Gianni Vannoni, Cristianità n. 14 (1975)
Il 25 dicembre del 1965 si spegneva, nella sua canonica di Maiano presso Fiesole, il sacerdote Paolo de Töth, uno dei più fieri esponenti della Contro-Rivoluzione nell’Italia contemporanea. La storia ci tramanda di lui una doppia immagine, cronologicamente distinta: quella del giornalista intransigente, sempre pronto a combattere per la gloria di Dio e i diritti della Chiesa, senza rispetto umano né timore dei potenti, fossero laici o fossero ecclesiastici (e questa è la prima parte della sua vita, dal 1906 al 1929); poi quella del parroco di campagna, tutto intento al culto divino, alla educazione cristiana della gioventù, alla restaurazione del costume popolare (e questa è la seconda parte della sua vita, dal 1930 al 1965).
IL SENTIMENTO CAVALLERESCO
De Töth, nato a Udine il 7 marzo 1881 da Eleonora Vannini e dal barone Francesco, la cui famiglia era originaria dell’Ungheria, fu ordinato sacerdote l’8 settembre 1906, e si può dire che da quel giorno il sacramento dell’ordine impresse al sentimento cavalleresco proprio della nobiltà magiara, ch’egli portava nel sangue, un indirizzo che non sarà più abbandonato, e che consisteva nel servizio totale e impetuoso della Divina Maestà.
Fin dall’età di venticinque anni lo troviamo alla direzione delle Armonie della Fede, battagliero periodico che grazie al suo zelo sorse dalla trasformazione di un foglio di devozione locale, Le meraviglie di Dio in S. Chiara da Montefalco, in organo della reazione antimodernista più teologicamente agguerrita (1), sulla linea di un tomismo integro e genuino, alieno da qualsivoglia eclettismo e impersonato – oltre che sulle pagine della rivista, negli annali stessi della rinascita neoscolastica – dalla figura eminente del padre gesuita Guido Mattiussi, il “maestro indimenticabile” (2).
I POLI DOTTRINALI
San Tommaso d’Aquino e san Giovanni della Croce (3) furono i due punti di riferimento che permisero a De Töth di attraversare incolume il fiume della sua tormentata esistenza, ricca di amarezze e tribolazioni provocate, più che dai nemici esterni e palesi della Chiesa, dai nemici interni e occulti, spesso celati sotto il velo medesimo della ecclesiastica autorità. La ferrea armatura filosofica che egli ereditò dall’aquinate, unita alla pratica del fiducioso abbandono alla divina provvidenza, cardine della spiritualità carmelitana, lo mantennero nel mirabile e difficile equilibrio della verità tra gli opposti dell’obbedienza nell’errore e della rivolta cieca, che confonde la persona con l’ufficio, l’indegnità dell’una con la santità dell’altro. “San Tommaso insegna che Dio comanda il bene perché è bene; perché come tale è conosciuto dalla sua divina sapienza e in esso – nel bene creato fisico e morale – è un riflesso della sua stessa soprasostanziale perfettissima bontà“, argomentava il De Töth di contro agli epigoni della concezione scotista, secondo la quale invece era bene ciò che Dio decideva essere tale, donde seguiva “che Dio avrebbe potuto stabilire anche l’opposto come contenuto della legge morale“. A tali conseguenze mostruose (4) si giungeva per non avere distinto l’ordine naturale dal soprannaturale, distruggendoli così ambedue. Sgomberato il campo dal fumoso misticismo esalante da un simile soprannaturalismo estremistico, la retta ragione era fatta salva (e reso possibile il retto comportamento) sia dalle illusioni del mondo, della carne e del diavolo sia dagli eventuali arbitri di una pur legittima autorità; e d’altro canto restava salva anche la buona mistica che riconosceva limitata la ragione umana e imperscrutabili i disegni di Dio il quale sa trarre il bene anche dal male.
Con questo bagaglio di certezze De Töth poteva procedere sicuro per la sua strada che era la via della verità e dell’onore cristiano (5); bonus miles di un esercito ondeggiante e sempre più disorientato, soprattutto dopo il cambio della guardia operatosi a Roma, ove la scomparsa di san Pio X (20 agosto 1914) aveva dato libero corso alla corrente dell’opportunismo “modernizzante” che si era saldamente insediata, con il cardinale Gasparri, alla segreteria di Stato.
