MAURO RONCO, Cristianità n. 330-331 (2005)
1. Il diritto alla legittima difesa e il suo affievolimento e la sua corrosione nel diritto vivente
Al cittadino comune si offre non raramente un’esperienza giuridica contraddittoria, che mette a dura prova la sua fiducia nel diritto e nelle istituzioni, concernente l’effettivo significato della legittima difesa (1). La cronaca quotidiana non è avara di episodi, infatti, in cui la vittima di un grave delitto si ritrova colpevolizzata sul terreno giudiziario per avere ferito o ucciso l’offensore. Si tratta, per lo più, di casi relativi a commercianti che, aggrediti nel loro negozio, con le armi spianate, da uno o più rapinatori, si oppongono all’esecuzione del delitto utilizzando contro gli aggressori un’arma da fuoco. Quando l’autore dell’assalto criminale riporti ferite o addirittura venga ucciso, il cittadino che si è difeso è immediatamente sottoposto a indagini per il delitto di lesioni o di omicidio volontario e il suo nome viene iscritto nel registro degl’indagati. Inizia un procedimento che si sviluppa nei tempi, nei modi e secondo le procedure di ogni processo penale. Le vicende giudiziarie così aperte si chiudono talora con un provvedimento di archiviazione.
Un numero non irrilevante di casi, però, trova soluzione soltanto a conclusione di un itinerario più tormentato, in cui la vittima è costretta a difendersi in giudizio dall’accusa di omicidio volontario o di lesioni gravi. Spesso l’imputato viene assolto per aver agito nell’esercizio di una facoltà legittima; talora, invece, è condannato per omicidio o per lesioni colpose, per aver ecceduto nella difesa. Una trafila processuale analoga subiscono in non rare occasioni gli esponenti delle forze dell’ordine quando, operando nell’esercizio delle loro funzioni, abbiano ferito o ucciso il rapinatore o il ladro colto nella flagranza o quasi/flagranza del delitto. Non a caso, proprio per rispondere all’esigenza di difesa contro le aggressioni violente e nelle dimore private ai beni patrimoniali sono state presentate in Parlamento nell’attuale legislatura, la XIV, varie proposte di legge che introducono cambiamenti all’istituto della legittima difesa. Le relazioni a tali proposte si richiamano tutte nel loro incipit alle vicende di cronaca relative a violente aggressioni in abitazioni private o in pubblici esercizi a scopo di furto o di rapina (2).
Ribellarsi contro la parificazione di trattamento, all’inizio delle indagini preliminari, fra aggressore e difensore, non significa misconoscere il diritto/dovere di sottoporre al controllo di legalità anche il comportamento di chi si è difeso dall’aggressione altrui. In tale contegno possono infatti annidarsi eccessi e patologie e, dunque, momenti d’ingiustizia. Ma è incongruo che profili meramente ipotetici di antigiuridicità vengano, in assenza di concreti e precisi indicatori, utilizzati allo scopo di vanificare, nell’immediata considerazione giuridica, la differenza qualitativa fra i due tipi di condotte. Ciò determina nell’opinione pubblica un sentimento di sospetto verso il diritto di difendersi contro l’aggressore, contrastante con una equilibrata visione della giustizia penale.
Non vi è dubbio che nel diritto vivente si è affievolito il ruolo della legittima difesa, pur essendo rimasto invariato il dato giuridico formale. Per comprenderne le cause, è opportuno considerare che l’attuazione delle norme giuridiche è influenzata dai modelli antrolopogici relativi al fondamento della dignità pertinente alla persona umana. Il diritto alla legittima difesa esprime un’idea nobile dell’uomo, come ente intrinsecamente capace di giustizia, portatore di un valore attivo, inteso alla realizzazione della giustizia nella società. Esemplare è l’insegnamento del giurista tedesco Rudolph von Jhering (1818-1892) relativamente all’origine dell’antico jus romano (3), secondo cui è l’energia dell’uomo a consentire la vita stessa del diritto. Si tratta non della «nuda violenza fisica» (4), bensì di «una virtù attiva al servizio dell’idea giuridica» (5).
Il diritto non nasce dallo Stato come regola oggettiva posta autoritativamente dal sovrano, bensì dall’inclinazione virtuosa alla giustizia insita in ogni singolo uomo. Colui che difende il proprio o altrui diritto è latore non soltanto di un interesse individuale, ma anche di un valore generale, che lo pone in comunione con tutti gli altri, perché, difendendo il diritto particolare, egli contribuisce altresì a conservare il bene superiore della giustizia. La legittima difesa costituisce il punto d’incontro della tutela del bene giuridico individuale e dell’ordine giuridico oggettivo. Per questa ragione i criteri che ne fondano la portata nell’ordinamento non devono essere unilateralmente ricavati privilegiando il solo profilo individualistico o il solo profilo sopraindividuale, bensì determinati in base agli effettivi presupposti di necessità della difesa, secondo la misura variabile dell’intensità dell’aggressione antigiuridica e della responsabilità interpersonale che avvince fra loro tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico, senza alcuna eticizzazione dell’agire umano, che condurrebbe, nel richiedere una incongrua benignità alla vittima, a far subire a quest’ultima l’ingiustizia dell’aggressione (6).
