Erik von Kuehnelt-Leddihn, Cristianità n. 324 (2004)
Scita et Scienda: the Dwarfing of Modern Man, in © imprimis, vol. 3, n. 10, Hillsdale (Michigan) ottobre 1974, pp. 1-6. Traduzione, aggiunte fra parentesi quadre e note — eccetto la nota 9 — redazionali, nel tentativo — non sempre riuscito — di ricostruire i riferimenti.
Alcuni anni fa un mio amico, professore di zoologia in un’università americana, ha invitato vari suoi colleghi a una piccola festa in mio onore. Ero curioso di conoscere il loro atteggiamento nei confronti di Pierre Teilhard de Chardin [S.J., (1881-1955)], ma, quando ho sollevato quel problema, ho ricevuto soltanto sguardi vuoti. Ho scandito il nome: ancora nessuna reazione. “Beh — ho detto infine — Teilhard era, dopo tutto, principalmente un paleontologo e i suoi lavori potrebbero non essere di vostro diretto interesse, ma certamente conoscete quelli di Pierre Lecomte du Nouy [1883-1947], un biologo. Come Teilhard, inoltre, è morto in questo paese e i suoi libri sono stati tradotti in inglese”. E tutto il colto gruppo ha scosso ancora la testa. Ho lasciato cadere. Ora, non voglio essere frainteso. Non vi era niente di specificamente americano in questa conversazione; lo stesso potrebbe essere accaduto, al giorno d’oggi, esattamente quasi ovunque nel mondo.
Quando tutti gli ospiti se ne furono andati, il mio amico ha dato una spiegazione. “Devi sapere — disse — che questi professori non sono in grado non soltanto di coordinare la zoologia con le discipline affini — la paleontologia o la biologia, per esempio, per non parlare della filosofia — ma nessuno ha mai acquisito nemmeno una conoscenza completa della zoologia nella sua globalità. Come i chirurghi durante un intervento denudano soltanto una parte minuscola del corpo del paziente, e lavorano nel loro piccolo ambito di specializzazione scientifica, e tranne la loro ricerca specializzata, certamente molto completa, niente realmente li interessa. Guardano i giochi con il pallone e la TV, leggono i racconti polizieschi, praticano golf e canasta, ma questo è tutto. L’erudizione richiede uno sforzo enorme e, anche se sarebbe d’interesse intellettuale, non ha per nulla un valore pratico, men che meno uno economico”.
Questo genere di specializzazione si ritrova ovunque nel mondo moderno e uno dei suoi risultati immediati è l’estinzione del polyhistor, dell’erudito enciclopedico. Uomini come William Graham Sumner [1840-1910] o, più di recente, Röpke [Wilhelm (1899-1966)] e Rüstow [Alexander (1855-1963)], due economisti che erano ferrati anche in storia, in sociologia, in filosofia, in teologia, in geografia, in politica e nelle belle arti, stanno diventando sempre più rari. Infatti, in molti campi di studio e di ricerca — è così specialmente nelle scienze naturali — i nomi grandi non compariranno quasi più, poiché le più grandi mansioni possono essere compiute soltanto dai gruppi e dalle squadre. I premi e gli onori allora sono riconosciuti a un individuo soltanto come una specie di primus inter pares. Vi sono ancora scopritori, ma troppo pochi inventori. Il computer assume gradualmente la direzione di ampi settori dell’apprendimento, anche se non degli studi umanistici, perché non può generare una nuova filosofia con un nuovo vocabolario, e così via. Potrebbe sostituire gli assistenti tecnici e i chimici, ma non Kierkegaard [Søren (1813-1855)], san Giovanni della Croce [1542-1591] o Rouault [Georges (1871-1958)]. Così la tecnologia, abbastanza paradossalmente, ha ristabilito una determinata gerarchia della conoscenza, del pensiero e del lavoro creativo.
La specializzazione, comunque, ha pure altri effetti. Mentre concentra la conoscenza dell’uomo all’interno di zone limitate, produce in altre un aumento dell’ignoranza. E questa ignoranza si sta sviluppando sia in senso assoluto che in senso relativo. Un teologo-filosofo-scienziato del calibro di sant’Alberto Magno [1193 ca.-1280] è oggi abbastanza inconcepibile. Restringendo nel senso della larghezza, pur guadagnando nel senso della profondità, le zone di conoscenza specializzata sono circondate da terreni incolti, senza aratura, costituiti da campi di ricerca trascurati e abbandonati. Questa relativa ignoranza aumenta inevitabilmente e abbastanza indipendentemente rispetto alla sventura della specializzazione, semplicemente a causa dell’accumulazione di conoscenza “registrata”, di cui la mente singola non può più tenere il passo. Ciò non si applica affatto soltanto alle scienze naturali; si presenta pure negli studi umanistici. Nel campo teoretico qualcuno potrebbe sviluppare una nuova filosofia originale senza svolgere studi filosofici vasti o intensi. Lo storico, d’altra parte, deve occuparsi del volume costantemente crescente di conoscenza immagazzinata, “schedata”. Il tema si sviluppa sempre più. Si devono chiamare “storici” uomini come A[lan]. J[ohn]. P[ercivale]. Taylor [1906-1990], con un titolo onorifico precedentemente concesso agli eruditi del calibro di Macaulay [Thomas Babington (1800-1859)] o di Trevelyan [George Macaulay (1876-1962)]? Tuttavia, questo declino è non soltanto, né pricipalmente, dovuto alla meschinità, alla pigrizia, alla ristrettezza di vedute, alla superficialità o alla mancanza di un punto di vista universale, ma è semplicemente il risultato dell’incapacità “pratica” e scusabile di acquisire padronanza del Gaurisankar (1) di conoscenza classificata e codificata. Così oggi la specializzazione sembra — giustificatamente? ingiustificatamente? — “realistica” — la grande arte della limitazione! —, laddove una prospettiva universalista purtroppo sembra essere dilettantesca. L’alternativa sembra sia fra la “limitazione seria” e il “dilettantismo irresponsabile senza limiti”. La “ricerca” oggi implica la stretta specializzazione.
