MAURO RONCO, Cristianità n. 295-296 (1999)
1. La crescente diffusione dell’uso delle droghe
L’EMCDDA — European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction —, l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, presentando a Berlino il 22 novembre 1999 il rapporto annuale, ha rivelato che la diffusione delle droghe è cresciuta in modo inquietante nell’intero continente europeo (1). L’aumento del consumo viene segnalato con riferimento a tutti i tipi di droghe e in quasi tutti i paesi. Prosegue in modo allarmante la tendenza di crescita per l’uso degli oppiacei; in aumento è il consumo della cocaina, delle anfetamine e degli alcolici; la diffusione della cannabis si è ormai stabilizzata su livelli altissimi, tanto che si calcola sia stata sperimentata da almeno 40 milioni di persone. Inoltre ha preso grande rilievo l’assunzione di nuove droghe di tipo sintetico, fra cui principalmente l’ecstasy, che, soprattutto in Italia, conosce in questo periodo una triste popolarità.
Sul versante degli effetti devastanti sulla salute, l’Osservatorio ha segnalato che il numero di eroinomani nell’Unione Europea è ormai di circa un milione e 500 mila su una popolazione di 357 milioni, con la tracimazione dell’eroina dalle metropoli e dalle aeree urbane alle piccole città e alle zone rurali, nonché dalle fasce sociali emarginate agli ambienti economicamente integrati. Attualmente circa 300 mila persone sono in “terapia” con il metadone e il numero dei malati di AIDS resta a livelli molto elevati. Nel quadro generalmente desolante spicca negativamente la situazione italiana, che si contraddistingue per il primato europeo nel consumo di eroina, al punto che sono attualmente vittime di tale droga in Italia otto persone su mille nella fascia di età compresa fra i 15 e i 54 anni, a fronte — per esempio — di tre su mille in Germania. Anche per quanto riguarda i malati di AIDS, l’Italia è fra i paesi maggiormente colpiti, essendo percentualmente terza nella classifica europea.
2. La rivoluzione drogastica
Riepilogati rapidamente i dati, non è inutile svolgere qualche riflessione allo scopo di valutare quanto è stato compiuto negli ultimi trent’anni a livello culturale, educativo e legislativo contro la diffusione — o, sventuratamente, a favore — delle droghe, nonché di predisporre più valide difese nel futuro.
La prima considerazione, che scaturisce dalla semplice osservazione degli elementi quantitativi, concerne l’esattezza e la puntualità della tesi di quanti, agli albori degli anni 1970, vedevano nell’esplosione drogastica un aspetto particolare di una più vasta e onnipervadente ondata rivoluzionaria, individuata, in connessione logica e cronologica con le precedenti fasi del sovvertimento dell’ordine naturale e cristiano, come IV Rivoluzione (2).
La nota dominante di tale fase rivoluzionaria, che viene logicamente, e anche cronologicamente, dopo le fasi religiosa, politica ed economica, è costituita dall’aggressione diretta contro l’uomo, non più radicato nelle convinzioni religiose e isolato dal tessuto connettivo delle molteplici relazioni familiari, professionali, sociali e politiche. In particolare, attraverso il consumo delle droghe, come con le altre forme di dipendenza provocate dall’eccessiva esposizione agli stimoli indotti per la soddisfazione dei sensi, si realizza via via una destrutturazione della personalità, con lo sconvolgimento dell’ordine fra le diverse potenze dell’anima, l’annientamento della ragione e il prosciugamento della volontà, resa imbelle di fronte alle sollecitazioni sensoriali.