E anche se è vero che, per meglio garantire la pace sociale, la comunità politica riserva ordinariamente a sé l’esercizio della potestà punitiva, sottraendola alla disponibilità dei singoli, non è meno vero che, quando è assente la possibilità di ricorrere allo Stato, ogni persona è legittimata ad agire in difesa del proprio e dell’altrui diritto, con una reazione spontanea che la sensibilità oppone al danno o alla minaccia del danno ingiusto, quasi come anticipazione di quanto la ragione detta come giusta retribuzione nei confronti dell’offensore (7).
Questa idea attiva ed energica dell’uomo, centro di moralità e di giuridicità, è oggi quasi completamente sfumata a favore dell’idea per cui l’uomo sarebbe esclusivamente portatore d’interessi economici o, al massimo, di utilità attinenti alla sfera fisico-emozionale. Questo tipo di uomo è mero destinatario della norma creata dal sovrano; e anche se egli partecipa, in tesi, almeno nei regimi democratici, alla creazione della legge, ciò fa in quanto componente del corpo elettorale, senza tuttavia partecipare realmente alla creazione del diritto, in virtù dei suoi comportamenti concreti, mosso dall’inclinazione buona a realizzare la res iusta.
Al contrario di quanto ritiene la mentalità materialistica, l’uomo possiede, come magistralmente insegna Aristotele (384-322 a.C), una intuizione del giusto, che costituisce il momento genetico della vita sociale: «Perché la natura, come diciamo, non fa niente senza scopo e l’uomo, solo tra gli animali, ha la parola: la voce indica quel che è doloroso e gioioso e pertanto l’hanno anche gli altri animali (e, in effetti fin qui giunge la loro natura, di avere la sensazione di quanto è doloroso e gioioso, e di indicarselo a vicenda), ma la parola è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l’ingiusto: questo è, infatti, proprio dell’uomo rispetto agli altri animali, di avere egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori: il possesso comune di questi costituisce la famiglia e lo stato» (8).
L’idea impoverita di uomo che si è venuta affermando nell’universo giuridico impedisce la valutazione appropriata dell’importanza cruciale della legittima difesa nell’ordinamento. La precomprensione ermeneutica positiva che l’idea nobile dell’uomo dovrebbe indurre a formulare nei riguardi del comportamento tenuto in difesa dello iustum lascia il posto a una precomprensione di segno opposto, evocante un apprezzamento negativo verso il contegno che, rivolto a difendersi, ha provocato oggettivamente un danno (9).
Né va trascurata, a riguardo della precomprensione della cifra espressa rispettivamente dalle due condotte contrapposte, la diffusione, in dipendenza di ormai desuete ideologie, che pure ancora operano nella sfera psichica inconscia di molti, di un atteggiamento di tolleranza verso il contegno deviante tenuto dall’offensore, visto non come consapevole violatore della pacifica convivenza civile, bensì come vittima incolpevole di una società tendenzialmente oppressiva. Sì che, non appena l’offensore esce soccombente dallo scontro scaturito dalla sua volontà d’ingiustizia, scatta una reazione psico-sociale, alimentata irrazionalisticamente dai mezzi di comunicazione di massa, che inverte il ruolo delle parti e induce a ravvisare nello scacco dell’aggressore non la conseguenza appropriata di un contegno nichilista, bensì l’effetto di un bisogno prevaricante di sicurezza della parte forte del conflitto sociale.
Un altro rilevante fattore di corrosione del diritto alla legittima difesa riguarda specificamente la tutela dei diritti patrimoniali. È impossibile in questa sede dare conto dello sforzo che una parte non irrilevante della cultura giuridica italiana ha compiuto per sottoporre il diritto in genere e il diritto penale in specie ai criteri metodologici tratti dalla teoria materialistica della storia di Karl Marx (1818-1883). Una parte della dottrina penalistica, che ha influenzato ampiamente la giurisprudenza, ha progressivamente delegittimato, nel corso degli ultimi trent’anni, la tutela penale del patrimonio su due distinti versanti, del soggetto offensore e del bene oggetto di tutela (10).
