli e valutarli – rimangono le loro immagini e, ciò che è peggio, rimangono, sia pure oscuramente, i giudizi sui fatti, i valori. Il linguaggio è un deposito di valori, e dunque, per Groddeck, un deposito di menzogne: esso contiene la nozione di persona, “menzogna, e funesta“; “tramanda parole che sono chiaramente menzogne dell’ignoranza“, come “”cielo”, “anima”, “bene”, “male”, “peccato”, “redenzione”“; parla di essere e di stabilità mentre nel flusso dell’Es nulla ““è”, neppure per la minima frazione di secondo“, ma tutto “si trasforma continuamente” (29).
Come nella Dialettica della natura di Engels (la corrispondenza è quasi letterale), anche nella dialettica dell’Es di Groddeck “tutto scorre“, secondo l’antico motto di Eraclito, e l’unica possibile ascesi per l’uomo è tuffarsi in questa corrente divina, collaborando alla lotta contro “gli ostacoli e gli scogli, i deserti e le paludi che la frenano” (30). Groddeck annuncia la morte del primo ostacolo al fluire dell’Es che diviene, il linguaggio, che sarà un giorno sostituito da “altri mezzi di civiltà, maggiormente atti a essere impiegati per spirito e verità” (31). Nell’attesa di quest’alba silenziosa l’odio per la parola (che malcela l’odio per il Verbo) porta alla guerra contro le parole: programma di perfezione sovversiva particolarmente raffinata perché l’inquinamento della “sincerità del linguaggio” (32) crea le condizioni più favorevoli per l’offensiva contro la morale.
- La fine della morale individuale
Dalla negazione della nozione e della stessa parola “persona”, come soggetto dotato di libertà, deriva immediatamente l’amoralismo come negazione della responsabilità: se infatti “non esiste una libera attività, una libera scelta della coscienza“, non si può sfuggire alla conclusione che nessuno è responsabile dei propri atti, dei quali l’Es è l’unico soggetto (33). Ogni azione, a seconda dei capricci dell’Es (che detta anche i giudizi a chi la osserva), è insieme “buona” e “cattiva“, ogni uomo è insieme – e nello stesso momento – Cristo e Giuda: “il mito del bacio di Giuda simboleggia le nostre azioni ed esperienze quotidiane” (34). È impossibile quindi, secondo Groddeck, condannare la masturbazione, l’omosessualità, il voyeurismo, l’incesto e ogni sorta di perversioni: al massimo, “è una questione di gusti“, e anzi, di solito, “ciò che è oggetto di disprezzo, di biasimo da parte dell’uomo costituisce la sua natura più vera e più profonda” (35). Sono i divieti, semmai, a meritare una valutazione “morale” negativa, perché derivano dalla stupidità o dalla malafede (la proibizione dei rapporti prematrimoniali nasconde “l’invidia degli anziani verso i giovani“; l’interdizione della omosessualità cela “la volontà di potenza dei preti” e la antica trama cristiana per “colpire alla radice la cultura ellenica“, dove gli omosessuali erano numerosi), e diffondono una “angoscia” nociva alla salute (36).
E appunto la salute, nel sistema di Groddeck, sostituisce la morale: ma la salute, secondo l’ideale psicanalitico, è intesa come “non-resistenza“, capacità di abbandonarsi al flusso universale dell’Es senza frapporre a esso ostacoli nocivi. Questa tesi, che sarà abbondantemente sviluppata da Reich, conduce alla singolare conclusione che l’uomo più “morale”, cioè più in salute, è colui che è più capace di non ostacolare l’Es, è chi più pienamente si abbandona agli impulsi. L’educazione morale è una terapia, affidata ai medici: e ai suoi pazienti più aggrappati alla “resistenza” Groddeck consiglia la “liberazione” attraverso la pratica delle più bizzarre perversioni (37).