GIORNALI INTRANSIGENTI E GIORNALI MODERNIZZANTI
I primi venti anni del nostro secolo sono contraddistinti dallo scontro fra due concezioni opposte dell’apostolato cattolico, e segnatamente del giornalismo. La prima era una concezione apostolica nel senso letterale della parola, compendiata nella formula della “bandiera spiegata” (6), all’ombra della quale si articolò la collaborazione di De Töth con san Pio X, che spesso ispirava direttamente gli articoli del giovane sacerdote (7). La seconda (quella che ora tiene il campo) era una concezione moderata basata sull’idea che una stampa apertamente cattolica avrebbe allontanato i lettori increduli ai quali invece bisognava offrire dei giornali redatti con tono conciliante e aperti alle suggestioni dell’ora. San Pio X non condivideva questa idea e riprovò pubblicamente, con un’apposita Avvertenza apparsa il 2 dicembre 1912 negli Acta Apostolicae Sedis, il cosiddetto trust grosoliano (8) che con varie testate cercava di incarnarla. Viceversa il Gasparri era legato da vecchia data agli ambienti del trust; quando ebbe notizia della loro sconfessione rimase assai contristato (9), e divenuto segretario di Stato sotto Benedetto XV si affrettò a dichiarare ufficialmente che l’Avvertenza di san Pio X non aveva avuto valore di proibizione (10).
Nella compagine del giornalismo intransigente l’organo più importante era certamente l’Unità Cattolica di Firenze; ma, passati i tempi di don Margotti e di Giuseppe Sacchetti, il glorioso quotidiano versava in pessime condizioni, sia finanziarie che redazionali. San Pio X si oppose alla sua cessazione e nel 1907 chiamò a Roma De Töth per incaricarlo di rialzarne le sorti. Per circa due anni (1908 – giugno 1909) egli lo diresse con una vis polemica impareggiabile, incoraggiato e consigliato dallo stesso Pontefice, ma sordamente avversato da varie autorità intermedie, tra cui si segnalavano specialmente il cardinale Maffi di Pisa, il cardinal Ferrari di Milano e l’arcivescovo di Firenze monsignor Mistrangelo. Nel corso di tale “guerra fredda” il De Töth, che possedeva un temperamento molto esuberante, si lasciò andare a iniziative imprudenti, attaccando frontalmente, sebbene in privato, alcune di queste autorità intermedie, tanto che il Pontefice fu alfine costretto a esonerarlo dalla direzione dell’Unità Cattolica (11).
Si capisce come, morto san Pio X, la situazione dovesse farsi ancora più critica. Per grazia di Dio era vescovo a Fiesole monsignor Giovanni Fossà, intrepido pastore, schietta espressione dell’intransigentismo veneto. Egli, che aveva accolto il De Töth appena gli era venuto a mancare l’asilo dell’Unità Cattolica (i cui uffici fungevano anche da precaria abitazione per il giovane direttore), lo incardinò definitivamente nella propria diocesi il 17 marzo 1913; in guisa che, dopo il transito dell’Ignis ardens, rimase tra il sacerdote friulano e la gasparriana segreteria di Stato almeno la mitra di monsignor Fossà. E sotto questa egida si aprì, passata la bufera del conflitto scatenato dagli assassini di Serajevo, la stagione più felice del De Töth giornalista, si dischiusero cioè i dieci anni di Fede e Ragione (12).
“FEDE E RAGIONE”
1919-1929: dieci anni critici per la storia dell’Italia e del movimento cattolico, ove furono giocate partite che ancora oggi sono lontane dall’essere concluse, e nel corso delle quali De Töth e il suo gruppo esiguo ma eletto di controrivoluzionari cercarono di tenere viva una tradizione che necessita, per la natura stessa del suo avversario, proteiforme come l’ispirazione diabolica, di una rifondazione continua e di una vigilanza incessante (13).
