Marco Invernizzi, Cristianità n. 67 (1980)
Nata dal programma del pontificato di san Pio X, “instaurare omnia in Christo”, l’Unione Elettorale Cattolica Italiana cerca, nei primi anni del nostro secolo, di organizzare i cattolici per l’azione politica nella società italiana, allora dominata dal laicismo liberale, uscito vittorioso dall’unificazione d’Italia. Essa può operare liberamente e proficuamente per la conquista cattolica delle istituzioni civili fino alla nascita del Partito Popolare Italiano, di cui costituisce un’alternativa, frutto di una diversa concezione dell’azione politica dei cattolici. Osteggiata dai democratici cristiani, da Murri a don Sturzo, e non apprezzata anche da alti esponenti della Gerarchia dopo la morte di san Pio X, la UECI viene sciolta nel 1919, quando ad un’azione politica cattolica condotta da un organismo non partitico – quale appunto era la UECI stessa -, si preferisce un partito “aconfessionale”, sostanzialmente liberale, vagamente “di ispirazione cristiana”, quale è stato il Partito Popolare Italiano e quale è la Democrazia Cristiana.
Nel momento in cui la “ricomposizione dell’area cattolica” sembra essere la soluzione proposta da fonte autorevole per poter dare una guida e un punto di riferimento anche politico ai cattolici italiani (1), pare utile attirare l’attenzione su un periodo della storia del movimento cattolico italiano assai simile all’attuale, poiché, allora come oggi, si trattava di “ricomporre” il movimento cattolico stesso. Mi riferisco al tempo immediatamente seguente lo scioglimento dell’Opera dei Congressi e Comitati Cattolici, voluto da san Pio X, nel 1903, in seguito all’insanabile contrasto sviluppatosi, all’interno di tale organismo, tra i democratici cristiani ispirati da Murri e i cattolici intransigenti fedeli alle direttive pontificie (2): con la soppressione dell’Opera dei Congressi si veniva a creare un vuoto, che doveva essere necessariamente colmato.
A ciò provvide san Pio X con l’enciclica Il fermo proposito, dell’11 giugno 1905, opportunamente presentata come una “teologia dell’azione cattolica” (3). Con questa enciclica il Pontefice intendeva, anzitutto, indicare lo spirito che doveva animare l’azione apostolica del laicato cattolico, perché si sforzasse “di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico” (4), allo scopo di “ristorare in Cristo non solo ciò che appartiene propriamente alla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche ciò che, come abbiamo spiegato, da quella divina missione spontaneamente deriva, la civiltà cristiana nel complesso di tutti i singoli gli elementi che la costituiscono” (5). Inoltre, il Papa ritornava sullo spinoso problema della partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato unitario, indicando come soluzione una via autonoma rispetto al totale astensionismo elettorale voluto dai cattolici intransigenti (6). Questa scelta, se da una parte confermava i validi motivi, di natura anzitutto morale, che avevano, sotto i pontificati di Pio IX e di Leone XIII, “vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo“, dall’altra ricordava le “ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società” (7), che avevano spinto il Pontefice a concedere ai singoli vescovi la possibilità di permettere ai cattolici, nelle rispettive diocesi, di partecipare alle elezioni politiche, come candidati o come elettori, per favorire e promuovere tra tutte le “istituzioni“, “quelle soprattutto che si propongono di ben disciplinare le moltitudini contro l’invadente predominio del socialismo” (8).
A questo scopo, per coordinare l’attività elettorale dei cattolici italiani nelle diverse diocesi, veniva istituita l’unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI) (9), che andava ad affiancare, nella rinnovata organizzazione del laicato cattolico, l’Unione Economica Sociale dei Cattolici Italiani, che continuava l’attività del II Gruppo dell’Opera dei Congressi (10) e l’Unione Popolare fra i Cattolici d’Italia, “destinata a raccogliere i cattolici di tutte le classi sociali, ma specialmente le grandi moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale” (11), e caratterizzata dal fatto che l’adesione a essa era puramente personale, mentre l’Opera dei Congressi era stata una federazione di associazioni.
L’Unione Elettorale Cattolica Italiana
L’Unione Elettorale Cattolica Italiana comincia la sua attività sotto la presidenza del professor Filippo Tolli, allo scopo di “promuovere la organizzazione e la fondazione delle associazioni elettorali cattoliche” (12), facendo proprie le indicazioni fornite da san Pio X nella enciclica Il fermo proposito, quando raccomandava “doversi ricordare sopra ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolici accedendo agli uffici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della patria e particolarmente del popolo secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi supremi della Chiesa che sono quelli della religione e della giustizia” (13), “intimamente persuasi che il segreto delle future vittorie sta appunto nel saper preparare una potente organizzazione elettorale” (14).
L’attività politica della UECI persegue due obiettivi: da un lato intende coordinare l’attività dei consiglieri comunali e provinciali eletti dai cattolici nelle consultazioni amministrative; dall’altro, preparando l’eventuale prossimo intervento cattolico nelle elezioni politiche, cerca di intensificare ed estendere l’attività delle associazioni elettorali nelle diocesi italiane. Ma, a proposito della partecipazione alle elezioni politiche, il mondo cattolico appare ancora incerto e diviso; san Pio X, probabilmente, voleva attuare una politica che non abolisse bruscamente il Non expedit (15), ma che, lasciando ai singoli vescovi la possibilità di autorizzare l’intervento politico dei cattolici nelle rispettive diocesi, vedesse incrementare lentamente la loro partecipazione elettorale e la loro presenza in parlamento (16). A conferma di ciò si possono notare i diversi atteggiamenti – qualcosa di più di semplici sfumature -, che assumevano la UECI e L’Osservatore Romano negli anni immediatamente seguenti l’enciclica Il fermo proposito: nel 1907, infatti, in una circolare della presidenza della UECI, diretta ai suo aderenti, si sostiene la necessità “d’impugnare le armi della legalità, e lealmente combatterli [gli anticlericali] in forza di quelle stesse leggi, che essi millantano di osservare, e che usano invece a scopo di abbattere i fratelli. E occasione a ciò propizia ce la porgeranno le non lontane elezioni generali politiche, in cui dobbiamo portarci da valorosi soldati, amanti della disciplina e guidati dal supremo intendimento del bene” (17). A seguito della circolare, La Civiltà Cattolica riporta il comunicato con cui L’Osservatore Romano ricorda che “alcune frasi di quella circolare, che noi non riportammo, sono state interpretate come l’espressione di un mutamento radicale ed autorizzato nell’orientamento dell’azione cattolica italiana nel campo politico, fino al punto di far supporre che essa debba trasformarsi in una vera e propria azione parlamentare” (18); a questo proposito, il quotidiano vaticano ribadisce che “nulla infatti devesi ritenere mutato nell’indirizzo tracciato ai cattolici italiani, circa la loro eventuale partecipazione al lavoro legislativo nelle presenti condizioni, perché nulla di cambiato vi è nelle direzioni pontificie ad essi date con l’enciclica “Il fermo proposito” dell’11 giugno 1905” (19).