Sul primo terreno si è guardato con benignità al soggetto che la sociologia criminale qualifica appartenente alla categoria della microcriminalità. Costui, pur delinquendo incessantemente contro il diritto di proprietà, sarebbe soltanto blandamente colpevole, perché non agirebbe per un disegno di accumulazione capitalistica, limitandosi a protrarre indefinitamente uno stile di vita asociale. Egli dovrebbe, pertanto, attirare su di sé una reazione di tipo non punitivo, bensì comprensivo. Nei suoi confronti dovrebbe applicarsi una terapia di mantenimento che, evitandogli la restrizione della libertà, valga a garantirgli lo status di deviante, sottoposto al controllo tollerante dei servizi sociali. I cittadini dovrebbero imparare a convivere con i suoi comportamenti asociali, secondo una linea di pensiero in cui non soltanto l’idea retributiva della pena è cancellata dall’orizzonte sociale, con i suoi fondamentali presupposti della libertà del volere e del principio di responsabilità, ma anche l’idea della pena come correzione e riabilitazione sociale viene negata, in base al suo smascheramento come strumento di integrazione/repressione adottato dal capitalismo avanzato (11).
Sul versante relativo al patrimonio, si è diffusa una nozione di tipo dinamico/funzionale, al posto di quella tradizionale in senso statico/strutturale. La mutazione imporrebbe la fuoriuscita dalla tutela penalistica tutte le volte in cui l’offesa sia diretta esclusivamente contro gli oggetti economici in quanto attribuiti a un soggetto determinato. La tutela si giustificherebbe soltanto quando sia lesa, insieme con la proprietà individuale, altresì la sfera di libertà della vittima e la sua potenzialità di sviluppo come soggetto socialmente utile.
2. Per una rivalorizzazione della vittima dell’aggressione ingiusta
La rivalorizzazione della persona offesa a fronte dell’aggressione ingiusta appare, pertanto, nel quadro problematico che caratterizza l’attuale momento storico, compito giuridico di primario rilievo. Le antiche formulazioni della legittima difesa, tipiche, per esempio, del codice italiano del 1930, che si limitano a statuire, per un verso, la legittimità della difesa contro l’aggressione ingiusta, e, per altro verso, a precisare l’essenzialità del requisito della proporzione con l’offesa, meritano di essere riviste, sia perché inidonee a offrire alla vittima del reato un chiaro orientamento circa il perimetro di liceità dell’agire difensivo, sia perché lasciano al pubblico ministero e al giudice penale uno spazio troppo ampio di discrezionalità nel valutare le concrete situazioni di vita che si presentano nella complessità e multiformità dell’esperienza.
Queste due ragioni d’incertezza, peraltro, sono inevitabilmente destinate ad avvantaggiare, contro ogni razionalità, chi infrange il dettame della legge, favorendone la tracotanza e la temerarietà. La vittima, invece, rischia di rimanere, per il timore delle conseguenze giudiziarie e punitive, paralizzata, e conseguentemente costretta, senza sua colpa, a subire l’aggressione ingiusta.
Va al riguardo precisato che, a fronte di una tendenza generalizzata nel corpo sociale volta a pretendere disposizioni più rigorose a tutela della vittima, una parte della dottrina penalistica e la giurisprudenza prevalente insistono in una interpretazione del requisito della proporzione, che schiaccia la legittima difesa in confini operativi sempre più ristretti. Si tende, infatti, da parte di molti esperti e operatori giuridici, a impostare il giudizio di bilanciamento in ordine al requisito della proporzione esclusivamente fra il valore dei beni in conflitto. Così, per tutti, Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco: «È dunque da accogliere l’orientamento che assume a termine del giudizio di proporzione il rapporto di valore tra i beni o interessi in conflitto: in questo senso, occorre operare un bilanciamento tra il bene minacciato e il bene leso, con la conseguenza che all’aggredito che si difende non è consentito di ledere un bene dell’aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall’iniziale aggressione illecita» (12).
In questo modo si trascura il fatto che la condotta difensiva è di valore qualitativamente superiore a quella offensiva, perché spesa, oltre che per la tutela di un bene particolare, altresì per garantire validità e stabilità all’ordine giuridico. Non si tratta affatto, a fronte di questa tendenza, di rinnegare l’importanza cruciale del diritto, come se si pretendesse quasi il ritorno allo stato di natura (13), ove sarebbe concesso al più forte di fare tutto quanto gli è possibile, bensì, tutto al contrario, di riconoscere il legame inscindibile, nella legittima difesa, fra la protezione del bene giuridico individuale e il momento di garanzia obiettiva dell’ordinamento giuridico, ben espresso dall’espressione antica per cui «il diritto non deve cedere all’ingiustizia» (14).
Ora, se la legittima difesa viene concepita, com’è nella realtà, in termini di riaffermazione della validità della relazione giuridica intersoggettiva, frantumata dall’aggressione del delinquente, si comprende come essa debba certamente essere soggetta a rigorosi limiti giuridici, affinché non si tramuti in un’irresponsabile azione di violenza, ma neppure compressa in modo tale da non rispondere più in alcun modo alla sua natura di ultimativa modalità di salvezza dell’aggredito, quando non è possibile l’intervento dell’autorità preposta istituzionalmente alla protezione dell’ordine giuridico.
