Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 171-172 (1989)
All’inizio di giugno del 1989 – a ridosso dello svolgimento della prima tornata elettorale in Polonia, che si è tenuta domenica 4 dello stesso mese -, Bronislaw Geremek, il principale consigliere di Lech Walesa, ammetteva che i risultati di tale votazione “non cambieranno il regime”, dal momento che “la polizia e l’esercito sono sempre nelle stesse mani”; tuttavia sosteneva trattarsi di un processo di democratizzazione “il cui problema chiave non si situa nel campo politico, ma nel campo economico” (1). Siamo di fronte a un modo di ragionare materialista e falso, che non desta meraviglia in un personaggio d’area massonica e che non ha neppure saputo capire gli accadimenti di Cina, che provavano con ogni evidenza come nessun paese comunista – la Cina dopo molti altri – può tollerare che la libertà economica si accompagni alle libertà politiche. Quando lo stesso Bronislaw Geremek, il giorno seguente la tornata elettorale, assicura che i voti ottenuti dalle liste di Solidarnosc costituiscono il successo della linea di compromesso e di dialogo con il potere (2), mente all’opinione pubblica occidentale, anche se non può nascondere le difficoltà derivanti dal fatto che “agli occhi del paese e del mondo il Partito comunista ora appare molto più debole di quanto non avremmo voluto e di quanto non pensavamo quando firmammo l’accordo della tavola rotonda. Al Senato noi potremmo avere molto probabilmente non la maggioranza a cui puntavamo ma la totalità dei seggi o quasi. La Camera alta così non potrà essere il foro di dialogo per l’intesa nazionale che noi avremmo voluto per il bene del nostro paese” (3). Infatti, se l’opinione pubblica occidentale può essere ingannata, la situazione descritta prova che non si sono fatti ingannare i polacchi, i quali, contro il parere e le consegne di Lech Walesa, dello stesso Bronislaw Geremek e del marxista Adam Michnik, altro consigliere di Lech Walesa, hanno deliberatamente cancellato dalle liste tutti i candidati comunisti per far capire che non ne vogliono sapere né di costoro né di un compromesso con costoro.
Grazie alle mie relazioni personali e dirette con polacchi ormai da quarant’anni, posso sostenere quanto ho appena affermato a richiesta di tutti quelli che conosco in Polonia o in esilio, affinché coloro che lo leggono comprendano che a una tornata elettorale equivoca offerta al popolo polacco ha corrisposto una condanna senza ambiguità.
Infatti si deve ricordare che i detentori del potere non solo si riservavano preventivamente trecento dei cinquecentosessanta seggi previsti fra il Senato – che ne conta cento – e la Dieta – che ne ha quattrocentosessanta -, qualunque fosse il risultato elettorale, ma che hanno immaginato, a partire dalla seconda tornata – che riguardava trentatrè seggi in ballottaggio e i trentacinque seggi “riservati” agli esponenti maggiori della Nomenklatura, e che si è svolta il 18 giugno 1989 -, di offrire a Solidarnosc qualche seggiolino nel nuovo governo. In questo modo, dopo elezioni libere soltanto in apparenza, i polacchi avrebbero confermato e realizzato la politica voluta dalla sola élite di cui il popolo non vuole neppure sentir parlare.
Anche il quotidiano Liberation deve ammettere che “chi dice cogestione dice pure corresponsabilità, per rettificare una situazione economica a proposito della quale ci si chiede quale medico stregone potrebbe portare a una certa guarigione” (4). Infatti bisogna o venir fuori dal comunismo, oppure continuare nel fallimento con rimedi tanto provvisori quanto inefficaci, per esempio praticando, a partire dall’estate in corso, un rincaro dei prezzi, di cui l’opinione pubblica non vuol sentir parlare, dal momento che nessun rincaro precedente ha risolto qualcosa, ma ha semplicemente aggravato le difficoltà di tutti i giorni.
E sempre Liberation riconosce:“Esiste in Polonia un’altra opposizione, marginale, che ha boicottato le elezioni e che denuncia ogni collaborazione con i comunisti” (5). A questo punto comincia la disinformazione: il 38% di astensioni, in occasione del voto del 4 giugno, era il risultato del sommarsi da un lato di una minoranza comunista, che non vuole compromessi con Solidarnosc, e dall’altro – per almeno un 20% dell’elettorato – delle persone vicine sia a Solidarnosc Combattente, uno dei movimenti nazionali anticomunisti, sia alla KPN, la Confederazione per la Polonia Indipendente – erede dell’Armata Segreta, cioè dell’autentica Resistenza nazionale dal 1939 al 1945 -, che ritenevano impossibile che questa compagine conquistasse seggi, posti gli inganni e le pressioni.
