STEFANO SALZANI, Cristianità n. 252-253 (1996)
1. “Élite” e avanguardie
Fra gli elementi che contribuiscono in modo decisivo alla formazione di un habitat culturale ve ne sono per certo alcuni che, pur emergendo a livello pubblico soltanto di rado, nondimeno caratterizzano tale habitat mediante un’influenza che può essere talvolta inversamente proporzionale alla loro “visibilità”.
Normalmente questo è il modo in cui operano quei circoli che si è soliti definire élite; a partire dal livello più spirituale, e da qui riflettendosi in tutti i campi dell’attività umana nella modalità appropriata, esse dovrebbero guidare e ordinare al bene comune una determinata civiltà senza costituirne necessariamente la parte più evidente: il ruolo sociale che la dottrina cattolica attribuisce agli ordini contemplativi ne fornisce un esempio palese.
Tuttavia, un comportamento del tutto simile può essere osservato anche in aggregazioni con un fine esattamente opposto o nelle stesse élite qualora, per determinate cause, siano state vittima di un’opera di sovversione; definiremo allora queste entità, esaminandole dal punto di vista specificatamente culturale o artistico, con il termine avanguardie (1).
Lo studio di queste ultime realtà permette di comprendere meglio le cause delle influenze che — manifestandosi inizialmente in ambienti marginali — possono determinare in un secondo momento l’andamento della tendenza culturale di massa di una società (2); inoltre, e con questo si eviterà ogni improvvida semplificazione della problematica evocata, si produce un’interazione fra élite e masse, per cui tali tendenze si riverberano a loro volta sulle avanguardie di modo che esse sono nel contempo “vittime” e “carnefici” delle loro stesse influenze.
Nel tentativo di dare un volto alle avanguardie di questo fine di millennio mi servo provvisoriamente di un toponimo, Cyberia, la cui definizione può suggerire la complessità della realtà da descrivere: essa infatti è “[…] il posto dove un uomo d’affari va quando partecipa a una conversazione telefonica, in cui si reca un guerriero sciamanico nel corso di un viaggio extracorporeo, in cui viene a trovarsi un danzatore “acid house” quando sperimenta la beatitudine di una trance tecnoacida. Cyberia è il posto a cui alludono gli insegnamenti mistici di ogni religione, le tangenti teoriche di ogni scienza e le più ardite speculazioni di ogni immaginazione” (3).
Insomma, Cyberia è “il villaggio globale elettronico” (4).
2. Paesaggi di Cyberia
Sebbene il veicolo di comunicazione privilegiato dalle avanguardie contemporanee sia di carattere prevalentemente estetico — come è evidente nel caso della musica rock in numerose sue forme (5) —, nel tentativo di dare un’unità non troppo forzata alla popolazione piuttosto eterogenea appena descritta sarà necessario partire dall’elemento che ne costituisce il sottofondo filosofico e che va ricercato in quel “materiale in decomposizione” prodotto dalla morte della cultura moderna.
Bisogna dire, a onor del vero, che vi è spesso in tali ambienti un sincero desiderio di reagire a questa situazione “decompositiva” della civiltà occidentale ma, nondimeno, questa necessità viene fronteggiata con il tentativo sistematico di distruggere soprattutto quelle ormai poche istituzioni spirituali e temporali il cui offuscamento — e non certo la cui presenza — ha determinato l’agonia culturale dell’Occidente.
Ritornando all’aspetto filosofico, definirò — senza alcuna pretesa di originalità — questo preannunciato elemento comune come la contrapposizione fra la “stabilità” dell’essere e la “dissoluzione” del divenire, risolta nettamente a favore del divenire, quando non addirittura con la negazione di qualsiasi realtà all’essere, dimenticando che, secondo una corretta prospettiva metafisica, la distinzione non è adeguata, perché anche il divenire, per essere divenire, deve anzitutto essere.
Ciò provoca, a livello fenomenologico e strategico, una mutazione incessante nelle forme di manifestazione di queste aggregazioni, il che — talvolta — le accomuna strettamente a semplici mode fino a confondere i due ambiti, anche se, dal momento che queste forme non sono in numero infinito, il loro andamento si presenta spesso come un susseguirsi sempre più accelerato di riproposizioni aggiornate di temi che hanno caratterizzato avanguardie precedenti (6).
La stessa carenza di stabilità è anche all’origine della ormai immancabile struttura a rete, a network, la cui icona istituzionale è per molti versi rappresentata dalla rete informatica Internet — la “madre di tutte le reti”, come è stata definita — e che si rivela solamente il tentativo paradossale di realizzare una “gerarchia orizzontale”.
