Stefano Salzani, Cristianità n. 201-202 (1992)
Nuovi sistemi di interfacciamento predisposti per lo spazio virtuale sono destinati a creare un rapporto “totale” fra uomo e computer: un rapporto carico di implicazioni etiche e antropologiche.
1. Uno “spiraglio nella caligine”?
In un’intervista apparsa sulla stampa in occasione del premio che, giovedì 21 novembre 1991, la Presidenza del Consiglio gli ha attribuito nel campo delle scienze religiose, Elémire Zolla accenna a nuove tecnologie informatiche che secondo lui potrebbero essere “uno spiraglio nella caligine” che da secoli avvolge la spiritualità occidentale:“[…] la tuta e l’elmetto che suscitano per la percezione di chi li indossa una realtà seconda, virtuale, equivalente alla realtà ordinaria. L’effetto della droga, se vogliamo, ma non allucinatorio. Attorno al 2030 l’umanità sarà diversa, disporrà di varie realtà e questo potrebbe forse portare un numero rilevante di persone a valutare la realtà stessa come una possibilità, una pluralità di possibili. Questa è la premessa di un’esperienza metafisica” (1).
In questo modo lo studioso affronta il problema postosi recentemente nel frenetico campo dell’informatica, riguardo alle nuove possibilità e potenzialità di interfacciamento dell’utente umano con il computer.
2. Una “realtà virtuale”
Con il termine “interfaccia-utente” si indicano tutti quei mezzi attraverso i quali l’utente e il suo computer comunicano fra di loro, ed è perciò uno dei campi più immediatamente visibili e forzatamente comprensibili fra tutti quelli riguardanti l’informatica.
Sebbene secondo gli esperti i prossimi 10-15 anni saranno ancora caratterizzati dal sistema GUI, Graphic User Interface, cioè quello che abbina il mouse alla tastiera e presenta dati e comandi sotto forma grafica, un altro tipo di “interfaccia-utente” fa discutere di sé per la sua caratteristica di situarsi in quel territorio sempre più esiguo che divide la tecnologia dai romanzi di fantascienza. Parliamo naturalmente della “realtà virtuale”, cioè di quel tipo di comunicazione globale fra l’uomo e la macchina, per cui l’utente entra nella macchina e interagisce con essa in modo “naturale”, direttamente attraverso i cinque sensi (2).
In uno studio pubblicato sulla rivista americana Byte Scott S. Fisher, uno degli sviluppatori di questo sistema, ne traccia una breve storia (3). Già nel 1958 la Philco aveva sviluppato un visore a 360 gradi attraverso il quale immergere un operatore in un habitat virtuale. Le ricerche continuarono presso l’Ames Research Center della NASA, interessata nella simulazione delle condizioni di volo aereospaziali e portarono come risultato un sistema di interfacciamento denominato V.I.E.W., Virtual Interface Environment Workstation. Esso viene definito come “un sistema di visori stereoscopici ad ampio campo di visuale collocato sulla testa dell’operatore e controllato dalla sua voce, dalla sua posizione e dai suoi gesti” (4).
L’aspetto del V.I.E.W. è quello di una sorta di casco dotato di visori tridimensionali e di un dispositivo elettromagnetico che permette al sistema di capire la posizione della testa e di variare conseguentemente, in tempo reale, l’angolatura delle immagini. Esso va integrato con un guanto simile al Power Glove, il “guanto del potere” della Nintendo — un giocattolo da qualche tempo in auge negli Stati Uniti d’America — che serve a maneggiare gli oggetti virtuali e — attraverso un sistema idraulico — ad averne la sensazione tattile.
Il V.I.E.W. è fornito anche di un microfono per comunicare verbalmente con la macchina attraverso la propria voce e di cuffie per percepire suoni e rumori dall’ambiente virtuale.
Un tale sistema permetterebbe numerose applicazioni in campo professionale — gli esempi classici sono l’architetto che abita virtualmente la casa da lui progettata per scoprirne i difetti, il medico che simula una delicata operazione chirurgica su un paziente virtuale prima di affrontare il paziente in carne e ossa, e così via —, ma sono piuttosto altri sviluppi che si prestano a considerazioni etiche e antropologiche.