L’eroe psicanalitico, l’uomo che si è liberato definitivamente della resistenza, è il protagonista del romanzo di Groddeck Lo scrutatore d’anime, il borghese August Müller, che si lascia invasare dall’Es e diventa Thomas Weltlein (“Tommaso Microcosmo”), il folle saggio che insegna che “la morale più nobile è nella sensualità” e percorre la Germania dispensando al popolo scandalizzato la sua oscena sapienza (38). Forse, tuttavia, il più autentico eroe groddeckiano è Georg Groddeck stesso, che si sforza di fare della sua vita un romanzo psicanalitico, che vive – secondo la testimonianza di un amico – “sempre cosciente di trovarsi in balia di forze più grandi di lui, le forze dell’Es” (39); che, infine, merita, dopo la morte, questo singolare elogio funebre, pronunciato dall’amico Hermann Keyserling: “Nell’amoralità delle sue concezioni egli non era secondo a nessuno” (40).
- La fine della morale sociale
Se la morale individuale è rimpiazzata dalla salute come non-resistenza, anche la morale sociale dovrà essere sostituita da una nozione psicanalitica di salute sociale; e la politica consisterà in una vasta impresa di educazione, che insegni a liberarsi dalle resistenze. Gli artefici di questa “educazione alla salute“, secondo Groddeck, non potranno essere i genitori che, vittime di complessi molteplici rispetto ai figli, ne sono “gli osservatori meno acuti” (41): resta un unico grande educatore per tutti, lo Stato.
Oltre la prospettiva socialista del medico di Stato, la psicanalisi “di sinistra” prospetta lo “Stato medico”, lo Stato psicanalista, che non punisce più, ma cura; e cura, soprattutto, i malati di “resistenza“, chi resiste all’evoluzione e al mondo nuovo e non riesce a liberarsi dalle panie dei valori tradizionali. La medicina sostituisce il diritto penale; alla pena – come ha scritto Pio Marconi a proposito del moderno antigarantismo alla Basaglia – “viene sostituita una terapia dell’uomo svolta da un intreccio di professionisti che vede confondersi il medico o lo psicoterapeuta con il secondino” (42). Ma è questa, appunto, la perfezione del totalitarismo, solo indicata da Groddeck e oggi pienamente realizzata nel manicomio per dissidenti sovietico o nel campo di rieducazione cambogiano. Non a caso i freudiani di sinistra riponevano le loro speranze, per un effettivo programma di salute sociale, nei più totalitari fra gli Stati del loro tempo: Ferenczi si affrettò a offrire i suoi servigi a Bela Kùn, il sanguinario padrone dell’Ungheria rossa, Groddeck dedicò gli ultimi anni della sua vita a cercare di convincere Hitler – in verità senza successo – ad applicare su larga scala le sue idee (43).
Ai nostri giorni lo spettro di una psicoterapia di Stato, di una analisi alla Groddeck imposta come manipolazione obbligatoria a tutti i cittadini, emerge concretamente nei programmi tecnocratici, che prevedono – per usare le espressioni di un “signore dell’industria” italiano nascosto dietro lo pseudonimo di “Alberich” – “una macchina sodale rigorosamente pianificata“, “sminuzzata in unità [che] faranno emergere tutti gli impulsi, erotici e anche violenti“, ma che “al termine del processo dovranno essere reparti aziendali e nello stesso tempo scuole, sezioni politiche, istituti psicoterapeutici, tribunali, dove tutti saranno sottoposti a un processo di adattamento reciproco che eliminerà ogni traccia di egoismo, in uno psicodramma permanente“. Le idee di Groddeck, come si vede, sono nell’aria. “Il sistema – promette Alberich – sarà tutto e tutti. Anarchico e pianificato, dialettico” (44).
III. La dissoluzione della religione
1 . Il culto del Sé
“Io non sono affatto io – scrive Groddeck – ma una forma di perenne movimento in cui si manifesta l’Es”: l’uomo non è che pulsione psicosessuale, è sesso, cioè sexus, “segmento dell’intero cerchio del mondo” (45). Nella teoria di Groddeck l’Es gioca il ruolo che ha l’Intelletto Agente nella deviazione avicenniana e averroista dell’aristotelismo: una forma separata e impersonale, unica per tutti, che si manifesta nella vita e nel pensiero di ciascuno. “Dovere” dell’uomo, e manifestazione della sua “umiltà“, sarà, quindi, rinunciare alla cattiva individualità dell’Io personale e intraprendere la faticosa ascesa verso il Sé collettivo.
