Francesco Pappalardo, Cristianità n. 305 (2001)
“Fra un mondo che muore e uno che nasce s’inserisce sempre un periodo vuoto, che è, nello stesso tempo, una tomba e una culla. Il mondo che muore vi si dibatte nell’agonia, cercando di schiacciare con il suo peso il mondo che nasce, che non ha ancora aperto gli occhi e non conosce ancora il suo nome” (1). Questa osservazione del pensatore e storico cattolico svizzero Gonzague de Reynold (1880-1970) si applica puntualmente alla storia dell’Occidente in quella fase di transizione — definita ora come tarda antichità (2) — che va dal secolo III al secolo VI, in cui avviene l’epocale passaggio storico dal mondo classico e pagano a quello cristiano.
Il processo, molto graduale, coinvolge tutto l’impero romano, ma il teatro principale è Roma, dove i nuovi semi sono raccolti e fusi con la tradizione antica, quindi propagati, nelle forme di un rinnovato codice spirituale, a tutto il mondo romanizzato. Il lento trapasso dalla civiltà pagana, l’antiquitas, a quella cristiana, sullo sfondo del declino del primato politico della città, è evidente già a partire dall’anno 330, quando l’imperatore Costantino I il Grande (280 ca.-337) trasferisce la corte imperiale a Bisanzio, e si consuma con la caduta dell’impero romano d’Occidente, travolto da ondate successive d’invasioni barbariche che mettono ripetutamente a sacco l’Urbe. Ma nel secolo IV Roma è anche il crogiolo in cui matura questa grande trasformazione, dove gli elementi di continuità si fondono con quelli innovativi, dando luogo a quella sorta di tacito passaggio di testimone che consentirà alla città di mantenere intatta la propria centralità, anche simbolica, a dispetto del proprio declino.
Questo periodo è stato oggetto della mostra Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, organizzata a Roma dal 22 dicembre 2000 al 20 aprile 2001, per iniziativa della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma e del Palazzo delle Esposizioni — sede della mostra —, in collaborazione con le Soprintendenze Archeologiche di Roma e di Ostia, con la Direzione Generale dei Musei Vaticani e con la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
Attraverso quattrocento reperti archeologici — sculture di marmo e di bronzo, mosaici e dipinti, avori e argenti — l’esposizione ha presentato un grande affresco della città di Roma durante il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, mediante la lettura delle testimonianze urbanistiche, monumentali e figurative. “Lo spirito di questa mostra — secondo Eugenio La Rocca, sovrintendente ai Beni Culturali del Comune di Roma — è: documentare gli elementi salienti di questa fase di mutamenti, presentandone gli scarsi documenti superstiti, e incentrando l’interesse direttamente su Roma e sulle opere d’arte qui rinvenute” (3).
L’allestimento si articolava in cinque sezioni, la prima delle quali dedicata alla relazione fra Spazio pubblico e spazio privato nel periodo imperiale; la seconda incentrata su Le forme di autorappresentazione, con riguardo ai ritratti d’imperatori e di privati cittadini, e con l’esposizione nella sala centrale dei frammenti del colosso bronzeo di Costantino, tuttora conservati nei Musei Capitolini; la terza attenta ai molteplici aspetti quotidiani de La vita nell’Urbe, soprattutto ai riti funerari e ai culti religiosi, fra cui i nuovi riti orientali. Le ultime due sezioni, intitolate Vecchie immagini e nuovi significati. L’alternativa in bilico e L’invenzione nella tradizione: dalle immagini pagane alla visione di Dio, illustravano con numerosi esempi il lento processo di compenetrazione fra la sensibilità cristiana e la tradizione classica: la prima di esse documentava il passaggio dall’iconografia pagana a quella cristiana, proponendo tematiche e immagini che, con diverso significato, verranno assunte e fatte proprie dal cristianesimo; la seconda era dedicata alle basiliche cristiane, con i loro apparati decorativi e i loro arredi liturgici, e alle prime immagini sacre.
Fra i tesori esposti figuravano il ricomposto dittico dei Nicomaci e dei Simmaci — decorazione di un sontuoso reliquiario del tardo secolo IV, distrutto dai rivoluzionari francesi —, le cui valve d’avorio sono divise fra il Musée de Cluny, a Parigi, e il Victoria and Albert Museum di Londra; gli argenti del Tesoro dell’Esquilino, provenienti in parte dal British Museum; la ricostruzione della decorazione in opus sectile, cioè con intarsi marmorei colorati, di una domus di Ostia antica; preziose icone mariane, fra cui un’immagine di Madonna con Cristo bambino, del secolo VI, proveniente dal monastero di Santa Caterina del Sinai e ora conservata a Kiev, in Ucraina, e l’icona detta del Monasterium Tempuli, risalente al più tardi al secolo IX, proveniente dalla basilica della Chalcoprateia a Costantinopoli e ora custodita a Roma, nell’oratorio di Santa Maria del Rosario a Monte Mario.
