FERDINANDO LEOTTA, Cristianità n. 303 (2001)
Perché parlare dello statuto?
Il 27 luglio 2000 è stata promulgata la legge n. 212 recante Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente.
L’argomento merita attenzione per numerosi motivi. Anzitutto, perché le disposizioni contenute nello statuto, che rappresentano una concreta tutela dei diritti economici dei contribuenti, devono essere portate a conoscenza non solo degli operatori del diritto tributario ma anche della generalità dei cittadini, affinché divengano effettivamente operative. In secondo luogo, va diffusa la consapevolezza che lo spirito dello statuto conferma un più ampio processo di cambiamento del rapporto Stato-cittadino, il cui inizio può essere ricondotto all’emanazione della legge n. 241, del 7 agosto 1990, che ha introdotto nuove norme in materia di procedimento amministrativo, di accesso ai documenti e di semplificazione dell’azione amministrativa. Tale processo si caratterizza per una marcata attenzione del legislatore alle attese del “cittadino-cliente” e ai criteri di efficienza, di trasparenza e d’imparzialità che devono caratterizzare l’azione amministrativa. Infine, si deve compiere un lavoro formativo affinché il citato cambiamento non venga ristretto agli ambiti gestionali o procedimentali del diritto amministrativo e di quello tributario, ma favorisca una più ampia riflessione sul diritto dello Stato d’imporre tributi, essenziale per la sua sopravvivenza, e sui suoi limiti a fronte dei diritti di libertà economica dei cittadini, che sono il presupposto dell’effettiva libertà delle persone e delle famiglie.
La legge n. 212 era attesa da molto tempo; il disegno di legge governativo era stato infatti approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 agosto 1996 (1). Sono stati necessari, dunque, ben quattro anni di discussioni per licenziare in via definitiva un testo, costituito da appena ventuno articoli, che durante il cammino parlamentare ha subito diverse modifiche.
La nuova legge è stata accolta da giudizi contrastanti, come risulta dai titoli dei principali quotidiani del 2 agosto 2000: Fisco più umano, pagherà i propri errori (2), Un Garante del contribuente (3), Maggiori garanzie per i contribuenti (4), Varato lo statuto del contribuente. Del Turco: pagherà anche lo Stato (5), Per lo statuto un debutto dimezzato (6).
Fra i giudizi degli ordini professionali si può citare quello del Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti, che, nella circolare n. 32 del 2 agosto 2000, dava atto che la nuova legge fissa “[…] una serie di disposizioni volte ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali del contribuente tra cui si possono individuare, come si legge nella relazione governativa al provvedimento, una migliore informazione e chiarezza delle norme tributarie, un’adeguata conoscenza delle conseguenze delle proprie azioni sul piano fiscale, la speditezza e tempestività dell’azione fiscale, la semplificazione degli adempimenti e un equo e regolare svolgimento delle procedure di accertamento” (7).
I giudizi negativi sono stati determinati sia dalla mancanza dei decreti di attuazione, sia dalla sfiducia di alcuni nella capacità di ricezione e di applicazione, da parte dell’amministrazione finanziaria, dei princìpi e delle regole enunciati dalla legge.
Sintesi della legge
L’articolo 1 statuisce che le disposizioni contenute nel testo costituiscono princìpi generali dell’ordinamento tributario, coerenti con gli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.
L’articolo 2 persegue la chiarezza e la trasparenza delle disposizioni tributarie, prevede la menzione dell’oggetto nel titolo delle leggi tributarie e nella rubrica dei singoli articoli e l’esclusione di disposizioni tributarie in leggi non tributarie; similmente, è richiesta l’indicazione del contenuto sintetico della disposizione, in caso di richiami a norme tributarie, e il riporto del nuovo testo, in caso di modifica di una legge tributaria.
L’articolo 3 vieta la retroattività della norma tributaria, salvo nel caso di quella interpretativa, prevede l’efficacia dal periodo d’imposta successivo a quello in corso per le modifiche relative ai tributi periodici e l’esclusione di adempimenti con scadenze anteriori al sessantesimo giorno dall’entrata in vigore. Particolarmente rilevante è il comma 3, che dichiara improrogabili i termini di prescrizione e di decadenza previsti per gli accertamenti d’imposta.
