Mauro Ronco, Cristianità n. 193-194 (1991)
Esposizione e considerazioni a margine dei temi della relazione generale svolta da S. Em. il card. Joseph Ratzinger sul problema delle minacce alla vita umana nel mondo attuale.
1. Il quarto Concistoro straordinario
Nella mattinata di giovedì 4 aprile 1991 il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha aperto, nell’aula del Sinodo, i lavori del quarto Concistoro straordinario celebrato dall’inizio del suo ministero alla guida della Chiesa universale. L’assemblea plenaria del Collegio cardinalizio si è sciolta domenica 7 aprile con una solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre nella Basilica Vaticana.
A differenza degli altri Concistori straordinari, che avevano dibattuto prevalentemente argomenti di carattere giuridico e finanziario relativi alla vita della Chiesa universale, l’ultima assemblea speciale del Collegio cardinalizio si è prefissata lo studio di due temi che posseggono un rilievo direttamente dottrinale e pastorale: il primo concerne le attuali minacce contro la vita, con particolare attenzione all’aborto; il secondo è relativo all’urgenza dell’annuncio di Cristo unico Salvatore e alla sfida dei nuovi movimenti religiosi (1).
Non può sfuggire lo stretto legame dei temi svolti nel Concistoro straordinario con la proclamazione, compiuta dal Sommo Pontefice, della permanente validità del mandato missionario: infatti, con la lettera enciclica Redemptoris missio, data a Roma il 7 dicembre 1990, nel venticinquesimo anniversario del decreto conciliare Ad gentes, Papa Giovanni Paolo II, dopo aver richiamato i fondamenti scritturali e teologici del mandato di evangelizzazione, ha indicato gli immensi orizzonti della missione, ribadendo che, accanto all’attività missionaria specifica, o missione ad gentes, che ha come destinatari “i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo” (2), si delinea con sempre maggiore urgenza il compito della “nuova evangelizzazione”, volta a far riconoscere e a testimoniare il messaggio di Cristo nelle terre di antica cristianità, ormai quasi dimentiche della loro conversione e della fedeltà serbata per secoli al Signore Gesù e alla sua Chiesa (3).
Il plurisecolare processo rivoluzionario che — prendendo le mosse dall’Europa — si è diffuso nel mondo intero, sembra essere pervenuto al suo termine logico, pur continuando la sua opera meccanica di frantumazione del corpo sociale: dopo l’aggressione al corretto rapporto fra l’uomo e Dio — vissuto in comunione con gli altri nella tradizione vivente della Chiesa —, compiuta con la Pseudo-Riforma protestante; dopo la distruzione di ogni legame organico di tipo politico e sociale, realizzata con la brutale soppressione degli ordinamenti tradizionali e la meccanica imposizione alla società di un’organizzazione nello stesso tempo burocratica e demagogica, attuata con la Rivoluzione detta francese e con i vari adattamenti che essa ha conosciuto per le altre nazioni; dopo la cancellazione della proprietà privata e la negazione della libertà di iniziativa economica, compiuta dal socialcomunismo, la Rivoluzione è successivamente passata all’attacco diretto nei confronti dell’uomo e dell’equilibrio delle diverse potenze — intelletto, volontà, memoria e sensibilità — della sua anima. L’aggressione contro l’uomo ha per scopo lo sfiguramento della dignità della persona, che riposa sulla sua essenza di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio (4), capace di Dio, di conoscere e di volere il bene e, dunque, essenzialmente libera.
I passaggi logicamente ultimativi che scandiscono i tempi dell’attacco all’equilibrio dell’uomo e dello sfregio alla sua dignità sono rappresentati dalla dialettica intrafamiliare fra gli sposi, istituzionalizzata con il riconoscimento legale del divorzio e la promozione sociale delle convivenze libere; dalla frantumazione del rapporto essenziale fra la madre e il figlio, frutto dell’atto sessuale unitivo, istituzionalizzata con il riconoscimento “legale” dell’aborto; e, infine, dalla manipolazione della vita stessa, attuata attraverso l’intervento artificiale sulla sua origine, nonché attraverso la determinazione arbitraria del momento opportuno della morte (5).