3. L’opinione di Timothy Leary…
In una lunga intervista tradotta nel libro Cyberpunk. Antologia di testi politici, il professor Timothy Leary — negli anni Sessanta profeta della rivoluzione psichedelica e oggi, a 70 anni inoltrati, teorico della “realtà virtuale” e titolare di una softwarehouse — discute su alcuni degli aspetti più interessanti del futuro prossimo del computer (5). La prima constatazione è che le nuove tecnologie porteranno a distinguere tre tipi di realtà: “[…] la realtà materiale (MateReality), la neuro realtà e la realtà elettronica. Nelle ultime due qualsiasi cosa si possa pensare o sognare potrà essere creata e comunicata elettronicamente” (6). La conseguenza più macroscopica avverrà quindi nel campo dei mass media per cui, grazie ai nuovi mezzi, “[…] qualsiasi quattordicenne potrà decidere di dire “Hmmm, voglio quei due minuti di Via col vento“. Con questi potrà programmare e quindi controllare il proprio mondo, a un tale grado che ora non è nemmeno immaginabile. L’industria cinematografica, la TV e quella editoriale forniranno semplicemente materiali grezzi per il raffinamento e la distillazione che opererà la gente” (7).
Essendo l’era postmoderna fortemente caratterizzata dai mass media, il possesso e l’utilizzo delle informazioni da essi derivate diventano uno dei modi privilegiati per cui l’umano si rapporta con la realtà. Se già oggi con un personal computer si possono ricostruire a piacimento le immagini televisive, con i nuovi interfacciamenti predisposti alla “realtà virtuale” l’utente non si limiterà a restare “affacciato” allo schermo, ma vi entrerà, con la possibilità di scegliere fra “[…] fare all’amore con Marilyn Monroe o […] giocare a tennis con Lendl” (8).
Il semiologo Gianfranco Bettetini, già negli anni Ottanta salutava l’avvento dei videogame e dei mezzi che individualizzavano l’uso della televisione come “invenzioni adeguate” ma osservava parimenti che “queste strumentazioni sofisticate sembrano consegnare al loro utente un permesso di circolazione spontaneistica e non codificata nel grande traffico dell’informazione; agiscono come una folle proposta di risolvere tutti i problemi del sempre più intricato traffico automobilistico cancellando ogni traccia di codice stradale… Con la differenza che gli incidenti stradali, nel campo dell’informazione, sono di ordine mentale e, nonostante le apparenze, molto meno recuperabili di quelli derivati da una guida scorretta” (9).
4. …e quella di Pavel A. Florenskij
Inoltre Timothy Leary svela orizzonti quantomeno inquietanti quando, dotato del solito pragmatismo spirituale, prevede l’avvenire dello spazio virtuale come sostituto delle droghe psichedeliche nell’esplorazione della mente, in passato riservata ed “[…] esplorata dagli yogi, dai sufi o dai visionari” (10). È la proposizione, da lungo tempo latente più o meno consciamente in certa cultura, di una televisione come parodia dell’icona. Pavel A. Florenskij, autore di un saggio sull’icona, “porta regale” attraverso cui avviene la comunicazione fra l’uomo e la Divinità, scriveva pagine profetiche sui pericoli e sulle fascinazioni dell’immagine, sia essa una visione spontanea o provocata. Egli, confortato da una tradizione spirituale cristiana ormai bimillenaria, metteva in guardia dall’abbaglio spirituale, “[…] che sempre fu noto come veramente terribile fra le condizioni nelle quali l’uomo può cadere. […] Le immagini abbagliatrici sono suscitate dalla passione, ma il pericolo non è nella passione in quanto tale, ma nella valutazione di essa, nel suo scambiarsi per qualcosa di direttamente opposto a ciò che di fatto è. E mentre di solito la passione riconosce l’infermità, il pericolo e il peccato, e perciò si sottomette, la passione abbagliata si ritiene arrivata alla spiritualità […]“ (11).
D’altro canto, emerge da questa omologazione tra computer e stupefacenti il fascino del paradiso artificiale che — inaugurato da autori postromantici come Charles Baudelaire e Thomas De Quincey — sembra aver caratterizzato il nostro secolo, secolo disperato che ricerca il luogo “[…] non già della beatitudine, ma dell’oblio, del dimenticarsi” (12).
5. Una “vecchia storia”
La tecnologia come mezzo di una ri-creazione non più solamente ludica — da Hollywood ai videogame — ma a carattere globale — la ri-creazione del mondo a nostra immagine e somiglianza — è la fase più recente di un pensiero antico che va dallo gnosticismo alle Utopie, da Thomas More, Tommaso Campanella e Gerard Winstanley fino ai regimi comunisti (13). Ma laddove queste ultime erano a carattere collettivistico, quella della “realtà virtuale” nei suoi aspetti più estremi ha come soggetto l’individuo in sé stesso, nel suo cuore.
