MAURO RONCO, Cristianità n. 209-210 (1992)
1. L’ardua battaglia per il riconoscimento del diritto alla vita della persona ancora non nata, ma già concepita nel grembo materno, deve essere combattuta, oltre che sul terreno medico e della formazione di una cultura di accoglienza alla vita, anche sul terreno strettamente giuridico, in vista della creazione di strumenti normativi di tutela e salvaguardia di colui che ancora non è in grado di difendersi da solo. Al proposito va osservato che il progresso della ricerca scientifica, soprattutto negli ultimi decenni, ha consentito, con sempre maggiore chiarezza, di rilevare che la medesima persona è presente al mondo, sia pure in differenti gradi di sviluppo, tanto prima che dopo la nascita (1). Purtroppo, a una più limpida visione scientifica circa il fatto dell’esistenza di una vita umana già prima della nascita, non corrisponde una più seria e matura considerazione, sul piano sociale e legislativo, del dovere dello Stato di proteggere adeguatamente la vita ancora non nata (2): va anzi rilevato che, in questi ultimi anni, lo sforzo dei politici della legislazione, dei legislatori e degli interpreti delle leggi appare sempre più orientato a erodere o a negare del tutto la tutela giuridica alla vita nascente (3). Neppure il tentativo di ancorare la protezione dell’embrione e del feto ai supremi princìpi costituzionali, che sembrano imporre il rispetto incondizionato della vita e della dignità della persona umana, appare idoneo ad arrestare la corsa indiscriminata verso la liberalizzazione dell’aborto e la manipolazione distruttrice degli embrioni residuali nelle procedure artificiali di fecondazione (4). In Italia, per la verità, la scandalosa sentenza della Corte Costituzionale n. 27, del 18 febbraio 1975, secondo cui “non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare” (5), ha aperto la strada alla tendenza abolizionista di ogni tutela. Il legislatore del 1978 ha fatto proprio questo orientamento, cancellando — con la legge n. 194 dello stesso anno, intitolata Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza — la protezione della vita nascente nei primi tre mesi della gravidanza e subordinando la tutela, nel periodo successivo, all’assenza di “indicazioni” di carattere medico, relative alla salute fisica o psichica della donna, ovvero eugenetico, relative ad anomalie o malformazioni del nascituro. Nel nostro paese, pertanto, il richiamo ai valori costituzionali e, in specie, agli articoli 31, secondo comma, e 32, primo comma, che proclamano rispettivamente la rilevanza costituzionale della maternità e della salute, lungi dal proteggere la vita ancora non nata, è servito concretamente ad aprire la strada alla liberalizzazione dell’aborto, nonché a paralizzare i tentativi successivi di introdurre una qualche limitazione giuridica alla sua praticabilità (6).
2. Ma anche nei paesi in cui l’ancoraggio costituzionale è servito, in tempi passati — anche se non lontanissimi —, a radicare l’esistenza di una legislazione restrittiva — mi riferisco in particolare alla normativa della Repubblica Federale di Germania che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale Federale del 25 febbraio 1975, consentiva l’interruzione volontaria della gravidanza soltanto nel caso in cui ricorressero “indicazioni” di tipo medico, eugenetico e sociale, oggetto di un previo accertamento —, la bufera abortistica ha ormai superato gli argini insicuri che la resistenza dispiegata in passato era riuscita a erigere (7). Infatti, il 26 giugno 1992 il Bundestag, il Parlamento Federale della Germania unificata, ha introdotto una nuova legislazione sull’aborto, assai più permissiva di quella fino ad allora vigente nella Germania Occidentale, che assomiglia per alcuni versi alla normativa italiana. Al sistema che prevedeva in via generale la punibilità dell’aborto, temperato dalle “indicazioni”, che escludevano la sottoposizione a pena, è stato sostituito il “meccanismo del termine con obbligo di consultazione”, Fristenregelung mit Beratungspflicht. In parole più semplici può dirsi che, a tenore della legislazione attuale l’aborto costituisce reato (paragrafo 218 del Codice Penale), a meno che la donna lo richieda nelle prime dodici settimane della gravidanza, abbia esperito una procedura di consultazione — svolta presso i centri riconosciuti dalla legge — e l’intervento sia praticato da un medico (paragrafo 218 a). Va notato che la procedura di consultazione (8) è espressamente intesa a offrire consiglio e aiuto alla donna in vista a. della protezione della vita del nascituro; b. dell’assunzione di una decisione di “coscienza” da parte dell’interessata; c. della fornitura di una completa informazione sul piano medico, sociale e giuridico, in relazione soprattutto agli aiuti pratici, che potrebbero rendere più facile la prosecuzione della gravidanza e la condizione della madre e del bambino, e ai mezzi per evitare future gravidanze indesiderate (paragrafo 219) (9).