Il principale profeta di questa ascetica nuova è, secondo Groddeck, il protagonista del Peer Gynt di Ibsen, il quale “parla di sé per lo più dicendo “Peer Gynt”, raramente usando la parola “io”“. Per lo più i critici, e forse Ibsen stesso, hanno visto in Gynt il tipo dell’uomo che non si è realizzato, colui a cui il disimpegno ha impedito di avere una personalità. Ma proprio questo non essere persona fa, per Groddeck, del personaggio ibseniano un eroe positivo, che con coraggio “rinuncia all’Io […] e riconosce ciò che non ha nome, il Sé, il non personale“. “Ho portato il mio Io principesco al Monte di Pietà – dichiara Peer Gynt – altri possono riscattarlo“. In una scena del dramma, Peer Gynt è incoronato “imperatore del Sè” da uno psichiatra che lo considera pazzo, il dottor Begriffenfeldt, il cui nome, in tedesco, significa “campo dei concetti” e dunque, per Groddeck, “logica” (46). Uscire da sé stessi, rinunciare alla propria personalità è, per il pensiero logico, follia; per Groddeck, invece, è l’inizio di una “nuova religione“, che chiederà ai suoi fedeli soltanto questo: “Sii oggettivo!“, dissolvi il soggetto nell’oggetto, l’individuale nel collettivo, per apprendere, infine, a dissolvere l’umano nel Tutto, a superare anche il Sé per risalire alla più comprensiva totalità della materia e della natura (47).
- Il culto del Dio-Natura
L’”errore di partenza” del pensiero logico consiste, secondo Groddeck, nel “separare dalla totalità le cose, le individualità viventi e non viventi“: mentre, in realtà, non esistono “creature in qualche modo separate dal mondo circostante mediante uno spazio vuoto e indipendente” (48). L’ascetica di Groddeck va dall’io al Sé, e dal Sé alla totalità indistinta e divina della materia universale in divenire. Groddeck riprende il motivo panteistico da Spinoza, il filosofo più letto nell’ambiente degli psicanalisti (“il filosofo della psicanalisi“, scriveva Lou Andreas-Salomé al tempo della sua intimità con Freud) (49); ma anche dallo stesso Freud, che a sua volta, come ha notato in un acuto studio Bakan, era stato profondamente influenzato dalla tradizione della Cabala ebraica. La psicanalisi, scrive Bakan, è “un’integrazione di scienza e cabala, laicizzazione e sistemazione degli intimi aspetti psicologici della cabala” (50); in Groddeck, il tema cabalistico dell’ascesa dalle cose separate al Tutto ritorna nell’itinerario verso l’Es Unico ed eterno, che corrisponde all’Uomo Universale della Cabala.
Il moderno profeta del ritorno al panteismo è, secondo Groddeck, Goethe, il genio che ha proposto “una nuova concezione del mondo” con un nuovo Dio, il Gottnatur (Dio-Natura), e una nuova preghiera come “corrente silenziosa di riverente simpatia per il Dio-Natura” (51). Beninteso, la mistica rivoluzionaria di Groddeck non è il sentimentalismo romantico: se egli cita Goethe, è per proporre una interpretazione “scientifica“, che identifichi nel poeta di Weimar un “grande naturalista“, “precursore di Darwin” e insieme della psicanalisi; se parla di “Dio-Natura” è perché vede nel culto delle forze naturali in divenire un culto dell’Es. “Tutto ciò che è celeste – sentenzia Thomas Weltlein nello Scrutatore d’anime – ha origine nella vita genitale” (52): la verità dell’universo è il sesso, il sesso è la natura, e la natura è Dio.