Per afferrare le proporzioni fatali della nostra relativa ignoranza dobbiamo prendere in considerazione un altro aspetto: il “restringimento” costante del nostro mondo rispetto alle distanze soggettive. In passato bastava più o meno conoscere che cosa succedeva nel proprio paese e in alcuni fra i contigui. Prima della prima guerra mondiale [1914-1918] molti professori francesi rifiutavano semplicemente di accettare riferimenti da fonti straniere nelle dissertazioni dottorali dei loro allievi. Le citazioni dai “barbari” non erano ammesse. Una “persona istruita” — in contrapposizione allo studioso — è stata giudicata e valutata in base a questo punto di vista piuttosto provinciale. Ma in un’età in cui un jet impiega meno di 24 ore per fare il giro del mondo e le notizie quotidiane contengono almeno altrettante informazioni d’oltremare quante quelle dalla “casa di fronte”, la prospettiva dello studioso è necessariamente orientata verso altri continenti. La biblioteca americana, il laboratorio canadese, il centro di ricerca australiano, il periodico giapponese o russo tradotto male, o non tradotto per niente: egli non può ignorare neanche questi. Nei campi della politica e dell’economia, per citare alcuni esempi particolarmente evidenti, questo processo di restringimento geografico rende necessari sforzi ancora più grandi e più costosi in termini di tempo e di denaro. Spesso possiamo solo dare una scorsa a un argomento che necessita di essere studiato completamente. L’abbondanza di materiale all’interno dei vari ambiti di apprendimento conduce o, piuttosto, fuorvia l’uomo moderno verso un eleaticismo, un atteggiamento semplicistico inerme, e questo nell’età stessa in cui la specializzazione e la conoscenza “completa” sono carte vincenti.
Così siamo di fronte a un dilemma insolubile. I tentativi disperati da parte della medicina moderna di non perdersi nel dettaglio ma di vedere il paziente come essere da guarire, di curare l’uomo nell’insieme, incontra difficoltà gravi dovute alla mancanza di conoscenza realmente completa. Qui particolarmente l’abisso fra gli scita e gli scienda, fra che cosa — generalmente — è conosciuto e che cosa dovrebbe essere conosciuto, si allarga di anno in anno. Il risultato? Da una parte, perché è diventata non digeribile, la conoscenza registrata è inevitabilmente sempre più trascurata e sostituita dall’intuizione pura. Uno deve indovinare ogni volta quanto è diventato impossibile conoscere e, pertanto, pensare razionalmente: nella medicina l’esperto in diagnosi fa spesso solo quello. D’altra parte, l’autoritarismo si sviluppa smisuratamente. Un profano, anche completamente istruito, può soltanto ascoltare con timore reverenziale le elaborazioni dell’esperto, come ascoltiamo rispettosamente il verdetto dell’orologiaio circa il nostro orologio rotto e paghiamo con brontolii e riluttanza qualunque cifra chieda. Sono passati i tempi in cui una persona istruita poteva formarsi un’opinione su tutti gli oggetti che lo riguardavano o che erano necessari per il suo lavoro. La conoscenza specializzata può ancora dare forza e libertà in determinati casi; così un otorinolaringoiatra che soffre di ulcera può ancora giudicare la terapia proposta da un chirurgo perché, dopo tutto, anche lui ha studiato medicina. Ma, da un punto di vista generale, l’aumento di conoscenza accumulata e registrata ha inoltre aumentato la nostra dipendenza in tanti ambiti. La nostra sicurezza si sta indebolendo costantemente. Ci troviamo diverse volte ad affrontare un esperto che precisa la sanzione che subiamo se non seguiamo i suoi — a noi per la maggior parte incomprensibili — ordini. Un vero e proprio nuovo fideismo umiliante sta crescendo all’ombra stessa della razionalità e dello scientismo.