Da un altro punto di vista, parafrasando Werner Sombart, potremo considerare le avanguardie contemporanee come “figlio legittimo dell’amore illegittimo” (7), cioè frutto di uno dei più importanti elementi del mondo moderno: la relegazione della filosofia ad ancilla delle scienze fisiche quando non addirittura della tecnologia; un ruolo di subordinazione peraltro accettato supinamente dalla filosofia moderna e che la costringe a seguire le incessanti variazioni di rotta di tali discipline.
Infatti lo stato delle scienze fisiche, almeno dall’inizio del secolo XX, è tale per cui, come scrive il fisico statunitense Wolfgang Smith, “abbastanza curiosamente, appena l’immagine [della materia] viene messa a fuoco, per così dire, essa si polverizza e infine scompare.
“[…] È come se la preda fosse misteriosamente sfuggita dalla rete proprio nel momento in cui veniva catturata” (8).
A prescindere dal valore reale delle due teorie scientifiche alle quali più frequentemente si richiamano le avanguardie contemporanee — specificamente la teoria del caos deterministico e la fisica quantistica —, tali teorie sembrano fornire primariamente una ennesima giustificazione a quanto in realtà è una delle meccaniche di pensiero classiche di queste correnti filosofiche.
Tale meccanica parte dal presupposto che esista una sorta di abbandono delle creature da parte del Creatore e quindi una vera e propria incomunicabilità fra un possibile ordine celeste e la realtà terrestre — a ciò contribuirebbe una certa interpretazione delle teorie del caos —, incomunicabilità che genera la negazione di qualsiasi realtà “oggettiva”, che sarebbe invece teorizzata dalla fisica quantistica.
Il risultato finale di queste affermazioni è uno scenario caratterizzato da un tentativo di ricreazione del mondo — e dell’uomo stesso — a immagine e somiglianza delle molteplici realtà progettuali — vera parola chiave nel linguaggio veicolare delle avanguardie — individuali.
Come spiega Eric Voegelin, “si tratta di modificare la struttura del mondo in maniera così radicale che da quella modifica emerga un Mondo Nuovo di pura soddisfazione” (9).
Dunque Cyberia è, in ultima analisi, soltanto una manifestazione contemporanea di questo Mondo Nuovo, che può essere, per così dire, “esplorato” tracciando i confini delle “regioni” che delimitano le sue correnti interne.
3. I Paradisi artificiali
La prima corrente che si può distinguere è caratterizzata dal tentativo di accedere al Mondo Nuovo attraverso l’assunzione di sostanze in grado di modificare la percezione della realtà.
Uso a proposito il termine paradisi artificiali per richiamare il titolo del famoso libro di Charles Baudelaire, che fu nel secolo XIX uno degli elaboratori più noti di questa corrente, della quale le avanguardie degli ultimi cinquant’anni rappresentano solamente un’esplicitazione ulteriore.
D’altronde tale esplicitazione ha quella che si potrebbe definire una “causa materiale” nella scoperta casuale, avvenuta il 6 aprile 1943 da parte del ricercatore farmaceutico Albert Hofmann, degli effetti psicotropi di un derivato della segale cornuta, l’LSD-25 (10), e una “causa formale” nella pubblicazione, da parte dell’accademico statunitense Aldous Huxley, di un’opera in cui mise per iscritto l’affascinante resoconto delle sue esperienze filosofiche ed estetiche sotto l’effetto della mescalina, l’alcaloide dotato di proprietà allucinogene e narcotiche contenuto in una pianta messicana della famiglia della cactacee (11).
A causa della fama del suo autore, divenuto quasi una istituzione della cultura contemporanea, quest’opera, che pure si distingue per l’acutezza di certe osservazioni, contribuirà in maniera determinante alla formazione di quella mentalità del tutto positivistica per cui l’esperienza spirituale è considerata prevalentemente dal punto di vista neurochimico.
Nella letteratura successiva propria di quella che verrà definita rivoluzione psichedelica (12), questo elemento sarà isolato dal contesto in cui pure Aldous Huxley l’aveva inserito e darà luogo all’ottimistica conclusione secondo la quale la realizzazione spirituale del Mondo Nuovo — sub specie di paradiso artificiale, appunto — è questione da risolversi primariamente a livello farmacologico.
Alcuni attuali esponenti di questa corrente, più sensibili alle altrettanto attuali influenze ecologiste, preferiscono alla chimica di laboratorio un ricorso a sostanze presenti direttamente in natura: è questa, fra l’altro, la visione dell’etno-botanico Terence McKenna, che interpreta tutto il corso della preistoria e della storia umane come l’effetto della maggiore o minore cooperazione fra la specie umana e le piante contenenti tali principi psicoattivi. La religione stessa e il linguaggio sarebbero soltanto alcuni prodotti della più o meno casuale simbiosi alimentare fra alcuni ominidi e questi vegetali, che avrebbero in questo modo aperto al genere umano le porte dell’Eden, caratterizzato socialmente da strutture matriarcali di condivisione, quindi costituito come una partnership society.