- Il culto del Nulla
La religione di Groddeck, culto dell’impersonale in divenire, ha come nemico naturale il Cristianesimo, culto di quel Dio personale che ha detto di sé nell’Esodo: “Io sono Colui che è“. Il cristianesimo “è una dottrina funesta“, che “ha corroso la fibra più intima delle nazioni europee“, e di cui il profetismo psicanalitico annuncia la fine: “ciò che ora chiamiamo cristianesimo, la dottrina del peccato dell’uomo e della redenzione, tramonta, perché l’uomo in se stesso non è nulla” (53). Groddeck si compiace dei progressi in Occidente del buddismo, che interpreta come “religione dell’estraniamento“, ascetica del perdersi nell’universale: ma l’universo buddista è statico, mentre l’Es è movimento, è divenire, e dunque è flusso di tutta le cose verso la morte e verso il nulla. La religione del divenire non può che essere una religione della morte: “tutto ciò che esiste merita di morire“, scrive Engels; per Groddeck il “comandamento nuovo” recita “ama!“, ma, poiché “amore e morte sono affini“, subito precisa: “muori e divieni!” (54).
Culto della morte, religione del nulla, ritorno cabalistico all’indifferenziato, reditus gnostico all’Uno: tutti questi elementi trovano una sintesi in un motivo che non sembra azzardato evocare nel contesto psicanalitico, quello del satanismo. Bakan ha approfondito esaurientemente il tema del demonio – “insieme realtà e finzione“, “super-io sospeso” – in Freud (55), il quale fece stampare, sul frontespizio de L’interpretazione dei sogni, un motto famoso tratto da Virgilio: Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. Freud evoca gli Acheronti interni dell’uomo, apre il vaso di Pandora dell’inconscio e lascia che l’uomo sia invasato da oscuri demoni; Groddeck vorrebbe andare oltre, vorrebbe scendere agli Inferi dell’universo. La discesa all’Acheronte è un gioco del massacro, che avvelena la coscienza: ma la posta in gioco è altissima, è l’alba del mondo nuovo.
“È imminente – scrive Groddeck nel 1912 – l’inizio di una vera civiltà, il tentativo di ristabilire l’accordo fra uomo e natura, interrotto da millenni […]. Viene da chiedersi soltanto se l’Europa abbia ancora forze sufficienti per far sviluppare quei germogli che vogliono spuntare” (56). Parole profetiche, che oscuramente annunciano, oltre il dramma della finis Austriae e il crollo della tradizione austro-tedesca, l’avvento del materialismo biologico nazionalsocialista; così come annunciano, più lontano ancora, più confuso, il caos dell’odierno pansessualismo. Per il mondo nuovo, Groddeck prepara delle teorie: ma soprattutto degli abitanti, uomini-cosa in balia dell’inconscio e dello psicanalista-stregone.
Nella clinica di Groddeck – chiamata Satanarium, con un gioco di parole con “sanatorio”, forse non soltanto scherzoso – si può entrare sani: ma si esce certamente malati. La psicanalisi, secondo uno degli aforismi di Karl Kraus, è una malattia; è essa stessa quella malattia di cui pretende di essere la cura (57).
Massimo Introvigne
NOTE
(1) K. MARX, Tesi su Feuerbach, tesi XI, tr. it. e commento di C. FABRO in L. FEUERBACH – K. MARX – F. ENGELS, Materialismo dialettico e materialismo storico, La Scuola, Brescia 1962, p. 84.
(2) Sul programma sadiano cfr. il mio Le origini della Rivoluzione sessuale, in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979, pp. 4-8.
(3) Cfr. P. RICOEUR, Della interpretazione. Saggio su Freud, tr. it., Il Saggiatore. Milano 1966, p. 47.
(4) Cfr. sul punto, più ampiamente, il quaderno di Alleanza Cattolica Il comunismo, che qui sostanzialmente riprendo.
(5) K. MARX – F. ENGELS, L’ideologia tedesca, tr.it., Ed. Riuniti, Roma 1967, p. 53.
(6) S. FREUD, Das Unbehagen in der Kultur, in Gesammelte Werke, Imago, Londra 1955, vol. XIV, pp. 495-96.