Il risultato è la riduzione dell’uomo a uno schiavo nano. L’orologiaio che ha appena pronunciato un verdetto senza appello sulla sveglia del cliente trema prima della diagnosi del suo oftalmologo o urologo che prescrivono ancora “sulla fiducia” medicamenti inventati da una squadra di biochimici. Esistono intere catene di “autorità” che, grazie al loro specifico monopolio di determinati frammenti all’interno del gigantesco complesso di conoscenza accumulata, esercitano un potere molto definito in determinate aree. Questa conoscenza è divenuta esoterica non soltanto a causa di una vagliatura artificiale, ma anche a causa del suo colossale volume. All’individuo esso è disponibile soltanto in parte e con grande sforzo. Il tempo richiesto per ottenere un titolo universitario sta diventando sempre più lungo: l’ingegnere meccanico medio in Europa è oggi almeno ventiseienne, il medico che esercita la professione negli Stati Uniti ha ventotto anni. Anche la conoscenza della scuola risente di questo sviluppo. Cento o centocinquant’anni fa un ragazzo lasciava la scuola — lycée, Gymnasium — con un bagaglio sufficiente di “conoscenza generale”. Oggi è riuscito ad afferrare soltanto un miserabile frammento degli scienda, le cose che egli ha realmente necessità di sapere per essere considerato un “uomo istruito”. Chi nel passato aveva compreso il principio di funzionamento del motore a vapore o del motore elettrico, oggi deve afferrare i principi del reattore atomico o del computer. Ma lo fa? La matematica, la filosofia, la storia e la letteratura ingrandiscono inoltre costantemente la quantità di conoscenza accumulata. L’homo discens, l’uomo che impara, è trasformato in nano da un immenso, per non dire mostruoso, materiale.
Soltanto l’artista, l’uomo che dà forma alle idee e alle sensazioni, esce da questo processo. Uno può tenere concerti di piano all’età di dodici anni, poetare quando ne ha diciotto e dipingere non molto dopo. Ciò è possibile. Ma è interessante vedere che oggi anche l’arte è divenuta altamente esoterica e conforme all’“odi profanum vulgus” (2) di Orazio [Quinto Flacco (65-8 a.C.)]. L’arte del Medioevo, del periodo barocco, anche del Rinascimento era in qualche modo accessibile all’uomo comune. Ma come la maggior parte dei tedeschi contemporanei reagisce ai dipinti di Marc [Franz (1880-1916)], di Klee [Paul (1879-1940)], di Kandinsky [Wassily (1866-1944)] o di Feininger [Lyonel (1871-1956)]? E l’americano comune, che riesce appena a comprendere Melville [Herman (1819-1991)], che relazione ha con Robert Lowell [1917-1977] o Karl Shapiro [1913-2000]? Il nazional-socialismo, che dev’essere considerato come una ribellione di “sinistra” delle masse, delle “persone normali” contro tutte le specie di élite, si rivoltò anche contro il carattere esoterico della cosiddetta “arte degenerata”, la quale ha provocato in menti piccole un complesso d’inferiorità o le ha riempite d’invidia rodente nei confronti dei “soldi guadagnati facilmente” dei “clown infantili del pennello”.
Ora, vi sono due ambiti che, in teoria, dovrebbero essere esoterici data la loro grande complessità, mentre in pratica sono ancora i terreni di caccia più spensierati del profano: religione e politica. Tuttavia, la situazione è in ciascun caso differente perché la religione non ha solo aspetti intellettuali, ma anche spirituali e psicologici. L’elemento puramente personale che domina nella religione — come nell’amore, se intendiamo l’Eros o l’amicizia — non può essere razionalizzato o ridotto a formule matematiche. Tutti noi siamo portati all’esistenza religiosa, ma non all’arte del calzolaio, alla cucina, alle corse automobilistiche o al giornalismo. Senza un’istruzione particolare possiamo avere legittimamente determinate opinioni riguardo alla religione in generale, ma non a un livello sistematizzato, teologico. Possiamo protestare per i dolori provocati da una malattia seria, possiamo esprimere la nostra disperazione o la nostra impazienza verso i risultati della cura, ma questo non ci dà il diritto di produrre un’analisi scientifica del nostro disturbo. La maggior parte degli oncologi non ha sofferto mai di cancro, pochi otorini di sordità. E la Comunione quotidiana non permette a una persona di pontificare sul mistero dell’Eucaristia. In pratica, tuttavia, la situazione è abbastanza diversa e, abbastanza stranamente, la teologia si è trasformata in uno svago intellettuale per chiunque. La tendenza vi è sempre stata, ma ora l’intraprendente dilettante della religione si butta intrepidamente nella teologia. Scienziati atomici al giorno d’oggi saranno soddisfatti di rilasciare interviste su problemi teologici, zoologi terranno conferenze circa la divinità di Cristo, e in televisione troviamo medici e biologi che dogmatizzano sull’Immacolata Concezione, che mescolano il più delle volte invariabilmente con la nascita verginale di Cristo. L’ignoranza non è un ostacolo per nessuno. D’altra parte, un teologo non tenterebbe mai di parlare di fissione nucleare, di fattori ereditari o dell’origine delle malattie tiroidee. Egli sa fin troppo bene — o, almeno, fino a poco tempo fa sapeva — che in questo caso gli scita e gli scienda sono troppo lontani fra loro. L’intrusione di teologi nei campi della sociologia, della politica e dell’economia, con pochissima preparazione, è un fenomeno molto moderno.