All’ingresso dell’ultimo anno di Fede e Ragione sta un editoriale che ha il sapore di un esame di coscienza fatto sul termine dell’impresa, e anche, in un certo senso, il valore di un compendio. Fede e Ragione, vi si legge, “nasceva sulla fine del 1919. Combinazione volle che essa nascesse quasi contemporaneamente al Partito Popolare, da noi qui denunciato subito come una deviazione, come l’incarnazione vera e propria del modernismo politico e sociale; donde tutte le opposizioni immantinenti scoppiate contro di questo periodico, accusato di combattere, nella lotta contro il murrismo risorto nel popolarismo, l’azione cattolica, con la quale il popolarismo tentò subito di confondersi e identificarsi” (14). Breve schema che si può riempire di mille figure e avvenimenti. L’attacco a don Vercesi (15), dichiaratosi contrario alla restaurazione della monarchia absburgica, l’avversione contro la quale “è tutta nei coni di quella setta anticristiana, che da lunga mano ne era venuta preparando la rovina“, per cui “noi leveremo sempre la voce contro quei cattolici e quella stampa cattolica che, imbevuta dei fumi del nazionalismo, strepita appena sente parlare di possibili restaurazioni, di cui la setta ha paura perché sarebbero tutte contro di lei” (16). Il dubbio manifestato sulla bontà del sindacalismo bianco, dietro al quale potrebbe esserci “lo zampino – non isgradito – della massoneria“, poiché “conosciamo abbastanza questi novelli redentori del popolo. E di Redentori, per noi, non ve n’è che uno: quello di duemila anni or sono” (17). La dichiarazione di non volersi piegare “ai placiti e ai comandi” di don Sturzo: “forse che il pipì sarebbe divenuto la Chiesa? Vivaddio, no!” (18); il posto del prete “non è nelle sezioni di partiti politici, ma nel presbiterio e nella casa del Signore“, perciò i buoni sacerdoti non “servono a partiti umani, ma solo al partito di Dio” (19). E così via di questo passo, senza risparmiare nessuno, senza curarsi delle mille inimicizie che tale impostazione suscitava contro la rivista e i suoi collaboratori. Basti leggere la lettera che il cardinal Gasparri, su carta intestata della segreteria di Stato, inviava ai vescovi (ma non a tutti) il 6 marzo 1922; essa è, nel suo genere, un piccolo capolavoro (20).
Quando una parte cospicua del PPI si staccò dal partito per avvicinarsi al fascismo, in base agli accordi intercorsi tra Mussolini e il cardinal Gasparri (21), nemmeno allora Fede e Ragione abbandonò la presa; “i giornali del centrismo filo-fascista“, dichiarò la rivista di De Töth, “non sono impeciati meno della stampa popolare e di “Parte Guelfa” di quel liberalismo e democratismo, che sono la loro tabe e che da essi – non bisogna dimenticarlo, bisogna ricordarlo – venne tanto largamente inoculata nelle vene e nel sangue dell’azione cattolica in Italia.
I signori del centro nazionale hanno un bel distinguersi dagli uomini del Partito Popolare, ma unica è l’origine degli uni e degli altri e identico il peccato di origine, che li inquina, e che nessun trapasso politico da una corrente ad un’altra è riescito e riescirà a cancellare. Chi fra tutti, portò alla ribalta e sostenne sempre anche dopo le reiterate condanne della Chiesa quel Murri che col suo movimento social-democratico, camuffato da cristiano (donde il partito popolare, formato e capitanato dai più fidi discepoli e luogotenenti dell’infelice apostata di Montegiorgio), fu la causa precipua delle divisioni, le quali tuttavia logorano il campo cattolico, fu quel senatore Grosoli, che a capo del centro così detto nazionale, da quei giornali, da cui fino ad ieri strepitò per il modernismo, strepita oggi per il fascismo, contro quel partito popolare che egli tenne nel 1919 a battesimo” (22).
STATO CATTOLICO O STATO CONCORDATARIO?
La nuova combinazione presieduta dal card. Gasparri preludeva alla “conciliazione“, e lo scioglimento della questione romana era pure in cima ai pensieri di De Töth; ma questi temeva una soluzione di compromesso che avrebbe fatto servire la Chiesa agli interessi dello Stato acattolico, venuto su dalla Rivoluzione nazionale del “risorgimento” a certi filoni del quale il fascismo sembrava riallacciarsi (23).
In effetti la valutazione del fascismo presso Fede e Ragione è sostanzialmente negativa (24), mentre suona di frequente positivo, per quanto con riserva, il giudizio via via espresso sulle realizzazioni del regime. La distinzione tra movimento fascista e regime, che solo in questi ultimi anni è stata acquisita dalla migliore storiografia, è chiaramente formulata sulle pagine della rivista fiesolana (25), che tendeva a favorire una evoluzione in senso cattolico dello Stato autoritario, stigmatizzandone nel contempo le propensioni al totalitarismo.