Va tuttavia osservato che la Corte Costituzionale Tedesca ha sospeso, il 5 agosto 1992, l’entrata in vigore della normativa sull’aborto prevista per la mezzanotte dello stesso giorno. Ciò è avvenuto a seguito del ricorso contro la legge presentato dal Governo regionale della Baviera e da 247 deputati federali appartenenti alla CDU, l’Unione Cristiano-Democratica, e alla CSU, l’Unione Cristiano Sociale (10).
La polemica innescata in Germania dalle varie proposte di modifica del precedente paragrafo 218 e dal voto parlamentare ha suscitato un dibattito assai interessante, oltre che in relazione a singoli problemi giuridici, soprattutto in relazione al precisarsi e all’approfondirsi delle posizioni degli studiosi di diritto e delle forze politiche in ordine al problema di fondo, riguardante l’ampiezza e l’oggettività della tutela della persona concepita, ma non ancora nata (11).
Dal punto di vista degli orientamenti di politica legislativa, manifestati dai partiti più significativi a livello nazionale, è corretta l’osservazione di Bernward Büchner, presidente dell’Unione dei Giuristi per il Diritto alla Vita: invero, nonostante i riconoscimenti labiali, per cui l’uccisione della vita umana nascente dovrebbe essere considerata come un fatto di carattere antigiuridico, va invece emergendo un consenso sempre più ampio a considerare come “non antigiuridico” e, dunque, come giuridicamente permesso, l’aborto volontario, sì da offrirlo alle richiedenti alla stregua di una prestazione sanitaria a carico del bilancio pubblico. In tal modo, il motto che risuona sulle bocche di tutti: “aiutare invece di punire” occulterebbe, secondo Bernward Büchner, il vero scopo della riforma, consistente nell’“aiutare invece di vietare” o, più esattamente ancora, nel “permettere e aiutare” (12). Tutto ciò in un ordinamento come quello tedesco, in cui il legislatore del 1976 — intervenendo dopo la pronuncia della Corte Federale Costituzionale, che aveva proclamato il dovere dello Stato di proteggere anche con sanzioni penali il diritto alla vita nascente — aveva limitato al massimo possibile la previsione della pena, introducendo la distinzione, assai problematica e incerta sul piano giuridico, tra l’ingiustizia punibile e l’ingiustizia non punibile, al fine di “salvare” il principio — “l’aborto volontario è una ingiustizia” —, ma di salvaguardare nello stesso tempo l’imperativo della ragion pratica dello Stato secolarizzato — “non si può sottoporre a pena la donna che volontariamente decide di interrompere la gravidanza”. Dunque, il tentativo legislativo, compiuto nella Repubblica Federale di Germania intorno alla metà degli anni Settanta, di garantire contraddittoriamente tanto il diritto alla vita nascente, quanto la non punibilità della donna che volontariamente si decide ad abortire, si è infranto contro la pretesa delle forze politiche, sostenute da una intensa opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di riconoscere alla donna un vero e proprio “diritto” all’aborto (13).