Pervenuti al fondo di questo itinerario, che segna la sconfitta del progetto di autoredenzione umana coltivato lungo tutta l’epoca del moderno processo rivoluzionario — progetto immaginato e attuato senza Dio o addirittura contro Dio —, la Chiesa sente l’imperioso dovere di proclamare, nel quadro di una organica visione filosofica, la verità sull’uomo, onde siano rimossi i grevi ostacoli culturali alla rinnovata adesione degli uomini contemporanei all’annuncio salvifico di Cristo e alla conversione della vita.
L’esposizione del relatore generale al Concistoro straordinario, il card. Joseph Ratzinger, nonché gli interventi dei cinque relatori continentali — il card. John Joseph O’ Connor, arcivescovo di New York, per l’America Settentrionale; il card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, per l’Europa; il card. José Freire Falcão, arcivescovo di Brasilia, per l’America Latina; il card. Christian Wiyghan Tumi, arcivescovo di Garoua, per l’Africa, e il card. Jean Margéot, vescovo di Port-Louis, per le terre dell’Oceano Indiano — in tema di minacce attuali alla vita segnano una tappa fondamentale nella ricostruzione di un itinerario, anche culturale, che predisponga l’uomo contemporaneo alla conversio ad Deum e lo renda docile alla grazia e all’azione dello Spirito Santo.
2. L’intervento del card. Joseph Ratzinger
Per l’importanza oggettiva dell’intervento in relazione alla funzione del suo autore e alla straordinaria ricchezza di alcuni tratti esplicativi delle caratteristiche della modernità, mi pare utile segnalare qualche punto dell’esposizione svolta dal card. Joseph Ratzinger, mosso dall’intento di sollecitare la lettura diretta e la meditazione attenta del testo magisteriale (6).
L’insegnamento del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si articola in sei parti, dedicate rispettivamente ai fondamenti biblici dei diritti umani; alla dialettica della modernità fra l’affermazione formale di tali diritti e la loro negazione radicale sul piano pratico; alle modalità varie, pur in una sostanziale unicità di disegno complessivo, in cui si presenta oggi la guerra contro la vita; ai motivi dell’opposizione alla vita nella mentalità contemporanea; alle radici profonde del rifiuto della vita, e alle possibili risposte alla sfida del nostro tempo in un campo decisivo per le sorti dell’uomo.
Dopo aver proclamato, nella prima parte della relazione, che il fondamento della dignità dell’uomo e dei suoi diritti sta nell’immagine e nella somiglianza di Dio impresse in lui con la creazione, nonché nell’unicità dell’essere umano, per l’identità della sua origine e del suo destino, sigillata dal sacrificio compiuto da Cristo “[…] per riunire tutti nella salvezza definitiva della filiazione divina” (I, 2), il card. Joseph Ratzinger individua le radici della contraddizione moderna fra la proclamazione formale dei diritti dell’uomo e la loro pratica negazione nelle teorie illuministiche della conoscenza, con l’idea di libertà da esse implicata, e del contratto sociale, con l’idea di società che le accompagna. La ragione umana pretende con l’illuminismo di “[…] emanciparsi da ogni legame con la tradizione e con l’autorità” (II), facendo di sé stessa l’istanza suprema e definitiva del vero. La conseguenza è lo smarrimento della nozione medesima di verità, come dato oggettivo che si rivela a tutti e a ciascuno, anche attraverso la relazione con gli altri. Senza ancoraggio al verum, il bonum stesso diventa inattingibile. Di qui il pervertimento della nozione di libertà, non più “[…] vista positivamente come una tensione verso il bene, quale lo scopre la ragione aiutata dalla comunità e dalla tradizione” (ibidem), bensì come liberazione dai vari condizionamenti che impedirebbero alla ragione di dispiegare appieno le sue potenzialità. La nozione di contratto sociale, poi, proposta dagli illuministi, pretende che il fondamento della società stia nel riunirsi insieme di una moltitudine disorganica e atomistica di individui, che, per il maggiore interesse e la migliore utilità di ciascuno, deciderebbe, senza ancoraggio ad alcun valore obiettivo, quale sarebbe il fine da realizzare. Viene smarrito con ciò il reale fondamento della società, consistente nel vero, da tutti conoscibile, e nel bene, da tutti attingibile, che stanno prima del congregarsi insieme degli uomini, e che definiscono l’orizzonte dei fini a tutti comuni, cementando organicamente le volontà dei membri del corpo sociale. Un contratto, invece, che pretenda di definire di volta in volta cosa siano il vero e il bene, senza alcuna attenzione a ciò che essi sono obiettivamente, finisce per essere lo strumento di dominio dei più forti e dei più potenti sui più deboli e indifesi, nell’ambito di una dialettica in cui i diritti dell’uomo non costituiscono l’espressione giuridica della dignità ontologica e dell’uguaglianza in Dio di ciascuna persona, bensì l’attribuzione di una libertà senza limiti a coloro che sono in grado di far valere con la forza e con l’influenza sociale la loro pretesa alla maggiore utilità individuale.