Con il Concordato la linea totalitaria venne a trovarsi oggettivamente spezzata – e giustamente si è parlato a questo proposito di “totalitarismo tronco” (26) – tuttavia rimase valida come linea di tendenza, non essendosi restaurato uno Stato cattolico, ma soltanto costruito un modus vivendi tra due realtà fondamentalmente estranee. Se il Buonaiuti inneggiava a Mussolini che, nel discorso alla Camera sui patti del Laterano, aveva fatto sua la posizione modernista circa le trasformazioni del cristianesimo (27); se Romolo Murri si poneva alacremente all’opera per produrre un volume (28) esaltante la bellezza del ramoscello d’ulivo simbolicamente posato dall’accordo lateranense sulla tomba del “grande costruttore dell’unità italiana [Cavour], perché soltanto oggi la sua speranza è realizzata, il suo voto è compiuto” (29); dal versante opposto Fede e Ragione rilevava, nel commentare il discorso di Mussolini, che dopo lungo peregrinare si era “sempre a Febronio” (30), che non si poteva affatto parlare, nel senso proprio del termine, “di Stato cattolico“, ma tutt’al più “di Stato concordatario, perché Stato concordatario può essere anche uno Stato acattolico, come è la Cecoslovacchia“, conchiudendo amaramente – e profeticamente – che “la paura di Dio, nella quale si risolve, in pratica, la paura della Chiesa, non porta benedizione” (31).
LA LOTTA INTESTINA
La soluzione concordataria era stata condotta innanzi, nell’ambito del mondo cattolico, dalla corrente “modernizzante” che faceva capo al cardinal Gasparri, avendo nel padre Tacchi-Venturi l’uomo delle trattative private, e nel padre Rosa il portavoce pubblico. De Töth si era mosso, e non solo come giornalista, per rettificare il processo in corso, cercando di imprimergli la direzione intransigente auspicata dalla corrente “integralista“, in auge con san Pio X e ora in sott’ordine, alla quale appartenevano, tra gli altri, l’ex-segretario di Stato Merry del Val, il padre Billot S. J. e il cardinal Boggiani domenicano (32). Era una lotta di vecchia data, di cui il nodo concordatario rappresentava soltanto un episodio, anche se per molti versi terminale. A essa De Töth aveva partecipato in varie fasi, con alterna fortuna. Abbiamo visto come nel 1909 i suoi avversari ne avessero ottenuto la defenestrazione dall’Unità Cattolica. Ma nel 1914 egli era riuscito con il padre Mattiussi e il Sassoli de’ Bianchi a elaborare in gran segreto il “sillabo tomista“, che poi Benedetto XV avrebbe imposto quale norma direttiva per le scuole cattoliche, nonostante le forti resistenze di certi ambienti della Compagnia di Gesù, impadronitisi con il padre Rosa della prestigiosa Civiltà Cattolica (33). Nell’immediato dopoguerra ritroviamo il padre Rosa e don De Töth in diretto contrasto sulla questione dell’”ala destra” del PPI (34); il primo cercava di convogliare il gruppo dei vecchi intransigenti nella nuova formazione politica, prospettando loro l’opportunità di non lasciarla alla mercè di democristiani e clerico-liberali; il secondo si opponeva a questa operazione, in cui credeva di ravvisare il subdolo tentativo di spegnere il filone intransigente integrandolo nella dialettica del popolarismo, e per di più con funzioni di copertura, come garante di una ortodossia che non c’era. Nel 1926 si tentò di ripetere con Fede e Ragione il caso dell’Unità Cattolica, e ciò non fu senza un collegamento con le vicende del vecchio quotidiano fiorentino. Questo era passato fin dal novembre 1917 nelle mani degli avversari di De Töth, il quale, appena ebbe a disposizione le colonne di Fede e Ragione, incominciò a commentare tutti gli errori e le ambiguità che riusciva a trovare nei servizi e negli editoriali del giornale di cui era stato direttore. La nuova direzione adottò la tattica di non replicare in merito, ma, dopo lungo silenzio, pubblicò un veemente attacco personale contro De Töth (35), accusandolo di aver parlato male di sant’Alfonso dalla sua cattedra di teologia morale nel seminario fiesolano, e di aver insinuato in privati conversari che il cardinal Gasparri era massone (36). L’attacco, per la sua violenza ingiuriosa, veramente inusitata (37), non poteva essere uscito dalla penna dell’urbanissimo e obbedientissimo direttore dell’Unità Cattolica (38) senza una ispirazione dall’alto e un piano preordinato. De Töth, al cui soccorso venne il vescovo di Fiesole, dichiarando pubblicamente che riguardo a sant’Alfonso l’accusa era del tutto infondata (39), riuscì a far pubblicare una ritrattazione dall’Unità Cattolica del 12 dicembre; il prezzo che dovette pagare in cambio furono le dimissioni da direttore responsabile di Fede e Ragione. Queste ebbero però un carattere meramente formale, poiché egli rimase il redattore principale della rivista, la cui direzione responsabile fu assunta da Filippo Sassoli de’ Bianchi, suo fraterno amico e cattolico altrettanto “integrale”.