3. Dal punto di vista delle questioni di principio, il dibattito che si svolge attualmente in Germania merita di essere attentamente seguito sotto due distinti profili: a. anzitutto, per il riemergere, a livello filosofico e giuridico, di opinioni che negano radicalmente il diritto alla vita prima della nascita; b. in secondo luogo, per la contraddittoria, generalizzata e sempre più incontestata convinzione, anche presso coloro che riconoscono all’embrione e al feto il diritto alla vita, secondo cui la protezione dell’ordinamento giuridico a favore della persona ancora non nata non potrebbe spingersi fino al punto di sottoporre a sanzione tutti coloro che consentono o contribuiscono a spegnere la vita.
Il giurista può opportunamente assumere come schema di riferimento la sentenza del 25 febbraio 1975 della Corte Federale Costituzionale tedesca, poiché essa espone con chiarezza la tesi circa l’esistenza di un dovere giuridico dello Stato di proteggere la vita ancora non nata (14).
In punto di fatto, tale sentenza sottolinea le caratteristiche del processo di sviluppo dell’individuo umano, il cui inizio viene individuato con l’annidamento dell’ovulo fecondato e che non presenta soluzioni di continuità, così da non consentire precise distinzioni tra i vari gradi dello sviluppo. Inoltre, la fenomenologia della coscienza, specifica dell’uomo, appare ben dopo la nascita e non raramente scompare anche prima della fine della vita biologica, sì che non sarebbe scientificamente corretto escludere la protezione giuridica della vita non ancora nata sul presupposto dell’assenza dei fenomeni coscienziali. Assumendo come doverosa la tutela normativa della persona soltanto con l’apparire di tali fenomeni, tutti coloro che non sono ancora o non sono più capaci di una vita cosciente perderebbero il diritto alla protezione dello Stato e sarebbero esposti all’arbitrio del più forte. Tenendo in evidenza i punti sopra indicati, la sentenza costituzionale proclama la parificazione dello status dell’uomo prima e dopo la nascita, in modo che il diritto alla vita della persona prima di tale evento non potrebbe soccombere in alcun caso, pur a fronte di altri beni giuridici: meritevoli sì di tutela, ma non fino al punto di mettere nel nulla il bene della vita innocente.
Negli ultimi anni la tesi esposta, che costituisce l’ardua conferma razionale, sul terreno filosofico, scientifico e giuridico, della verità, tradizionalmente accolta nella cultura occidentale, in ordine all’intangibilità della vita prenatale, è stata rimessa in discussione, con l’argomento che il diritto alla vita potrebbe essere riconosciuto soltanto a un’essenza dotata di ragione e di autocoscienza.
L’interesse alla prosecuzione della vita sorgerebbe soltanto con il verificarsi di tali condizioni; l’interesse sarebbe carente nel feto e nell’infante appena nato. Alcuni sostenitori della tesi esposta riconoscono, con estrema conseguenzialità, il sorgere del diritto alla vita soltanto un mese dopo la nascita, mentre altri, per motivi pragmatistici e, soprattutto, per la difficile apprezzabilità del significato del termine nella coscienza popolare, continuano a individuare nella nascita il termine a quo della protezione giuridica. Secondo Norbert Hoerster, che ha sviluppato la tematica in questione sul piano giuridico, l’idea della tutela normativa del feto non troverebbe giustificazione né con il riferimento alla sua appartenenza alla specie umana, né con il riferimento alla sua potenzialità di diventare un uomo. In verità, l’unica spiegazione della pretesa di parificare la vita non nata a quella già nata starebbe nel dogma teologico della creazione dell’uomo da parte di Dio. Tale dogma non potrebbe essere posto alla base dell’ordinamento giuridico dello Stato secolarizzato in cui vivono le società contemporanee, sì che la vita nascente non meriterebbe di essere tutelata giuridicamente. D’altra parte — continua implacabilmente Norbert Hoerster —, se i sostenitori della tesi che postula la protezione giuridica del feto fossero veramente coerenti, non dovrebbero accettare come legittima nessuna “indicazione” all’aborto diversa dall’indicazione medica intesa in senso stretto (15).
Va riconosciuto a Norbert Hoerster il merito di avere affrontato il complesso problema del diritto alla vita senza occultarne alcuno degli aspetti, merito che spesso non può essere riconosciuto ai difensori e ai sostenitori del diritto stesso.