(7) Cfr. F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, in Opere, tr. it., Casini, Roma 1955, sopr. pp. 842-43.
(8) E. SAMEK LODOVICI, Metamorfosi della gnosi, Ares, Milano 1979, p. 25.
(9) Cfr. S. FERENCZI, Thalassa, psicanalisi delle origini della vita sessuale, tr. it., Astrolabio-Ubaldini, Roma 1965.
(10) Cfr. C.M. GROSSMAN – S. GROSSMAN, Groddeck l’analista selvaggio, tr. it., Tattilo, Roma 1973. Di Georg Groddeck (Bad Kösen, Germania 1866 – Zurigo 1934) si ha in quest’opera l’unica esauriente biografia.
(11) Carteggio Freud-Groddeck, tr. it., Adelphi, Milano 1973, p. 18.
(12) Significativa, al proposito, è la critica (coerentemente marxista) di Ernst Bloch, secondo cui Freud dal paesaggio “solare” del mondo esterno regredisce a un “paesaggio lunare” dell’inconscio come deposito del rimosso; mentre per Bloch si dovrebbe piuttosto dissolvere nel continuum del divenire ogni tipo di paesaggio (cfr. E. BLOCH, Das Prinzip Hoffnung, Suhrkamp, Francoforte 1959, p. 61).
(13) La stessa espressione “Es” fu usata per primo da Nietzsche. Nietzsche era in amichevoli relazioni con i genitori di Groddeck; più tardi, Groddeck stesso diverrà intimo di Lou Andreas-Salomé, l’inquietante donna – vero simbolo di un’epoca – che già era stata in rapporti di affettuosa amicizia prima con Nietzsche e poi con Freud. Cfr. C.M. GROSSMAN- S. GROSSMAN, Groddeck l’analista selvaggio, cit.
(14) Cfr. sul tema E. SAMEK LODOVICI, Metamorfosi della gnosi, cit., pp. 249-52.
(15) G. GRODDECK, Il libro dell’Es, tr. it., Adelphi, Milano 1966, p. 143.
(16) Cfr. H. SEDLMAYR, La morte della luce, tr. it., Rusconi, Milano 1970, pp. 59-84.
(17) G. GRODDECK, Il libro dell’Es, cit., p. 143.
(18) Ibid., p. 142. Sul punto specifico del cancro, contro le ipotesi psicosomatiche di Groddeck (e di Reich) che “colpevolizzano” il malato, e per un ritorno al concetto positivistico di malattia, cfr. il recente pamphlet della scrittrice radical americana S. SONTAG, Malattia come metafora, tr. it., Einaudi, Torino 1979.
(19) G. GRODDECK, Il libro dell’Es, cit., p. 238. Cfr. anche IDEM. NASAMECU, natura sanat, medicus curat. Der gesunde und der kranke Mensch gemeinverstãndlich dargestellt, Hirzel, Lipsia 1913.
(20) Cfr. IDEM, Der Symbolisierungszwang, in Imago, VIII. 1922, pp. 67-81 (tr. it., La coazione a simbolizzare, nell’antologia Il linguaggio dell’Es, Adelphi. Milano 1969, pp. 50-71).
(21) Ibid., tr. it. cit., pp. 58-59.
(22) Questi esempi, prediletti da Groddeck, ritornano in molte sue opere. Cfr. per es. sulla Madonna Sistina: Il linguaggio dell’Es, cit., pp. 175-77; Lo scrutatore d’anime, tr. it., Adelphi, Milano 1976, p. 251-53. Per un’analisi di due nature morte della Gemadegalerie di Dresda cfr. Der Mensch als Symbol, International Psychoanalytischer Verlag, Vienna 1933, pp. 144 s. Su Pierino Porcospino cfr. La coazione a simbolizzare, cit., pp. 59-62; Lo scrutatore d’anime, cit., pp. 257-62.
(23) G. GRODDECK, Hin zu Gottnatur, Hirzel, Lipsia 1912, pp. 10-11. Cfr. pure IDEM, Il libro dell’Es, cit., pp. 14-15, 356.