Rivoluzione drogastica e rivoluzione sessuale sono i due itinerari privilegiati lungo i quali si è consumata l’opera di destrutturazione (3). Nel 1968 i popoli assistettero sgomenti alla dichiarazione di guerra della cultura relativista contro l’uomo e il suo equilibrio interiore. Oggi si raccolgono nel dolore per le morti precoci e nella sofferenza per le malattie incurabili i frutti avvelenati di una guerra che la società occidentale, per la soverchiante presenza in essa di una cultura di morte (4), non ha saputo combattere. La diffusione delle droghe, come il dilagare della pornografia, sono sintomi evidenti di una malattia del corpo sociale che va curata alle radici, agendo con serietà e costanza contro le cause del male, che sono il rifiuto orgoglioso di Dio e della sua legge, lo svilimento della ragione e la disgregazione della volontà sotto l’ipertrofica dilatazione della sensualità.
3. In regime di libertinismo
Alla prima considerazione, che evidenzia la gravità della malattia e mette in guardia dall’ingenua presunzione che siano possibili soluzioni di corto respiro all’immane problema delle droghe, va aggiunto il rilievo circa il determinante contributo causale recato all’accrescimento della domanda di droghe dagli agenti culturali e politici della sovversione rivoluzionaria.
Sul piano culturale, è diventata patrimonio di troppi, sotto la pressione massmediatica del relativismo e del libertinismo, l’idea che la libertà dell’uomo debba essere assoluta, e non correlata al bene individuale e comune: la vita, la salute, la dignità, la fedeltà, l’onore, la laboriosità, la solidarietà sarebbero optional che ciascuno potrebbe scegliere nel libero mercato dei “valori”, dopo aver provato qualsivoglia esperienza, ma non princìpi cogenti che costituiscono, sin dall’educazione familiare e dall’insegnamento scolastico, le linee maestre di una vita orientata al compimento della vocazione universale al vero, al buono e al bello.
Sul piano politico e sociale la legge e le prassi amministrative sono state deviate dal diritto e dal giusto e piegate a un utilitarismo libertino che produce frutti di morte, di malessere, di trivialità, di menzogna, di neghittosità, di disprezzo e di disinteresse per gli altri.
Gli attori della rivoluzione del 1968, ormai al potere, divenuti sostenitori della libertà selvaggia anche sul piano economico, intronizzano nelle leggi e nei comportamenti pratici l’idea che la libertà negativa — di fare quanto a ciascuno più aggrada per la soddisfazione di sé — è l’unico criterio direttivo della politica sociale.
Sul terreno del controllo giuridico degli stupefacenti, siffatte convinzioni sono ormai divenute criteri direttivi di azione politica. La normativa introdotta con la legge 30 giugno 1990, n. 162, intesa a dare un segnale forte di lotta contro le droghe e soprattutto a favorire il recupero dei tossicodipendenti a una vita sociale normale, è stata smantellata con il referendum abrogativo, sostenuto dalle principali forze politiche ora al potere, celebrato il 18 aprile 1993, i cui risultati sono stati recepiti con il D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, che, all’art. 1, ha sancito l’abrogazione di una serie di articoli della normativa approvata nel 1990, che vietavano l’uso e la detenzione delle droghe e prevedevano un sistema indirettamente coattivo volto al ricupero sociale dei tossicodipendenti (5). L’uso e la detenzione delle droghe, vietati dalla normativa del 1990, sono ora completamente permessi e l’articolato sistema previsto dal legislatore a quell’epoca, onde sollecitare il tossicodipendente a liberarsi dalla sua malattia, è stato reso vano dal riconoscimento della “liceità” dell’uso degli stupefacenti.
Per quanto riguarda il profilo relativo alla valutazione dello stato di tossicodipendenza e del consumo abituale delle droghe, si sta assistendo al trapasso, veramente epocale, dallo sforzo teso al ricupero del tossicodipendente, sul presupposto della rinuncia all’uso della sostanza velenosa, alla pratica attuazione della teoria della “riduzione del danno”, che postula la convivenza del soggetto con l’uso abituale degli stupefacenti e si preoccupa esclusivamente di contenerne le crisi acute, somministrando come “medicamenti” sostanze ugualmente velenose, anche se contenenti princìpi attivi meno intensi. A questa stregua, la somministrazione del metadone, visto all’origine come temporaneo rimedio a una situazione di crisi da risolversi comunque mediante l’abbandono della sostanza, sta diventando modello generale di una convivenza con le droghe predicata come accettabile conseguenza di una scelta di libertà del soggetto.