Va detto, anzitutto, che appare vero quanto sostiene Norbert Hoerster, sia pure in modo improprio e fuorviante: lo Stato secolarizzato, sia in punto di fatto che di diritto, non è in grado di fornire un’autentica protezione dei diritti fondamentali della persona e, in particolare, del diritto che tutti li fonda e presuppone, ossia del diritto alla vita.
Merita, poi, un esame approfondito il nucleo centrale del ragionamento di Norbert Hoerster, secondo cui l’idea della tutela della vita prenatale riposa esclusivamente sul dogma della creazione divina dell’uomo.
Con maggior precisione deve sottolinearsi che tale idea riposa sull’intuizione dell’evidenza esistenziale che la vita è una realtà che non si esaurisce nei processi fisiopsichici di colui che la possiede, ma, trascendendoli incommensurabilmente, postula un valore più grande rispetto a quello sperimentabile sul piano naturalistico. La vita non è un qualcosa che qualcuno si dà ovvero un qualcosa che qualcuno dà ad altri sulla base di un calcolo di convenienza, ma un dono che presuppone e rinvia a un donatore misterioso in vista di un progetto pure misterioso (16). Per questa trascendenza rispetto alla realtà fisiopsichica, la vita umana innocente deve essere rispettata come un qualcosa di sacro, indipendentemente dallo stadio in cui si trova, dalle condizioni di salute, dalle aspettative di successo ovvero dal valore di convenienza a essa socialmente ascrivibile.
Il dogma della creazione, richiamato da Norbert Hoerster, è la conferma, dal punto di vista della fede, della verità, esistenzialmente scoperta e filosoficamente argomentata, della trascendenza dell’uomo all’uomo stesso. L’approfondimento scientifico, consentendo di conoscere fin dalla sua origine il mirabile processo di formazione dell’uomo nel grembo materno, ha recato preziosi elementi di conferma all’idea intuitiva circa la sacralità della vita fin dall’inizio: dal fiat originario alla nascita e poi all’autocoscienza non interviene alcuna discontinuità essenziale che giustifichi un diverso giudizio sul “valore” del frutto del concepimento.
Dunque, non è tanto la fede nella creazione divina che postula la tutela giuridica, quanto la realtà della trascendenza dell’uomo a sé stesso — confermata estrinsecamente dalla fede nella creazione divina —, che impone di proteggere la vita incondizionatamente sin dalla sua origine nel grembo materno.
Se l’uomo non è trascendente a sé stesso, possedendo una dignità diversa e superiore all’utilità misurata dall’interesse individuale a continuare nel vivere, è ovvio che nessuna tutela può essere apprestata a favore di coloro che ancora non sono portatori coscienti del predetto interesse alla vita.
In questa logica, appare estremamente sintomatica l’osservazione di Norbert Hoerster, secondo cui può essere considerato persona soltanto colui che possiede un proprio interesse alla prosecuzione della vita (17): interesse che non posseggono né il feto né l’infante appena nato. L’idea cardine del diritto secolarizzato è quella di interesse; il criterio di esistenza dell’interesse è la sua azionabilità: ove non vi è interesse azionabile, in modo diretto o indiretto, lì non vi è diritto. Lo Stato non avrebbe alcuna funzione di custode e di promotore della giustizia; come semplice regolatore del sistema degli interessi azionabili in tanto si determinerebbe alla protezione di un bene, in quanto, nel calcolo comparato dei costi e dei benefici, ciò ridondasse in una maggiore utilità sociale.
Lo Stato secolarizzato, volendo fondare l’ordinamento giuridico esclusivamente sul calcolo degli interessi mondanamente immanenti degli uomini, è costretto a togliere ogni fondamento oggettivo al diritto e a riconoscere come giusto o ingiusto soltanto ciò che trova sostegno o contrasto nell’interesse attuale di coloro che, convenzionalmente, sono ritenuti partecipi del patto sociale utilitaristicamente stipulato per la convenienza di tutti.