La teologia, effettivamente, è un’“ultima frontiera” (3), come D[avid]. Riesman [1909-2002] concepisce questo termine, ma identico è il caso della politica. L’uomo è senza dubbio un animal religiosum, ma se sia anche un politikòn zòon — e non soltanto un animal sociale — è discutibile — nonostante Aristotele [384-322 a.C.] (4). Egli reagisce naturalmente di fronte agli eventi e alle decisioni politiche e non è indifferente alle misure amministrative. Ma se sia portato per natura a essere politicamente attivo a livello nazionale non è inequivocabilmente assodato. D’altra parte è evidente che i sistemi politici del nostro tempo, sia nel caso siano onestamente motivati dalle convinzioni ideologiche, sia nel caso siano ipocritamente per il “controllo” propagandistico, invitano o forzano tutti i cittadini adulti ad andare alle urne. Così uno non può evitare le elezioni neppure in una dittatura totalitaria. In quel caso, naturalmente, soltanto l’elettore più ingenuo può coltivare l’illusione che sia stato seriamente chiesto il suo parere.
Le cose sono diverse nel mondo ancora libero perché qui un certo cumulo di voti ha solitamente un effetto decisivo sul processo politico. L’elettore è invitato a considerare e a giudicare le domande importanti e a formarsi un’opinione circa questioni sottili votando pro o contro i fautori dei punti di vista specifici. È costretto a prendere posizione, a unirsi a questo o a quel partito, a esprimere preferenza per uno o per l’altro. Questo è detto troppo facilmente e spesso anche troppo facilmente fatto.
Questa procedura aveva senso nel passato e lo è ancora in aree strettamente circoscritte. La storia della democrazia in Atene ha indicato che là il livello di formazione generale era forse, in un certo senso, sufficiente per l’autogoverno, ma che le passioni sollevate dai demagogi — soprattutto l’invidia! — hanno avuto effetti disastrosi. Socrate [469-399 a.C.] — come sappiamo dalle fonti contemporanee — è stato condannato a morte dai democratici perché ridicolizzava il loro sistema di governo e per le sue vedute monarchiche. Platone [427-347 a.C.], il suo discepolo, disprezzava la democrazia e Aristotele fuggì da Atene per evitare la coppa di cicuta. D’altra parte, la democrazia diretta viene praticata anche oggi con successo e grande effetto in certi cantoni svizzeri. Così i cittadini si radunano nella piazza del mercato di Glarona per votare le varie proposte. In questo contesto limitato gli scita e gli scienda sono ancora molto vicini. I problemi riguardanti il cantone possono essere afferrati da quasi tutti. Ma questo è un caso eccezionale nell’epoca attuale.
Abbiamo i dati di numerosi sondaggi in una grande varietà di paesi, che dimostrano che la vasta maggioranza della popolazione è assolutamente estranea ai grandi problemi che oggi affrontano i loro paesi. Le loro risposte ai questionari che verificano la loro conoscenza degli affari correnti sarebbero spesso molto divertenti, se le implicazioni non fossero così tragiche. Tuttavia, dev’essere tenuto a mente che la politica di un paese più grande — in confronto a un villaggio o a una piccola provincia —, per non parlare dei problemi globali che direttamente interessano i cittadini di grandi nazioni, non possono essere afferrati senza una completa preparazione. Ciò, a sua volta, presuppone studi che consumano anni e denaro, ben oltre i mezzi dell’elettore medio. È anche vero che nel subcosciente molte persone cominciano ad avere il sospetto di sapere meno di quanto dovrebbero e, in più, a volte hanno la scoraggiante sensazione che il loro voto sia una goccia in un oceano. I loro voti, come Aristotele molto tempo fa ha affermato, sono contati e non sono pesati (5). Il voto del giovane playboy o della prostituta ha lo stesso effetto di quello di uno studioso o di un anziano statista. Questa presa di coscienza interessa ancora raramente la gente nelle democrazie più recenti, ma molto più nei paesi in cui il voto è costume da secoli: negli Stati Uniti e in Svizzera, per esempio, dove ora soltanto il 68-75 per cento degli elettori aventi diritto va alle urne. In Austria e in Germania è superiore al 90 per cento e nelle tirannie totalitarie è quasi il 100 per cento.
La situazione non è poi così tanto diversa ove siano votate le persone piuttosto che i partiti. Se il compito dell’elettore che si trova di fronte ai partiti sovraccarica la sua preparazione intellettuale, egli è umanamente inerme quando deve fare delle scelte fra singoli candidati. La richiesta di una sua esperienza psicologica — se non psichiatrica — è ancora più grande. Nell’età della TV e della radiodiffusione un candidato fotogenico presenta un vantaggio enorme su di un candidato poco attraente, l’oratore brillante su di un pensatore poco spigliato sebbene altamente istruito ed esperto. Un Hitler-tipo eccita indubbiamente le masse molto più di una personalità come Heinrich Brüning [1885-1970]. Qui vediamo gli effetti mortali di ciò che Ernst Jünger [1895-1998] una volta ha chiamato “l’Eros fugace”. E da quando compaiono in televisione anche le mogli dei candidati, gli elettori maschi possono essere attratti emotivamente. Qui, ancora, gli scita e gli scienda divergono ampiamente perché l’intrinseca superficialià dei mass media evita tutto quanto è profondo. “Per provare giustificatamente antipatia devi conoscerlo in modo realmente corretto”, disse una volta un repubblicano disilluso riguardo a un candidato presidenziale il cui handicap principale era la sua bassa statura.