Il mero confronto fra i beni in conflitto, pertanto, non esprime in modo corretto i termini del giudizio di proporzione, perché non tiene conto della differenza qualitativa, in ragione del valore giuridico radicalmente diverso, fra l’aggressione e la difesa, e perché, conseguentemente, non fornisce un fondamento adeguato alla tutela della vittima, lasciando, per giunta, del tutto sprovvisti di tutela i beni di tipo patrimoniale.
In molte circostanze, invero, l’aggressore al bene patrimoniale non è realmente paralizzabile nella sua azione antigiuridica se non attraverso un’azione che ne mette a rischio la incolumità. Ed è evidente che imperniare il giudizio di bilanciamento esclusivamente sui beni in conflitto significa, atteso il rango astrattamente superiore del bene personale rispetto a quello patrimoniale, mettere in discussione, contro il dettato stesso dell’articolo 52 del Codice Penale, la legittimità della difesa relativamente ai beni patrimoniali (15).
Ma vi è di più. Le norme giuridiche posseggono efficacia quando, costruite su basi solide nell’officina dell’esperienza e non semplicemente immaginate in qualche asettico laboratorio scientifico, tengono conto della realtà effettiva dei fenomeni giuridici. Ora, l’esperienza insegna che la vittima di un gran numero di delitti patrimoniali, la vittima, per esempio, della rapina compiuta a mano armata ovvero del furto tentato o consumato nell’abitazione o nel luogo di dimora o nel domicilio privato, viene a trovarsi, prima di soccombere alla violenza brutale dell’offensore, in una situazione di sbigottimento e di panico che provoca una tempesta emotiva difficilmente controllabile sul piano razionale. Pretendere, conseguentemente, che il giudizio di bilanciamento sia svolto esclusivamente fra il valore dei beni, significa postulare un previo calcolo razionale, che la vittima dell’aggressione normalmente non è in grado di svolgere. Un simile giudizio finisce per trascurare la situazione psicologica dell’aggredito, nonché erigere una barriera insormontabile alla normale operatività della legittima difesa, non consentendo alla norma di operare come regola pratica della vita giuridica, e consegnandola incongruamente alla cavillosità di un giudizio a posteriori condotto in modo estraneo alla reale natura dei rapporti giuridici. La giurisprudenza recente, abbandonato il criterio della proporzione fra i mezzi usati dall’aggredito e quelli a sua disposizione, inclina ora, ai fini del giudizio di proporzione, a far riferimento al criterio della valutazione comparativa fra i beni in conflitto, pur tenendo conto di tutte le circostanze concrete che possono avere apprezzabilmente influenzato il comportamento dell’aggredito: l’intensità del pericolo, le caratteristiche dell’aggressore e i rapporti di forza fra l’aggredito e l’aggressore (16).
3. Breve «excursus» comparatistico
Gli ordinamenti giuridici contemporanei si sono, con il tempo, fatti carico di questi problemi, introducendo norme che, sia pure in modo diverso, forniscono rilievo, in favore della vittima, alle situazioni in cui, a condizione che l’aggredito agisca con un finalismo rigorosamente difensivo, egli sia stato costretto a colpire l’aggressore nei beni della incolumità o della vita.
Il Codice Penale tedesco, dopo aver statuito al § 32 il principio della legittima difesa, con norma ancora più generica di quella del codice italiano, stabilisce al § 33 il principio per cui non è punita la vittima che abbia oltrepassato i limiti della legittima difesa a causa di confusione — Verwirrung —, paura — Furcht — o spavento, Schrecken (17).
Il Codice Penale francese, riformato con legge 19 luglio 1993 entrata in vigore il 1° marzo 1994, stabilisce all’articolo 122-5, comma 1, la non punibilità del fatto compiuto per legittima difesa di se stessi o di altri, a eccezione del caso in cui sussista sproporzione fra i mezzi di difesa impiegati e la gravità dell’aggressione. Il comma 2 del medesimo articolo, contemplando il caso dell’interruzione di un crimine o di un delitto realizzato contro un bene, statuisce la legittimità della difesa, a meno che l’aggredito non provochi un omicidio volontario, e sempre che i mezzi impiegati siano proporzionati alla gravità dell’infrazione. Tuttavia, facendosi carico della gravità intrinseca di determinate aggressioni patrimoniali, l’articolo 122-6 introduce la presunzione che abbia agito in stato di legittima difesa l’autore di un atto compiuto: 1. per respingere, di notte, l’ingresso in un luogo abitato realizzato con effrazione, violenza o inganno; 2. per difendersi contro gli autori di furti o di danneggiamenti eseguiti con violenza (18).