La cacciata da questo Eden coinciderebbe con l’avvento, durante il neolitico, di popoli a struttura patriarcale — e quindi connotati da mentalità dominatrice —, che imposero le proprie regole sociali e religiose — ma in questo senso la religione è da considerarsi come una pura cristallizzazione di esperienze psichedeliche non più sperimentate e condivise — in una sorta di escalation culminata a quanto sembra nel Medioevo cristiano; d’altronde oggi tale tendenza “infernale” sarebbe finalmente in declino e la nostra epoca presenterebbe i primi segni decisivi di un “provvidenziale” ritorno all’Eden psichedelico (13).
Per quanto riguarda la manifestazione attuale di questo risveglio psichedelico si potrebbero distinguere due correnti, non necessariamente parallele, delineate dalle due sostanze psicotrope che le hanno caratterizzate a partire almeno dalla seconda metà degli anni 1980: il DMT, sintetizzato nel 1956 da Steven Szara, e l’MDMA, meglio nota come Ecstasy (14). Mentre la seconda sostanza, più conosciuta dall’opinione pubblica, ha carattere per così dire “conviviale” — se non “orgiastico” —, da cui l’associazione mentale non inesatta “Ecstasy-discoteca”, la prima è invece, per i suoi effetti brevissimi e particolarmente devastanti, da considerarsi essenzialmente “religiosa” tanto da aver causato la nascita di vere e proprie nuove religioni (15), assimilate a torto o a ragione a quel fenomeno antropologico noto come sciamanesimo.
Lo sciamano come archetipo dell’Uomo Nuovo è per molti versi effetto delle interpretazioni di una certa scuola antropologica, che ha avuto in Joseph Campbell uno dei suoi più brillanti divulgatori. Nel 1959, egli scriveva a questo proposito che “l’imprigionamento degli sciamani […] da parte degli dèi e dei loro sacerdoti […] può forse terminare oggi, in questo periodo di irreversibile transizione della società da una base agricola ad una industriale, perché la realizzazione del futuro non dipende più dalla devozione del piantatore, che si inchina umilmente davanti alla volontà degli dèi della pioggia e del sole ma dalla magia di una scienza, che invia navi spaziali là dove un tempo sedevano gli dèi […].
“Il Titano prometeico si sta liberando ora tra noi, per costruire il nuovo mondo. E i sacerdoti che custodiscono le catene di Zeus possono davvero tremare, perché ogni legame si sta spezzando” (16).
Da un punto di vista puramente etnologico sembra doveroso segnalare tuttavia che, secondo uno dei più accreditati studiosi del fenomeno, Mircea Eliade, i presunti legami originari fra sciamano e sostanze psicotrope in realtà “[…] sono innovazioni recenti le quali in un certo modo accusano una decadenza della tecnica sciamanica. Si è cercato di imitare con una ebbrezza a base di droghe uno stato spirituale cui non si era più capaci di giungere in un altro modo. Decadenza, oppure — bisogna aggiungere — volgarizzazione di una tecnica mistica” (17).
Comunque, rimane fondamentale la questione della vera natura delle esperienze provocate dalle sostanze psichedeliche, esperienze peraltro di diversa intensità e talvolta percepite come “infernali”. Essa va sicuramente oltre una prospettiva puramente sanitaria, essendo gli eventuali effetti collaterali fisiopatologici — dal nostro punto di vista — un parametro di secondaria importanza soprattutto rispetto agli effetti spirituali; d’altro canto, come recita il famoso brocardo medievale, abusus non tollit usum, restando però aperto il problema della misura “millimetrica” del confine fra abuso e uso.
Alcuni, fra cui lo stesso Aldous Huxley, hanno cercato di ricomporre il problema collocando queste esperienze in “[…] ciò che i teologi cattolici chiamano “grazia gratuita”, non necessaria alla salvezza, ma potenzialmente utile e da accettare con riconoscenza se resa ottenibile” (18).
Restringendo ulteriormente il campo, lo storico delle religioni Huston Smith — figura peraltro non di secondaria importanza nella storia del movimento psichedelico — afferma che “ad alcuni, in certe situazioni, gli psichedelici possono aprire momentaneamente gli occhi sulla realtà metafisica. Possono mostrare loro regioni di realtà che essi non credevano assolutamente esistere. Tuttavia, imboccata come strada essa è disastrosa. Gli psichedelici possono aprire una porta, ma se ci si appoggia ad essa, ci si accorge che è una porta girevole che non conduce in nessun luogo. Ram Dass ha detto bene: “quando hai ricevuto il messaggio, riattacca!”” (19).
