Marco Invernizzi, Cristianità n. 175-176 (1989)
Chiara ormai l’origine del conflitto che sconvolge il paese mediorientale dal 1975, ugualmente chiara è la condizione della sua soluzione: la riconquistata sovranità della nazione libanese, nelle sue istanze liberamente scelte, sul territorio libanese.
L’elezione presidenziale dell’avvocato René Moawad, “un vecchio amico” del presidente siriano, generale Hafez Assad
Il 10 gennaio 1984, Papa Giovanni Paolo II, ricevendo in Vaticano un piccolo gruppo di deputati libanesi, ha, fra l’altro, ricordato loro che “il pericolo da evitare, di fronte alla stanchezza e alla disperazione, è quello di rassegnarsi ad accettare una soluzione politica qualsiasi pur di porre fine alle lotte che distruggono il paese” (1). Tale timore, nelle ultime settimane, si è rivelato tragicamente fondato. Infatti, domenica 5 novembre 1989, cinquantotto deputati libanesi, di cui trenta cristiani e ventotto fra sunniti, sciiti e drusi, tutti eletti diciassette anni fa, nel 1972, in occasione dell’ultima consultazione elettorale svoltasi in Libano, hanno scelto l’avvocato cristiano maronita René Moawad come presidente della Repubblica (2), il nono della storia del paese dopo l’indipendenza completa ottenuta nel 1943. L’elezione è avvenuta nella parte settentrionale del Libano, a soli sei chilometri dal confine con la Repubblica Araba Siriana, nella base militare di Kleiat, in quel settanta per cento del territorio libanese controllato dall’esercito siriano. Una vittoria per Damasco è il titolo dell’articolo di fondo del quotidiano francese Le Monde del 7 novembre, a commento dell’avvenimento; e il vicepresidente siriano, Abdel Halim Khaddam, lo stesso 7 novembre ha avuto un colloquio di cinque ore con René Moawad, alla presenza anche del generale Ghazi Kanaan, “capo dell’intelligence di Damasco in Libano” (3), e gli ha trasmesso questo eloquente messaggio del presidente siriano, generale Hafez Assad: “La Siria è con il nuovo presidente e farà tutto quanto è in suo potere per assicurarne il successo. Il presidente Moawad, un vecchio amico, ha una chiara visione della salvezza nazionale ed è fermamente determinato a riuscire nell’applicazione del documento d’intesa nazionale per portare il Libano alla pace” (4).
Il rifiuto del generale Michel Aoun
Com’era facilmente prevedibile, il generale Michel Aoun ha rifiutato di accettare l’elezione presidenziale in quanto avvenuta in assenza delle condizioni politiche e di quelle militari che potessero garantire l’esercizio della sovranità nazionale nel paese. Si dice che gli abitanti di Beirut e delle zone fatte oggetto dei bombardamenti siriani amino ripetere che non possono ricostruire le loro case ogni tre mesi, cioè tutte le volte che scoppia una nuova guerra, e che sono disposti a sopportare qualsiasi sacrificio pur di trovare una soluzione definitiva alla propria situazione: questo era il senso della “guerra di liberazione” dalla presenza di tutti gli eserciti stranieri lanciata dal generale Michel Aoun il 14 marzo 1989 e questo spiega lo straordinario consenso popolare che il primo ministro cristiano continua a raccogliere anche fra la popolazione musulmana (5).
Purtroppo gli accordi siglati da alcuni deputati libanesi a Taif, in Arabia Saudita, il 22 ottobre 1989 – accordi che prevedono, fra l’altro, riforme al testo costituzionale – e la successiva elezione di René Moawad alla presidenza della Repubblica, dividono il campo cristiano ai suoi vertici, dal momento che, alla base, la popolazione rimane unita attorno al generale Michel Aoun e gli esprime continuamente, con manifestazioni pubbliche talora imponenti, la propria solidarietà.
Il contrasto con il Patriarca maronita
La divisione più dolorosa, che colpisce soprattutto i cattolici, è certamente quella originata dalla diversità di posizione del Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Sua Beatitudine Nasrallah Boutros Sfeir, e del primo ministro Michel Aoun, quanto al giudizio di fatto – quindi prudenziale e non di principio – relativamente sia agli accordi di Taif che all’elezione di René Moawad alla presidenza dello Stato. Ed è materia di riflessione – piuttosto che d’insistenza inopportuna o di speculazione partigiana – l’increscioso episodio che ha visto il Patriarca vittima di offese, nella sua residenza di Bkerke, una località sulla montagna sopra a Jounieh, la sera stessa dell’elezione presidenziale, ad opera di un centinaio di libanesi esasperati. Tale episodio – che il generale Michel Aoun ha peraltro condannato in modo inequivoco – rivela almeno sia che si è venuto a creare un difficile rapporto fra cristiani maroniti e il loro Patriarca dopo che la massima autorità spirituale della Chiesa maronita ha accettato l’elezione di René Moawad, sia che esistono verosimilmente ambienti interessati a favorire il verificarsi di episodi come quello di Bkerke per screditare chi continua a resistere all’aggressione siriana (6).
Ma il contrasto di fondo sui giudizi di fatto è reale e rimane: da una parte vi è un generale e primo ministro, che non può accettare di veder vanificate le sofferenze e la morte di tanti libanesi, civili e militari, da un accordo che non stabilisce il ritiro dell’esercito siriano dal Libano e da una elezione presidenziale che avalla il dominio siriano sul Libano stesso; e, dall’altra parte, un Patriarca, a tal punto desideroso di ottenere per il suo popolo la fine della guerra, da essere disposto a sorvolare sul fatto che, come lui stesso aveva dichiarato, l’accordo di Taif “non soddisfa pienamente la sovranità nazionale” (7) e la successiva elezione di René Moawad ribadisce il dominio siriano sul paese.