(24) IDEM, Hin zu Gottnatur, cit., p. 16.
(25) IDEM, Il libro dell’Es, cit., p. 324.
(26) Cfr. ibid., p 349. Il riferimento al noumeno diventerà esplicito in Reich: l’inconscio, egli scrive, “è come la “cosa in sé” di Kant: non può mai essere colta come tale, è riconoscibile soltanto nelle sue manifestazioni” (W. REICH, La funzione dell’orgasmo, tr. it., 3ª ed., SugarCo, Milano 1977, p. 53).
(27) G. GRODDECK, Il libro dell’Es, cit., p. 252.
(28) IDEM, Hin zu Gottnatur, cit., pp. 5-6.
(29) Ibid., pp. 4-5, 11.
(30) Ibid., p. 11.
(31) Ibid., p. 27.
(32) L’espressione è di mons. E. DELASSUS, Il problema dell’ora presente, Cristianità, Piacenza 1977 (rist. anastatica della tr. it., Desclée, Roma 1907), vol. II, pp. 191-220, che per diametrum, in un programma contro-rivoluzionario, propone il “ritorno alla sincerità del linguaggio” come condizione necessaria per la restaurazione sociale.
(33) G. GRODDECK, La coazione a simbolizzare, cit., pp. 58-59.
(34) IDEM, Il libro dell’Es, cit., p. 278. Su Giuda cfr. anche IDEM, Der Mensch als Symbol, cit. pp. 159-60.
(35) IDEM, Il libro dell’Es, p. 238, 290.
(36) Ibid., p. 124, 289.
(37) E poiché Groddeck considera la stitichezza (che è sempre volontaria e rivela l’angoscia moralistica davanti al piacere sessuale) come la resistenza-tipo (cfr. il suo La stitichezza come prototipo della resistenza, tr. it. ne Il linguaggio dell’Es, cit., pp. 72-100), tra le perversioni “liberatorie” che suggerisce ai suoi pazienti un ruolo primario è giocato dalla coprofilia (cfr. Il libro dell’Es, cit., p. 314). L’argomento, sgradevole di suo, va citato per l’importanza che assume in Groddeck; mostra, inoltre, fino a quali estremi sappia spingersi la sovversione moderna. Cfr. sul punto l’opera di J. G. BOURKE, Escrementi e civiltà, tr, it., Guaraldi, Bologna-Firenze 1971, che vanta una prefazione di Freud e illustra come nel “pensiero selvaggio” dei primitivi (la cui superiorità sul pensiero logico è data per scontata) si trovino elementi cultuali di autentica “coprolatria“, del resto già praticati dai manichei e da sette eretiche medioevali. Sono queste, forse, le manifestazioni più estreme del culto della morte e della decomposizione. La tr. it. cit. comprende una Introduzione del freud-marxista P. Meldini, il quale, dopo avere affermato, contro la “rupofobia” occidentale (naturalmente “clericale” e “fascista“), che “lo “sporco” non è “male”“, depreca “l’odio per gli intestini“, che manifesta una tendenza reazionaria all’ordine e al pudore, e va alla ricerca del “briciolo di verità contenuto nella maligna boutade del Maeterlinck che la “coprofagia collettiva” realizzerebbe il “comunismo integrale”“.
(38) Cfr. G. GRODDECK, Lo scrutatore d’anime, cit., p. 170.
(39) Cit. in C.M. GROSSMAN- S. GROSSMAN, Groddeck l’analista selvaggio, cit., p. 225.
(40) H. KEYSERLING, Qualche parola in memoria di Georg Groddeck, tr. it. in appendice a Il libro dell’Es. cit.. D. 381.
(41) G. GRODDECK, La stitichezza come prototipo della resistenza, cit., p. 93.