Il contrasto tra i due schieramenti – quello dei favorevoli e quello dei contrari all’intervento politico dei cattolici – non accenna a diminuire, ed entrambe le parti cercano, per quanto possono, di influenzare a proprio favore il Pontefice, l’unica autorità la cui decisione avrebbe posto fine a ogni controversia e avrebbe quindi sbloccato la situazione, permettendo una soluzione operativa. Nell’ottobre del 1908, nell’imminenza delle elezioni politiche, una circolare della UECI ritorna sull’argomento, rispondendo alle sollecitazioni che “da tempo, e da molte parti” venivano rivolte all’Unione perché fornisse indicazioni su “quale debba essere la condotta delle Associazioni aderenti in vista delle prossime elezioni politiche” (20); gli estensori della circolare sostengono la necessità che sia l’autorità ecclesiastica a decidere, in ultima istanza, sulla partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche (21), ma, nonostante ciò, non rinunciano a indicare la loro opinione, quasi vogliano suggerire la propria soluzione all’autorità che avrebbe poi dovuto decidere. Il suggerimento formulato in questa circolare riveste una importanza notevole, poiché costituirà la motivazione fondamentale con cui i cattolici giustificheranno, nelle elezioni politiche del 1914, l’accordo con i liberali in funzione antisocialista, accordo passato alla storia con il nome di Patto Gentiloni.
L’opinione della UECI, che riprende lo spirito dell’enciclica Il fermo proposito, dove san Pio X aveva introdotto la possibilità della partecipazione dei cattolici alla vita politica, lasciandola alla discrezione dei vescovi, è che nel paese si va “delineando una profonda divisione di forze, la quale, secondo le previsioni più probabili, sarà la base delle prossime elezioni generali: e cioè la divisione tra i fautori di uno sviluppo progressivo e pacifico della vita nazionale armonizzato col rispetto delle tradizioni religiose e morali del popolo italiano, e quelli che si propongono di instaurare un regime fondato sulla ostilità aperta e concreta ad ogni influenza che si ispiri a principi di natura spirituale” (22).
È facile notare come i due schieramenti cui si accenna nella circolare corrispondano, di fatto, ai liberali di Giolitti – a quegli “uomini d’ordine” preoccupati, come i cattolici, dall’ascesa numerica e politica dei socialisti e, appunto, ai socialisti stessi, cioè alle forze sovversive che, se avessero conquistato il potere, non avrebbero garantito il “rispetto delle tradizioni religiose e morali del popolo italiano“: da questa analisi scaturiva il suggerimento indiretto alla Santa Sede, perché permettesse la partecipazione dei cattolici alle elezioni a sostegno di quei candidati che offrissero le garanzie desiderate, nella persuasione del “bisogno che il paese ha di una rappresentanza politica, la quale tragga i suoi criteri di governo dalla devozione ai principi di ordine, di libertà e di giustizia, e ripudii ogni complicità coll’opera settaria di coloro che innalzano e sventolano la bandiera dell’anticlericalismo” (23).
Ma il Patto Gentiloni è ancora lontano, e L’Osservatore Romano, commentando la circolare in questione, precisa “che se […] dovesse essere interpretata […] quale incoraggiamento ad un’azione politica dei cattolici italiani” la circolare stessa non risponderebbe ai criteri della Santa Sede (24).
Il nuovo statuto della UECI e la presidenza del conte Gentiloni
Frattanto, nel luglio del 1909, san Pio X sceglieva per la presidenza della Unione Elettorale il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni (25), un nobile marchigiano discendente da un’antica famiglia di conti del Sacro-Romano Impero. Grazie al disinteressato prodigarsi del nuovo presidente (26), la UECI conosce, nel 1910 e nell’anno seguente, significativi successi elettorali (27) e un forte incremento numerico e propagandistico (28). Sempre nel 1911 accompagnato da una lettera del segretario di Stato di san Pio X, il cardinale Raffaele Merry del Val, viene reso noto il nuovo Statuto e Regolamento della UECI, che sostituisce il precedente e che entra in vigore il 15 aprile dello stesso anno.
Già il secondo articolo dello Statuto testimonia il mutato atteggiamento della Santa Sede circa il problema elettorale, in quanto sancisce, come scopo della Unione, quello di “formare e disciplinare le forze elettorali cattoliche e di dirigerle nelle eventuali elezioni politiche secondo le direttive della Santa Sede” (29). La Santa Sede ammette, così, la possibilità di una prossima partecipazione dei cattolici alle consultazioni politiche e ne dà la guida alla Unione Elettorale. A tale scopo la UECI avrebbe dovuto svolgere una duplice funzione nell’azione politica cattolica: una funzione di promozione – perché “tali associazioni sorgano e si sviluppino dove non esistono” (30) – e di organizzazione – in base alla quale la UECI aveva “l’alta direzione di tutto il movimento elettorale cattolico in Italia per indirizzarlo ai fini altissimi sopraccennati” (31) -, e una funzione di controllo, in base alla quale doveva seguire e controllare “l’azione parlamentare” dei deputati eletti con i voti dei cattolici, “per segnalarne a tempo opportuno le benemerenze e i demeriti al corpo elettorale” (32). Il periodo più importante dell’azione della Unione Elettorale sarà quello precedente le elezioni politiche generali del 1913: infatti, il tipo di attività politica svolta in tale circostanza permette di comprendere con maggiore chiarezza la natura di questo organismo cattolico, la ragione per cui venne creato e la differenza sostanziale che lo diversifica da ogni futuro partito di “ispirazione cristiana“.
Il Patto Gentiloni
La legge elettorale del 1912 aveva portato il numero degli elettori iscritti da 2.930.473 – quanti erano stati nella precedente consultazione del 7-14 marzo 1909 – a 8.443.205 – quanti saranno nella consultazione del 26 ottobre – 2 novembre 1913. Questa nuova legge, che veniva a sconvolgere il sistema elettorale italiano, istituiva il suffragio universale maschile e praticamente offriva il diritto di voto alle popolazioni contadine, prevalentemente cattoliche, numerose soprattutto, ma non soltanto, nell’Italia meridionale.