Per questi motivi l’ordinamento secolarizzato, che pure è mosso nelle sue dinamiche più profonde dall’odio contro Dio, si costruisce nella realtà contro l’uomo, perché le sue strutture, le sue norme e i suoi fini non tengono conto della realtà integrale della persona, essere composto di anima e di corpo, che vive sulla terra, ma ha inscritto in sé stesso un destino eterno.
La “legittimazione” dell’aborto, come segno di una terrestrità irrimediabile dell’uomo, è uno dei passaggi finali obbligati dello Stato secolarizzato, sì che non può darsi realmente un efficace impegno giuridico e sociale contro l’aborto che non sia al contempo guerra contro lo Stato secolarizzato.
Le considerazioni svolte consentono di comprendere le ragioni per cui, paradossalmente, Norbert Hoerster non è in torto su un altro punto delle sue argomentazioni. Invero, la ragione della tutela del concepito ha radici talmente profonde che ogni sua limitazione, anche per i motivi in apparenza più plausibili, finisce con il metterne in crisi il fondamento, significando e comportando la negazione dell’assolutezza e dell’incondizionatezza del diritto. Ogni cedimento parziale, perciò, anticipa e implica necessariamente cedimenti successivi sempre crescenti fino alla negazione teorica dello stesso principio.
Vero è che la mentalità contemporanea, anche quando si induca a riconoscere l’esistenza del diritto alla vita prenatale, non sopporta assolutamente l’idea che vada sottoposto a sanzione chiunque consenta o contribuisca a spegnerla. Ciò costituisce l’avvelenato frutto della penetrazione nella mentalità comune di un soggettivismo radicale, in forza del quale, anche quando si sia disposti a riconoscere l’esistenza di un diritto altrui, non ci si piega a considerarlo oggettivamente intangibile, anche a costo della rinuncia a diritti ge-rarchicamente inferiori al primo, ovvero alle semplici aspettative individuali di utilità o di comodità. La mentalità soggettivistica, anche benevolmente orientata, vorrebbe trovare un compromesso tra la ragione teorica e la ragione pratica, in modo che quest’ultima potesse decidere autonomamente in caso di conflitto. Il rifiuto del fondamento oggettivo del diritto, espresso sul piano teorico, rifluisce tragicamente, sul terreno pratico, nell’affermazione conclusiva della prevalenza dell’arbitrio individuale. Per il soggettivismo, in realtà, l’autonomia della coscienza è il valore supremo (18), di fronte a cui il vero e il bene meritano di soccombere.
In una situazione di tal genere, riaffiora prepotentemente l’esigenza di fornire una tutela normativa, anche con sanzioni penali, alla vita del concepito. Quanto più il soggettivismo mostra di voler prescindere dalle ragioni oggettive che impongono la parificazione della persona concepita a quella già nata, tanto più la sconfitta dell’arbitrio individuale passa attraverso la riaffermazione, concreta e positiva, della vigenza assoluta del principio oggettivo di giustizia. La mentalità soggettivistica si alimenta, invero, dell’indifferentismo normativo, che viene a costituire il segno esteriore dell’impronunciabilità sociale e pubblica di giudizi aventi fondamento oggettivo ed efficacia ineludibile nei confronti di tutti. Una rinnovata volontà di rispettare il diritto alla vita postula, tutto al contrario, il presidio giuridico costituito dalla sanzione punitiva: segno esteriore della pronunciabilità, con rilevanza sociale e pubblica, di giudizi oggettivi di valore.
Mauro Ronco
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(1) Per tutti cfr., da ultimo, Jérôme Lejeune, L’embrione segno di contraddizione. Dai verbali del processo di Maryville, con una prefazione del card. Fiorenzo Angelini, trad. it., Edizioni Orizzonte Medico, Roma 1992, passim e soprattutto pp. 27-86, ove è riportata la testimonianza dell’illustre genetista francese, al processo di Maryville, concernente la questione della natura umana di sette embrioni congelati.