Il ri-creare il mondo attraverso la tecnica e l’arte abbandonate a sé stesse, significa in ultima analisi rifiutare la propria creaturalità e ciò ripropone ancora una volta gli elementi drammatici del racconto biblico sul peccato originale. Scriveva il card. Joseph Ratzinger a proposito di questo passo del Genesi: “Dovremmo capire che l’uomo non può mai rifugiarsi in uno spazio fatto solo di arte e di tecnica. In tutto quel che fa, fa sempre se stesso. Perciò egli stesso, la creazione, il bene e il male di questa sono sempre presenti come sua misura, e quando egli rinnega tale misura, inganna se stesso. Non si rende libero, ma si schiera contro la verità, il che significa che distrugge se stesso e il mondo” (14).
Stefano Salzani
Note:
(1) Elémire Zolla: lo sciamano nel computer, intervista a cura di Cesare Medail, in Corriere della Sera, 19-11-1991. Nello stesso senso, cfr. Elémire Zolla, La gnosi non esiste, intervista a cura di Antonio Socci, in Il Sabato, anno XIV, n. 49, 7-12-1991, pp. 71-73.
(2) Rosa Caggiano, responsabile marketing di un’azienda del settore, dichiara che la “realtà virtuale” sarebbe ora disponibile anche in Italia: “E non a livello sperimentale […]. I sistemi sono già pronti per fare il proprio ingresso sul mercato” (Un mondo tutto virtuale, in Minisistemi, n. 45, 1/15-1-1992, p. 28).
(3) Cfr. Scott S. Fisher e Jane Morrill Tazelaar, Living in a Virtual World, in Byte, vol. 15, n. 7, luglio 1990, pp. 215-221. Un’interessante relazione dell’esposizione Siggraph ’91-Tomorrows Realities, dedicata esclusivamente a prodotti e a espressioni artistiche legati alla realtà artificiale, si può leggere nell’articolo di Gerardo Greco, Hyperspace, in MCmicrocomputer, anno XI, n. 111, ottobre 1991, pp. 278-282.
(4) S. S. Fisher e J. Morrill Tazelaar, art. cit. , p. 216.
(5) Cfr. AA. VV., Cyberpunk. Antologia di testi politici, a cura di Raffaele Scelti, ShaKe Edizioni Underground, Milano 1990. Si noti però che l’avanguardia italiana del movimento Cyberpunk — a cui partecipano gli estensori del suddetto volume e che gravitano attorno al Collettivo Leoncavallo, di Milano — nell’editoriale della rivista Decoder, supplemento a Kontatto, n. 21, 1991, p. 254, sembrano ricredersi sull’autorevolezza di Timothy Leary affibbiandogli appellativi come “specchietto per le allodole” , “prestanome” al soldo di qualche grossa softwarehouse, nonché, molto più prosaicamente, “pirla”. Quanto al passato dello stesso Timothy Leary, cfr. Massimo Introvigne, La rivoluzione della droga e la “filosofia chimica”, in Cristianità, anno VI, n. 36, aprile 1978.
(6) Cfr. David Sheff, Le realtà virtuali di Timothy Leary, intervista raccolta in AA. VV., Cyberpunk. Antologia di testi politici, cit., p. 156.
(7) Ibid., p. 155.
(8) Ibid., p. 160.
(9) Gianfranco Bettetini, Scritture di massa, Rusconi, Milano 1981, pp. 192-193.
(10) D. Sheff, op. cit., p. 162.
(11) Pavel A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, trad. it., Adelphi, Milano 1981, pp. 38-39. Da un punto di vista più squisitamente dottrinale, cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989; a commento, cfr. don Pietro Cantoni, “Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana“, in Cristianità, anno XVIII, n. 178, febbraio 1990.
(12) Joseph Pieper, Sulla temperanza, 2a ed. riveduta, trad. it., Morcelliana, Brescia 1965, p. 110.
(13) A questo proposito è significativo riportare a titolo riassuntivo uno stralcio della presentazione tecnica di un nuovo computer adatto alla ricreazione della “realtà virtuale” apparso sulla rivista americana Byte: “Con l’avvento della VR [Virtual Reality], i computer saranno compatibili con gli altri media visivi per rendere disponibili immagini convincenti del mondo — anche di nuovi mondi costruiti sui nostri stessi desideri. La VR è la risposta della scienza alle antiche arti magiche: cambiare il mondo attraverso la sola forza del pensiero” (Dick Pountain, Provision: The Packaging of Virtual Reality, in Byte, vol. 16, n. 10, ottobre 1991, p. 53).
(14) Card. Joseph Ratzinger, Creazione e peccato, trad. it., Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987, p. 54.