Sono stati ricostruiti così la lenta e travagliata fine dell’antico mondo spirituale precristiano e la nascita di un nuovo “senso comune” religioso. Nel secolo IV a Roma mutano i rapporti di forza fra la comunità pagana e quella cristiana: lentamente il paganesimo e tutte le immagini che lo rappresentano diventano oggetto di biasimo per i più, di ammirazione e di memoria di un mondo definitivamente tramontato per una piccola schiera d’intellettuali imbevuti di cultura classica. In quegli anni, inoltre, avviene il passaggio dalla fase in cui la Chiesa era considerata una societas illicita a quella in cui è societas licita, come previsto dall’imperatore Costantino con l’Editto di Milano, del 313, fino al riconoscimento del cattolicesimo come religione di Stato, realizzato dall’imperatore Teodosio I (346-395) con l’Editto di Tessalonica, del 380. Sebbene la prima Roma cristiana rappresenti solo un breve interludio fra il mondo pagano e il mondo barbarico — trascorrono soltanto diciotto anni fra la chiusura dei santuari pagani, ordinata da Teodosio con l’Editto d i Costantinopoli, del 392, e il primo sacco della città, perpetrato dai vandali nel 410 —, la fine dell’impero d’Occidente non intacca le risorse spirituali della Chiesa, che poteva unire a esse le tradizioni sociali della civiltà romana e svolgere così una duplice funzione religiosa e sociale. Roma diventa aurea per poeti e letterati proprio quando perde ogni potere politico e si trasforma in un mito tale da spingere anche i capi delle tribù barbare a considerarsi reggitori supremi di quel grande villaggio arroccato orgogliosamente intorno alle sue basiliche, diventate meta di pellegrinaggi da tutte le parti del mondo conosciuto. Grazie al processo di cristianizzazione l’antica civiltà greco-romana si viene configurando come la christiana res publica, onde civis Romanus e vir christianus s’identificano l’un con l’altro, e la Chiesa cristiana, sistema religioso a carattere universale, si sostituisce a un grande impero, aprendo la strada alla nascita di un sistema politico a carattere universalistico, il Sacro Romano Impero, che ha le sue origini nell’incoronazione imperiale di Carlo Magno (742-814), re dei Franchi, nella capitale della Cristianità, la notte di Natale dell’anno 800.
Questo avvenimento pone le basi della nascita dell’Europa cristiana, come ha ricordato nel 2000 Papa Giovanni Paolo II, nel milleduecentesimo anniversario dell’incoronazione: “È la grandiosa sintesi tra la cultura dell’antichità classica, prevalentemente romana, e le culture dei popoli germanici e celtici, sintesi operata sulla base del Vangelo di Gesù Cristo, ciò che caratterizza il poderoso contributo offerto da Carlo Magno al formarsi del Continente. Infatti, l’Europa, che non costituiva una unità definita dal punto di vista geografico, soltanto attraverso l’accettazione della fede cristiana divenne un continente, che lungo i secoli riuscì a diffondere quei suoi valori in quasi tutte le altre parti della terra, per il bene dell’umanità” (4). Proprio per ricordare tale anniversario a Roma, nei Musei Vaticani, dal 16 dicembre 2000 al 20 aprile 2001, si è tenuta la mostra su Carlo Magno a Roma, organizzata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche e dalla Direzione Generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie. Grazie a una selezione di pezzi straordinari — codici miniati, pitture, reperti archeologici, monete e oggetti di oreficeria —, provenienti dai più importanti musei europei e affiancati per la prima volta alle collezioni vaticane, è stato possibile ripercorrere, fra storia, mito e leggenda, un evento fondamentale per la storia europea.