La discrepanza fra gli scita e gli scienda si presenta non solo fra gli elettori ma anche fra coloro che governano. Nel passato i governanti e gli amministratori erano soliti provenire da quegli strati sociali che avevano la tendenza ad addestrare fin dall’infanzia i loro figli maschi per le più alte forme di amministrazione civile. I promotori del regime monarchico potrebbero precisare che ai monarchi futuri veniva data una formazione molto speciale che cominciava nella loro infanzia e questa, insieme alla guida iniziale dei loro predecessori — spesso il padre o un parente prossimo — li metteva in grado di assumere i propri doveri abbastanza ben preparati. In più, un monarca potrebbe imparare per esperienza nel corso di molti anni, mentre nelle repubbliche moderne un capo di governo è sospettato sempre di voler monopolizzare tutto il potere e quando, infine, trova il suo equilibrio e acquisisce l’esperienza necessaria, viene allontanato come un servo insolente ed è sostituito da un altro dilettante che deve cominciare da zero. Naturalmente, il sistema monarchico non ha concesso uno speciale riguardo al talento, ma non è l’esperto poco dotato preferibile al dilettante in erba? Chi vi farà un cappotto migliore: un sarto mediocre o un luminare endocrinologo? La storia dell’Europa, con il suo sviluppo costante dall’800 al 1918 e discesa cataclismatica da quel momento in poi, ci dà senza pietà la giusta risposta.
Similmente lo statista è sostituito sempre più frequentemente dal politico. Il Congresso di Vienna [1814-1815] ha generato un sistema per l’Europa che, nonostante determinate mancanze ed equivoci — come la ripetuta partizione della Polonia —, ha tenuto lontana un’altra grande guerra per 99 anni. A questo proposito ci si dovrebbe anche ricordare dei Trattati di pace di Parigi del 1919-1920 dove il rancore, la meschinità e l’ignoranza pura hanno celebrato autentiche orge. Al Congresso di Vienna, a Talleyrand [-Périgord, Charles-Maurice principe di (1754-1838)], il rappresentante di una nazione sconfitta, è stato permesso di svolgere una parte importante e altamente costruttiva, mentre nel 1919 i rappresentanti tedeschi sono stati umiliati e quelli austriaci sono stati trattati alla stregua di odiosi criminali. I delegati ungheresi, turchi e bulgari, naturalmente, hanno ricevuto un trattamento simile.
Ciò che interessa qui in primo luogo, tuttavia, non è l’aspetto puramente politico o morale di questi fatali congressi, ma il problema degli scita e degli scienda. Ai tempi del congresso di Vienna al fattore economico non era ancora riconosciuta generalmente una grande importanza; le considerazioni geopolitiche erano rare; la psicologia delle nazioni non era studiata, poiché le masse, la plebs, solo a tratti, erano diventate politicamente attive. Tutte le nazioni rappresentate al Congresso di Vienna hanno avuto più o meno soltanto un nemico ideologico comune: la Révolution, La Rivoluzione, cioè la democrazia nazionalistica. Questo solo ha unito tutti loro in un unico fronte nella misura in cui la Weltanschauung era coinvolta. Per gli statisti al Congresso di Vienna bastava conoscere la storia, la geografia, la genealogia delle famiglie reali, il diritto internazionale e un’infarinatura di scienza militare. In più, uno doveva potersi muovere abilmente sul parquet scivoloso dei grandi salons e parlare bene il francese — la lingua del “nemico” —, dato che il solo pensiero di condurre discussioni importanti e confidenziali con l’aiuto d’interpreti sarebbe sembrato a tutti ridicolo, e pericolosamente inadeguato.
Per un politico di livello internazionale oggi la conoscenza di un Metternich [-Winneburg, Klemens Wenzel Lothar principe di (1773-1859)], di un Talleyrand, di un Castlereah [Robert Stewart, visconte (1769-1822)] o di un Hardenberg [Karl August principe di (1750-1822)] sarebbe assolutamente insufficiente. Oltre che la competenza ben informata degli statisti di centocinquant’anni fa, egli dev’essere esperto in economia, finanza, agricoltura, estrazione mineraria, affari religiosi, fissione nucleare, leggi elettorali, psicologia delle nazioni, politiche di partito e la conoscenza del passato dei suoi colleghi stranieri: un volume d’informazioni veramente enciclopedico. A tutto questo si aggiunge una varietà infinita di problemi dovuti al rimpicciolimento del mondo! Un ambasciatore recentemente accreditato a Washington ora deve invitare oltre centoventi capi delle missioni straniere. E non soltanto il numero di paesi politicamente attivi è aumentato, ma anche quello delle organizzazioni internazionali è cresciuto rapidamente. Vi sono Croce Rossa, ONU [Organizzazione delle Nazioni Unite], UNICEF [Fondo Internazionale di Emergenza delle Nazioni Unite per l’Infanzia], UNESCO [Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura], UNIDO [Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale], Banca Mondiale, ILO [Organizzazione Internazionale del Lavoro], FAO [Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura], NATO [Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico], GATT [Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio], Mercato Comune Europeo, EURATOM [Comunità Europea dell’Energia Atomica], COMECON [Consiglio di Mutua Assistenza Economica], Patto di Varsavia, OAS [Organizzazione degli Stati Americani], Consiglio Mondiale delle Chiese, Consiglio d’Europa, patti di CENTO [Organizzazione del Trattato Centrale] e di SEATO [Organizzazione del Trattato per l’Asia Sud-Orientale]. Il mondo si è immensamente complicato e, per quanto riguarda la politica, tutte le informazioni e le conoscenze del governo devono, in un modo o nell’altro, essere integrate. Il ministro della Difesa deve conoscere la fissione nucleare, il ministro degli Affari Esteri i diritti di pesca, il ministro del Commercio l’estrazione dell’oro in lontani continenti, e così via.