La campagna denigratoria contro il primo ministro cristiano
Dopo questi avvenimenti, che rendono ancora più problematica la soluzione della “questione libanese”, è doveroso chiedersi com’è possibile operare per non far dimenticare il Libano, paese ormai significativamente disertato dagli inviati dei mass media italiani.
Anzitutto si deve rilevare che è in corso una campagna denigratoria nei confronti del generale Michel Aoun, che sembra avere uno dei suoi principali artefici nel presidente degli Stati Uniti George Bush: è certamente trascorso molto tempo da quando – in occasione della mancata elezione presidenziale che, nell’agosto del 1988, doveva dare un successore ad Amin Gemayel – si poteva leggere questo identikit del generale:“Tra tutti, […] spicca il nome del capo dell’esercito, il generale Michel Aoun, che ha il grande merito di raccogliere i consensi di quasi tutti gli sponsor di questa elezione. Aoun è un uomo forte, piace alla Siria, non dispiace a Israele, non è sgradito a Washington” (8).
Il disinteresse e anche l’avversione americani verso la “guerra di liberazione” lanciata da Michel Aoun erano considerevolmente aumentati quando, il 6 settembre 1989, gli Stati Uniti decidono l’evacuazione della loro ambasciata a Beirut in seguito alle manifestazioni ostili di cui era stata fatta oggetto da parte di libanesi sostenitori del primo ministro cristiano, ma il vertice dell’aggressività diplomatica è stato toccato con il comunicato emesso dall’amministrazione americana dopo l’elezione di René Moawad (9). E le reazioni dei governi di tutto il mondo all’elezione presidenziale, ovunque salutata con parole di esultanza, lasciano intendere che le maggiori potenze hanno ormai accettato il patronato siriano sul Libano e non sono disposte a ritornare sulla questione. Anche Israele sembra favorevole all’attuale evoluzione della situazione in Libano, se è vero che le milizie filoisraeliane dell’ALS, l’Esercito del Libano del Sud, hanno sostanzialmente salutato con favore l’elezione di René Moawad (10).
Che cosa fare a sostegno delle giuste rivendicazioni di sovranità e d’indipendenza del popolo libanese
A sostegno delle giuste rivendicazioni di sovranità e d’indipendenza da parte del popolo libanese, a chi non ha poteri d’intervento diplomatico, a chi non ha accesso facile e consueto ai grandi mezzi di comunicazione sociale, rimane la possibilità della “piccola” propaganda, di quella sorta di “porta a porta” che va dalla conferenza all’articolo, dalla testimonianza al “salotto” fra amici, la cui efficacia è, d’altronde, tutt’altro che irrilevante. E questa propaganda deve anzitutto ricordare che i veri nemici della pace in Libano rimangono quegli Stati che occupano militarmente gran parte del suo territorio e che, quindi, si rivela complice di questa violenza anche chi, come le grandi potenze, permette e avalla soluzioni generiche, che non affrontano il vero “nodo” del dramma libanese: infatti, la pace autentica non può nascere prescindendo dalla sovranità e dall’indipendenza della nazione (11).
Quindi, è importante e doveroso non rassegnarsi di fronte al temporaneo – per quanto massiccio – sopravvento dei nemici del popolo libanese e della sua esemplarità storica, e alle loro continue prevaricazioni; a questo proposito giova ricordare le parole di Papa Giovanni Paolo II, che seguono immediatamente quelle che ho citato all’inizio:“Se un tale stato d’animo è ben comprensibile nel contesto drammatico del Libano attuale, sento il dovere di richiamare tutti al coraggio della speranza che trova la sua origine in Dio misericordioso, nel quale tutti i libanesi, cristiani e musulmani, attingono il loro senso dell’uomo, della sua dignità e della sua capacità di rispetto dell’altro” (12).
Marco Invernizzi
Note:
(1) Giovanni Paolo II,Discorso a una delegazione di sette deputati libanesi maroniti, del 10-1-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 1, p. 50.
(2) Per un ritratto di René Moawad, cfr. Le Monde, 7-11-1989.
(3) Corriere della Sera, 10-11-1989.
(4) Le Monde, 9-11-1989.
(5) Il quotidiano Avvenire, dando notizia di manifestazioni a sostegno del generale Michel Aoun anche nel Libano meridionale, afferma che “quattromila persone, cristiane e musulmane, hanno manifestato in villaggi vicini, inneggiando al generale Aoun e sventolando bandiere libanesi” (8-10-1989).
(6) Cfr. Michel Aoun, Libano: le ragioni della verità e quelle della forza, intervista a cura di Claude Sarkis, del 9-11-1989, in questo stesso numero di Cristianità.
(7) Avvenire, 27-10-1989. Circa la posizione del Patriarca maronita, cfr. l’intervista, successiva all’episodio avvenuto nella sua residenza di Bkerke, a cura di Lucia Annunziata, in la Repubblica, 10-11-1989.
(8) Corriere della Sera, 14-8-1988.
(9) Secondo Le Figaro, “Washington, dal canto suo, ha sottolineato che “il generale Aoun, con le sue tattiche del confronto e con la sua minaccia della spartizione, rende un pessimo servizio allo Stato e al popolo che afferma di difendere”“ (7-11-1989).
(10) Circa il giudizio sostanzialmente positivo sull’elezione di René Moawad espresso dal coordinatore delle attività israeliane in Libano, Uri Lubrani, cfr. Le Figaro, 7-11-1989.
(11) Cfr. Alleanza Cattolica, Manifesto Per la sovranità e l’indipendenza del Libano, del 4-11-1989, in Avvenire, 5-11-1989, trascritto in questo stesso numero di Cristianità.
(12) Giovanni Paolo II, doc. cit.