Fede e Ragione cessò le pubblicazioni tre anni dopo, con il fascicolo del 31 dicembre 1929, le cui ultime righe erano un grido d‘allarme sui pericoli di un appeasement con la massoneria, che il mutato atteggiamento del padre Gruber S. J., veterano dell’antimassonismo, faceva intravedere.
Le cause della morte di Fede e Ragione permangono abbastanza oscure. Un’indicazione di Emile Poulat, che accenna a un’accusa di parte integralista contro “i gesuiti“, i quali ne avrebbero ottenuto la soppressione “sotto un pretesto politico” (40), induce a pensare al cardinal Gasparri e alla corrente da lui rappresentata, forte soprattutto nella Compagnia di Gesù. Il “pretesto politico” – se addotto presso papa Ratti – potrebbe raffigurarsi nella necessità di un più stretto controllo di tutta la stampa cattolica in virtù della particolare situazione creatasi con il Concordato, di cui Fede e Ragione aveva già cominciato, oltranzisticamente, a denunziare i limiti, Se invece l’opera persuasoria fu svolta in direzione di Mussolini, il “pretesto politico” avrebbe potuto suonare più o meno così: “Duce, noi nutriamo le migliori intenzioni di pace e di collaborazione, ma voi chiudete la bocca di quei fanatici, che sono più papisti del papa e costituiscono un pericolo permanente per la collaborazione e la pace“.
IL PARROCO
Comunque sia, terminava per De Töth la stagione del giornalismo e iniziava quella della cura d’anime, che durerà trentacinque anni. Di questo periodo restano rare ma vivide testimonianze nelle risposte da lui stilate per i questionari pastorali. Si legga, per esempio, ciò che scriveva nel novembre 1930, da poco insediato nella sua parrocchia: “Quanto all’abuso delle donne di venire in chiesa col capo scoperto, esso è già, se non del tutto, in parte corretto” (41), e si confronti con la relazione fatta dodici anni dopo, nel febbraio 1942: “La modestia in chiesa è rigorosamente osservata; nessuna donna vi entrerebbe o sarebbe ammessa alla S. Comunione che non fosse decentemente vestita e coperta. Grazie a Dio, l’uso del velo si mantiene generale” (42). Nella stessa relazione De Töth afferma che per vincere l’apatia e l’indifferentismo del popolo molto gioverebbe l’”esempio dato dalle famiglie più cospicue per censo e per titoli“, aggiungendo che il sottoscritto non si è lasciato sfuggire occasione di ricordare ai diversi proprietari del luogo l’obbligo del buon esempio, della frequenza alla Chiesa etc. e qualche cosa, con l’aiuto di Dio, si è ottenuto“. Per finire, un passaggio strettamente autobiografico: “In Canonica, poi, niente è entrato mai e niente mai entrerà che non sia consentaneo e degno della casa di un prete; neppure la radio, a parere del sottoscritto causa solo di distrazioni e vane curiosità” (43). Bisogna convenire che questi scarni resoconti, compilati senza pensare a un pubblico che non dovevano avere, sono per il lettore odierno non meno gustosi e provocatorii degli articoli apparsi su Fede e Ragione o sull’Unità Cattolica. Essi ci dicono molto su De Töth, poiché illuminano come lampi, per un attimo, ma in profondità, tutto un paesaggio esistenziale; e attestano che, se fu possibile spezzare il giornalista, non si riuscì però a piegare l’uomo.
GIANNI VANNONI
NOTE
(1) Le Armonie della Fede uscirono ogni quindici giorni fino al 1614 , prima a Montefalco, poi a Siena, indi a Firenze. Tra i collaboratori il Barbieri, il Bertani, il Bonacina, il Carrara, il Cerasoli, il Colletti, il Gismano, il Taverna. Nella lettera inviata il 4 aprile 1950 all’avvocato della causa piana, De Töth attesta che il periodico fu da san Pio X “sostenuto e sussidiato dal principio alla fine“. Cfr. Romana beatificationis et canonizationis servi Dei Pii papae X. Disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi servi Dei respicientes in modernismi debellatione una cum summario additionali ex officio compilato, Città del Vaticano 1950, p. 144.
(2) P. DE TÖTH, Filippo Sassoli de’ Bianchi, gran signore e perfetto cristiano, filosofo-sociologo modello di cattolica attività, Firenze 1958, p. 31, nota 1.