Dalla delineazione delle radici filosofiche e filosofico-politiche del pervertimento dei diritti umani, il cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede trae la preziosa considerazione secondo cui il rispetto della vita non è più soltanto un problema che concerne la morale individuale — e, quindi, non deve essere trattato esclusivamente come tale —, bensì un tema che riguarda primariamente la morale sociale, essendo gli Stati, nonché le stesse organizzazioni internazionali, promotori della guerra contro la vita, tramite l’attuazione di politiche di denatalizzazione e la “legalizzazione” della pratica degli aborti (7).
Nella terza parte della relazione, il porporato, rilevata la drammatica prevalenza, sul piano politico, giuridico e sociale, delle forze che favoriscono la distruzione volontaria della vita umana, passa a elencare le varie forme in cui si estrinseca l’aggressione contro di essa. Dalla diffusione su scala sempre più larga degli aborti meccanici, alla messa a punto della pillola abortiva RU 486, alla commercializzazione di contraccettivi chimici, che agiscono come abortivi, impedendo l’annidamento nell’utero dell’ovulo fecondato, è tutto un susseguirsi implacabile e un affinarsi insidioso di tecniche volte a rendere più semplice, più deresponsabilizzante e più banalmente praticabile l’interruzione volontaria della gravidanza. I procedimenti di fecondazione in vitro, con il successivo trasferimento nell’utero dell’embrione — la cosiddetta FIVET — suppongono, poi, almeno normalmente, la soppressione degli embrioni soprannumerari, ovvero il loro utilizzo come cavie per la sperimentazione o come materia prima per la confezione di farmaci. La diagnosi prenatale viene praticata abitualmente in chiave selettiva, per eliminare sistematicamente i feti che potrebbero presentare malformazioni o malattie. Le minacce alla vita umana non cessano neanche dopo la nascita, perché da più parti vengono elaborati progetti al fine di ostacolare selettivamente la protrazione dell’esistenza degli esseri portatori di gravi handicap. Inoltre, non cessa di accrescersi il rischio che il momento della morte venga volontariamente anticipato, onde favorire il successo delle tecniche di trapianto degli organi e lo sviluppo della sperimentazione medica. L’eutanasia, infine, viene sempre più frequentemente rappresentata come una soluzione accettabile al problema del dolore e della sofferenza e non mancano proposte, in varie parti del mondo, volte a “legalizzarla”.
3. I motivi dell’opposizione alla vita e la logica della morte
Nella quarta e quinta parte della relazione, il card. Joseph Ratzinger individua, a vari livelli di profondità, i motivi dell’opposizione alla vita e del tragico successo, sul piano sociale, della logica della morte.
Una prima serie di ragioni del diffondersi di una mentalità non rispettosa del diritto alla vita trova origine nella separazione infondata fra la dimensione delle scelte etiche individuali e l’ambito delle decisioni politiche e della determinazione del contenuto precettivo delle leggi. In omaggio a un assurdo concetto di laicità della legge, inteso nel senso che sarebbe irrispettosa della libertà degli individui una qualsivoglia norma che traducesse in precetti giuridicamente vincolanti i dettami fondamentali della morale, e nel senso che la legge dovrebbe limitarsi a comporre in termini di più corposa utilità del maggior numero i conflitti di interesse fra gli individui, restando neutra di fronte ai temi di natura morale, gli Stati contemporanei hanno via via rimosso gli ostacoli giuridici all’aborto, favorendo la sua diffusione sia direttamente, attraverso la messa a disposizione di una serie di “provvidenze” per le donne che vogliano interrompere la gravidanza, sia indirettamente, attraverso la propagazione sociale di una “cultura” e di una “pedagogia” della morte invece che della vita.