Per l’articolo 4 non si possono introdurre, con il procedimento della decretazione d’urgenza, nuovi tributi o estendere ad altri soggetti tributi già esistenti.
Con l’articolo 5 s’intende garantire l’informazione del contribuente: sono previste, da parte dell’amministrazione finanziaria, iniziative di divulgazione delle disposizioni legislative e amministrative tributarie, nonché l’emanazione di testi coordinati da mettere a disposizione del contribuente e l’informazione elettronica gratuita del cittadino. A ciò si aggiunge l’obbligo per l’amministrazione di comunicare tempestivamente le circolari e le risoluzioni dalla stessa prodotte.
L’articolo 6 dispone che l’amministrazione garantisca al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati, curando la comunicazione nel luogo di effettivo domicilio o di domicilio eletto e garantendo la riservatezza degli stessi. Restano tuttavia ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari. Il contribuente deve essere altresì informato di fatti rilevanti ai fini sanzionatori o incidenti sul riconoscimento di crediti d’imposta e deve essergli trasmessa richiesta d’integrazione o di correzione.
Il comma 3 dello stesso articolo esige la messa a disposizione della modulistica in tempo utile, la comprensibilità delle istruzioni anche per i non esperti nella materia e la semplificazione degli adempimenti.
Il comma successivo ribadisce il principio — già recepito dall’ordinamento in forza dell’articolo 18, commi 2 e 3, della legge n. 241 del 1990 — del divieto di richiesta di documenti e d’informazioni già in possesso dell’amministrazione pubblica.
Quindi la legge prevede che le iscrizioni a ruolo o i minori rimborsi derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni siano preceduti da una richiesta di chiarimenti e/o di documentazione, dichiarando espressamente nulli i provvedimenti emessi in violazione di questa norma.
Gli atti devono essere sempre chiaramente motivati. Lo prevede l’articolo 7, che richiama espressamente l’articolo 3 della legge n. 241: vanno pertanto indicati i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, e va allegato l’atto che fonda il provvedimento. L’atto dovrà contenere l’indicazione dell’ufficio, del responsabile del procedimento, dell’organo o dell’autorità amministrativa presso cui si possa promuovere il riesame anche nel merito in sede di autotutela, le modalità, il termine e l’organo competente della tutela giurisdizionale.
A tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente, l’articolo 8 prevede, in via generale, la possibilità di compensare crediti e debiti d’imposta, l’ammissibilità dell’accollo del debito d’imposta del terzo, l’improrogabilità dei termini di prescrizione oltre i dieci anni, il rimborso, a determinate condizioni, del costo delle fideiussioni prestate dal cittadino, il limite temporale per l’obbligo della conservazione degli atti e dei documenti.
Ai sensi dell’articolo 9, il contribuente, con decreto ministeriale, potrà fruire di una dilazione in caso di forza maggiore, e il termine per l’adempimento degli obblighi tributari potrà essere sospeso a fronte di eventi eccezionali e imprevedibili, quali gli eventi alluvionali che hanno interessato nel 2000 alcune regioni italiane.
L’articolo 10 consacra il principio della collaborazione e della buonafede fra contribuente e amministrazione finanziaria: sono escluse le sanzioni e gl’interessi moratori in caso di affidamento alle indicazioni dell’amministrazione o a fronte di ritardi, omissioni, errori della stessa. Non potranno, conseguentemente, essere irrogate sanzioni per violazioni derivanti da incertezza sulla portata della norma, o consistenti in pure violazioni formali senza debito d’imposta. Viene anche esclusa la sanzione indiretta della nullità del contratto per violazioni di disposizioni esclusivamente tributarie.
Con l’articolo 11 si riconosce al contribuente il diritto d’interpellare il Fisco in caso d’incertezza nell’applicazione della norma tributaria; la risposta deve pervenire entro centoventi giorni in forma scritta e motivata, altrimenti s’intende condiviso il parere espresso dal richiedente. Sono nulli gli atti impositivi o sanzionatori contrastanti con la risposta o in caso di mancata risposta nel termine. La legge prevede la possibilità di risposte collettive mediante direttive dell’amministrazione.