(2) Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II non si stanca di ammonire i pubblici poteri in ordine al dovere di rendere vigente “una legislazione coerente con le esigenze inviolabili della persona umana”, che aiuti “i cittadini a riconoscere il valore della vita e a rispettarlo” (Discorso ai partecipanti al Convegno Al servizio della vita umana promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, del 16-4-1989, n. 6, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XII, 1, p. 836). Da ultimo, nel messaggio inviato al Congresso Mondiale per la Vita, apertosi a Bratislava il 28 maggio 1992, il Papa, tramite una lettera a firma del Cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano, ha, tra l’altro, affermato: “La Chiesa, tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a proclamare in modo convincente il “Vangelo della vita” e a lavorare […] per un cambiamento di direzione nelle politiche pubbliche che sanzionano un vera e propria “strage degli innocenti” su scala mondiale” (L’Osservatore Romano, 31-5-1992).
(3) Sul punto cfr. Alfredo Mantovano, Aborto anno undecimo: dal “caso Mangiagalli” a “Provvedimenti in difesa della maternità”, in Cristianità, anno XVIII, n. 177, gennaio 1990. Ivi è riferita l’unica eccezione alla tendenza permissiva, costituita dalla presentazione della Proposta di legge d’iniziativa dei deputati Poli Bortone e altri, in data 9-2-1989, Provvedimenti in favore della maternità, in Atti Parlamentari, X legislatura, Camera dei Deputati, n. 3632.
(4) Per l’esame delle più importanti pronunce dei giudici costituzionali nei vari paesi, cfr. L’aborto nelle sentenze delle Corti Costituzionali. USA, Austria, Francia e Repubblica Federale Tedesca, Giuffrè, Milano 1976. Per l’esame approfondito dell’intera problematica costituzionale, cfr. Hans Reis, Das Lebensrecht des ungeborenen Kindes als Verfassungsproblem [Il diritto alla vita del bambino non nato come problema costituzionale], J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tubinga 1984, nonché il mio L’aborto in quattro paesi dell’Europa Occidentale: legislazione e cause, in Quaderni di “Cristianità”, anno II, n. 4, primavera 1986, pp. 3-19.
(5) Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, Sentenza 18 Febbraio 1975, n. 27, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, anno 1975, n. 55 del 26 febbraio, ed. speciale; cfr. anche Giurisprudenza Costituzionale, 1975, pp. 117-120.
(6) Cfr. A. Mantovano, Aborto, difesa della vita e Costituzione, in Cristianità, anno XV, n. 151, novembre 1987.
(7) Cfr. la sentenza del Tribunale Federale Costituzionale tedesco in L’aborto nelle sentenze delle Corti Costituzionali. USA, Austria, Francia e Repubblica Federale Tedesca, cit., pp. 179-313.
(8) Il paragrafo 219 così espressamente statuisce: “La consultazione serve alla protezione della vita mediante il consiglio e l’aiuto alla donna incinta sulla base del riconoscimento dell’alto valore della vita prima della nascita e della responsabilità propria della donna. La consultazione deve contribuire a risolvere la situazione di necessità e di conflitto che è sorta in connessione con la gravidanza. Essa deve mettere la donna in condizione di assumere una propria decisione di coscienza. Compito della consultazione è la completa informazione della donna dal punto di vista medico, sociale e giuridico. La consultazione comprende la descrizione delle esigenze giuridiche della madre e del bimbo e dei possibili aiuti pratici, specialmente di quelli che rendono più facile la prosecuzione della gravidanza e la condizione della madre e del bimbo. La consultazione contribuisce anche a evitare future gravidanze indesiderate”.
(9) Cfr. L’Osservatore Romano, 6-8-1992.
(10) È interessante osservare che l’opportunità di modificare la legislazione sull’aborto in Germania è stata provocata dalla differenza tra la normativa della Repubblica Federale di Germania e della ex DDR, la Repubblica Democratica Tedesca. Mentre, al momento dell’unificazione, tutta la legislazione, sul territorio orientale, si uniformò a quella vigente nella Germania Occidentale, venne fatta eccezione per la normativa sull’aborto, sì che, nel territorio orientale, è continuata la vigenza, fino al 26 giugno 1992, della normativa totalmente permissiva dell’ex DDR. L’articolo 31 IV del Trattato di Riunificazione, in relazione al problema della disciplina dell’aborto nella Germania riunificata, si limitava a esprimere l’auspicio che la legislazione garantisse meglio la vita nascente e la soluzione delle situazioni di conflitto delle donne gravide, dando la priorità alla procedure di consultazione e agli altri aiuti sociali.