Una seconda serie di ragioni che spiega il diffondersi di una mentalità di opposizione alla vita trova origine in una concezione esclusivamente soggettivistica della moralità e in un’idea puramente formale di coscienza. Essa non è più — rileva l’autorevole relatore — “la capacità di aprirsi all’appello della verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti possono e devono cercare” (IV, 2), bensì, in un’accezione di chiara ascendenza kantiana, “una mera condizione formale della moralità” (ibidem), che si rapporterebbe soltanto alla bontà dell’intenzione soggettiva.
In un tale quadro la coscienza non rappresenterebbe altro che “la soggettività elevata a criterio ultimo dell’agire” (ibidem), in una sorta di deificazione del soggetto e nella trascuranza più completa della verità dell’essere.
A un terzo livello, di più profondo spessore, che attiene all’idea stessa dell’uomo che si è andata formando nell’epoca moderna, dapprima sul terreno filosofico e poi sul campo dell’esperienza concreta di vita, va colta la radice dell’opposizione alla vita nella dialettica dell’homo duplex, lacerato in sé stesso fra la ragione tecnica calcolatrice e il corpo, visto soltanto come strumento di utilità e di piacere.
L’attacco ai legami che presuppongono un’alterità e, quindi, una relazione fra soggetti diversi, non costituisce, infatti, l’aspetto terminale dell’operazione rivoluzionaria: se la causa profonda della negazione dell’ordine del mondo sta nel fatto che quest’ordine riflette la perfezione di Dio, la Rivoluzione si determina ad aggredire, da ultimo, l’ente che in modo eminente è costituito a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo, e a volgersi contro i legami e le gerarchie che esistono in interiore homine (8).
Anche nell’uomo, come nella società, vi sono ordini e gerarchie. La ragione, come afferma Aristotele, domina in noi “con potere politico e regale”, al vertice di una struttura gerarchica che si articola nel sentimento e nell’immaginazione e, infine, nei sensi. Il primo obiettivo della Rivoluzione consiste, allora, nella rottura della concezione e della stessa struttura unitaria dell’uomo (9). Già con il Rinascimento e la Pseudo-Riforma, come ha notato Marcel De Corte, all’homo simplex aristotelico e cristiano, nel quale, in un’armonica unità, “il dualismo paolino di soma e pneuma si riassorbiva in una santità che spiritualizzava il corpo e che comunicava allo spirito una vitalità purificata” (10), si sostituisce progressivamente l’homo duplex, “caratterizzato dal dualismo e dall’irriducibile scissione di spirito e vita” (11): “qui non è più soltanto la rappresentazione teorica dell’uomo che nello scindersi in due si modifica, ma è anche l’atteggiamento concreto degli uomini che vivono e si muovono sulla scena della storia a subìre una manifesta trasformazione” (12).
Sia nella riflessione filosofica che nella vita, l’immagine armonica dell’uomo viene scardinata e alla gerarchia fondata sul primato della ragione vengono sostituite anti-gerarchie sovversive, che si articolano lungo le tre linee, talora alternative, talora cumulative, dell’ipertrofia della ragione, che schiaccia le altre potenze dell’anima, dell’ipertrofia del sentimento e dell’immaginazione, che usurpano il potere della ragione, e dell’attribuzione del primato, nell’uomo, alla componente materiale e sensibile, che porta alle teorie della Rivoluzione sessuale e alla loro pratica attuazione (13). Il principale riferimento filosofico dell’homo duplex è la filosofia di René Descartes: il dualismo inconciliabile dello spirito e del corpo nell’uomo corrisponde all’antinomia cartesiana fra res cogitans e res extensa. Ora, l’antropologia che costituisce l’orizzonte dell’uomo contemporaneo, dopo la rottura della precaria unità del sistema cartesiano e il radicalizzarsi della separazione nelle filosofie successive, esprime la dialettica lacerante fra una res cogitans impazzita, che riduce la realtà a calcolo utilitaristico della ragione calcolatrice, e una res extensa impazzita, che riduce l’uomo al corpo e questo a strumento per conseguire il piacere.