Infine, non può essere privo di interesse riportare l’opinione dello psicanalista svizzero Carl Gustav Jung — così spesso citato a torto o a ragione dalle avanguardie culturali e neoreligiose —, il quale lamentava a questo proposito che, attraverso queste droghe, “[…] gli uomini accedono a esperienze che non sono in grado di integrare. Il risultato è una specie di teosofia, ma non un arricchimento morale o spirituale. Queste presunte visioni religiose hanno a che fare con la fisiologia, ma non con la religione” (20).
In altri termini, l’incapacità di integrare queste esperienze corrisponde al rischio della dissoluzione irreversibile della coscienza individuale, cioè di quella “luce” che dà unità ai nostri atti e ai nostri pensieri e che è “immagine e somiglianza” dell’unità divina.
4. Utopia digitale: “Deus ex machina”
La seconda corrente che si può distinguere ha in vista più che un paradiso celeste, una sua applicazione terrestre e sociale basata sulla fiducia illimitata nella razionalità umana e che viene comunemente definita Utopia in riferimento all’opera omonima dell’umanista inglese Thomas More; nella fattispecie vengono poste a fondamento del Mondo Nuovo più che la razionalità in quanto tale, le sue applicazioni più recenti: le tecnologie informatiche e la cibernetica.
Per quanto riguarda i contatti fra questa corrente e quella precedente è comunemente riconosciuto che le tendenze, che in misura maggiore hanno contribuito a indirizzare la ricerca su queste nuove tecnologie, “[…] sono in gran parte riconoscibili nell’evoluzione della “cultura degli allucinogeni” così presente nelle esperienze e nella poetica della beat-generation americana” (21).
Ma, sotto altri aspetti, questa utopia digitale rappresenta un abbandono di certe posizioni proprie della rivoluzione del Sessantotto —che, dal punto di vista della produzione di avanguardie, ha lasciato peraltro ben poco spazio alla “creatività”! —, con la quale invece la corrente neo-psichedelica presentava continuità quasi formale; questo abbandono riguarda soprattutto gli aspetti anti-tecnologici del Sessantotto, che vengono sostituiti da una vera e propria fiducia “soteriologica” nei confronti della tecnologia stessa; ciò riporta d’altronde alle caratteristiche di un’altra rivoluzione non tenuta in sufficiente considerazione e cioè alla rivoluzione industriale, di cui la corrente in esame potrebbe essere qualificata come “l’ultima frontiera”.
Per quanto riguarda le cause di questa metamorfosi dalla psichedelia alla cyberdelia, esse sono sintetizzate dalla posizione di Timothy Leary, che, passato dal ruolo di “profeta” della prima corrente a teorico e manager della seconda, scriveva: “I gruppi di ricerca con i quali ho lavorato ad Harvard, Millbrook e a Berkeley [i grandi laboratori accademici della rivoluzione psichedelica], fecero ricorso a una terminologia vaporosa, orientale, da illuminati del Gange, per la quale debbo chiedere umilmente scusa” (22).
Poiché il problema sembra essere di natura essenzialmente terminologica più che di sostanza, questa corrente mette in campo ogni sorta di combinazioni lessicali che abbiano risonanza con le parole chiave della nuova tecnologia — da cui un abuso del prefisso cyber —, nelle quali combinazioni il computer gioca il ruolo di metafora onnicomprensiva.
In questo senso TimothyLeary consiglia: “Recitate tra voi questa novena composta da alcuni attributi tradizionali della parola “spirituale”: mitico, magico, etereo, incorporeo, intangibile, non materiale, disincorporato, ideale, platonico. Non è questa una definizione dell’elettronica digitale?” (23); e ad aumentare la confusione semantica, egli fa passare con noncuranza l’equivalenza del termine pensare con il latino computare, con esplicito riferimento al suo derivato, il computer (24).
Anche solo da questi pochi elementi è facile comprendere come al computer sia destinata una sorta di venerazione del tutto fuori luogo, basata sulla convinzione che esso possa condurre l’uomo alla conquista di un qualche mondo spirituale. Mi limiterò a suggerire che, se è in qualche modo comune l’espressione cervello elettronico, sarebbe del tutto impensabile accettare definizioni quali anima elettronica, dal momento che, fra questi due concetti, vi è la stessa differenza che può passare fra un pezzo anatomico e quel mistero insondabile che gli dà vita e ragion d’essere.