È interessante altresì ricordare lo schieramento delle forze politiche tedesche al momento del voto sulla nuova legislazione il 26 giugno. Il progetto approvato era stato presentato da deputati di tutti i gruppi parlamentari, ivi compresi alcuni deputati della CDU.
Il progetto è stato approvato con 357 voti favorevoli e 284 voti contrari. Tra i 357 voti favorevoli vanno ricordati 32 voti di deputati della CDU, nonché della quasi totalità dei deputati della SDP, il Partito Socialdemocratico, della FDP, il Partito Liberaldemocratico, della PDS, il Partito del Socialismo Democratico costituito dagli ex comunisti, dell’Alleanza 1990, che raccoglie radicali e Verdi orientali. Fra i contrari, oltre alla quasi totalità dei deputati della CSU e della grande maggioranza dei deputati della CDU, vanno ricordati 2 deputati socialisti, 3 deputati liberali, due deputati della PDS e 1 deputato indipendente. Si sono astenuti 7 deputati cristiano-democratici e cristiano-sociali, 3 deputati socialisti, 1 deputato liberale, 3 deputati democratici della sinistra, 2 deputati dell’Alleanza 1990.
È altresì interessante esaminare come si siano schierate le forze politiche, nella stessa giornata del 26 giugno, sugli altri progetti di legge in tema di aborto, pure sottoposti al voto. Il progetto di legge della PDS, che prevedeva la semplice cancellazione del paragrafo 218, è stato respinto con 17 voti favorevoli, 634 contrari e 6 astensioni. Il progetto di legge dell’Alleanza 1990, che prevedeva la cancellazione di ogni termine per la legalizzazione dell’aborto, è stato ugualmente bocciato con soli 17 voti favorevoli. Il progetto di legge più restrittivo del cosiddetto Gruppo Werner, che ammetteva soltanto l’indicazione medica per escludere la punibilità dell’aborto, è stato bocciato con 104 voti favorevoli di deputati cristiano-democratici e cristiano-sociali e di un deputato liberale; contrari 495 deputati e 57 astenuti. Il progetto della FDP, assai simile a quello approvato, è stato respinto con i soli voti favorevoli di 75 deputati liberali, 577 voti contrari e 4 astensioni. Il progetto di legge della SDP, che prevedeva la liberalizzazione dell’aborto nelle prime 12 settimane — così come il progetto poi approvato —, con esclusione dell’obbligo di consultazione in vista della tutela della vita del concepito, ha ricevuto 237 voti favorevoli di deputati socialisti, mentre 405 deputati hanno votato contro e 16 si sono astenuti. Il progetto di legge della CDU e della CSU, che prevedeva l’ammissibilità dell’aborto nel caso di indicazione psicosociale, ha ricevuto 272 voti favorevoli da deputati dei partiti proponenti, nonché il voto di un socialista e di 2 liberali. Contrari 370 deputati, fra cui 33 cristiano-democratici, 16 gli astenuti.
Tutte le notizie riferite sono tratte dai quotidiani Die Welt, del 27-6-1992, e Frankfurter Allgemeine, del 27/28-6-1992.
(11) Sul dibattito in corso, cfr. Albin Eser, Schwangerschaftsabbruch zwischen Grundwertorientierung und Strafrecht. Eine rechtspolitische Überlegungsskizze [Aborto tra orientamento sui fondamenti di valore e diritto penale. Uno schizzo di riflessione politica del diritto], in Zeitschrift für Rechtspolitik, 1991, pp. 291-298; Margot v. Renesse, §§ 218. s. StGB — eine unvollkommene Antwort auf ein unlösbares Problem. Rechtsdogmatische Überlegungen zur Reform des Schawangerschaftsabbruchrechts [§§ 218 e seguente del Codice Penale — una risposta imperfetta a un problema insolubile. Riflessioni di dogmatica del diritto sulla riforma del diritto sull’aborto], ibid., 1991, pp. 321-325; e Bernd Schünemann, Quo vadis § 218 StGB? [Quo vadis § 218 del Codice Penale?], ibid., pp. 379-392; Bernward Büchner, Kein Rechtsschutz für ungeborene Kinder? Zur Neuregelung des Abtreibungsstrafrechts [Nessuna protezione per i bambini non nati? Sulla nuova normantiva del diritto penale dell’aborto], ibid., pp. 431-435.