Eppure, lo studio specifico dei nostri attuali ministri di gabinetto e dei presidenti non è più grande — anche se è disperatamente necessario che sia così — di quello degli statisti alla fine delle guerre napoleoniche: è, infatti, spesso notevolmente inferiore. E non si suggerisca che i politici moderni, che sono stati sollevati agli uffici più alti tramite elezioni o procedura parlamentare, possono semplicemente contare sul parere degli esperti. Si sono dovuti considerare seriamente gli effetti di tali consigli sull’umore dell’elettorato, così come gli effetti sui soci della coalizione, se ve ne sono. Ma ammettiamo, nell’interesse della discussione, che un dato politico, pieno di senso di genuina responsabilità morale, sia pronto a seguire la sua conoscenza migliore senza riguardo all’opinione pubblica, forse persino pronto ad accettare l’impopolarità e a ritirarsi a vita privata dopo le successive elezioni. Se realmente desidera ascoltare gli esperti, che cosa fa se gli esperti non sono d’accordo? Ciò accade di frequente. Come ottiene egli il discernimento per poter coordinare gli specialisti che si contraddicono fra loro, per separare il frumento dalla paglia? Anche gli esperti a volte sono sopraffatti dal materiale immenso che si trovano di fronte. Come può il politico far fronte ai dati in conflitto che gli vengono offerti dai vari esperti?
Nel caso delle conferenze e dei trattati di pace uno deve aggiungere le passioni destate dalla guerra (e dalla propaganda di guerra), che rendono le decisioni equilibrate quasi impossibili. Si ricordi lo slogan “Impicca il Kaiser!” di un demagogo quale Lloyd George [David (1863-1945)], che più tardi divenne un ammiratore senza limiti di Hitler [Adolf (1889-1945)]. Con il suo slogan ha vinto le “elezioni cachi” (6) nel 1918. La sua ignoranza dei fatti storici e geografici era uguale a quella di Clemenceau [Georges (1841-1929)] ed era sorpassata da quella di Wilson [Woodrow (1856-1924)], un ex professore di Teoria del Governo a Princeton. Qui la specializzazione ha fatto sentire la sua presenza in modo straordinario. A questo inerme “studioso” con un complesso del Messia, gabbato completamente dagl’informatori italiani con mappe falsificate, dobbiamo il fatto che il Sud Tirolo è ancora un calderone politico. Vi sono anche alcuni problemi contemporanei peggiori. Dopo la seconda guerra mondiale [1939-1945] soltanto pochi trattati convenzionali sono stati firmati, ma le decisioni di Teheran [1943], di Yalta [1945] e di Potsdam [1945] sono ampia prova del continuo declino a partire dal 1919-1920. Paragonato a Roosevelt [Franklin Delano (1882-1945)], Wilson era un saggio e un santo, e i cancellieri tedeschi durante la guerra mondiale erano geni se confrontati a Hitler.
Così osserviamo tendenze gemelle dello sviluppo politico attuale che, a prima vista, sembrano paradossali. Da una parte vi è il numero crescente di esperti che, tuttavia, sono scelti non raramente per motivi troppo personali; dall’altra, nelle democrazie così come nelle dittature, incontriamo il governo del dilettante assoluto che è alla mercè degli esperti, quando non ignora in modo arrogante ogni consiglio. Così la ragione, la conoscenza e l’esperienza sono tutte troppo frequentemente trascurate. Nel dilemma disperato causato dai suggerimenti contraddittori degli esperti, il pensiero chiaro e lo studio serio sono rigettati in favore dell’intuizione e delle “visioni profetiche”. Ciò conduce solo molto occasionalmente all’obiettivo voluto ma nella maggior parte dei casi al disastro. Wilson, Roosevelt e Beneš [Edward (1848-1948)] si vantavano anche delle loro “ispirazioni”, e noi ancora ricordiamo Hitler che vantava la sua “sicurezza interna di un sonnambulo”, la sua traumwandlerische Sicherheit (7). Tutti questi avevano interamente trasferito in modo fatale i principi artistici nell’arte del governo. L’arte, la religione e l’amore sono generalmente umani, generalmente accessibili e universali. Ma, come Goethe [Johann Wolfgang von (1749-1832)] già aveva precisato, un’opera d’arte è completa, perfetta in sé, mentre la conoscenza non conosce limiti. Con l’arte — come con la religione e l’amore — l’uomo si sviluppa, ma il rendersi conto che la conoscenza e la scienza sono senza fondo lo fa sentire trasformato in nano. La volontà saggia afferma così con Socrate, in modo dimesso ma tranquillo: “so di non sapere” (8). La conoscenza e la scienza sono acquistate con sforzi enormi, tuttavia rimangono sempre frazionarie. Ci si deve anche chiedere se il detto secondo cui “la conoscenza rende liberi” concorda con i fatti o se essa piuttosto non schiaccia l’uomo tramite le responsabilità che si aggiungono, rendendolo il custode di suo fratello, generando un tipo di sete che in questa vita non può essere estinto. Il compimento che l’arte, la religione o l’amore possono offrire è irraggiungibile da una semplice conoscenza.