Passando poi a distinguere in questa corrente tecno-ideologica le sue maggiori esplicitazioni, bisogna inevitabilmente affrontare il tema della cosiddetta realtà virtuale, termine che, d’altronde, sarebbe meno illusorio trasporre in pseudo-realtà artificiale (25).
Se da alcuni essa viene considerata come una rivisitazione più aggiornata e controllabile delle già evocate prospettive psichedeliche (26), altri, accentuano le potenzialità più sociali in essa contenute elaborando il concetto di cyber spazio, cioè di quell’ambiente informatico parallelo alla realtà ordinaria che, a breve o a medio termine, dovrebbe sovrapporsi completamente a quest’ultima compiendo infine il villaggio globale elettronico.
La progettazione di un’utopia sociale “libertaria”, basata sulle “gerarchie orizzontali” implicite nella struttura a rete a cui ho già accennato, deve però, già ai suoi esordi, registrare i primi insuccessi. A questo riguardo è particolarmente interessante l’esperienza di una delle prime reti multimediali, Habitat, organizzata nel 1985 dalla Lucasfilm e che consentiva ai partecipanti, collegati telematicamente al computer centrale, di interagire in una sorta di videogioco aperto a sviluppi imprevedibili.
Partiti alla scoperta di questo Mondo Nuovo, benché animati da spirito pionieristico e libertario, progettisti e utenti si ritrovarono a un certo punto forzatamente — cioè naturalmente — a ripetere strutture sociali, anche coercitive, e situazioni tipiche quotidianamente riscontrabili nella dura realtà niente affatto virtuale (27).
Ma il tentativo estremo di “digitalizzare” la realtà segue vie ancor più inquietanti quando, attraverso la tecnologia, si voglia pervenire a una vera e propria immortalità dell’individuo, scambiandola — nel migliore dei casi — con una sospensione indefinita della vita o con la pura “sopravvivenza” della sua memoria.
Oltre a tecniche quali l’ibernazione o la clonazione — che secondo Timothy Leary avrebbe peraltro il vantaggio di “[…] conservare il sesso come forma di comunicazione e di riprodurci asessualmente” (28) —, vengono infatti codificate due nuove forme umane, da sviluppare in un prossimo futuro: una di tipo più biologico — un ibrido bio-meccanico — e una per nulla biologica, una vita elettronica all’interno delle reti informatiche: “l’umano come macchina e l’umano in macchina” (29).
A questo stesso orizzonte di ibridazione uomo-macchina, appartengono pure quelle apparecchiature definite elettronici-psichedelici (30), in grado di influenzare elettromagneticamente, o in forme ancor più curiose, la psiche umana, provvedendo quindi un sostituto a psicoterapie — e a religioni… — (31) e che mi limiterò soltanto a segnalare di sfuggita: a prescindere da quale sarà l’effettiva portata delle tendenze appena descritte, mi preme far risaltare come l’ipotesi soggiacente a tali realizzazioni sia in ultima analisi la produzione della verità — forma intellettuale della realtà — a scapito dell’unico atteggiamento a essa proprio: la scoperta.
5. Magia del Caos
Se, come affermava un’autorevole rivista americana di informatica, “la realtà virtuale è la risposta della scienza alle antiche arti magiche: cambiare il mondo attraverso la sola forza del pensiero” (32), la funzione “demiurgica” della tecnologia non ha affatto esaurito il fascino per la pratica della magia così come è comunemente intesa, ma ha piuttosto contribuito a modificarne certe coordinate.
Come diceva Genesis P-Orridge, body artist, musicista, nonché leader del Tempio della Gioventù Psichica e vera e propria “incarnazione” delle avanguardie da un quarto di secolo a questa parte, “la magia dev’essere un’applicazione degli strumenti che sono disponibili in un certo periodo storico. La struttura rimane la stessa ma gli equipaggiamenti devono essere usati il più possibile all’opposto dell’utilizzo che degli stessi ne fa il potere per reprimere la gente” (33): da questa stessa ipotesi nasce quella corrente con notevoli implicazioni culturali oltre che “cultuali” denominata Chaos magic, “[…] un modo scientifico di fare della magia totalmente empirico, nel senso che le sue tecniche sono interessate esclusivamente a ciò che produce risultati. Essa non è interessata alla metafisica o al perché le tecniche magiche facciano quello che fanno” (34).
Il fatto che tale tipo di “scienza magica” si riferisca fin dal suo nome al Caos (35), che è per definizione il produttore di effetti imprevedibili, non può non far venire alla memoria le ultime parole che il famoso mago Aleister Crowley — uno dei padri riconosciuti di questa corrente — pronunciò sul letto di morte: “sono perplesso…” (36).