4. Verso un permissivismo maggiore
In questo quadro assumono particolare gravità le dichiarazioni rese dal presidente del Consiglio dei Ministri, on. Massimo D’Alema, il 29 novembre 1999 in Olanda. L’avvenimento, nel suo intrinseco carattere paradossale, è significativo della schizofrenia, distruttiva per gli effetti di sconcerto che provoca sui cittadini, con cui gli uomini della sinistra al potere disgregano il tessuto sociale nello stesso momento in cui apparentemente lo vanno tessendo. Era ancora viva l’eco delle vite giovanili spentesi nell’Italia Settentrionale per l’uso dell’ecstasy nelle discoteche, che l’on. D’Alema, recatosi in Olanda a siglare con il primo ministro olandese Wim Kok un accordo bilaterale per combattere la nuova droga, dichiarava: “Personalmente vorrei meno proibizionismo” (6), dando agio al cronista di commentare: “Massimo D’Alema usa qualche cautela, ma il messaggio è chiaro: dipendesse solo da lui, liberalizzerebbe le droghe leggere” (7). Il presidente del Consiglio non lasciava dubbi sulle sue convinzioni incalzando: “Ma non è una proposta ufficiale, anche perché in Italia non c’è la mentalità” (8). Il paradosso di un primo ministro che, mentre firma un accordo volto a contenere l’uso delle droghe, ne auspica la libera circolazione, è meritevole di segnalazione come rivelazione esplicita della contraddittorietà, della superficialità e della strumentalità a meri scopi di potere del programma e dell’azione politica dei democratici di sinistra, di cui l’on. D’Alema è esponente, nonché delle altre forze politiche coalizzate con tale partito nella conduzione politica del paese.
L’opinione del capo del Governo è nel senso che dovrebbe essere attuata la liberalizzazione — peraltro, di quanto oggi già è libero, siccome l’uso e la detenzione per uso personale di qualsiasi tipo di sostanza stupefacente è assolutamente permesso dalla legge — di almeno una parte delle droghe: “La mia opinione personale è che si potrebbe avere una posizione più tollerante, distinguendo nella legislazione tra le droghe che producono forme più gravi di dipendenza e danni alla salute e quelle che non producono questi medesimi effetti” (9). A fronte dei dati impressionanti provenienti dall’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, che segnalano la crescita esponenziale del consumo dei vari tipi di stupefacenti e mettono sperimentalmente in evidenza che tale aumento è la conseguenza diretta dell’espandersi a tutti i livelli sociali di una mentalità drogastica, il capo del Governo si rammarica che una politica di maggiore liberalizzazione non possa essere attuata a causa di una mentalità ancora in parte refrattaria ad accettare come normale l’uso delle droghe!
Se si presta attenzione al fatto, sopra rilevato, che la diffusione degli stupefacenti è il frutto avvelenato di una mentalità relativista e libertina e che gli agenti di questa mentalità detengono oggi il potere nei vari paesi dell’Occidente, le parole dell’on. D’Alema suonano come una precisa dichiarazione d’intenti in ordine alla volontà pervicace del suo Governo e delle forze politiche che egli rappresenta di proseguire in maniera implacabile l’opera di disgregazione del corpo sociale su cui sventuratamente egli svolge il compito di governo.
Chiunque orienti i propri ideali politici verso la tutela e la promozione dei valori direttamente minacciati dall’uso delle droghe — la vita, la salute, la dignità della persona, la fedeltà, l’onore, la laboriosità e la solidarietà — non può non rendersi conto, volente o nolente, che l’opera d’instaurazione di un ordine sociale più conforme alle aspirazioni profonde dell’uomo passa anche attraverso la denuncia dei gravi danni che i governi della sinistra stanno provocando sul corpo sociale.