Ma — e questo è un grande “ma” — la conoscenza porta potere, o è almeno un mezzo per il potere. E per questo motivo dobbiamo chiedere precisamente cosa vi è “storicamente” oltre il dilettantismo dei visionari popolari che agiscono sulla base d’intuizioni. Il governo degli esperti, che ancora difettano in scienda ma che rappresentano gli scita in grado notevole, è da qualche parte a portata di sguardo? Un tale sviluppo è iniziato in Europa fra i secoli XVII e XIX, quando i monarchi, rendendosi conto delle loro limitatezze — e dell’aumentata importanza delle burocrazie —, hanno comandato con l’aiuto di esperti. Questi, a loro volta, hanno dovuto correggere sottilmente gli errori sfacciati di diete e di parlamenti. Anche se oggi parliamo di “statisti” noi raramente pensiamo a presidenti realmente popolari o a primi ministri, ma piuttosto a uomini che hanno avuto la fiducia dei loro monarchi e a volte, in un determinato grado, dei parlamenti eletti, a uomini come Bismarck [-Schönhausen, Otto von (1815-1898)], Cavour [Camillo Benso, conte di (1810-1861)], Witte [Sergei Yuliévich, conte di (1849-1915)], Disraeli [conte di Beaconsfield, Benjamin (1804-1881)], Guizot [François-Pierre-Guillaume (1787-1874)], Metternich, Richelieu [Armand-Jean du Plessis duca di Fronsac e di (1585-1642)], Oxenstjerna [conte di Södermöre, Axel Gustavsson (1583-1654)], Kaunitz [-Rietberg, Wenzel Anton von (1711-1794)], Pašiâ [Nikola (1844-1926)], Bratianu [Jon (1864-1927)], Stolypin [Pëtr Arkad’eviã (1862-1911)], Schwarzenberg [Felix, principe von (1800-1852)].
Questo fenomeno in gran parte è sparito nell’età delle dittature perché, anche se i dittatori non devono rispettare la “volontà delle maggioranze”, essi erano o sono quasi tutti dilettanti irretiti ideologicamente, cosa che li porta a non tenere conto dei fatti (9). L’unica eccezione è costituita dalla dittatura militare non ideologica — come in Spagna, per esempio — che, a causa della correlata natura di base già burocratica, può portare a una simbiosi con l’amministrazione statale. Quanto ora ci minaccia nel mondo libero è il prematuro sbiadimento dei nostri parlamenti, che assomigliano frequentemente a club di discussione di basso livello, la discrepanza fra gli scita microscopici e gli scienda non assimilati. Il potere così come l’autorità è spostato sempre più verso i ministeri e, naturalmente, anche verso i sindacati. Per questi ultimi le disarmonie fra gli scita e gli scienda non sono d’importanza basilare. Essi rendono le cose semplici per sé stessi: non sono amministratori genuini, soltanto sostengono di rappresentare determinati interessi; non amministrano, tranne nel caso in cui essi stessi conducono le imprese; e se non hanno responsabilità verso il bene comune — cosa che accade —, semplicemente fanno richieste e ricatti.
Questa discrepanza crescente può trasformarsi — direttamente o dialetticamente — in una vera minaccia alla libertà. Le masse potranno un giorno aver perso la loro sicurezza di sé e il loro entusiasmo per le loro dilettantesche guide. E la prospettiva non è molto più ottimistica nel caso di esperti che comincino ad accorgersi delle possibilità di potere latenti e ad azzuffarsi per le poltrone. Dietro le quinte politiche e i gabinetti ancora partitocratici i vari gruppi di esperti prendono sempre più coscienza.
Governi costituiti interamente da esperti sarebbero eccessivamente fragili, rigidi e senza pietà. Potrebbero governare con glaciale obiettività in nome della ragione e della conoscenza. Saremmo governati così “dall’alto” senza l’elemento patriarcale e l’immagine del padre, che hanno caratterizzato le vecchie monarchie. Contro questo concetto la democrazia liberale promuove una “fraternità” senza padre e conseguentemente otteniamo troppo spesso solo la tirannia del Grande Fratello. L’oligarchia degli esperti senza controllo potrebbe assumere il carattere di una dittatura di professori o, almeno, di un governo delle governanti. Ma alla fine andrebbe incontro a un destino fatale a causa della sua incapacità di far fronte all’abisso fra gli scita e gli scienda dei propri membri. Senza un efficace centro coordinatore che, io sono sicuro, solo una dinastia può fornire, cadrebbe in fazioni petulanti e in conflitto. Soltanto un ottimista può riuscire a considerare il nostro futuro politico e culturale con serenità.