Una delle esigenze più sentite dai contribuenti è sempre stata quella di conoscere, in concreto, i propri diritti in caso di verifica fiscale. La legge risponde con l’articolo 12. Devono anzitutto sussistere necessità effettive d’indagine sul luogo e il contribuente dovrà essere informato sulle ragioni che hanno giustificato la verifica, sull’oggetto, sui suoi diritti e sui suoi obblighi. Egli potrà richiedere l’esame dei documenti contabili presso l’ufficio o presso il professionista, e gli è riconosciuto espressamente il diritto di far verbalizzare le sue osservazioni o i suoi rilievi. La durata del controllo non dovrà superare i trenta giorni lavorativi, con possibilità di proroga in situazioni particolari. Il contribuente, in caso di conduzione della verifica secondo modalità difformi dalla legge, potrà rivolgersi al Garante del Contribuente e potrà comunque presentare, entro sessanta giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione, osservazioni e richieste. A questo articolo è collegato il 15, che prevede l’emanazione, da parte del ministro delle Finanze, di un codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie.
A tutela del rapporto di fiducia fra cittadini e amministrazione finanziaria l’articolo 13 istituisce il Garante del Contribuente, organo collegiale, che potrà rivolgere richieste a fronte di qualunque comportamento suscettibile d’incrinare tale rapporto. Il Garante potrà anche attivare le procedure di annullamento in via di autotutela di atti illegittimi, rivolgere raccomandazioni ai dirigenti ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi. Potrà accedere agli uffici per controllare la funzionalità dei servizi d’assistenza e d’informazione, nonché l’agibilità degli spazi aperti al pubblico. Potrà inoltre richiamare gli uffici al rispetto dei diritti del contribuente verificato e dei termini per l’erogazione dei rimborsi. Individuate situazioni patologiche di particolare rilevanza, le segnalerà all’autorità competente anche al fine del procedimento disciplinare. Con relazioni semestrali alle autorità fiscali competenti, individuerà gli aspetti critici più rilevanti e formulerà proposte di soluzione.
L’articolo 14 contiene disposizioni finalizzate a rendere meno onerosi gli obblighi fiscali per i contribuenti non residenti.
L’articolo 16 contiene una delega al governo per l’emanazione, nel termine di centottanta giorni dalla data d’entrata in vigore della legge, di decreti legislativi recanti disposizioni che garantiscano la coerenza delle leggi tributarie vigenti con i princìpi dello statuto del contribuente, con impegno per il governo di abrogare le norme regolamentari incompatibili con la legge 212.
Le regole dello statuto, grazie all’articolo 17, non vincolano unicamente l’amministrazione fiscale ma anche altri soggetti, che, in qualità di concessionari, esercitino attività di accertamento, di liquidazione o di riscossione dei tributi.
Gli articoli 18 e 19 contengono disposizioni di attuazione, concernenti l’emanazione dei decreti ministeriali relativi alla tutela dell’integrità patrimoniale e all’interpello del contribuente.
Infine, gli articoli 20 e 21 recano le norme sulla copertura finanziaria del provvedimento e sulla sua entrata in vigore.
Il quadro normativo di riferimento dello statuto
Con il comunicato stampa del 1° agosto 2000 il ministro delle Finanze Ottaviano Del Turco ha dichiarato: “Adesso occorre lavorare affinché la riforma del Ministero possa rendere concretamente praticabili le norme dello statuto, è infatti necessario adeguare linguaggio, tempi, modi e comportamenti alle regole dettate dalla legge” (8).
D’altro lato, come ha scritto Giuseppe Falcone, magistrato e docente di Diritto Tributario, si deve sperare che il lungo periodo di tempo intercorso fra la presentazione del disegno di legge governativo e l’approvazione della legge e le discussioni fatte impediscano di sostenere che siano state compiute scelte affrettate, o che i tempi non siano maturi, o che siano stati assunti obblighi che non si possano mantenere (9).
Va dato atto al ministero delle Finanze di aver investito, a partire dalla metà deli anni 1990, notevoli risorse in corsi di formazione e di riqualificazione del personale. Nell’ambito di questi corsi è stato dato ampio spazio alla formazione dei responsabili e degli operatori degli uffici per le relazioni con il pubblico, a periodici seminari informativi destinati ai soggetti che prestano assistenza ai contribuenti in occasione delle dichiarazioni fiscali, e alle tecniche di comunicazione pubblica, istituzionale e di prodotto, diretta e telefonica.