(3) cfr. SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Opere spirituali, traduzione, introduzione, note e commenti del sac. Paolo De Töth, Acquapendente 1927.
(4) “Quale è la mente sana che non si senta rabbrividire, contristare ed impaurire davanti a così fatte conseguenze? È qui, infatti, il baratro di ogni ordine, la tomba di ogni certezza, lo sconforto senza limiti dello scetticismo e del pessimismo più brutale e feroce. Se io non sono né posso essere sicuro che il bene che faccio è bene, ma potrebbe essere o divenire, quando che fosse, anche male, e che la stessa tiranna volontà, la quale adesso mi comanda una cosa come bene potrebbe domani comandarmi la sua opposta, che mai resterebbe di indubitato alla mia vita fuor che la disperazione e, parimenti, di più desiderabile della morte?”. Questa e le precedenti citazioni sono tratte da P. DE TÖTH, Errori e pericoli dello scotismo (note attorno ad una summula delle principali dottrine di G. Duns Scoto edita dal p. Diomede Scaramuzzi o.f.m.), Firenze 1932, pp. 48-49.
(5) Cfr. P. DE TÖTH, Errori e pericoli, cit., p. 96: “Se la difesa della verità non dovesse costare nulla, dove n’andrebbe il suo merito? D’altra parte la verità è fatta per partorire odio contro chi l’afferma: “veritas odium parit”; ma quale cosa più onorevole e degna di lode che essere odiati e combattuti per la verità?“.
(6) Si veda la lettera di S. Pio X al prevosto di Casalpusterlengo, in G. QUADROTTA, Il Papa l’Italia e la Guerra, Milano 1915, pp. 17-18.
(7) Cfr. A. M. FORTUNA, Vita e opere di don Paolo De Töth, in Adveniat Regnum, autunno 1965 – inverno 1966, pp. 88-89.
(8) Giovanni Grosoli nacque a Carpi il 20 agosto 1859 da Luisa Pironi e da Giuseppe Forlì, un ricco avvocato ebreo che, passando al cattolicesimo, aveva assunto il cognome del padrino battesimale (che si chiamava appunto Grosoli: cfr. G. CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, 3ª ed., Roma 1972, p, 299, nota 1). Come presidente dell’opera dei Congressi Giovanni Grosoli emanò la famosa circolare 15 luglio 1904, in cui si dichiarava che il programma del movimento cattolico non poteva essere “altro che il democratico cristiano“. San Pio X, giudicando che la misura era colma, sciolse l’Opera alla fine di luglio. Tre anni dopo il Grosoli fondava la Società Editrice Romana che formò una larga catena di giornali “modernizzanti” (il Corriere d’Italia a Roma, l’Avvenire d’Italia a Bologna, ecc.) nota con il nome di trust grosoliano.
(9) Cfr. G. SPADOLINI (a cura di), Il cardinal Gasparri e la questione romana, Firenze 1972, p. 50.
(10) Cfr. la lettera al vescovo di San Miniato del 6 novembre 1914, in G. QUADROTTA, op. cit., p. 97.
(11) Le notizie inerenti alle vicende di De Töth all’Unità Cattolica sono tratte dagli Atti di canonizzazione di san Pio X. Cfr. Romana beatificationis et canonizationis servi Dei Pii papae X. Positio super virtutibus, Città del Vaticano 1949, pp. 176 sgg. e Disquisitio, cit., pp. 106 e 114-116.
(12) Il primo numero di Fede e Ragione uscì nel dicembre 1919, l’ultimo nel dicembre 1929. La rivista, inizialmente bimestrale, poi mensile e ben presto settimanale, annoverò tra i suoi collaboratori Piero Bargellini, Umberto Benigni, Tito Casini, Arturo Colletti, Michele Faloci-Pulignani, Aldo Fortuna, Roberto Mäder, Guido Mattiussi, Oreste Nuti, Antonio Renier, Filippo Sassoli de’ Bianchi, Angelo Schibuola. De Töth ne fu il direttore.
(13) Sul fondo satanico-mimetico della Rivoluzione, visto da De Töth nel quadro della lotta metafisica tra le due “città” agostiniane, cfr. FER [ps. di De Töth], Una nuova faccia dell’antichiesa, su Fede e Ragione del 5 dicembre 1926.
(14) Fede e Ragione, 6 gennaio 1929, p. 1.
(15) Prete democristiano, autore tra l’altro di una storia del movimento cattolico ad usum delphini, uscita nel 1923 con prefazione di Filippo Meda.