(12) Cfr. B. Büchner, art. cit., p. 431.
(13) La polemica filo-abortistica si associa sempre più di frequente con un violento anticattolicismo. Cfr. al proposito l’articolo del direttore di Der Spiegel, Rudolf Augstein, Widerstand ist Pflicht [Opposizione è dovere], in Der Spiegel, n. 22, 25-5-1992, ove si può leggere: “Qui si tratta, dopo tutte le conoscenze nel frattempo acquisite, di una questione di coscienza. Nel nostro paese la Chiesa del Papa è la più alta istanza nelle questioni di coscienza? Essa lo dà ad intendere, sebbene per centinaia d’anni sia stata un covo di vizi e di delitti. Indirettamente essa continua sempre a uccidere con il suo divieto dei mezzi anticoncezionali negli Stati contrassegnati dalla fame e dalla siccità. Che ne sa la Chiesa cattolica della problematica dell’aborto? Tanto quanto noi, se non di meno, perché non è proprio una Chiesa delle donne. Ha un mandato per il suo intervento? Non si saprebbe da chi. Il preteso fondatore della sua dottrina di fede, l’ebreo Gesù “Figlio dell’Uomo” non sembra essersi espresso sull’aborto. Egli non ha neppure conferito a Pietro alcun potere delle chiavi; tali chiavi la Chiesa le ha ottenute con l’inganno. Sull’aborto non vi è alcuna parola nelle Scritture. In passato non è mai stato sollevato un problema specificamente cristiano. Nella misura in cui il nostro sguardo si spinge a ritroso, vediamo che l’aborto era un mezzo per tenere disciplinate le donne, e, al più, una leva per la politica demografica. Le donne, cui l’aborto propriamente interessava, rimanevano ai margini”. Nello stesso numero di Der Spiegel, cfr. anche l’intervista con l’ex giudice costituzionale Helmut Simon, “Strafrecht wird zum Selbstzweck” [Il diritto penale diventa scopo a sé stesso]. Per rendersi conto della forte campagna filo-abortistica imperversante in Germania dall’epoca della riunificazione, cfr. Der Spiegel, n. 39, 23-9-1991, titolato in copertina Die Abtreibungs-Pille. Verboten für deutsche Frauen [La pillola per l’aborto. Divieti per donne tedesche].
(14) Cfr. il testo completo della sentenza tedesca in L’aborto nelle sentenze delle Corti Costituzionali. USA, Austria, Francia e Repubblica Federale Tedesca, cit.
(15) Cfr. Norbert Hoerster, Die unbegründete Unverfügbarkeit ungeborenen menschlichen Lebens [La mancanza di fondamento della tesi circa l’indisponibilità della vita umana prenatale], in Juristen Zeitung (JZ), 1991, pp. 503-505; e Idem, Haben Föten ein Lebensinteresse? [I feti hanno un interesse alla vita?], in Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, 1991, pp. 385-395.
(16) Cfr. precise indicazioni sul punto in Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su: Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione. Risposte ad alcune questioni di attualità “Donum vitae”, del 22-2-1987.
(17) Cfr. N. Hoerster, articoli cit.
(18) Cfr. card. Joseph Ratzinger, Il problema delle minacce alla vita umana, relazione generale al quarto Concistoro straordinario, del 4-4-l991, in L’Osservatore Romano, 5-4-1991; e, a esposizione e a commento, il mio La Chiesa nella lotta fra la “cultura” della morte e la civiltà dell’amore, in Cristianità, anno XIX, n. 193-194, maggio-giugno 1991.