In un tale quadro riduzionistico della ricchezza ontologica dell’uomo e separatistico delle sue potenze, “il corpo appare — secondo la profonda annotazione del card. Joseph Ratzinger — […] come uno strumento al servizio di un progetto di benessere, elaborato e perseguito dalla ragione tecnica, la quale calcola come potrà trarne il profitto migliore” (V, 1). Il significato della sessualità è misconosciuto. Essa viene “de-personalizzata e strumentalizzata” (ibidem) apparendo “[…] come una semplice occasione di piacere e non più come la realizzazione del dono di sé, né come l’espressione di un amore che, nella misura in cui è vero, accoglie integralmente l’altro e si apre alla ricchezza di vita di cui è portatore, al suo bambino che sarà anche il proprio bambino” (ibidem). In tal modo “i due significati, unitivo e procreativo, dell’atto sessuale vengono separati. L’unione è impoverita, mentre la fecondità è rinviata alla sfera del calcolo razionale: “il bambino, certo. Ma quando lo voglio e come lo voglio”” (ibidem).
Il dualismo antropologico fra una ragione tecnica e un corpo oggetto nasconde completamente all’uomo il mistero dell’essere, censurando la domanda sul significato della nascita e della morte, del sorgere di un’altra persona e del suo scomparire, del venire e del dissolversi dell’io. L’esito di una simile antropologia è ultimamente l’odio dell’essere umano contro di sé, perché egli non rinviene più in sé stesso la bontà e la bellezza che Dio aveva visto nella creatura umana (14). “Al contrario, l’uomo di oggi vede in se stesso il grande distruttore del mondo, un prodotto infelice dell’evoluzione. E in realtà, l’uomo che non ha più accesso all’infinito, a Dio, è un essere contraddittorio, un prodotto fallito. Qui appare la logica del peccato: L’uomo volendo essere come Dio, cerca l’indipendenza assoluta. Per essere autosufficiente deve diventare indipendente, deve emanciparsi anche dall’amore, che è sempre grazia libera, non producibile e fattibile. Però facendosi indipendente dall’amore l’uomo si è separato dalla vera ricchezza del suo essere, è divenuto vuoto e l’opposizione contro il proprio essere diventa inevitabile. “Non è bene essere un uomo”, la logica della morte appartiene alla logica del peccato. La strada verso l’aborto, verso l’eutanasia e lo sfruttamento dei più deboli è aperta” (V, 2), “[…] la radice ultima dell’odio contro la vita umana, di tutti gli attacchi contro la vita umana è la perdita di Dio. Dove Dio scompare, scompare anche la dignità assoluta della vita umana” (ibidem).
4. “Che fare”?
Delineata la diagnosi e indicata la terapia nello sviluppo e nella testimonianza concreta di un’antropologia che presenti “l’uomo nella sua integralità personale e relazionale” (ibidem), il card. Joseph Ratzinger esamina, nell’ultima parte del suo intervento, la questione del “Che fare” (VI), almeno dal punto di vista delle possibilità connesse con la funzione del Magistero: propone al riguardo l’elaborazione di un documento magisteriale organico, che individui le “radici più profonde e denunci le conseguenze più aberranti della “mentalità di morte”” (ibidem).
Due caratteristiche originali dovrebbero contrassegnare, poi, il documento sulla difesa della vita umana rispetto ai numerosi pronunciamenti passati del Magistero. In primo luogo, dovrebbero essere svolti, oltre a rilievi di morale individuale, altresì considerazioni di morale sociale e politica. Infatti, se sono gli Stati e le organizzazioni internazionali a favorire, sia direttamente che indirettamente, la diffusione degli aborti, nonché il generalizzarsi di una mentalità di indifferenza o di disprezzo verso la vita, è di fondamentale importanza che i poteri pubblici, gli organismi e i rappresentanti politici siano richiamati alla conoscenza, al rispetto e alla pratica attuazione dei loro doveri, emanando leggi integralmente rispettose del diritto alla vita e scoraggiando con misure normative adeguate gli attentati, sotto qualunque forma condotti, alla vita umana innocente (15). Già l’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Donum vitae, del 22 febbraio 1987, approvata espressamente dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, conteneva, nella terza parte, le indicazioni fondamentali in ordine ai valori e agli obblighi morali che la legislazione civile deve rispettare e sancire in materia di tutela della vita. Occorre ora che sia messa in luce la rilevanza di questi doveri dal punto di vista della morale sociale, nella prospettiva dell’esercizio legittimo dei poteri da parte dello Stato contemporaneo. In secondo luogo, il documento immaginato dal card. Joseph Ratzinger dovrebbe distinguersi per la “[…] ripresa gioiosa dell’annuncio del valore immenso dell’uomo e di ogni uomo, per quanto povero, debole, sofferente egli sia; così come questo valore può apparire agli occhi dei filosofi, ma soprattutto così come, ci dice la Rivelazione, esso appare agli occhi di Dio” (ibidem). Se l’uomo è — nonostante lo sfiguramento operato dal plurisecolare processo della Rivoluzione — immagine di Dio, occorre mostrare come l’accoglienza dello Spirito “[…] comporti in se stessa la disponibilità generosa all’altra persona e dunque l’accoglienza di ogni vita umana a partire dal momento in cui essa si annuncia fino al momento in cui si spegne” (ibidem).