Non soltanto preoccupa che il capo del Governo italiano, pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto dell’Osservatorio Europeo, ignori l’allarme che si ricava dalla semplice constatazione dei dati, dimostrativi del fatto che la crescita nell’uso degli stupefacenti è funzione di una mentalità, che mette in pericolo la tendenza profonda dell’uomo ad esse secondo i meccanismi dell’autoconservazione, per favorire l’impulso distruttivo di morte, ma soprattutto indigna che egli si faccia vettore propulsivo proprio di quel cambiamento di mentalità, che costituisce fondamento e causa della propagazione delle droghe nel corpo sociale.
Un passo innanzi — piccolo ma significativo — nell’immane lotta contro le droghe sarà compiuto quando gli uomini dediti all’azione di governo metteranno nuovamente i valori della vita e della dignità della persona alla base dell’impegno culturale e politico, in una direzione diametralmente opposta a quella delineata dall’attuale presidente del Consiglio.
Mauro Ronco
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(1) Cfr. Roberto Zuccolini, Eroina, Italia prima in Europa, in Corriere della Sera, 23-11-1999.
(2) Cfr. lo schema delle diverse fasi rivoluzionarie come episodi della distruzione progressiva dei legami umani, con osservazioni sulla droga come momento importante della IV Rivoluzione, in Giovanni Cantoni, Sulla droga, contro la droga (Dalla Rivoluzione all’auto-distruzione), conferenza del 25-5-1977, inedita; cfr. pure Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(3) Sulla rivoluzione della droga, cfr. Massimo Introvigne, La rivoluzione della droga e la “filosofia chimica”, in Cristianità, anno VI, n. 36, aprile 1978, pp. 9-11; sulla rivoluzione sessuale, cfr. Idem, Le origini della Rivoluzione sessuale, ibid., anno VII, n. 54, ottobre 1979, pp. 4-8; più in generale, sull’attacco contro l’unità della persona umana attraverso l’attacco contro le categorie fondamentali dell’esistenza, cfr. Idem, Strutturalismo e Rivoluzione, ibid., anno V, n. 23, marzo 1977, pp. 4-7.
(4) “Cultura della morte” è espressione usata da Papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae sul valore e l’inviolabilità della vita umana, del 25-3-1995, n. 50: “Nelle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, “il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra… Il velo del tempio si squarciò nel mezzo” (Lc 23, 44. 45). È il simbolo di un grande sconvoglimento cosmico e di una immane lotta tra le forze del bene e le forze del male, tra la vita e la morte. Noi pure, oggi, ci troviamo nel mezzo di una lotta drammatica tra la “cultura della morte” e la “cultura della vita““. Sul tema, cfr. Gonzalo Miranda L.C., “Cultura della morte”: analisi di un concetto e di un dramma, in Pontificia Accademia per la Vita, Commento interdisciplinare alla “Evangelium Vitae“, direzione e coordinamento di Ramón Lucas Lucas L.C.,ed. it. a cura di Elio Sgreccia e R. Lucas Lucas L.C., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, pp. 225-243; nonché mons. Carlo Caffarra, Vangelo della vita e cultura della morte, Comitato per la Libertà di Educazione-Torino e Di Giovanni Editore, San Giuliano Milanese (Milano) 1992.
(5) In generale sui problemi giuridici e sulle diverse linee di politica criminale e sociale volte al controllo degli stupefacenti, cfr. il mio Il controllo penale degli stupefacenti. Verso la riforma della L. n. 685/1975, Jovene, Napoli 1990.
(6) Francesco Grignetti, D’Alema: vorrei meno proibizionismo, in La Stampa, 30-11-1999.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.