È evidente che la presunzione prevista all’articolo 122-6 non implica tanto un’inversione dell’onere probatorio, ma esclude addirittura che il requisito della proporzione fra i mezzi impiegati e la gravità dell’aggressione possa funzionare in tutti i casi in cui, per il rispetto dovuto alla vittima e per la conseguente inaccettabilità sociale del fatto — compiuto, appunto, con violenza ovvero con l’ingresso di notte in luoghi di privata dimora —, la difesa del bene patrimoniale deve prevalere, anche a costo di colpire l’incolumità fisica o la vita dell’aggressore.
Il Codice Penale spagnolo, entrato in vigore con la legge organica del 23 novembre 1995, n. 10 statuisce all’articolo 20, n. 4 la non punibilità di chi abbia agito per difendere la persona o i diritti propri o altrui contro un’aggressione illegittima, precisando che, in caso di difesa dei beni, ogni attacco nei loro confronti è considerato aggressione illegittima quando realizzi una situazione di grave e incombente pericolo di loro deterioramento o perdita. Allorché, però, la vittima agisca in difesa della dimora, anche il solo ingresso indebito è considerato aggressione illegittima. Quanto al giudizio di proporzione fra difesa e offesa, l’articolo 20 stabilisce che la reazione è sempre legittima quando la vittima abbia adoperato un mezzo ispirato razionalmente al principio della necessità (19).
Il Codice Penale polacco, approvato con legge 6 giugno 1997 ed entrato in vigore il 1° settembre 1998, statuisce all’articolo 25, § 1 che non commette reato chi, per necessità della difesa, respinge un attacco diretto e illecito rivolto contro un qualsiasi bene tutelato dal diritto. Il § 2 soggiunge che, in caso di oltrepassamento dei limiti della difesa, in particolar modo quando l’agente abbia usato metodi difensivi non proporzionati alla pericolosità dell’attacco, il giudice può applicare un’attenuazione straordinaria della pena e anche non infliggerne alcuna. Al § 3 stabilisce, infine, che il giudice possa non infliggere alcuna pena anche se l’eccesso dai limiti della difesa è stato conseguenza della paura o dello stato di sconvolgimento determinati dalle circostanze in cui è avvenuto l’attacco (20).
Il breve excursus comparatistico consente di dire che nessun ordinamento prevede il requisito della proporzione come rapporto fra il valore dei beni rispettivamente oggetto di aggressione e di reazione. Una conferma dell’assunto si ricava in modo inconfutabile dal raffronto della legittima difesa con la regolamentazione dell’istituto dello stato di necessità, che ricorre allorché il destinatario della reazione difensiva sia una persona incolpevole della situazione di pericolo determinatasi. Orbene in tutti gli ordinamenti stranieri sopra considerati, il requisito della proporzione, secondo il criterio del confronto fra il valore dei beni in conflitto, è previsto soltanto con riferimento allo stato di necessità, ove il destinatario della reazione difensiva è una persona incolpevole, e non con riferimento alla legittima difesa, in cui vi è radicale differenza in termini qualitativi fra i beni in gioco, a causa dell’ingiustizia dell’aggressore.
Il Codice Penale francese, per esempio, all’articolo 122-7, prevede la non punibilità di chi abbia leso un bene trovandosi in stato di necessità, salvo che vi sia sproporzione fra i mezzi impiegati e la gravità della minaccia.
L’articolo 20, n. 5 del Codice Penale spagnolo statuisce, con riferimento al solo stato di necessità, che il male causato non dev’essere maggiore di quello che si cerca di evitare.
Il Codice Penale polacco all’articolo 26 § 1 esclude la punibilità di chi agisca allo scopo di respingere un pericolo immediato non altrimenti evitabile, che minaccia un qualsiasi bene tutelato dal diritto soltanto «[…] se il bene sacrificato ha un valore inferiore al bene salvato», mentre non pone alcuna indicazione circa il rapporto fra i beni nel caso della legittima difesa.