(16) Fede e Ragione, 6 marzo 1921, p. 6.
(17) Ibid., 27 febbraio 1921, p. 6.
(18) Ibid., 29 maggio 1921, p. 7.
(19) Ibid., 26 novembre 1922, p. 8. Cfr. anche Fede e Ragione del 6 febbraio 1927, p. 41: “Chi e che cosa servirono i costituzionali monarchici e repubblicani del 1789? Chi e che cosa hanno servito i Lvov, i Miliukov, Kerenski? Chi e che cosa servono i Sangnier, gli Sturzo e complici? La Rivoluzione integrale dell’Anticristo”.
(20) La riportiamo di seguito: “Da parte di E.mi Cardinali, Ecc.mi Vescovi ed altri personaggi sono giunte alla Santa Sede denuncie e reclami contro il periodico “Fede e Ragione” per pubblicazioni inopportune e irriverenti alla Venerata memoria del Sommo Pontefice Benedetto XV. Egualmente si è osservato che il periodico in parola ha sparso senza fondamento notizie allarmistiche, ispirandosi a motivi poco in armonia col programma che asserisce di perseguire. Già da tempo erano giunte alla Santa Sede gravi informazioni circa alcune persone addette agli uffici del periodico stesso, e si è pure rilevato che esso non porta alcuna approvazione dell’Autorità Ecclesiastica del luogo ove si stampa, e dove sono gli uffici di Direzione ed Amministrazione. Sarà noto poi a V.S. la campagna fatta dal foglio in parola contro l’Università Cattolica di Milano. Di tutto ciò si ritiene utile rendere informata la S.V. Ill.ma e R.ma“.
Nel 1924 il Corriere Vicentino rese nota la lettera del Gasparri, provocando l’intervento di monsignor Fossà, che ribatteva in questo modo: “Abituato a non metter lingua nei battibecchi giornalistici, per la tutela, però, della verità, per l’onore di miei sacerdoti, ed un poco anche della mia dignità ed autorità, che, sia pure indirettamente, viene ad essere offesa dal Corriere Vicentino nella sua polemica con Fede e Ragione, credo non solo mio diritto, ma anche mio dovere di intervenire.
“Sappia, adunque, il Corriere Vicentino, che delle accuse formulate in una lettera della Segreteria di Stato, la quale esso ha fatto di pubblica ragione, sebbene fosse documento riservato, e che io conobbi solo di seconda mano, non essendo a me stato fatto conoscere in alcun modo dalla superiore Autorità ecclesiastica, di dette accuse, dico, io stesso presentai a chi di ragione le debite giustificazioni, e ho ben motivo di credere che sieno state esaurienti.
“Per giudicare della verità e attendibilità di certe accuse, messe in giro da interessati avversarii ai danni di Fede e Ragione basti il fatto che, fra le altre, le si fa carico di essere pubblicata senza revisione ecclesiastica, mentre fino dal suo inizio io stesso le assegnai apposito censore.
“Ed anche questo dovrebbe riflettere il Corriere Vicentino, ed è che se il Vescovo di Fiesole, il quale nell’amore, nella venerazione, nell’ossequio e nella obbedienza alla Suprema Autorità della Chiesa e a tutti i suoi atti, spera di non essere secondo a nessuno, continuò e continua tuttavia a dare il suo appoggio a Fede e Ragione, periodico integralmente cattolico e pienamente rispondente alle direttive pontificie, e al Vescovo di Fiesole si uniscono altri Vescovi e Cardinali, che della stessa lodano e approvano i principi e la dottrina, tutto ciò ha un significato che non dovrebbe sfuggire al Corriere Vicentino o per lo meno dovrebbe renderlo più prudente e più guardingo.
“Potrei dire anche dell’altro, ma il detto mi pare che basti“.
Le lettere, del Gasparri e del Fossà sono tratte rispettivamente dall’Unità Cattolica del 13 agosto 1926, p. 1 e da Fede e Ragione del 22 agosto 1926, p. 294.
(21) I due personaggi si incontrarono segretamente, nel gennaio 1923, in casa del conte Santucci, presidente del consiglio di amministrazione del Banco di Roma, che costituiva la riserva finanziaria della stampa “modernizzante“, e che fu salvato dal fallimento grazie all’intervento del governo fascista. Cfr. G. CANDELORO, op. cit., p. 453.
(22) Fede e Ragione, 6 settembre 1925, p. 349.