Sia i percorsi di formazione manageriale, riservati ai dirigenti, sia i corsi di riqualificazione del personale puntano soprattutto a far acquisire metodi di lavoro mutuati dalle aziende private e a sviluppare una concezione della funzione pubblica come servizio al cittadino e alla collettività.
Tutto ciò non è un’iniziativa volontaristica, ma si colloca in un quadro normativo di riferimento ben preciso. Infatti, per cogliere in modo corretto la portata della legge, che sommariamente ho cercato di esporre, non si può prescindere dalla produzione normativa che, negli ultimi dieci anni, ha riguardato il diritto amministrativo, prima ancora del diritto tributario.
Nonostante le enunciazioni sul buon andamento e sull’imparzialità dell’azione amministrativa contenute nell’articolo 97 della Costituzione, si sono dovuti attendere gli anni 1990 per ottenere che il legislatore disciplinasse in via generale il procedimento amministrativo e ne garantisse concretamente il buon andamento, individuando la figura del responsabile del procedimento, e l’imparzialità, prevedendo l’obbligo della trasparenza e il diritto di accesso. Alla legge n. 241 del 1990 ha fatto seguito il decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, che introduce in modo espresso i parametri d’efficacia, d’efficienza e d’economicità dell’azione amministrativa, ridisegna il quadro della dirigenza pubblica e introduce in tutti gli uffici pubblici quello per le relazioni con il pubblico. Con le leggi cosiddette “Bassanini uno” — legge n. 59 del 15 marzo 1997, contenente la Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa — e “Bassanini bis” — legge n. 127 del 15 maggio 1997, recante Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo —, così denominate dal nome del firmatario del disegno di legge sen. Franco Bassanini, ministro della Funzione Pubblica nel Governo guidato dall’on. Romano Prodi, si è insistito ulteriormente nella direzione della semplificazione e del decentramento.
In materia tributaria tali princìpi sono stati recepiti, fin dal 1991, con la legge n. 358 del 29 ottobre dello stesso anno.
L’attenzione al contribuente è stata reiteratamente e chiaramente richiamata nelle direttive generali per l’azione amministrativa emanate dal ministro delle Finanze ed è stata ripresa nelle istruzioni sull’attivazione degli Uffici delle Entrate, suddivisi, significativamente, in un’area servizi e in un’area controllo.
Accanto ai cambiamenti strutturali ha iniziato a farsi strada, dapprima isolatamente, poi, via via, diffondendosi, una diversa concezione del controllo e dell’accertamento, favorita anche da una riflessione sulla fonte principale del gettito, rappresentata dall’autotassazione e, quindi, sull’importanza dell’assistenza al contribuente.
Questi cambiamenti sono stati espressamente recepiti nel decreto legislativo n. 3000 del 30 luglio 1999, sulla Riforma dell’organizzazione del Governo. L’articolo 61 dispone che le quattro Agenzie Fiscali — Entrate, Territorio, Demanio e Dogane — operino nell’esercizio delle funzioni pubbliche a esse affidate in base ai princìpi di legalità, d’imparzialità e di trasparenza, con criteri d’efficienza, d’economicità e d’efficacia nel perseguimento delle rispettive missioni.
L’articolo 62, dedicato all’Agenzia delle Entrate, sancisce che alla medesima è affidato il compito di perseguire il massimo livello d’adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l’assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gl’inadempimenti e l’evasione fiscale.
A sua volta lo schema di regolamento d’organizzazione del ministero delle Finanze approvato il 10 novembre 2000 dal consiglio dei Ministri, all’articolo 11, dedicato all’Ufficio Comunicazione Istituzionale, dichiara espressamente, al comma 2, che l’ufficio assicura le funzioni attribuite dalla legge agli uffici per le relazioni con il pubblico.