In questa situazione merita di essere valorizzato il disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica Italiana il 6 luglio 2005, ora trasmesso alla Camera dei Deputati, che aggiunge all’articolo 52 del Codice Penale due nuovi commi, volti ad autorizzare specificamente l’autotutela della vittima contro l’aggressione compiuta nel privato domicilio. Nel comma 1 dell’unico articolo di cui si compone la proposta di legge è precisato che, nei casi in cui sia violato dall’aggressore il domicilio della persona, sussiste il rapporto di proporzione quando la persona legittimamente presente nel domicilio o nella dimora «[…] usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità: b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione». Il comma 2 dell’articolo di modifica soggiunge che tale disposizione si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Al di là degli aspetti tecnici della norma, è evidente che essa, in perfetta sintonia con la normativa francese e spagnola, recentemente entrate in vigore, vuole evitare che la vittima dell’aggressione ai beni patrimoniali, compiuta con l’invasione del domicilio, sia costretto a tollerare l’ingiustizia e che il diritto, in tale situazione, debba cedere all’ingiustizia. Lungi dall’introdurre una specie di licenza di uccidere, come è stato detto dall’opposizione parlamentare nel corso della discussione al Senato (21), la norma definisce in modo congruo e realistico il rapporto di proporzione fra l’aggressione e la difesa nei casi in cui, in forza dell’azione illecita dell’agente, la vittima si trovi, fin dall’inizio, in una situazione di forza incomparabilmente deteriore rispetto al delinquente. In questi casi, infatti, pretendere, come suggeriscono una parte della dottrina e la giurisprudenza dominante, che il rapporto di proporzione si esaurisca nel confronto fra i beni, astrattamente considerati, significa vietare la legittima difesa, sostituendo a essa il principio opposto dell’obbligo di tollerare l’ingiustizia.
Né si può sostenere, come taluno ha detto pure nel corso della discussione parlamentare, che la legge fisserebbe una presunzione di proporzionalità (22), incompatibile con i princìpi generali dell’ordinamento. Forse tale critica potrebbe essere valida nei confronti della normativa francese, prevista all’articolo 122-6, che afferma espressamente la presunzione di legittima difesa a favore della vittima in determinate situazioni; essa certamente non è congrua rispetto alla norma approvata dal Senato. Quest’ultima disposizione, infatti, fissa un criterio preciso per misurare la proporzione in modo consono alla esigenza di consentire effettivamente l’esercizio della legittima difesa nei casi in cui, per l’avvenuto ingresso dell’autore del reato nella sfera di privatezza altrui, la vittima è costretta, se vuole realmente difendersi, a usare un mezzo che può anche provocare danni all’incolumità o alla vita dell’aggressore.
4. La centralità della legittima difesa come condizione per riaffermare il primato della giustizia
Il problema concernente la riassegnazione di un significato congruo e realistico alla difesa legittima non è secondario e marginale in vista del ricupero dei valori propri di un diritto penale che non sia genuflesso al pietismo di conio scadente che invoca a gran voce una penalità sempre più imbelle e impotente di fronte alla brutalità del delitto e alla sua onnipervadente capacità d’inquinare i fondamenti della pace sociale.
L’indifferenza verso la vittima del reato esprime invero il volto materialistico e utilitaristico di una società che, allontanando da sé il ricordo del crimine e della sua vittima, si sottrae al dovere della memoria, rinunciando alla giusta retribuzione del colpevole e suggerendo di vivere acquattati comodamente nelle increspature di un presente deprivato di ogni profondità metafisica, etica e giuridica.
La memoria, come profondamente ha notato il giurista e filosofo del diritto, greco naturalizzato francese, Stamatios Tzitzis, «[…] storicizza gli eventi che segnano l’umanità, conserva i ricordi che l’uomo accumula come rappresentazioni del mondo; in quest’ottica, essa appare come un diritto alla conoscenza storica dell’umanità e come un dovere nei confronti delle generazioni future. È per questo che svolge la funzione di coscienza universale, dalla quale traggono linfa quelle individuali, ed alle quali impone un orientamento come custode dell’umano. Si oppone all’oblio che è fonte di ingiustizia perché nascondimento del vero e del bene, segno di un colpevole silenzio, quando invece la memoria ha bisogno della forza della voce» (23).
Se si dimentica la vittima, la distinzione fra giustizia e ingiustizia si affievolisce via via sempre più e il carnefice primeggia sulle rovine di una società priva di rettitudine e di energia morale. La memoria della vittima innerva la reazione vitale di un popolo che custodisce al suo centro la distinzione fra il giusto e l’ingiusto e rivendica il primato della giustizia contro ogni sopraffazione, da qualunque parte essa provenga.
Mauro Ronco
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(1) Cfr. la messa a fuoco della legittima difesa nel diritto penale italiano, per tutti, in Ferrando Mantovani, Diritto Penale. Parte Generale, IV ed., Cedam, Padova 2001, pp. 266-275; Carlo Federico Grosso, voce Legittima difesa a) Diritto penale, in Enciclopedia del diritto, vol. XXIV, Giuffré, Milano 1974, pp. 27-47. Cfr. la ricostruzione storica dell’istituto, in Tullio Padovani, voce Difesa legittima, in Digesto penale, vol. III, UTET, Torino 1989, pp. 496-500.