(23) Cfr. FER [De Töth], Chiesa e Stato, in Fede e Ragione, 8 novembre 1925, p. 436. Cfr. anche CATHOLICUS, Questione romana, in Fede e Ragione, 4 dicembre 1927, p. 396, dove si afferma essere conditio sine qua non per la soluzione della questione romana “che l’Italia sia rifatta cattolica: cattolica in tutto, nel suo pensiero, nella sua vita, nella sua legislazione“.
(24) “Il fascismo sta alla setta massonica nella proporzione medesima in cui la Giovine Italia di Mazzini di cui ha preso tutte le movenze, il programma, il carattere e la violenza, stava alla antica Carboneria”. SPECTATOR, Il fascismo. Avviso ai cattolici italiani, in Fede e Ragione, 8 maggio 1921, p. 2.
(25) Cfr. p. es. la nota redazionale dell’8 gennaio 1925, p. 9.
(26) Augusto Del Noce.
(27) “Con una rapidità di intuito e con una felice incisività di espressione, che si comprende come abbiano sconcertato i tradizionalisti e gli impreparati, il Duce ha cristallinamente individuato … etc. etc “. Così Ernesto Buonaiuti sul Corriere Padano del 31 maggio 1929, cit. in M. MISSIROLI, Date a Cesare. La politica religiosa di Mussolini con documenti inediti, Roma 1929, p. 81.
(28) R. MURRI, L’ulivo di Santena, Roma 1930.
(29) Così Mussolini nel discorso alla Camera, cit. in R. MURRI, op. cit., p. 307.
(30) Johann Nikolaus von Hontheim (1701-1790), giurista e teologo tedesco noto sotto lo pseudonimo di Febronio, propugnava la subordinazione della Chiesa allo Stato.
(31) SPECTATOR, Note politiche. Il discorso dell’on. Mussolini sugli accordi lateranensi, in Fede e Ragione, 19 maggio 1929, pp. 164-165.
(32) Rivelatrice la lettera di Arnaldo a Benito Mussolini, datata Milano 7 febbraio 1929: “Carissimo Benito, è stato da me il sacerdote dott. Paolo De Töth, il quale mi ha parlato del disappunto dei cardinali Boggiani e Merry del Val per essere stati tagliati totalmente fuori dalle trattative in corso per il Concordato tra Stato e Chiesa in Italia. Non ho ben compreso le ragioni di questo passo diretto contro i gesuiti, che vorrebbero fare delle recenti trattative un monopolio. Trattandosi di cardinali, ho creduto opportuno farti conoscere il loro stato d’animo“. Carteggio Arnaldo-Benito Mussolini, a cura di D. SUSMEL, Firenze 1954, p. 167.
(33) Cfr. p. T. S. CENTI O. P., Breve sintesi del pensiero filosofico di S. Tommaso d’Aquino. Introduzione e commento alle XXIV Tesi, in S. TOMMASO D’AQUINO, La somma teologica. Introduzione generale, Firenze 1952, pp. 267 sgg.
Ringraziamo il p. Centi per averci voluto gentilmente integrare a voce i cenni ivi contenuti sulla genesi storica del “sillabo tomista”.
(34) Cfr. P. G. ZUNINO, Chiesa e Stato nei rapporti tra “Civiltà Cattolica” e Partito Popolare alla luce di nuovi documenti, in Rivista di storia e letteratura religiosa, 1973, n. 2, pp. 235-276.
(35) MIKROS, Finis, in L’Unità Cattolica, 13 agosto 1926, p. 1.
(36) Un cenno fugace al cardinal Gasparri come “discendente di una famiglia tutt’altro che papalina, perfino venata di ascendenze massoniche“, in G. SPADOLINI, op. cit., p. 54.
(37) De Töth vi era definito un “maniaco“, un “recidivo nel dir bugie“, un “Attanasio di pasta frolla”.
(38) Ernesto Calligari, che si firmava col notissimo pseudonimo di Mikrós.
(39) Cfr. la lettera di mons. Fossà a Ernesto Calligari, riprodotta in Fede e Ragione, 22 agosto 1926, p. 294.
(40) E. POULAT, Intégrisme et catholicisme intégral. Un réseau secret international antimoderniste. La “Sapinière” (1909-1921), Tournai 1969, p. 595.
(41) In Archivio Vescovile di Fiesole. V (Visite pastorali), n. 68 (1909-1937), fasc. Vicariato Isola di Fiesole.
(42) In Archivio Vescovile di Fiesole. V (Visite pastorali), n. 69 (1938-1954), fasc. Vicariato Isola di Fiesole.
(43) Ibidem.