Tutto ciò significa che l’attività di controllo, gradualmente, perde le funzioni di principale strumento d’accertamento della ricchezza e di diretto strumento di gettito, funzioni che le residuavano dalla situazione precedente la riforma del 1973, attuata, in forza della delega contenuta nella legge n. 825 del 9 ottobre 1971, con l’emanazione di numerosi DD. PP. RR. fra il 1972 e il 1973. L’obbligazione tributaria, infatti, è perfetta con l’autoaccertamento della ricchezza e con l’autoliquidazione del tributo, che il contribuente compie nella dichiarazione. Compito strategico dell’amministrazione finanziaria è ora quello d’assistere l’utenza, affinché sia messa in grado di adempiere correttamente i propri compiti. Il maggior gettito da controllo è destinato a non essere più un obiettivo diretto, mentre l’attività di accertamento, liberata dai “ricatti della cassa”, si qualifica come il necessario deterrente preventivo e repressivo.
Così intesa, l’attività di controllo si presenta come l’indispensabile corollario all’assistenza e all’informazione per il contribuente, non bastando queste ultime, per diverse ragioni, sia di ordine etico-culturale, sia di ordine politico-economico, a garantire lo spontaneo adempimento dell’obbligazione tributaria.
Potenzialità dello statuto
A cosa serve ora parlare dello statuto, se, come è stato correttamente rilevato, ha confermato norme già esistenti, essendo stato promulgato dopo la disciplina dell’accertamento con adesione, dopo il regolamento sull’autotutela, dopo la riforma del sistema sanzionatorio, dopo l’ampliamento della compensazione fra debiti e crediti d’imposta?
La risposta va cercata in un’altra direzione: non si deve dimenticare che gl’impegni solennemente assunti nello statuto, come nelle altre leggi che sono state menzionate, vanno in senso opposto rispetto alle scelte normative operate in passato in questa materia, e che questa legge contiene princìpi generali dell’ordinamento tributario, mai formulati in Italia in questo importante settore del diritto, che individuano gli obblighi di contribuzione dei cittadini e nello stesso tempo i limiti del potere pubblico.
In forza di questi cambiamenti di ordine giuridico e culturale, Giancarlo Fornari, direttore dell’Ufficio per l’Informazione del Contribuente presso il Segretariato Generale del ministero delle Finanze, ha scritto: “Il vecchio Fisco […] basato tutto su una concezione conflittuale e spesso vessatoria dei rapporti col cittadino si avvia ormai a diventare un brutto ricordo. Probabilmente potrebbero ancora esserci dei colpi di coda” (10).
Dovrà però anche cambiare il ruolo dei consulenti, prosegue Fornari, che da professionisti dei ricorsi e obbligati gestori del conflitto dovranno riconvertirsi in gestori del confronto sui terreni dell’accertamento con adesione e degli studi di settore, della conciliazione e dell’autotutela. Dovranno trasformarsi in interlocutori non più solo delle Commissioni Tributarie, ma prima di tutto dell’amministrazione finanziaria come qualificati soggetti di mediazione fra interessi contrapposti in una logica di composizione consensuale dei conflitti.
La legge 212, è stato detto, non è una legge qualsiasi, ma richiede a ogni operatore uno sforzo culturale inteso a rispettare e a far rispettare giorno per giorno le nuove regole e a pretendere che anche gli altri facciano la stessa cosa. “Ogni legge — prosegue Falcone — vale non tanto per quello che contiene sul piano formale, ma per quanto si radica nella coscienza dei consociati, per come viene attuata dai destinatari, che in base ad essa hanno degli obblighi” (11).
Se una legge non è sufficiente per cambiare le cose, può però essere lo strumento per creare un nuovo costume. Lo statuto si presenta quindi come risultato e come fattore di miglioramento del rapporto fiscale. Ma vi è di più.
Dalla trasparenza dell’azione amministrativa alla trasparenza della politica economico-fiscale
Come ha dichiarato il ministro Vincenzo Visco nella Direttiva per la semplificazione dei rapporti fra Amministrazione finanziaria e contribuenti — emanata in data 25 novembre 1996, diramata con circolare n. 29181/Gab. del 18 dicembre 1996 e subito denominata dalla stampa “il galateo del fisco” (12) —, l’amministrazione finanziaria non può operare con la necessaria efficacia se non pone al centro della sua attenzione i problemi del cittadino, nella sua duplice veste di contribuente e di utente, in questo modo creando le condizioni perché si possa determinare e manifestare il consenso dei cittadini intorno alle norme tributarie. Questa è una condizione essenziale per l’efficacia dell’azione amministrativa, per il corretto sviluppo del rapporto impositivo e per la stessa credibilità dello Stato, oggi gravemente compromessa.