Mauro Ronco
Note:
(1) Il quarto Concistoro straordinario si è aperto giovedì 4 aprile 1991 con le parole pronunciate dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Per i testi dell’intervento pontificio, del relatore generale e dei relatori continentali, cfr. L’Osservatore Romano, 5-4-1991, comparsi con il titolo riassuntivo in prima pagina Nella lotta tra la “cultura” della morte e la civiltà dell’amore la Chiesa proclama la Vita, annuncia la Verità, indica la Via. I precedenti Concistori straordinari del presente pontificato si sono tenuti rispettivamente nel 1979, sul tema del rinnovamento della Curia Romana, del rapporto fra Chiesa e cultura e delle finanze della Santa Sede; nel 1982, ancora sul tema della riforma della Curia e delle finanze vaticane, e nel 1985, sempre sul tema della riforma della Curia.
(2) Giovanni Paolo II, Enciclica sulla permanente validità del mandato missionario Redemptoris missio, n. 34, che cita il decreto del Concilio Ecumenico Vaticano II sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, n. 6.
(3) Sulla “nuova evangelizzazione”, Papa Giovanni Paolo II precisa: “È da notare, altresì, una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche della Chiesa: ciascuna influisce sull’altra, la stimola e la aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le Chiese e orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le Chiese di antica cristianità, ad esempio, alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i non cristiani di altri Paesi e Continenti, se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa” (doc. cit., ibidem).
(4) Cfr. Gen. 1, 26.
(5) Cfr. Massimo Introvigne, Le origini della Rivoluzione sessuale, in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979: lo schema delle rivoluzioni come distruzione progressiva di legami è desunto da un intervento di Giovanni Cantoni, Sulla droga, contro la droga, conferenza inedita del 1975; cfr. anche Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(6) Tutte le citazioni senza indicazione di fonte sono tratte dall’intervento del card. Joseph Ratzinger, Il problema delle minacce alla vita umana, in L’Osservatore Romano, cit.; e il numero romano e quello arabo fra parentesi rimandano alla sua suddivisione in parti e in paragrafi.
(7) Sulla promozione, diretta e indiretta, degli aborti attraverso la legislazione, cfr. il mio L’aborto in quattro paesi dell’Europa Occidentale: legislazione e cause, in Quaderni di “Cristianità”, anno II, n. 4, primavera 1976, pp. 3-19.
(8) Cfr. M. Introvigne, art. cit.
(9) Cfr. ibidem.
(10) Marcel De Corte, Incarnazione dell’uomo. Psicologia dei costumi contemporanei, trad. it., Morcelliana, Brescia 1949, p. 20.
(11) Ibid., pp. 18-19.
(12) Ibid., p. 21.
(13) Cfr. M. Introvigne, art. cit.
(14) Cfr. Gen. 1, 31.
(15) Per una ferma condanna dei governanti e dei legislatori che tollerino o, addirittura, favoriscano la pratica degli aborti, cfr. Pio XI, Enciclica Casti connubi, del 31-12-1930, in Il matrimonio. Insegnamenti pontifici, introduzione e indici sistematici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., 2a ed. aggiornata, Edizioni Paoline, Roma 1964, p. 233: “A coloro […] che tengono il supremo governo delle nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell’autorità pubblica di difendere, con opportune leggi e con la sanzione di pene, la vita degli innocenti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno valgono a difendersi quelli la cui vita è in pericolo, e alla quale si attenta; e fra essi, certo, sono da annoverare, anzitutto, i bambini ascosi ancora nel seno materno. Che se i pubblici governanti non solo non prendono la difesa di quelle creature, ma anzi con leggi e con pubblici decreti le lascino, o piuttosto le mettano in mano dei medici o d’altri, perché le uccidano, si rammentino che Dio è giudice e vindice del sangue innocente, il quale dalla terra grida verso il cielo (cfr. Gen. 4, 10)”.