6. T.A.Z.: il Paese di Cuccagna
Uno dei personaggi più citati nell’ambito della Chaos magic, nonché più importanti nella definizione del panorama delle avanguardie underground italiane — mi riferisco ai circoli legati al Leoncavallo di Milano — è lo scrittore conosciuto sotto lo pseudonimo di Hakim Bey.
Con la sigla T.A.Z. — temporary autonome zones, “zone temporaneamente autonome” — egli intende un luogo metaforico che credo di poter ricondurre al Paese di Cuccagna, cioè a quel mito popolare nato letterariamente nel secolo XIII e descritto come un paese in cui “non c’è duca, né signore, né conte”, ma vi sono solamente cibi, vino e donne in quantità (37).
La dissoluzione dell’essere nel puro divenire — il cosiddetto anarchismo ontologico — raggiunge in questo autore una formulazione radicale: la rivoluzione stessa, in quanto finalizzata comunque a un risultato da conseguire — un nuovo ordine sociale o antropologico — viene respinta e sostituita dalla pura insurrezione per sé stessa.
Hakim Bey delinea i tre elementi principali di T.A.Z.: la sostituzione del concetto di banda a quello di famiglia; la definizione di T.A.Z. come festival, cioè il considerare per esempio “[…] come immagine di società anarchica, il pranzo in cui tutte le strutture di autorità si dissolvono nella convivialità e la celebrazione” (38), bandendo quindi una lotta per il diritto alla festa; e, infine, il concetto di nomadismo psichico, per cui, anche a livello interiore, un posto vale l’altro: dal Paradiso artificiale attraverso l’Utopia digitale, nel Paese di Cuccagna, infine, gli Uomini Nuovi si ritrovano come nomadi perpetui di un mondo a loro intrinsecamente incomprensibile per cui — ed è l’unica prospettiva che rimane loro — “questi nomadi praticano la razzia, sono corsari, sono virus: hanno bisogno e voglia di TAZ, campi di tende nere sotto le stelle del deserto, interzone, oasi fortificate nascoste lungo carovaniere segrete, parti di giungla e di pianure “liberate”, aree proibite, mercati neri e bazaar sotterranei” (39).
7. Conclusione: la Gerusalemme Celeste
La speranza e l’esigenza stessa di “un nuovo cielo e una nuova terra” (40) costituiscono non solo aspettative legittime e da perseguirsi, ma la loro realizzazione — in una prospettiva autenticamente apocalittica — si configura come un evento ineluttabile.
Il problema allora sta solamente nella modalità della loro realizzazione. Non bisogna infatti dimenticare che è scritto che la Gerusalemme Celeste, simbolo principale del mondo trasfigurato, lungi dall’essere conseguenza di una fondazione umana più o meno progettuale, è invece “descendentem de caelo a Deo” (41) e quindi, dal nostro punto di vista, è un adeguamento dell’uomo alla realtà e non viceversa.
Tutti i tentativi umani di alterare questa prospettiva sono destinati a rivelarsi in ultima analisi affatto simili alla nefasta edificazione ascensionale della Torre di Babele, vera e propria immagine rovesciata della discesa della Città Celeste: che poi tale edificazione venga attualmente definita come villaggio globale in grado di ricomporre la dispersione delle genti — attraverso la distruzione delle essenziali diversità culturali dei popoli — e la confusione delle lingue — attraverso l’uniforme appiattimento dei loro orizzonti spirituali — riuscirà solo a far meglio risaltare, per chi li colga, gli aspetti sinistri di questa triste parodia.
Stefano Salzani
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(1) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, parte I, cap. X, 3a ed. it. accrescita, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 113-114.
(2) Un parallelo che può chiarire la meccanica di queste influenze è il nesso causale esistente fra i Nuovi Movimenti Religiosi — per quanto numericamente esigui — e il clima della nuova religiosità: cfr. Massimo Introvigne, La questione della nuova religiosità. In appendice la relazione generale al Concistoro Straordinario del 1991 di S. Em. il card. Francis Arinze, Cristianità, Piacenza 1993.
(3) Douglas Rushkoff, Cyberia. La vita tra le pieghe dell’iperspazio, trad. it., Libri Urra, Milano 1994, p. 4.
(4) Ibidem.
(5) Per quanto riguarda — a titolo d’esempio — l’”ispirazione” che l’opera dello scrittore americano William S. Burroughs — uno dei più importanti esponenti dell’avanguardia da più di mezzo secolo — ha esercitato sulla musica rock, cfr. l’articolo di Vittore Baroni, W. S. Burrougs: Sound Effects of Nuclear Blast!, in Sonora, anno 1, n. 1, 1991, pp. 28-42.