Secondo lo storico Giorgio Candeloro, comunista di ispirazione gramsciana, il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti aveva proposto questa legge per “la necessità di trovare una base di massa in parte nuova e più vasta allo Stato liberale borghese” (33) da sostituire alle forze socialiste e alle organizzazioni sindacali, il cui inserimento nello Stato liberale aveva subito un rallentamento all’epoca della guerra di Libia, quando “il movimento operaio […] assunse un atteggiamento più combattivo che portò all’uscita dal partito socialista del gruppo Bissolati – Bonomi, cioè dei riformisti più inclini alla collaborazione con Giolitti. In questa situazione l’alleanza con le forze cattoliche assunse per Giolitti e per i gruppi parlamentari che lo sostenevano un’importanza decisiva” (34).
La nuova legge elettorale, la partecipazione di massa dei cattolici alle elezioni politiche del 1913 – che veniva a sospendere l’applicazione del Non-expedit, già concessa, in alcuni casi per le elezioni del 1904 e del 1909 – e l’alleanza in funzione antisocialista tra i cattolici e i candidati governativi vicini a Giolitti, costituiscono quella grossa operazione elettorale che passerà alla storia con il nome di Patto Gentiloni. Infatti; soprattutto per opera del presidente della UECI, i cattolici italiani utilizzano le possibilità offerte dalla nuova legge elettorale, proposta da Giovanni Giolitti, e partecipano alle elezioni del 1913, facendo così mutare fisionomia al parlamento italiano e bloccando l’ascesa politica ed elettorale dei socialisti (35).
Ma l’intervento alle elezioni e il sostegno alle istituzioni minacciate dal socialismo non avviene senza una richiesta di precise garanzie, per il bene comune e per la libertà della Chiesa e della religione cattolica, ai candidati cui sarebbero andati i suffragi dei cattolici: così, dopo il documento che decide di utilizzare il suffragio universale, viene immediatamente pubblicato l’Eptalogo o punti di accordo, sottoscrivendo il quale i candidati si impegnano a svolgere una azione parlamentare non in contrasto almeno con alcuni dei principi fondamentali e irrinunciabili della dottrina sociale cristiana. Questo impegno poteva essere assunto privatamente, con una dichiarazione scritta e firmata dal candidato, oppure pubblicamente, mediante l’inclusione dei sette punti dell’Eptalogo nel rispettivo programma elettorale.
L’Eptalogo è preceduto da una circolare della UECI, firmata dal presidente conte Gentiloni, che illustra le norme da seguirsi nella scelta e nell’appoggio dei candidati: “Affinché il movimento elettorale politico proceda nel nostro campo secondo ben chiare direttive e criteri tattici uniformi da un capo all’altro d’Italia, la scrivente Unione Elettorale Cattolica Italiana chiamata a dirigere l’asprissima lotta che si prepara, compie il dovere di comunicare a Lei, benemerito signore, perché ne usi con le debite cautele, le norme da seguirsi nella scelta e nell’appoggio dei candidati.
1. – La prossima lotta elettorale pei cattolici deve essere regolata dall’Unione Elettorale Cattolica, in modo che risponda agli scopi pei quali i cattolici possono, nei dovuti limiti, accedere alle urne.
2. – Appoggiare i candidati che danno le maggiori garanzie di seguire le nostre idee religiose e sociali solo in quei collegi dove per forze nostre od appoggio di affini, ne sia certa la riuscita.
3. – Appoggiare quei candidati i quali, ritenuti personalmente degni dei nostri suffragi, dichiarino formalmente per iscritto o nel pubblico programma agli elettori, di accettare i punti fondamentali di accordo, che vengono uniti alla presente.
4. – Spetta in modo particolare ai Comitati Elettorali locali segnalare alla Presidenza dell’Unione Elettorale Cattolica quei casi rarissimi in cui eccezionalmente si ritenga consigliabile l’appoggio dei cattolici anche senza l’accettazione formale di cui sopra.
Queste le precise norme alle quali dovunque in Italia dovrà attenersi la condotta elettorale dei cattolici, norme che già, come di dovere, furono comunicate agli Ecc.mi Vescovi. Abbiamo fiducia che l’opera vigorosa e concorde dei cattolici e la perfetta disciplina, possano giovare nelle prossime elezioni a vantaggio dei principii da noi costantemente seguiti e difesi” (36)
Alla circolare segue l’Eptalogo o punti di accordo vero e proprio, diviso in sette parti:
“1. Difesa delle istituzioni statutarie e delle garanzie date dagli ordinamenti costituzionali alle libertà di coscienza e di associazione, e quindi opposizione anche ad ogni proposta di legge in odio alle congregazioni religiose e che comunque tenda a turbare la pace religiosa della Nazione.
2. Svolgimento della legislazione scolastica secondo il criterio che, col maggiore incremento alla scuola pubblica, non siano fatte condizioni che intralcino o screditino l’opera dell’insegnamento privato, fattore importante di diffusione e di elevazione della cultura nazionale.
3. Sottrarre ad ogni incertezza ed arbitrio e munire di forme giuridiche sincere e di garanzie pratiche, efficaci, il diritto dei padri di famiglia di avere nei propri figli una seria istruzione religiosa nelle scuole comunali.
4. Resistere ad ogni tentativo di indebolire l’unità della famiglia e quindi assoluta opposizione al divorzio.
5. Riconoscere, agli effetti della rappresentanza nei Consigli dello Stato, diritto di parità alle organizzazioni economiche o sociali indipendentemente dai principii sociali o religiosi ai quali esse si ispirino.
6. Riforma graduale e continua degli ordinamenti tributari e degli istituti giuridici nel senso di una sempre migliore applicazione dei principii di giustizia nei rapporti sociali.
7. Appoggiare una politica che tenda a conservare e rinvigorire le forze economiche e morali del paese, volgendole a un progressivo incremento dell’influenza italiana nello sviluppo della civiltà internazionale” (37).
L’accordo elettorale stipulato sulla base del Patto Gentiloni, che prende il nome di accordo clerico-moderato, ha una ripercussione enorme sulla stampa e sulla vita politica italiana. Da un punto di vista elettorale, i risultati di questo accordo provocano un autentico sconvolgimento parlamentare, tenendo conto che sono “ben 228 i candidati che hanno ottenuto l’appoggio dei voti dei cattolici italiani e che, fra il primo e il secondo scrutinio, sono usciti vittoriosi dall’urna; sono oltre cento i candidati socialisti o repubblicani che di fronte ad essi sono rimasti soccombenti” (38). Mentre L’Osservatore Romano, commentando i risultati elettorali, ricorda che i cattolici organizzati costituiscono un’”ancora di salvezza, l’ultimo baluardo all’irrompente fiumana” (39) del socialismo, e invita i conservatori liberali a non dimenticarlo, il conte Gentiloni rilascia una entusiastica intervista al Giornale d’Italia, nella quale ricorda l’importanza determinante dei cattolici nella vittoria di molti candidati ministeriali, oltre a quella riportata direttamente dai propri candidati (40). Così, i risultati elettorali del 1913 e la forza manifestata dai cattolici, suscitano gravi timori tanto fra i socialisti (41) che fra i liberali, i quali, nonostante i 228 deputati “gentilonizzati“, cioè eletti con i voti cattolici, continuano, per bocca di Giolitti, a negare che vi sia stato un “patto” e riaffermano la loro fedeltà ai principi laicisti.