(2) Cfr. il disegno di legge d’iniziativa dei senn. Furio Gubetti e altri 79, presentato il 20 dicembre 2002, Modifica all’articolo 52 del codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio (in Atti Parlamentari, XIV legislatura, Senato della Repubblica, n. 1899), approvato dal Senato della Repubblica il 6 luglio 2005, ora all’esame della Camera dei Deputati (cfr. Atti Parlamentari, XIV legislatura, Camera dei Deputati, n. 5982) congiuntamente alle proposte n. 4115, del 26 giugno 2003, n. 4926, del 22 aprile 2004, e n. 5417, del 12 novembre 2004.
(3) Cfr. Rudolph von Jhering, Geist des römischen Rechts auf den verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, 3 voll. in 4 tomi, 1852, 1858,1865, Druck und Verlag von Breitkopf und Haertel, Lipsia 1877, 1878, 1880; trad. it. Lo spirito del diritto romano nei diversi gradi del suo sviluppo, vol. I, Traduzione dal tedesco di Luigi Bellavite, dottore di legge, con aggiunte e cambiamenti dell’Autore, o da esso approvati, ed una prefazione del traduttore, Tipografia e Libreria Pirotta e C., Milano 1855, passim e, in particolare, pp. 80, 118 e 249.
(4) Ibid., p. 129.
(5) Ibidem.
(6) Cfr. Michael Köhler, Strafrecht. Allgemeiner Teil [Diritto penale. Parte generale], Springer Verlag, Berlino-Heidelberg 1997, p. 263.
(7) Cfr. il mio Il problema della pena. Alcuni problemi relativi allo sviluppo della riflessione sulla pena, Giappichelli, Torino 1996, pp. 174-184 e, in particolare, p. 179.
(8) Aristotele, Politica, 1253 a 9-19, trad. it., in Idem, Opere, vol. 9, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 6-7. Sul tema delle inclinazioni naturali, fra cui quelle al «giusto» e al «ben vivere», cfr. Dario Composta S.D.B. (1917-2002), Natura e ragione. Studio sulle inclinazioni naturali in rapporto al diritto naturale, PAS-Verlag, Zurigo 1971, passim e, soprattutto, p. 239.
(9) La pre-comprensione utilitaristica ed edonistica dell’uomo caratterizza le dottrine che intendono legittimare il diritto penale in una prospettiva esclusivamente materialistica. L’idea antropologica dell’uomo come ente soltanto materiale, che realizza se stesso nel puro soddisfare il piacere o evitare il dispiacere, è paradigmaticamente esposta, fra i filosofi del diritto penale, in Norbert Hoerster, Zur generalprävention als dem Zweck staatlichen Strafens [Sulla prevenzione generale come scopo della pena statale], in Goltdammer’s Archiv für Strafrecht [Goltdammer’s Archivio per il diritto penale], anno 117, Monaco di Baviera 1970, pp. 272-281 (p. 280), che fonda la pena sulla legge del costo sociale minore.
(10) Al proposito è opportuno ricordare che nel corso degli anni 1970 e 1980 sono state pubblicate in Italia due riviste di studi penalistici — La questione criminale, fondata nel 1975, e Dei delitti e delle pene. Rivista di studi sociali, storici e giuridici sulla questione criminale, fondata nel 1983 —, specificamente orientate in senso materialistico-marxista, le quali hanno elaborato a 360 gradi una metodologia di approccio al diritto penale inteso a distruggere la rilevanza sociale e la tutela giuridica della proprietà privata. Fra i contributi più significativi nella direzione esposta, quasi «manifesti» di tale corrente, cfr. Alessandro Baratta (1933-2002), Forma giuridica e contenuto sociale: considerazioni in tema di labelling approach, in Dei delitti e delle pene. Rivista di studi sociali, storici e giuridici sulla questione criminale, anno II, n. 2, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1984, pp. 241-269; Massimo Pavarini, Ricerca in tema di «criminalità economica», in La questione criminale, anno I, n. 3, il Mulino, Bologna 1975, pp. 537-545; e Filippo Sgubbi, Tutela penale di «interessi diffusi», ibid., pp. 439-481.
(11) Questa tendenza è espressa soprattutto dalla cosiddetta criminologia critica, su cui cfr. riassuntivamente Franca Faccioli, Il sociologo e la criminalità. Riflessioni sulle origini della criminologia critica in Italia (1950-1975), in Dei delitti e delle pene. Rivista di studi sociali, storici e giuridici sulla questione criminale, anno II, n. 4, 1984, pp. 602-642; e A. Baratta, Criminologia critica e critica del diritto penale. Introduzione alla sociologia giuridico-penale, Il Mulino, Bologna 1982, passim.
(12) Giovanni Fiandaca ed Enzo Musco, Diritto Penale. Parte generale, IV ed., Zanichelli, Bologna 2001, p. 259.