(6) Cfr. un excursus sulle mutazioni delle avanguardie degli ultimi trent’anni, in Lewis S. Home, Assalto alla cultura, trad. it., AAA, Udine 1996.
(7) Werner Sombart, Lusso e capitalismo, a cura di Mauro Protti, trad. it., Unicopli, Milano 1988, p. 216.
(8) Wolfgang Smith, Cosmos & Transcendence. Breaking Through the Barrier of Scientistic Belief, Sherwood Sugden & Co., Peru Ill., 1988, p. 24. D’altra parte ciò è perfettamente comprensibile in una prospettiva come quella scolastica per cui la materia è inintelligibile per definizione, contrariamente alla forma, che rappresenta invece l’elemento propriamente “razionale” del cosmo. Per questo, quanto più ci si avvicina alla materia prima, tanto più diminuiscono necessariamente le possibilità di comprendere il cosmo.
(9) Eric Voegelin, Il mito del mondo nuovo. Saggio sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., Rusconi, Milano 1990, p. 25.
(10) Cfr. la storia di questa scoperta e dei suoi influssi culturali, in Albert Hofmann, LSD, il mio bambino difficile, trad. it., Libri Urra, Milano 1995.
(11) Cfr. Aldous Huxley, Le porte della percezione. Paradiso e inferno, trad. it., Mondadori, Milano 1980.
(12) Il termine psichedelico, cioè “che manifesta la psiche”, fu coniato dal ricercatore americano Humphry Osmond nel 1956 e divenne di uso comune a metà degli anni 1960: cfr. la genesi e la storia del movimento psichedelico, in Peter Stafford, Enciclopedia psichedelica. Controinformazione sugli allucinogeni, trad. it., Cesco Ciapanna, Roma 1979, pp. 21-62; cfr. pure M. Introvigne, La rivoluzione della droga e la “filosofia chimica”, in Cristianità, anno VI, n. 36, aprile 1978, pp. 9-11.
(13) Cfr. Terence McKenna, Il nutrimento degli dèi. La ricerca dell’albero originale della conoscenza, trad. it., Libri Urra, Milano 1995. A p. XXIII, l’autore riassume, fra l’altro, le premesse psichedeliche scrivendo che “[…] le radici della nostra vita mentale sono fisiche. Le droghe psicoattive pertanto sfidano il presupposto cristiano dell’inviolabilità e dello status ontologico speciale dell’anima”, cosa che denota una non infrequente ignoranza dell’antropologia tradizionale cristiana. Sulle possibili cause fisiopatologiche del raptus mistico, cfr. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIa- IIa, q. 175, art. 1.
(14) Cfr. la storia di questa sostanza, di notevole impatto sociale nel mondo giovanile, in Bruce Eisner, Ecstasy: the MDMA Story, Ronin, Berkeley 1989.
(15) Cfr. D. Rushkoff, op. cit., pp. 90-97.
(16) Joseph Campbell, Mitologia primitiva. Le maschere di Dio, trad. it., Mondadori, Milano 1990, p. 323.
(17) Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Mediterranee, Roma 1983, p. 427. Del resto, lo stesso Aldous Huxley (op. cit., p. 76), afferma che “il bisogno di trascendere la personalità cosciente dell’Io […], è un’inclinazione dell’anima. Quando per una qualunque ragione, gli uomini e le donne mancano di trascendere se stessi con l’adorazione, le opere buone e gli esercizi spirituali, sono indotti a ricorrere ai surrogati chimici della religione”.
(18) A. Huxley, op. cit., p. 83; ma si potrebbe aggiungere che, se ogni santo è anche un mistico, non ogni mistico è un santo.
(19) Richard Smoley e Jay Kinney, A Gnosis interview with Huston Smith, in Gnosis, n. 37, autunno 1995, pp. 30-35 (p. 35). Su Baba Ram Dass — al secolo Richard Alpert —, ex collaboratore di Timothy Leary e ora esponente di un gruppo New Age, cfr. M. Introvigne, Storia del New Age. 1962-1992, Cristianità, Piacenza 1994, pp. 135-137. Si può dire che il New Age presenta spesso sotto un profilo religioso quanto le avanguardie presentano sotto un profilo più specificamente culturale.
(20) Cit. in Ermanno Pavesi, Sostanze psicotrope, allargamento della coscienza e religione: tra ricerca scientifica ed esoterismo, relazione al Seminario Internazionale del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, Varieties of Prayer – Alla ricerca del Divino, Roma, Università La Sapienza, 10-12 maggio 1995, inedita.