Un’attenzione particolare è stata riservata ai rapporti fra l’imperatore e i romani Pontefici, alla ricostruzione della Roma altomedioevale, al culto dei martiri e ai primi pellegrinaggi, alle riforme culturali dell’epoca carolingia e, ovviamente, all’avvenimento dell’incoronazione. Nell’introduzione al catalogo dell’esposizione — che contiene anche gli atti della Seduta Accademica Festiva su Carlo Magno tenuta, il 16 dicembre 2000, dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche —, Francesco Buranelli, direttore generale reggente dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie, sottolinea “la portata “ecclesiale”” (5) dell’incoronazione, che era legata a motivazioni ideali e ad ambizioni politiche, ma era anche il frutto della convergenza delle più diverse volontà: “La cronaca di quel Natale, come ci è narrata dal Chronicon Moissiacense — redatto nel IX secolo dai benedettini dell’Abbazia aquitana di Moissac —, è sorprendente nel testimoniarci come quell’atto di incoronazione non fu il gesto isolato di un Papa nei confronti di un Re, ma fu un atto veramente di comunione ecclesiale, oltre che iniziativa corale di entrambi i popoli, franco e romano” (6). Questa volontà si esprimeva nella triplice acclamazione — “A Carlo, piissimo augusto coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria” (7) —, che il visitatore della mostra poteva leggere su un codice, risalente al secolo XI, del Liber Pontificalis, e che manifestava la consapevolezza della comunità romana di una speciale continuità con l’antica età imperiale, soprattutto con il regno di Costantino, che aveva posto fine alle persecuzioni contro i cristiani.
Questa continuità era sottolineata visivamente dalla lupa capitolina — scultura bronzea databile fra il 490 e il 470 a.C. — e dalla lupa di Aquisgrana — opera ellenistica del II secolo d.C. posta appunto nel vestibolo del duomo di Aquisgrana, dov’è sepolto l’imperatore —, collocate come simboli di Roma antiqua e di Roma nova ad apertura e a chiusura dell’esposizione.
Il riferimento alla città costantiniana sarà il programma di quella renovatio Urbis alla quale era dedicata un’ampia sezione della mostra. Dal pontificato di Papa Leone III (795-816) a quello di Papa Gregorio IV (827-844) si assiste a una ripresa costante di tipologie costruttive, di temi iconografici e di metodi decorativi. I mosaici leoniani perduti della chiesa di Santa Susanna e quelli solo in parte superstiti della chiesa dei SS. Nereo ed Achilleo — di cui erano esposte copie antiche — attestano l’opera di ricupero d’immagini e di stili artistici di quel secolo d’oro che fu per la Chiesa appunto il secolo di Costantino. In particolare, è Papa Adriano I (772-795) — fra i reperti figurava l’epigrafe marmorea fatta incidere alla sua morte proprio dall’imperatore Carlo — a restaurare e ad arricchire le chiese di Roma — sia quelle urbane, come Santa Pudenziana, il cui mosaico era riprodotto in un codice esposto, sia i santuari suburbani — per accogliere i pellegrini che, sempre più numerosi, venivano da ogni parte dell’Europa a venerare i campioni della fede. I visitatori hanno potuto accostarsi a quelle singolari guide che erano gli Itinerari per i luoghi di culto martiriali — composti dagli stessi pellegrini e spesso da loro riportati nei paesi d’origine —, fra i quali la guida dell’Anonymus Einsidlensis, raccolta di undici percorsi urbani che ha accompagnato l’imperatore nel primo di quattro viaggi a Roma. Nei suoi diversi soggiorni egli vede una città rinnovata, che aveva ritrovato il suo antico splendore, e partecipa a quei restauri non solo come donatore ma anche come protettore dell’Urbe, venendo immortalato nei quadri e nei mosaici anche in questa sua funzione politica.