L’intervista del conte Gentiloni, che suscita immenso scalpore sulla stampa italiana (42), dimostra la totale indipendenza dei cattolici nei confronti dei liberali e di Giolitti, a cui Gentiloni stesso, indirettamente, fa presente come fosse stato indispensabile l’apporto dei cattolici per la vittoria della gran parte dei candidati ministeriali eletti e ricorda al presidente del Consiglio la sconfitta patita dai suoi uomini a Firenze (43), dove avevano pensato di poter fare a meno dell’appoggio dei cattolici.
Il Patto Gentiloni e il mondo cattolico
Il Patto Gentiloni, dunque, non è stato il risultato del progressivo evolversi della cultura cattolica verso il pensiero liberale, ma, al contrario, “in quel patto scritto è il documento ineluttabile del vero amor patrio dei cattolici, i quali dimenticando le diuturne offese ricevute dal liberalismo dominante e oppressore, da cui furono tenuti sempre come paria ed iloti, gli offrivano ora una mano leale e poderosa a sorreggersi e salvarsi nel cozzo coi partiti sovversivi, non chiedendo per sé che un minimo di guadagno, rispondente ai più alti interessi di pace, di concordia di vera unità dell’Italia. Ma in quel patto scritto, sta anche un documento irrefragabile della insipiente malafede del liberalismo che, da quel povero superbo, che è, si adontò dell’offerta e, scagliandola in faccia al benefattore, provò che a lui non premeva, no, il salvar l’Italia e le istituzioni monarchiche dalla rivoluzione e dall’anarchia, premeva solo il proprio assolutismo” (44).
Le polemiche suscitate nel mondo politico e giornalistico italiano finiscono per riflettersi anche all’interno del mondo cattolico, dove “vi furono i pusilli… se non forse gli invidiosi, che si unirono al coro dei denigratori e fin dall’ora tramarono la caduta del Gentiloni” (45). Fra questi “pusilli” e “invidiosi” si possono senz’altro annoverare i democratici-cristiani, i seguaci di Murri (46), che avevano, dovuto assistere al “sacrificio pressoché totale di quei motivi sociali e popolari che avevano ispirato la Democrazia cristiana” (47). Anche don Luigi Sturzo si era battuto contro il Patto Gentiloni: “Il Patto Gentiloni, da me avversato nella qualità di consigliere dell’Unione Elettorale Cattolica, fu come la lancia di Achille della quale dice Dante […]. Da un lato, quel fatto legò ancora di più i cattolici alle consorterie clerico-moderate: dall’altro sviluppò due reazioni: l’anticlericale e socialista e quella dei cattolici sociali (organizzatori di leghe operaie e di cooperative contadine) e dell’ala democratica cristiana, ancora diffusa come tendenza pur non avendo una propria organizzazione” (48), dove per “consorterie clerico-moderate” s’intendevano evidentemente quei cattolici che, avendo fatte proprie le direttive pontificie della enciclica Il fermo proposito, si erano preparati “prudentemente e seriamente alla vita politica“, per intervenire in essa in vista de “il supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi” (49), “favorendo e promuovendo quelle istituzioni […] che si propongono di ben disciplinare le moltitudini contro l’invadente predominio del socialismo e che ad un tempo le salvano e dalla rovina economica e dallo sfacelo morale e religioso” (50). La conferma della perfetta sintonia tra le direttive di san Pio X e la UECI, che di esse si era fatta portavoce nel campo politico, è avvalorata da un breve scritto con cui il Santo Padre esprime la propria fiducia al conte Gentiloni, “per tutte le opere di vera carità alle quali si è consacrato” (51); questo scritto porta significativamente la data del 7 aprile 1914, proprio nel pieno infuriare della polemica contro il presidente della Unione Elettorale.
La UECI e il “partito cattolico”
La posizione contraria al Patto Gentiloni, sostenuta da don Luigi Sturzo, esprime il pensiero di quanti, nell’area cattolica, volevano la creazione di un partito di “ispirazione cristiana”, che, come saranno poi il Partito Popolare Italiano e la Democrazia Cristiana, agisse politicamente come partito “aconfessionale“, in totale indipendenza della gerarchia, e rappresentasse una “terza forza”, che avrebbe dovuto collocarsi politicamente “al centro” tra liberalismo e socialismo: è il “partito” cattolico, “costituito da coloro che accettano la Rivoluzione e che vogliono la instaurazione della liberté, della égalité e della fraternité” (52). Erano quei cattolici che non comprendevano il “carattere di processo” (53) della Rivoluzione, e quindi la possibilità, e a volte anche la necessità, di “accordarsi” tatticamente e temporaneamente con rivoluzionari nello stadio meno avanzato del processo – nel caso, con i liberali -, per impedire l’ascesa di rivoluzionari già a uno stadio successivo, cioè i socialisti; questo principio di dottrina dell’azione, una volta applicato con tutte le indispensabili cautele, non solo non apparirà come una pericolosa e impossibile entente cordiale tra liberalismo e cattolicesimo, ma rappresenterà anche una severa sconfitta per il liberalismo stesso, come tutti gli storici di parte liberale e socialista hanno poi dovuto ammettere (54).
La UECI, al contrario, “non era la costituzione di un qualsiasi partito o raggruppamento politico […]: era cosa ben diversa, degna dell’alto senno del Santo Pontefice Pio X che l’aveva voluta; e cioè l’Unione di tutti i cattolici, in un corpo elettorale il quale doveva mandare al parlamento i migliori, gli onesti, affinché l’Italia, e per essa il Governo, mutasse la sua rotta anticlericale, antireligiosa, antimorale, che la conduceva al precipizio” (55).
La UECI, quindi, non è stata la premessa alla costituzione del partito politico dei cattolici (56), ma ha rappresentato piuttosto un esempio – ancora valido e ricco di insegnamenti per l’attuale situazione italiana (57), nei clima di “ricomposizione dell’area cattolica” – di come i cattolici possono intervenire nella battaglia politica senza organizzarsi in equivoci “partiti aconfessionali”.
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Meditando sull’esempio offerto dalla breve stagione della UECI ci si rende conto di come il movimento cattolico abbia di fronte a sé due possibili alternative di impegno politico: o costituire una grande unione che orienti e diriga i cattolici nelle battaglie civili, preoccupandosi soprattutto della unità dottrinale delle associazioni e dei gruppi aderenti e lasciando a essi, eventualmente, una certa libertà di organizzazione (58); oppure costituire un partito che si limiti a una indefinita “ispirazione cristiana”, pretendendo la massima disciplina e unità organizzativa e lasciando, agli aderenti, al contrario, la massima libertà ideologica.