(21) Fausto Colombo e Nicoletta Vittadini, Atti oltre lo schermo: i sistemi di realtà virtuale, in Vita e Pensiero, anno LXXV, n.1, gennaio 1992, pp. 17-30 (p. 28).
(22) Timothy Leary, Caos e Cibercultura, trad. it., Libri Urra, Milano 1995, p. 40.
(23) Ibid., p. 5.
(24) Cfr. ibid., p. 69. In realtà la traduzione del latino computare è notoriamente quella di calcolare, anche quando in alcuni autori — per esempio Lucio Anneo Seneca — il termine assume un significato peggiorativo di grettezza e di meschinità — cfr. l’italiano “agire per calcolo” —, mentre resta assolutamente esclusa, quindi, la prospettiva spirituale che Timothy Leary attribuisce al termine stesso.
(25) Cfr. la genesi e una critica di alcune prospettive della realtà virtuale, nel mio “Paradisi digitali”, in Cristianità, anno XX, n. 201-202, gennaio-febbraio 1992, pp. 10-12.
(26) Per esempio, questa è, in Italia, la posizione del letterato Élemire Zolla: cfr. Maurizio Blondet, Gli “Adelphi” della dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatico, Ares, Milano 1994, pp. 195-198.
(27) Cfr. Chip Morningstar e F. Randall Farmer, Gli insegnamenti di Habitat della Lucasfilm, in AA. VV. Cyberspace. Primi passi nella realtà virtuale, a cura di Michael Benedikt, trad. it., Franco Muzzio, Padova 1993, pp. 285-312.
(28) T. Leary, op. cit., p. 199.
(29) Eric Gullichsen, Metodi cibernetici per raggiungere l’immortalità (vita artificiale “in silicio”), in T. Leary, op. cit., p.199. Sul tragico tentativo di Timothy Leary, irreversibilmente ammalato di cancro, di diventare uomo in macchina, cfr. Paolo Biamonte, Leary cyberumanista, in Musica!, supplemento a la Repubblica, 8-11-95.
(30) Cfr. Anthony Basset, Elettronici psichedelici, in AA. VV. Cyberpunk antologia, a cura di Raffaele Scelsi, ShaKe Edizioni Underground, Milano 1990, pp. 195-202.
(31) Nel 1993, su una rivista specializzata del settore, compariva la recensione di un dispositivo attraverso il quale “saremo quello che in realtà siamo”, per la modica cifra di 7 milioni di lire: cfr. La lettura globale della mente, in M&P COMPUTER, nn. 7-8,1993, pp. 88-89. A margine, segnalo anche le varie ricreazioni di “microorganismi viventi” all’interno di un computer: cfr., per esempio, Sonia Aloisi, Creazione, l’ottavo giorno, in Virtual, anno 1, n. 1, settembre 1993, pp. 46-47; e al suo esterno in vere e proprie colonie di cosiddetti Gnat robot o “robot insetti”: cfr. Lucarini G. e Varoli M., Robot cellulari basati su reti neurali istintive, Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Telematica, Genova 1992.
(32) Dick Pountain, Provision: The Packaging of Virtual Reality, in Byte, vol. 16, n.10, ottobre 1991, p. 53.
(33) Genesis P-Orridge, Intervista, in AA. VV., Selezione, Ricerche e Studi Babalon, Verona 1985, p. 10.
(34) Siobhan Houston, Chaos Magic, in Gnosis, n. 36, estate 1995, pp. 54-59 (p. 56).
(35) Peter J. Carrol, uno dei caposcuola di questo movimento, spiega di aver scelto il termine Chaos per identificare la sua magia perché esso è “[…] virtualmente insignificante e libero da puerili e antropomorfiche idee di tipo religioso” (Liber Null and the Psychonaut: An Introduction to Chaos Magic, Samuel Weiser, York Beach, Maine, 1991, p. 28).
(36) John Symonds, La grande Bestia, trad. it., Edizioni Mediterranee, Roma 1986, p. 291.
(37) Del Paese di Cuccagna è stato detto che “[…] mentre le utopie antiche e moderne son sempre modelli di organizzazione con leggi fondamentali e con un piano di lavoro, i Paesi di Cuccagna svaniscono in una vita beata, piena di delizie” (Giuseppe Cocchiara, Il Paese di Cuccagna, Boringhieri, Torino 1980, p. 185).
(38) Hakim Bey, T.A.Z. Zone temporaneamente autonome, trad. it., ShaKe Edizioni Underground, Milano 1993, p. 19.
(39) Ibid., p. 22.
(40) Ap. 21, 1.
(41) Ibid. 21, 2; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 677.