A sua volta l’esperienza romana, che Carlo condivise con numerosi altri viaggiatori franchi, è determinante per la fioritura culturale e artistica del suo regno, che si manifesterà in molti settori, dall’architettura alla scultura, dalla pittura alle arti minori. Ad Aquisgrana egli dà vita alla Scuola Palatina, sorta di accademia che riuniva abili artisti, orafi, amanuensi e miniaturisti, autori di capolavori che nella mostra hanno testimoniato l’alto livello raggiunto dall’arte carolingia: un lussuoso evangeliario, inviato come dono dall’imperatore all’abbazia renana di san Nazario di Lorsch; la cosiddetta Bibbia di Alcuino, celebre manoscritto realizzato intorno all’840 nello scriptorium dell’abbazia francese di San Martino di Tours; un Arcangelo Michele vincitore del Drago, rilievo in avorio e pasta vitrea eseguito sul retro di un dittico consolare romano, a ricordo, forse, della vittoria riportata dai franchi sui longobardi nella battaglia delle Chiuse, presso il santuario della Sacra di san Michele, in Val di Susa, nell’anno 773. Fra le ricostruzioni in gesso figuravano sia il palazzo reale di Aquisgrana sia il suo “modello”, cioè il Patriarchio, l’antica residenza imperiale donata al Papa dall’imperatore Costantino nella zona del Laterano insieme alla cattedrale di Roma, dedicata prima al Salvatore e poi anche ai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, ora nota come San Giovanni in Laterano. Significativamente nei mosaici, ora perduti, che decoravano il Laterano nel secolo IX, accanto a San Pietro, che riceve da Cristo le chiavi del Regno dei Cieli, figuravano gl’imperatori Costantino e Carlo Magno, ed entrambi ricevono da San Pietro uno stendardo, simbolo della regalità. Erano presenti anche copie della cosiddetta sciabola di Carlomagno e della bisaccia di santo Stefano — che conteneva originariamente la terra intrisa del sangue del martire —, entrambe utilizzate con altre insegne durante la cerimonia d’incoronazione dei re ad Aquisgrana. Fra tutti gli oggetti risaltava, infine, il reliquiario del braccio di Carlo Magno, commissionato dal re di Francia Luigi XI Capetingio (1423-1483), che aveva introdotto nel suo paese la ricorrenza del 28 gennaio, giorno di Saint Charlemagne, festivo fino all’inizio del secolo XX (8).
“Con l’esposizione del reliquiario e del suo contenuto in occasione di questa mostra — così Arnold Nesselrath nella relativa scheda — una parte di Carlo Magno torna a Roma e quindi sul luogo della sua incoronazione dopo ben 1200 anni facendo nel grande giubileo del 2000 il suo quinto viaggio alla città eterna” (9). Questo quinto viaggio di Carlo Magno, che richiama alla mente il “quinto viaggio di Cristoforo Colombo” (10) — una categoria storico-culturale con cui il filosofo cattolico argentino Alberto Caturelli indica il contributo che il Nuovo Mondo americano può dare al Vecchio Mondo europeo perché ritrovi i caratteri della propria identità culturale —, concorre ad alimentare la speranza di una nuova fioritura culturale cristiana, di una nuova civiltà cristiana, partendo dall’esperienza della civiltà cristiana romano-germanica, come ha sottolineato ancora Papa Giovanni Paolo II: “La grande figura storica dell’imperatore Carlo Magno rievoca le radici cristiane dell’Europa, riportando quanti la studiano ad un’epoca che, nonostante i limiti umani sempre presenti, fu caratterizzata da un’imponente fioritura culturale in quasi tutti i campi dell’esperienza. Alla ricerca della sua identità, l’Europa non può prescindere da un energico sforzo di recupero del patrimonio culturale lasciato da Carlo Magno e conservato lungo più di un millennio” (11).
Francesco Pappalardo
Note:
(1) Gonzague de Reynold, Qu’est-ce que l’Europe?, vol. I di Formation de l’Europe, Egloff. Librairie de l’Université de Fribourg, Friborgo 1944, p. 33.
(2) Cfr. Henri-Irénée Marrou (1904-1977), Decadenza romana o tarda antichità? III-VI secolo, trad. it., Jaca Book, Milano 1997.
(3) Eugenio La Rocca, Presentazione, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, a cura di Serena Ensoli ed Eugenio La Rocca, L’”Erma” di Bretshneider, Calenzano (Firenze) 2000, pagina non numerata.
(4) Giovanni Paolo II, Messaggio al Card. Antonio María Javierre Ortas in occasione della seduta accademica dedicata al 1200° anniversario dell’incoronazione imperiale di Carlo Magno, del 16-12-2000, in L’Osservatore Romano, 17-12-2000.
(5) Francesco Buranelli, Introduzione a Carlo Magno a Roma, a cura del Pontificio Comitato di Scienze Storiche e della Direzione Generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie, Retablo, Roma 2001, pp. 11-18 (p. 12).
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) La canonizzazione di Carlo, avvenuta nel 1165 con l’avallo dell’antipapa Pasquale III (1164-1168), favorì la diffusione in Francia e in Germania del culto dell’imperatore, che oggi è circoscritto alla città di Aquisgrana, di cui Carlo è patrono.
(9) Carlo Magno a Roma, cit., p. 114.
(10) Cfr. Alberto Caturelli, Il Nuovo Mondo riscoperto. La scoperta, la conquista, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale, trad. it., con prefazione di Pier Paolo Ottonello, Edizioni Ares, Milano 1992, pp. 368-370.
(11) Giovanni Paolo II, doc. cit.