Il mondo cattolico italiano, dopo la morte di san Pio X, avvenuta all’inizio dei primo conflitto mondiale, nel 1914, sceglieva questa seconda strada, sotto la guida dei nuovo Pontefice, Benedetto XV, che “successo a Pio X, si era preoccupato di unificare le forze di azione cattolica, dando ad esse quel centro, quella direzione che il suo predecessore non aveva voluto” (59). Il radicale mutamento della politica vaticana, che aveva nel nuovo segretario di Stato, il cardinale Gasparri, il principale ispiratore e artefice (60), si poteva ulteriormente evincere anche dalle personalità che assumeranno la direzione della Unione Popolare dopo la riforma voluta da Benedetto XV: il conte Giovanni Grosoli (61) – le cui simpatie democratico-cristiane, quando era Presidente dell’Opera dei Congressi, avevano provocato lo scioglimento della stessa – e don Luigi Sturzo, che avrebbe fondato, nel 1919, il Partito Popolare Italiano, “aconfessionale” e di “ispirazione cristiana”, e che, in questi anni, “cercò a grado a grado di fare maturare quel processo di enucleazione e di distacco della politica dall’impegno religioso e confessionale” (62).
‘La strada verso la nascita del partito era così spianata e l’ultimo ostacolo, costituito dalla esistenza della UECI – che era e rimaneva possibilità antitetica a esso e che, se fosse restata in vita, avrebbe potuto e dovuto esercitare una funzione di controllo nei confronti dei parlamentari eletti dai cattolici – veniva tolto con il suo scioglimento: “la sua attuazione [del Partito Popolare Italiano] ha portato con sé lo scioglimento di quella che era stata finora l’Unione Elettorale” (63).
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. P. BARTOLOMEO SORGE S. J., La “ricomposizione” dellarea cattolica in Italia, Città Nuova Editrice, Roma 1979 e GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana, del 23-1-1979, in L’Osservatore Romano, 24-1-1979. Sul tema cfr. GIOVANNI CANTONI, La “lezione italiana” contro il “compromesso storico” continua, in Cristianità, anno VIII, n. 59, marzo 1980.
(2) La frattura interna tra “conservatori e progressisti” – come chiama le due correnti contrapposte mons. Della Casa nella sua storia del movimento cattolico – era incomponibile, perché non si limitava al campo pratico, ma riguardava due diverse e opposte concezioni del cristianesimo, una modernista, che mirava a conciliare la dottrina cattolica con il pensiero moderno e rifiutava la dottrina sociale della Chiesa, e l’altra, composta dai cattolici “intransigenti”, fedele al Magistero tradizionale della Chiesa (cfr. RAFFAELE DELLA CASA, Il movimento cattolico italiano e le sue principali associazioni dalle origini fino a noi, Edizioni Benedetto Bacchini, Milano 1905). Sulla storia dell’Opera dei Congressi, accanto alle opere generali riguardanti il movimento cattolico, cfr. in particolare il volume di ANGELO GAMBASIN, Il movimento sociale nell’Opera dei Congressi, Aedes Universitatis Gregorianae, Roma 1958.
(3) SAN PIO X, Enciclica Il fermo proposito, dell11-6-1905, in Il laicato. Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1962, pp. 211-231.
(4) Ibid., p. 224.
(5) Ibid., p. 216.
(6) Nonostante appaia evidente la condanna inflitta da san Pio X nei confronti dei democratici cristiani, ci si può chiedere come mai il Papa non si sia limitato a espellere la corrente di Murri dall’Opera, mantenendo così in vita la gloriosa istituzione. La risposta più verosimile è che Papa Sarto, non condividendo il rigido astensionismo elettorale degli intransigenti, volesse rinnovare completamente il movimento cattolico pensando anche a una sezione elettorale, che avrebbe preparato i cattolici alla lotta politica. Sul punto cfr. pure PIETRO SCOPPOLA, Dal neoguelfismo alla democrazia cristiana, Editrice Studium, Roma 1963, pp. 82-83, e GIORGIO CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 302.
(7) SAN PIO X, Enciclica Il fermo proposito, cit., p. 224.
(8) Ibid., p. 229.
(9) La UECI viene istituita nel 1906 e sciolta nel 1919, in seguito alla fondazione del Partito Popolare Italiano. Avrà come presidenti Filippo Tolli (1906-1910), Ottorino Gentiloni (1910-1916), Carlo Santucci (1916-1918) e Giorgio Montini (1918-1919).
(10) L’Unione Economica Sociale, sorta anchessa sulla base dell’enciclica Il fermo proposito, sarà, fino allo scioglimento, sempre presieduta dal conte Stanislao Medolago Albani. I compiti assegnati a essa da san Pio X, con un suo Breve, consisteranno nel coordinare e dirigere, per la parte economico-sociale, le riunioni diocesane di Azione Cattolica; promuovere le Unioni professionali tra i lavoratori, coordinandone lattività; curare gli interessi materiali, unendoli a scopi più elevati, di educazione e di cultura. Anchessa, come la UECI, verrà sciolta nel 1919, in seguito alla costituzione della Confederazione Italiana dei Lavoratori, della Confederazione Cooperativa e della Confederazione della Mutualità e Previdenza (cfr. voce Unione Economica Sociale, in Enciclopedia Cattolica, vol. XII, pp. 813-814).
(11) SAN PIO X, Enciclica Il fermo proposito, cit., p. 221. LUnione Popolare fra i Cattolici dItalia viene costituita sul modello del Volksverein, l’associazione cattolica tedesca. Suo organo di stampa settimanale sarà La settimana sociale, fiancheggiato da un foglio mensile, L’allarme. La sua attività principale consisterà nella organizzazione delle Settimane sociali. I suoi presidenti saranno, in successione di tempo, Giuseppe Toniolo (1907-1908), Antonio Boggiano (1908-1909), Lodovico Necchi (1909-1912), Giuseppe Dalla Torre (1912) – che, con la riforma della Unione Popolare, diventerà poi presidente della giunta direttiva (1912-1920) – e Bartolomeo Pietromarchi (1920-1922). L’Unione Popolare giungerà ad avere, con le adesioni individuali, centomila soci in tutta Italia (cfr. voce Unione Popolare, in Enciclopedia Cattolica, vol. XII, p. 830).
(12) Statuto dellUECI art. 2, comma a e b, cit., in Lettera circolare dellUECI ai signori presidenti delle associazioni elettorali cattoliche ed agli elettori cattolici dItalia, Roma 15-8-1906, in La Civiltà Cattolica, anno 57, 1906, vol. 3, p. 739.