Il modo di evitare uno sviluppo che significa catastrofe per la nostra libertà si trova nella creazione d’inviolabili ambiti oltre la stretta delle forze centraliste affamate di potere, zone dove la persona o gruppi limitati possono comportarsi liberamente, perché qui gli scita e gli scienda sono ancora collegati, nella famiglia, nella piccola impresa, nel paese, nella cittadina, nella contea. Tuttavia per quanto coinvolti siano i grandi governi centrali, dobbiamo freddamente affrontare le realtà della nostra società tecnologica, che significa un aumento inevitabile dell’elemento tecnocratico e della competenza specifica. Nessuno dubita che i tecnocrati debbano avere un alto grado di conoscenza, di esperienza e perfino di saggezza, che è più dell’intelligenza. Ma ci si è resi meno conto che essi devono avere anche un alto grado di carattere, che devono avere virtù, che devono essere uomini buoni, il che significa uomini capaci di amore, di magnanimità, di tolleranza, pieni di umiltà nonostante la loro importanza e la loro responsabilità. Se ciò non accade, succede che tutto sarà perduto e il disegno politico più ingegnoso non porterà a nulla.
La nostra libertà, dopotutto, è minacciata molto più dai princìpi totalitari che da quelli autoritari. Questi sono nati con i nostri progenitori, quelli dalla Rivoluzione francese [1789-1799]. Ciò che dobbiamo evitare è la trasformazione dell’umanità in un formicaio; invece dobbiamo generare piccoli, singoli “regni” che possono essere governati con la ragione, con comprensione e, almeno, con un poco di affetto. “Dove non c’è amore non c’è legge”. Il più piccolo di questi regni si trova fra le quattro pareti di ogni casa. E lo spessore di queste pareti, come Ortega y Gasset [José (1883-1955)] ha già precisato, è la misura della nostra libertà (10).
Erik von Kuehnelt-Leddihn
(1909-1999)
Note:
(1) Montagna dell’Himalaya, fra Cina e Nepal, vicina al monte Everest, 7.145 metri sul livello del mare.
(2) Quinto Orazio Flacco, Carmi, 3, 1, 1; cfr., per esempio, Idem, Tutte le opere, versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo, con un saggio di Antonio La Penna, Sansoni, Milano 1993, pp. 1-195 (pp. 98-99).
(3) David Riesman, Nathan Glazer e Reuel Denney (1913-1995), La folla solitaria, 1950, trad. it., Il Mulino, Bologna 1983, p. 178.
(4) Cfr. Aristotele, Politica, 1253 a 2-3; cfr., per esempio, Idem, Politica, a cura di Carlo Augusto Viano, testo greco a fronte, Rizzoli, Milano 2002, pp. 76-77: “[…] l’uomo è un animale che per natura deve vivere in una città”.
(5) Ibid., 1317 b 3-4; trad. cit., pp. 504-505: “Infatti la giustiza, nella concezione democratica, consiste nell’uguaglianza secondo il numero e non secondo il merito”.
(6) Nel mondo britannico sono indicate con tale nome le elezioni che avvengono in un periodo nel quale la gran parte della popolazione maschile è o è appena stata sotto le armi. Da ciò il termine “cachi”, che è il colore per antonomasia della divisa militare, e per estensione la divisa stessa. Successivamente l’espressione ha assunto anche un altro significato, indicando le elezioni che si svolgono durante un periodo particolarmente grave per la nazione, come guerra incipiente o in corso, o una minaccia terroristica, e che spesso hanno un risultato quasi plebiscitario. Nel caso specifico il riferimento è alle elezioni britanniche del dicembre 1918.
(7) Cfr. Max Domarus a (cura di), Hitler: Reden und Proklamationen. 1932-1945. Kommentiert von einem deutschen Zeitgenossen [Discorsi e proclami di Hitler. 1932-1945. Commentati da un tedesco contemporaneo], 2 voll., Schmidt, Neustadt a. d. Aisch 1962-1963, vol. I, Triumph. 1932-1938 [Trionfo, 1932-1938], 1962, p. 606 (p. 606), discorso tenuto a Monaco il 14 marzo 1936: “Né minacce né ammonimenti mi distoglieranno dalla mia strada. Io percorro con la sicurezza di un sonnambulo la strada che la Provvidenza mi chiama a percorrere”.
(8) Cfr., per esempio, Platone, Apologia di Socrate, 29 b 5-6: “[…] non sapendo a sufficienza delle cose dell’Ade, sono anche convinto di non saperle” (Idem, Apologia di Socrate, introduzione, traduzione, note, apparati e iconografia socratica di Giovanni Reale, appendice bibliografica di Claudio Marcellino, testo greco a fronte, Bompiani, Milano 2000, pp. 96-97).
(9) Una volta un allievo fece notare a Hegel [Georg Wilhelm Frederick (1770-1831)], il padre delle ideologie moderne: “Ma, professore, i fatti contraddicono le vostre teorie”; l’anziano signore lo guardò dall’alto in basso attraverso gli occhiali. “Tanto peggio per i fatti!” fu la sua severa risposta.
(10) Cfr. José Ortega y Gasset, España invertebrada. Bosquejo de algunos pensamientos históricos, 1921, trad. it. Spagna invertebrata. Lineamenti di alcune riflessioni storiche, in Idem, Scritti politici, a cura di Luciano Pellicani e Antonio Cavicchia Scalamonti, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino 1979, pp. 509-596 (p. 572).