A tal fine, si legge nel documento, occorre modificare il modello funzionale affinché, “[…] oltre ad essere basato su principi di efficienza e di imprenditorialità, sia orientato al rispetto rigoroso dei diritti e delle esigenze del cittadino. Un modello basato non sull’autoritarismo, ma sulla cooperazione e sul rispetto reciproco, oltre che sui criteri di trasparenza e di partecipazione, di certezza dei diritti, di snellezza delle procedure” (13).
Consenso dei cittadini intorno alle norme tributarie e credibilità dello Stato sono, per espressa dichiarazione dell’ex ministro delle Finanze del Governo guidato dall’on. Massimo D’Alema e ministro del Tesoro del Governo guidato dal professor Giuliano Amato, gli obiettivi prioritari, rispetto ai quali nuove norme, procedure e comportamenti sono strumentali.
Non è un problema solo italiano. L’osservazione delle esperienze straniere indica che l’esigenza di ricercare strumenti di prelievo più efficienti e, nel contempo, più accetti ai contribuenti, è anche ricollegabile al fenomeno delle resistenze all’imposta, sviluppatosi ormai da alcuni anni anche in paesi il cui civismo fiscale dei contribuenti era considerato esemplare e in cui erano comunemente accettati sia la moderna estensione delle attribuzioni dello Stato sia lo sviluppo delle misure cosiddette di solidarietà attraverso il meccanismo ridistributivo.
Il vero nodo da sciogliere è, dunque, di politica economica e attiene all’entità del prelievo e all’effettiva tutela dell’integrità patrimoniale. Nella finanza moderna, infatti, all’imposta si assegnano spesso fini più complessi che non la pura ripartizione del carico fiscale secondo le condizioni dei contribuenti. Fra queste finalità, dette extrafiscali, si annoverano, accanto a quelle protettive, quelle ridistributive, perseguite con imposte fortemente progressive sul reddito e sulle successioni, con funzione dichiarata di ridurre la disuguaglianza delle ricchezze.
Se questi passaggi sono corretti, la trasparenza nell’imposizione fiscale comporta quindi anche chiarezza sull’entità e sulla progressività del prelievo.
Il problema era già stato considerato dal professor Cesare Cosciani (1908-1995), esperto di Scienza delle Finanze, che, nel 1964, relazionando sullo stato dei lavori della Commissione per lo Studio della Riforma Tributaria, di cui era vice presidente, rilevava come la progressività dia luogo, inevitabilmente, a una ridistribuzione dei redditi dalle classi più elevate a quelle meno elevate e come la Costituzione della Repubblica Italiana, affermando l’esigenza della progressività, dica molto e poco nello stesso tempo, essendo la progressività fatta salva sia che il tasso aumenti con la materia imponibile in misura strettamente moderata sia che il tasso arrivi a un livello estremamente elevato, purché non si traduca in una confisca o in aliquote massime praticamente confiscatorie (14).
Il problema però non si risolve solo formalmente con provvedimenti legislativi. In Francia, per esempio, il problema della fiscalità confiscatoria è stato toccato dal legislatore che, con la legge finanziaria del 1989, aveva introdotto nel Code général des impôts l’articolo 885 Y al fine di evitare che il prelievo complessivo dell’imposta sul reddito e di quella sul patrimonio — “impôt de solidarieté sur la fortune” — acquistasse un carattere confiscatorio. Allo scopo dispose che l’imposizione complessiva non superasse il 70% del reddito globale del contribuente. Non è inutile ricordare che, in occasione della legge finanziaria per il 1991, le citate disposizioni sono state trasposte all’articolo 885 V bis e la percentuale massima impositiva è stata elevata all’85%.
Non si può dire che il problema dell’eccessività del prelievo sia stato risolto. Il risultato confiscatorio, ha rilevato Paul-Marie Gaudemet, può derivare non tanto dall’applicazione di una sola imposta, quanto dall’effetto congiunto di più imposte, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, può anche sfuggire al dispositivo costituzionale protettore (15).