(13) Ibid., p. 740.
(14) Ibid., p. 741.
(15) “Attentis omnibus circumstantiis, non expedit” era stata la risposta data dalla Sacra Penitenzieria, nel 1874, a proposito della eventuale partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche, confermata da Pio IX nel suo Discorso alle donne cattoliche del circolo romano di S. Melania, in L’Osservatore Romano, 14-10-1874. Sulle vicende che avevano portato alla formulazione del Non expedit, cfr. G. CANDELORO, op. cit., pp. 137-138.
(16) Cfr. G. CANDELORO, op. cit., pp. 305-369.
(17) Circolare della Presidenza dell’UECI, in La Civiltà Cattolica, anno 58, 1907, vol. 4, p. 228.
(18) Ibid., p. 229.
(19) Ibidem.
(20) Circolare dell’UECI, in La Civiltà Cattolica, anno 59, 1908, vol. 4, p. 488.
(21) Cfr. ibid.: “L’Unione però non ha creduto di dover assumere un atteggiamento preciso in un campo nel quale non si può attendere soltanto agli interessi e alle esigenze della organizzazione, ma vuolsi aver riguardo a motivi di diverso ordine che richiedono l’accordo delle singole associazioni colle autorità ecclesiastiche, secondo i principii fissati nella Enciclica Il fermo proposito alla quale è debito nostro di uniformarci ogni volta si tratti di procedere ad un’azione sul terreno elettorale politico“.
(22) Ibidem.
(23) Ibidem.
(24) Ibid., p. 489.
(25) Sul conte Vincenzo Ottorino Gentiloni cfr. la biografia di AUGUSTO GROSSI GONDA, Il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, Industria Tipografica Romana, Roma 1927, che sarà suo segretario durante gli anni della presidenza della UECI.
(26) Secondo il segretario del conte Gentiloni, san Pio X aveva scelto il nobile marchigiano – che dopo essere stato presidente del comitato marchigiano dell’Opera dei Congressi non aveva più ricoperto incarichi pubblici nelle organizzazioni cattoliche – proprio per la sua estraneità a ogni gruppo e corrente all’interno del movimento cattolico, oltre che per la sua indipendenza sociale ed economica, resa possibile dall’esercizio dell’avvocatura in uno studio romano. E questa situazione gli permetterà di sopperire alla ristrettezza dei mezzi: “[…] tenuissime sono le offerte delle Associazioni e dei Comitati aderenti all’Unione, cosicché il bilancio annuale non raggiunge le lire cinquemila. Risolto il problema più grave della sede, cedendo il suo studio d’avvocato in via Agostino Depretis, trasformandolo negli offizi di presidenza e segreteria dell’Unione Cattolica, mettendo a disposizione tutto il suo mobilio: liquida una azienda industriale, e la sua attività è tutta assorbita nel lavoro di organizzazione elettorale” (A. GROSSI GONDA, op. cit., pp. 43-44).
(27) Secondo i dati forniti dallo stesso conte Gentiloni nella relazione annuale, nel 1910 la UECI organizza la partecipazione dei cattolici a 31 consultazioni politiche in altrettanti collegi elettorali, riportando 17 vittorie, ossia lelezione di 17 deputati appoggiati dai cattolici, e 6 sconfitte, mentre in 8 Collegi viene mantenuta l’astensione. Inoltre, sempre nello stesso anno, la UECI organizza a Napoli, nella prima decade di marzo, il III Congresso Nazionale degli Eletti dai Cattolici, con la partecipazione dei consiglieri comunali e provinciali cattolici e dei pochi deputati allora eletti, e organizza la Sezione III del XX Congresso Cattolico Italiano, tenutosi a Modena nella prima decade di novembre (cfr. A. GROSSI GONDA, op. cit., pp. 53-56).
‘(28) Nella relazione riguardante l’anno successivo, il 1911, Gentiloni denuncia l’incremento di 70 associazioni aderenti alla UECI, che così diventarono 177 sparse su tutto il territorio nazionale (cfr. A. GROSSI GONDA, op. cit., pp. 58-60).
(29) Statuto dell’UECI, art. 2, in La Civiltà Cattolica, anno 62, 1911, vol. 2, p. 231.
(30) Ibid., art. 3, b.
(31) Ibid., art. 3, c.
(32) Ibid., art. 3, h. Secondo PASQUALE BELLU, I cattolici alle urne, Edizioni Della Torre, Cagliari 1977, p. 138, con il nuovo statuto “venivano ridate al papa quelle facoltà che con Il fermo proposito erano state conferite ai vescovi […]. L’Unione veniva così ad avere un’unità di direzione che praticamente aveva già dall’elezione del Gentiloni, e anche una maggiore autorità nell’attuazione delle direttive […]. Non le si toglieva però l’ingerenza ecclesiastica, anzi questa era aumentata, perché la persona da cui si diceva provenisse non era più il vescovo ma il papa stesso“.
(33) G. CANDELORO, op. cit., p. 354.
(34) Ibidem. Secondo P. BELLU, I cattolici alle urne, op. cit., pp. 142-143, “i cattolici rappresentavano allora una forza consistente […]. Nel campo economico, per esempio, l’organizzazione creditizia cattolica si era sviluppata rapidamente rastrellando consistenti risparmi, soprattutto tra i ceti rurali […]. La loro azione era riuscita a penetrare anche in alcune categorie, come quelle tessili, della classe operaia, dominata dall’influenza socialista […]. L’azione cattolica si era sviluppata specialmente tra i contadini, i mezzadri, i piccoli affittuari, i piccoli proprietari ed i braccianti […]. Contemporaneamente molto importante era stata la penetrazione dei cattolici in quei settori nei quali l’organizzazione socialista non si era fatta sentire o, dopo un primo avvio, aveva registrato un arretramento, come nel settore delle donne, dove i cattolici organizzarono le lavoratrici delle industrie tessili, le addette all’abbigliamento degli ateliers di moda delle grandi città, le lavoratrici dell’ago e le lavoranti a domicilio, le domestiche legate alle attività assistenziali promosse dal clero […]; e nei settori impiegatizi pubblici e privati: commessi e impiegati delle ferrovie e delle poste. Altra influenza di capitale importanza fu quella esercitata tra i maestri, i quali svolgevano un’opera di grande mediazione tra larghi strati popolari“. È facile notare l’influenza e il peso politico ed elettorale che questo autentico “esercito” avrebbe potuto assumere qualora avesse avuto una classe dirigente unitaria e delle mete chiare e precise.