(13) Naturalmente il cosiddetto «stato di natura» va inteso non come una realtà effettiva che sarebbe esistita prima di un ipotetico patto sociale, bensì, tutto al contrario, come mera ipotesi circa lo stato in cui gli uomini si troverebbero se le loro relazioni non fossero regolate, fin dall’origine dei tempi, dall’inclinazione naturale ad agire secondo il diritto: cfr. la critica all’ideologia dello «stato di natura» nel giusnaturalismo moderno, per tutti, in Francesco Gentile, Politica aut/et statistica. Prolegomeni di una teoria generale dell’ordinamento giuridico, Giuffré, Milano 2003, passim e, in particolare, pp. 72-83.
(14) L’espressione è di Albert Friedrich Berner (1818-1907), Strafrecht [Diritto penale], XIV ed., Verlag von Bernhard Tauchnitz, Lipsia 1886, p. 102: «Das Recht braucht dem Unrechte nicht zu weichen»; trad. it. Trattato di diritto penale. Tradotto e annotato dall’Avv. Eduardo Bertola con prefazione del Prof. Luigi Lucchini, Società Editrice Libraria, Milano 1899, p. 122: «Il diritto non deve piegare dinanzi all’ingiusto».
(15) Cfr. per esempio G. Fiandaca ed E. Musco, op. cit., p. 260, secondo cui sarebbe in generale ingiustificato uccidere per salvaguardare un interesse patrimoniale, potendo, al massimo «[…] apparire lecito infliggere una ferita facilmente curabile per mettere al sicuro un patrimonio di rilevantissima entità». Osservazione, quest’ultima da cui affiorano sia lo scarso realismo sia l’arbitrarietà della soluzione adottata.
(16) Cfr. l’esame della giurisprudenza in Codice Penale Ipertestuale. Commentario con banca dati di giurisprudenza e legislazione, a cura di Mauro Ronco e Salvatore Ardizzone, Utet, Torino 2003, pp. 324-331.
(17) Cfr. Strafgesetzbuch und Nebengesetze [Codice penale e leggi complementari], 52 ed., Verlag C. H. Beck, Monaco 2004, § 32 e § 33 con i relativi commenti, pp. 267-283.
(18) Cfr. Code pénal. Nouveau code pénal, Editions Dalloz, Parigi 1993-1994, articoli 122-1/122-6, pp. 1728-1729.
(19) Cfr. Código penal. Edición actualizada septiembre de 2000, 6a ed., Tecnos, Madrid 2000, articolo 20, pp. 59-61.
(20) Il Codice penale polacco, trad. it. di Diego Conte e Adrianna Miekina, revisore della traduzione e curatore dell’edizione Sergio Vinciguerra, Cedam, Padova 2005, articolo 25.
(21) Cfr. in particolare la sintesi dell’intervento del sen. Giampaolo Zancan del Gruppo dei Verdi-l’Unione nella seduta del 6-7-2005: «Conferma la contrarietà al disegno di legge, stigmatizzando l’irragionevolezza della norma di cui all’emendamento 1.107 e più in generale del provvedimento, rilevata peraltro da tutto il mondo giuridico. Nell’intento di perseguire obiettivi puramente demagogici si smantella una cultura giuridica sedimentata nel corso di decenni e si lede il principio fondamentale secondo cui spetta allo Stato, attraverso le forze dell’ordine, tutelare la sicurezza dei cittadini. Al contrario, si fomenta un pericoloso modello di difesa fondato sulla presunzione di legittimità che rischia di favorire un’indiscriminata corsa agli armamenti da parte dei cittadini» (Senato della Repubblica, XIV legislatura, 836° seduta pubblica, Resoconto sommario della seduta n. 836 del 6 luglio 2005, p. 2).
(22) Cfr. in particolare la sintesi dell’intervento del sen. Elvio Fassone, del Gruppo dei Democratici di Sinistra-l’Ulivo, nella medesima seduta del 6-7-2005: «I Democratici di sinistra voteranno contro il testo proposto dalla maggioranza che, ponendosi come norma speciale rispetto a quella che codifica in astratto la legittima difesa, si caratterizza, in primo luogo, per l’affermazione della pregiudiziale impunità degli atti compiuti per legittima difesa all’interno del privato domicilio […]; in secondo luogo, per l’espressa presa in considerazione dell’uso dell’arma da parte dell’aggredito e, soprattutto, per l’affermazione di una presunzione di proporzione tra l’aggressione e la reazione che stabilisce un’equivalenza giuridica tra la vita e i beni difesi, propri e altrui» (ibid., p. 4).
(23) Stamatios Tzitzis, La vittima e il carnefice. Lezioni romane di filosofia del diritto, a cura di Francesco D’Agostino e Fabio Macioce, trad. it. di Fabio Macioce, Giuffré, Milano 2004, pp. 57-77; il passo citato è a p. 76.