Credo, in buona sostanza, che possa valere ancora oggi una massima dell’antico diritto francese, secondo cui “Droits sur les fruits sont impôts, droits sur les fonds sont pillage”, “Diritti sui frutti sono imposte, diritti sui patrimoni sono saccheggio” (16). Anche oggi un’imposizione può essere considerata confiscatoria quando il tasso impositivo globale è talmente elevato da costringere il contribuente, non bastandovi il reddito disponibile, ad mutilare il proprio patrimonio per soddisfare l’obbligazione tributaria.
I riferimenti a queste delicate problematiche sono volutamente provocatori e non è questa la sede per trovare risposte esaurienti. Queste considerazioni aiutano, a mio avviso, a far comprendere il senso della domanda iniziale: perché parlare dello statuto?
L’importanza della legge 212 del 27 luglio 2000 è legata al suo utilizzo. Un buon uso della legge non potrà che favorire il passaggio dalla trasparenza dell’azione amministrativa a quella della politica economica e favorire, così, la scomparsa della fiscalità occulta.
Ferdinando Francesco Leotta
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* Testo annotato della conversazione tenuta al Rotary Club Torino Sud, su invito del presidente, professor Roberto Fantozzi, il 22-1-2001, al Jolly Hotel Ambasciatori.
(1) Cfr. Senato della Repubblica, atto n. 1286. Va evidenziato che negli ultimi dieci anni si sono susseguiti numerosi disegni di legge, presentati sia al Senato della Repubblica — atto n. 1244 del 1994 —, sia alla Camera dei Deputati: atti n. 5079 del 1990, n. 254 del 1992, n. 1124 del 1992, n. 1125 del 1992, n. 391 del 1994, n. 324 del 1996, n. 4546 del 1998 e n. 4818 del 1998. Il tema ha interessato anche la dottrina: cfr. Gianni Marongiu, Contributo alla realizzazione della “Carta dei diritti del contribuente”, in Diritto e pratica tributaria, vol. LXII, Padova 1991, parte I, pp. 585-636.
(2) Cfr. Bruno Gianotti, Fisco più umano, pagherà i propri errori, in La Stampa, Torino 2-8-2000.
(3) Cfr. Enzo Popoli, Un Garante del contribuente, in Il Mattino, Napoli 2-8-2000.
(4) Cfr. Maggiori garanzie per i contribuenti, in Italia Oggi, Milano 2-8-2000.
(5) Cfr. Varato lo statuto del contribuente. Del Turco: pagherà anche lo Stato, in Corriere della Sera, Milano 2-8-2000.
(6) Cfr. Per lo statuto un debutto dimezzato, in Il Sole-24 Ore. Quotidiano Politico Economico Finanziario, Milano 2-8-2000.
(7) Le istruzioni del Consiglio nazionale dei Ragionieri commercialisti sullo Statuto dei diritti del contribuente, in il fisco. Giornale tributario di legislazione e attualità, anno XXIV, n. 35, Roma 25-9-2000, pp. 10855-10863 (p. 10855).
(8) Statuto del contribuente, Del Turco: “Errori e omissioni a carico dello Stato“, ibid., anno XXIV, n. 33, Roma 11-9-2000, p. 10271.
(9) Cfr. Giuseppe Falcone, Il valore dello Statuto del contribuente, ibid., anno XXIV, n. 36, Roma 2-10-2000, p. 11038-11043 (p. 11038).
(10) Giancarlo Fornari, Finalmente in dirittura di arrivo lo Statuto del contribuente, ibid., n. 11, Roma 13-3-2000, pp. 3082-3087 (p. 3087).
(11) G. Falcone, art. cit., p. 11038.
(12) Cfr., per esempio, Norberto Villa, In arrivo il galateo del fisco, in Italia Oggi, Milano 23-11-1996.
(13) Cfr. Ministero delle Finanze, Circolare n. 29181/Gab., del 18-12-1996.
(14) Cfr. Cesare Cosciani, Stato dei lavori della Commissione per lo studio della riforma tributaria, ora in Idem, Scritti scelti di finanza pubblica, CEDAM, Padova 1983, pp. 743-834.
(15) Cfr. Paul-Marie Gaudemet, Les protections constitutionnelles et légales contre les impositions confiscatoires, in Revue internationale de droit comparé, anno 42, n. 2, Parigi aprile-giugno 1990, pp. 805-813.
(16) Cit. ibid., p. 808.