(35) Secondo A. Grossi Gonda (op. cit., pp. 63-64), era stato il presidente Gentiloni a stendere il documento ufficiale con il quale i cattolici decidevano di approfittare del suffragio universale e, così, di partecipare alle elezioni politiche generali; questo documento – che riporto integralmente sia per la risonanza che ebbe allora, sia perché testimonia la sensibilità dei cattolici del tempo nel distinguere e salvaguardare i principi immutabili della dottrina dalla opportunità di servirsi di strumenti indifferenti per raggiungere il doveroso fine della cristianizzazione della società – veniva firmato da tutti e cinque i presidente delle unioni cattoliche, come per sottolinearne l’importanza: “L’ordinamento odierno degli Stati offre a tutti indistintamente la facoltà di influire sopra la pubblica cosa: i cattolici quindi – salvi gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa – possono con sicura coscienza giovarsene per mostrarsi idonei al pari, ed anzi meglio degli altri, a cooperare al benessere materiale e civile del popolo. I diritti civili sono parecchi e di vario genere, sino a quello di partecipare direttamente alla vita politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative. – Questi sono i punti cardinali fissati dall’Oracolo Pontificio nella sua enciclica Il fermo proposito. – Alla stregua di questi, senza perderci in inutili dissertazioni sulla sovranità popolare che i cattolici non potrebbero mai ammettere nel senso proclamato ai nostri tempi dal liberalismo politico, perché ogni autorità promana da Dio e non è dal popolo ma per il popolo; cioè la sovranità non risiede essenzialmente ed inalienabilmente nel popolo; per conto nostro crediamo di aderir al suffragio allargato per più ragioni: – 1. Dato che nelle leggi vigenti vi siano categorie di elettori la cui capacità è determinata da una casistica puramente informata a criteri relativi e di opportunità non si vede il perché queste categorie non debbano essere allargate. – 2. Da che è obbligo di tutti i cattolici d’impedire il male e promuovere il bene, e che questo è stato il motivo efficiente delle deroghe pontificie, noi dobbiamo ritenere che il suffragio maggiormente allargato risponda meglio a questo concetto. – 3. Oltre a queste ragioni fondamentali – e sempre fermi i principii cattolici – noi possiamo associarci a tutte le altre considerazioni di ordine politico, giuridico, sociale per cui tutte le moderne tendenze del diritto pubblico costituzionale si orientano verso il suffragio universale. – 4. Considerazioni infine di opportunità consigliano noi cattolici ad associarci all’allargamento del suffragio, visto che con una propaganda assidua e perniciosa fatta dai nemici della religione sulle masse operaie queste sono poste in condizione – dato lo scarso grado di capacità richiesta – di premere con forze numerosissime sui risultati delle urne, mentre è rimasta priva del diritto elettorale la miglior parte del popolo che ancora ha viva la fede non inquinata da una imperfetta istruzione”. (In La Civiltà Cattolica, anno 63, 1912, vol. 2, pp. 356-357). Anche durante la discussione parlamentare, i pochi “deputati cattolici” di allora, Filippo Meda e Carlo Ottavio Medici Cornaggia, parleranno a favore del progetto di legge, proponendo anche l’adozione del sistema proporzionale, che avrebbe favorito i cattolici, privi di grandi personalità politiche, ma che potevano contare su una base elettorale organizzata e disciplinata (cfr. Atti Parlamentari, Camera, discussione, p. 19204, tornata del 9 maggio 1912, cit. in G. CANDELORO, op. cit., p. 352).
(36) A. GROSSI GONDA, op. cit., p. 66.
(37) Ibid., p. 67.
(38) L’Osservatore romano, 6-11-1913, cit. in G. CANDELORO, op. cit., p. 362. Secondo il Compendio delle statistiche elettorali politiche, vol. II, pp. 118-119, 126-127 e 130-131, cit. ibid., pp. 359-360, vi sono nel 1913, 48 candidati “cattolici” e 16 “conservatori cattolici”; dei primi ne vengono eletti 20 e dei secondi 9. I voti riportati complessivamente da questi candidati saranno rispettivamente 212.319 e 89.630 (ibid., p. 260). I cattolici, quindi, non presentano moltissime candidature proprie; ma sono determinanti per l’elezione di molti candidati ministeriali, i quali, oltretutto, proprio in seguito al Patto Gentiloni, perdono l’appoggio di molti ambienti laicisti a oltranza, ostili a Giolitti, i quali come il Corriere della Sera, avevano sostenuto che: “Ormai non occorre aver più un intuito politico troppo fine per avvertire il pericolo immenso di questo intervento diretto di un conte Gentiloni in nome del Papa nelle più delicate elezioni della penisola” (Corriere della Sera, 25-10-1913, cit. anche in LUIGI ALBERTINI, Venti anni di vita politica, vol. II, Bologna 1951, pp. 10-11).
(39) L’Osservatore Romano, 6-11-1913, in G. CANDELORO, op. cit., p. 362.
(40) Giornale dItalia, 8-11-1913, in G. CANDELORO, op. cit., p. 363.
(41) Così si esprime il deputato socialista di San Remo, Orazio Raimondi, “Il pericolo della questione romana non incombe, ma un altro pericolo è nell’avvenire. Che cosa sarà del Paese quando questi araldi del verbo clericale, che oggi si sono mescolati ai liberali sbiadendo il loro colore, si ricorderanno delle loro origini? Essi, i clericali, chiederanno il compenso delle loro alleanze” (G. CANDELORO, op. cit., p. 366).
(42) È a seguito della intervista che scoppia, più rabbiosa che mai, l’ira del Corriere della Sera, che così la commenta: “Tutto il discorso del conte Gentiloni dice una cosa: che egli è il padrone d’Italia, colui che atterra e suscita, che affanna e che consola. I liberali italiani sono avvertiti: o obbedire, o perire! Dove il Governo è ricorso all’aiuto suo, le cose sono andate bene; dove il Governo ha combattuto i suoi fidi, il Governo è stato sconfitto. Giolitti stesso è un pigmeo, il gigante è il conte Gentiloni” (G. CANDELORO, op. cit., p. 364).
(43) “Che il suffragio dei cattolici valga qualche cosa egli disse – si può desumere con argomenti positivi e con argomenti negativi: a Firenze città, dove l’Unione elettorale cattolica ha proclamato l’astensione assoluta, tutte le fatiche del governo per salvare i liberali non hanno giovato a nulla. Era naturale! L’egregio senatore Mazzoni disse che i liberali avevano in uggia l’odore degli smoccolatoi; noi non li abbiamo voluti disturbare e i liberali fiorentini sono stati serviti” (G. CANDELORO, op. cit., p. 363).