(42) P. MARCONI, L’antigarantismo penale nella cultura di sinistra, in Mondo Operaio, giugno 1979, p. 124 (cfr. più ampiamente, IDEM, La libertà selvaggia, Marsilio, Padova 1979). L’autore, socialista, contro i pericoli totalitari della medicalizzazione della pena propone il ritorno al garantismo penale liberal-illuminista. Ma proprio quel garantismo, muovendo dalla “esclusione della rilevanza giuridica di un contenuto morale legato ad un fondamento religioso e metafisico assoluto“, censura la domanda “perché si punisce“, considera “l’unica domanda possibile quella concernente il “come punire”” (così M. RONCO, Il principio di tipicità della fattispecie penale nell’ordinamento vigente, Tricerri, Torino 1979, p. 88), e offre il presupposto e la base al successivo passaggio positivistico allo “Stato medico” totalitario.
(43) Cfr. C. M. GROSSMAN- S. GROSSMAN, Groddeck l’analista selvaggio, cit., pp. 223-24. Per i rapporti Ferenczi – Bela Kùn cfr. R. DADOUN, Cento fiori per Wilhelm Reich, tr. it., Marsilio. Padova 1976, p. 172.
(44) La Macchina Sociale, intervista di E. ZOLLA, Corriere della Sera, 27-1-1975. Non si sa chi sia veramente Alberich si sa, però, che Giovanni Agnelli, intervenendo tre giorni dopo nel dibattito sulla “macchina sociale“, esprimeva sul Corriere della Sera, del 30-1-1975, un sostanziale accordo con le idee del fantomatico personaggio.
(45) G. GRODDECK, Il libro dell’Es, cit., pp. 346-47; IDEM, Der Mensch als Symbol, cit. p. 162.
(46) IDEM, Peer Gynt, in Die Arche, anno III, n. 12, 30-11-1927, pp. 1-25 (tr. it. ne Il linguaggio dell’Es, cit., pp. 282-316).
(47) IDEM, Hin zu Gottnatur, cit., pp. 9-10.
(48) IDEM, Il libro dell’Es, cit., p. 322.
(49) L. ANDREAS-SALOMÉ, I miei anni con Freud. Diario 1912/1913, tr. it., Newton Compton, Roma 1977, p. 89.
(50) D. BAKAN, Freud e la tradizione mistica ebraica, tr.it., Comunità, Milano 1977, p. 265. Secondo Bakan (che è un convinto ammiratore sia di Freud che della Cabala) Freud “si vedeva come un messia secondo lo spirito del misticismo ebraico“: un messia, secondo la cabala della setta di Sabbatai Zevi, non pacifico ma “militante“, con la missione di vendicare l’antico Israele sconfiggendo a un tempo, dopo duemila anni, Roma e il cristianesimo, mediante lo sconvolgimento dell’erede di entrambi, la civiltà occidentale (ibid., p. 259).
(51) G. GRODDECK, Hin zu Gottnatur, cit., p. 10, 15.
(52) IDEM, Lo scrutatore d’anime, cit., p. 229.
(53) IDEM, Hin zu Gottnatur, cit., p. 9, 13.
(54) IDEM, Der Mensch als Symbol, cit., pp. 158-59.
(55) Cfr. ampiamente D. BAKAN, Freud e la tradizione mistica ebraica, cit., pp. 169, 173-214. In una lettera del 1900 Freud descrive così l’esperienza “grande e tragica” della fondazione della psicanalisi: “un inferno intellettuale, strato su strato, in cui tutto è incerto e fluttuante; e nel centro più buio si distingue il profilo di Lucifero-Amor” (cit., ibid., p. 208).
(56) G . GRODDECK, Hin zu Gottnatur, cit., pp. 17-18.
(57) Cfr. K. KRAUS, Detti e contraddetti, tr. it., Adelphi, Milano 1972, p. 300. Kraus, quasi coetaneo di Groddeck, fu al tempo stesso testimone e vittima del dramma austro-tedesco di quegli anni. Privilegia gli aspetti “immoralistici” di Kraus l’Introduzione di C. CASES a K. KRAUS, Morale e criminalità, tr.it., Rizzoli, Milano 1976. Al contrario, sulla lezione di Kraus “oltre l’Illuminismo” cfr. E. SAMEK LODOVICI, Metamorfosi della gnosi, cit., pp. 187-205.