(44) A. GROSSI GONDA, op. cit., pp. 67-68. Nello stesso senso si esprime Giuseppe Sacchetti: “Se lo figgano bene in mente i liberali, in questo momento tipico la Chiesa li soccorre senza chieder nulla, ma essi non si salveranno se non concederanno o restituiranno alla Chiesa ciò che la giustizia esige […]. Il fascio non è possibile senza l’omogeneità: non si legano insieme l’acqua e il fuoco, o l’aria e il ferro. Per parlar chiaro, finché il liberalismo non rinunci agli errori, che lo rendono incompatibile col cattolicismo, non isperi di affrontare vittoriosamente le orde furibonde e brutali del socialismo” (articolo in Unità Cattolica, in GABRIELE DE ROSA, Giuseppe Sacchetti e la pietà veneta, Editrice Studium, Roma 1968, pp. 165-166).
(45) A. GROSSI GONDA, op. cit., p. 73.
(46) Romolo Murri fu una “vittima” della partecipazione dei cattolici alle elezioni del 1913: presentatosi come candidato radicale nel collegio di Montegiorgio, viene battuto nel ballottaggio dal moderato ministeriale, il conte Falconi, che era sostenuto in modo massiccio dai cattolici (Cfr. G. CANDELORO, op. cit., p. 363).
(47) PIETRO SCOPPOLA, Dal neoguelfismo alla democrazia cristiana, op. cit., pp. 109-110.
(48) GIUSEPPE DE ROSA, Luigi Sturzo, UTET, Torino 1977, pp. 173-174. Sui dissensi tra Gentiloni e Sturzo durante la campagna elettorale del 1913 cfr. ibid., p. 169: “Nel più bello del suo lavoro piombò in Sicilia il conte Gentiloni che in una riunione a Palermo del consiglio dell’Unione regionale buttò a mare il lavoro di Sturzo, affidando a Giglio Tramonte, al barone Petix e al conte Maurigi e ai delegati dei vescovi il compito di dirigere la campagna elettorale“.
(49) SAN PIO X, Enciclica Il fermo proposito, cit., p. 224.
(50) Ibid., p. 229.
(51) Si tratta di un breve scritto, in calce a una fotografia del Papa e da lui personalmente firmato, riprodotto in A. GROSSI GONDA, op. cit., pp. 72-73.
(52) GIOVANNI CANTONI, La “lezione italiana”, Cristianità, Piacenza 1980, p. 47. Cfr. anche G. DE ROSA, op. cit., p. 173: “Questo partito, secondo Sturzo, non doveva sorgere dall’interno dell’azione cattolica, non doveva essere emanazione dell’Unione elettorale o di altri organismi confessionali. In più, non doveva porsi come fine di realizzare l’unità politica fallita una volta con Leone XIII e ripresa, nelle forme deludenti del Patto Gentiloni“.
(53) Su questo aspetto della Rivoluzione cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 70-71, 79-80 e 145-150.
(54) Cosi si esprimerà, sul Patto Gentiloni, GAETANO SALVEMINI: “L’Italia sembrò avviarsi verso la formazione di una maggioranza parlamentare conservatrice clerico-liberale, nella quale il nucleo dei clericali puri tendeva ad ingrossarsi continuamente a spese dei liberali” (Il partito popolare e la questione romana, Firenze 1922, p. 28). Cfr. anche G. CANDELORO, op. cit., p. 368: “Per questa ragione l’allarme allora destato dal Patto Gentiloni, non solo fra i socialisti e i radicali, ma anche in una parte dei liberali stessi, appare sostanzialmente giustificato […]”.
(55) A. GROSSI GONDA, op. cit., pp. 42-43.
(56) Come invece sostiene G. CANDELORO, op. cit., p. 369.
(57) “Si potrebbe immaginare, e senza eccessive difficoltà, una riedizione dell’Opera dei Congressi, questa volta non paralizzata dal non expedit e, quindi, anche con una sezione elettorale; perciò, o tale da produrre direttamente e periodicamente comitati o leghe elettorali senza, cioè, dare luogo alla continua vita di partito e di fazione, di suo corruttrice -, oppure messa in grado di svolgere una funzione di sindacato su chi pretende o si candida alla rappresentanza politica del mondo cattolico, e di corrispondente indirizzo dellelettorato cattolico” (G. CANTONI, op. cit., p. 16, nota 20).
(58) È la strada indicata da san Pio X nella enciclica Il fermo proposito: “E si dovrà pure lasciare loro una certa libertà di organizzazione, non essendo possibile, che dove più persone convergono insieme, si modellino tutte sul medesimo stampo o si accentrino sotto un’unica direzione. L’organizzazione poi deve sorgere spontanea dalle opere stesse, altrimenti si avranno edifici bene architettati, ma privi di fondamento reale e però al tutto effimeri. Conviene pure tener conto delle singole popolazioni. Altri usi, altre tendenze si manifestano in luoghi diversi. Quel che importa è che si lavori su buon fondamento, con solidezza di principi, con fervore e costanza, e se questa si ottiene, il modo e la forma che prendono le varie opere sono e rimangono accidentali” (cit., pp. 225-226).
(59) G. DE ROSA, op. cit., p. 186.
(60) Il cardinale Gasparri, nonostante fosse stato fatto cardinale da san Pio X, testimoniò contro Papa Sarto al processo di beatificazione, rimproverandogli la soppressione di alcune feste religiose, la parte avuta dal Pontefice nel Sodalitium Pianum – l’associazione ecclesiastica antimodernista, che operò durante il pontificato di san Pio X -, e l’atteggiamento intollerante mantenuto verso la laicista terza repubblica francese (cfr. Il cardinale Gasparri e la questione romana, a cura di Giovanni Spadolini, Le Monnier, Firenze 1972, pp. 7-8). Oltre a questo fatto, è rilevante notare, al fine di comprendere il cambiamento della politica vaticana dopo la morte di san Pio X, l’importante opera di mediazione svolta dal cardinale Gasparri perché il Vaticano accordasse a don Sturzo il permesso di fondare il Partito Popolare (cfr. P. SCOPPOLA, La Chiesa e il Fascismo. Documenti e interpretazioni, Laterza, Bari 1976, pp. 22-24; CARLO SFORZA, LItalia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Milano 1946, p. 77, integrato con le precisazioni personali di don Sturzo in G. DE ROSA, Il partito popolare italiano, Laterza, Bari 1974, p. 12, nota 8).
(61) Giovanni Grosoli era nato a Carpi nel 1859 e apparteneva a una ricca famiglia di origine ebraica; suo padre si chiamava originariamente Forlì e il nuovo cognome, secondo una usanza diffusa allora tra gli ebrei che si convertivano al cattolicesimo, gli veniva dal padrino che lo aveva tenuto a battesimo. Era diventato presidente dell’Opera dei Congressi nel 1902 e “la nomina del Grosoli fu ben accolta dai democratici cristiani” (G. CANDELORO, op. cit., p. 299).
(62) G. DE ROSA, op. cit., pp. 187-188.
(63) La Civiltà Cattolica, anno 70, 1919, vol. I, p. 332.