Quanto agli inganni, bisogna ricordare non soltanto che il POUP, il Partito Operaio Unificato Polacco – cioè il partito comunista -, si riservava come “dovuti” trecento seggi, ma pure che la polizia politica, sapendo che la KPN è molto influente a livello nazionale, ha fatto tutto il possibile per impedire la presentazione dei suoi candidati. Quando qualcuno di questi aveva raccolto le tremila firme necessarie – con relativo indirizzo – per presentare la propria candidatura, la polizia, oppure degli “sconosciuti”, aggredivano chi le portava, strappando le liste oppure facendole scomparire.
Il secondo fatto scandaloso – e non rilevato – è costituito dalla coordinazione operativa fra l’apparato comunista e la “sinistra laica” di Solidarnosc allo scopo di impedire l’elezione dei candidati della KPN e dei democristiani, che beneficiavano del sostegno del clero. In entrambi i casi la colpa consisteva nell’essere nello stesso tempo cattolici e patrioti. Così il marxista Jacek Kuron, semidissidente da Solidarnosc, ha battuto l’avvocato Sila-Nowicki, il marxista Adam Michnik, direttore della Gazzetta elettorale, il giornale di Solidarnosc, ha battuto il candidato cattolico K. Switon, ed è stato eletto lo stesso Bronislaw Geremek, mentre Leszek Moczulski, presidente della KPN, è stato sconfitto nel suo feudo, anche se la sua popolarità non è contestata neppure da numerosi seguaci di Lech Walesa, che la sera delle votazioni si dichiaravano apertamente dispiaciuti del fatto che non fosse entrato in parlamento.
Insomma, lo stesso partito comunista è diviso in due tronconi, e l’uno rimprovera all’altro di aver favorito Solidarnosc al punto da ridicolizzare e da mettere in difficoltà il partito stesso, mentre l’altro si attacca alla speranza che, dopo l’insediamento del nuovo governo, attorno a Lech Walesa si troverà modo di farsi sostenere grazie a un sufficiente fiorire di ambizioni e attraverso ricatti.
Anche Solidarnosc è spezzata in due: contro Bronislaw Geremek, Adam Michnik e Jacek Kuron, il neoeletto Jan Litynski il 7 giugno 1989, di fronte a persona di mia conoscenza, ammetteva:“Quelli che hanno votato per noi l’hanno fatto contro il governo e non assolutamente perché lo sosteniamo!”.
Invece Adam Michnik fa più che mai della disinformazione quando, lo stesso 7 giugno, dice:“La sconfitta degli altri candidati dell’opposizione prova che i nostri elettori non vogliono soluzioni estreme: non vogliono saperne né della KPN né dei democristiani!”; e tradisce fino a che punto è complice del regime quando aggiunge che le elezioni non “costituiscono la disfatta del potere, ma la disfatta del sistema staliniano“(6). Questo marxista, antistaliniano ma non anticomunista, si appresta a sostenere il generale Wojciech Jaruzelski. Il suo marxismo non gli ha impedito di beneficiare dei quattrocentocinquantamila dollari ufficialmente versati a Solidarnosc dalla confederazione sindacale statunitense AFL-CIO, l’American Federation of Labour-Congress of Industrial Organisation, e da diversi prestanome del dipartimento di Stato americano – una somma che, sulla base del potere d’acquisto del dollaro in Polonia, bisogna moltiplicare per sette -, per tacere di altri milioni di “nuovi” franchi venuti dall’Europa Occidentale e versati dai socialisti e dai sindacalisti di sinistra anzitutto per aiutare la “sinistra laica” di Solidarnosc. Minoritaria in seno a questo movimento e in Polonia, tale “sinistra laica” beneficia al cento per cento dei fondi provenienti dall’estero in modo che né gli autentici cattolici né i polacchi nazionali possano far valere il fatto di essere in maggioranza.
La KPN, senza mezzi finanziari, senza aiuti dall’estero – se si esclude un modestissimo contributo di diecimila franchi francesi fatto pervenire dalla CIRPO, la Conférence Internationale des Résistances en Pays Occupés -, ha potuto presentare solamente ventidue candidati invece dei quattrocento o cinquecento necessari. Eppure, sempre secondo Liberation, è riuscita a ottenere oltre il 10% dei voti (7), e – se potrà parlare – conterà anche su qualche voce in parlamento…
La sinistra mondialista la teme al punto che – attraverso il citato quotidiano di Parigi, che ne è il portavoce in Francia – ha riconosciuto che questa opposizione della Polonia reale “veicola tesi populiste e nazionaliste che fanno temere il peggio” (8).
Questo ritornello è ripetuto sia in Francia che in tutta l’Europa Occidentale. In Polonia non è risolto niente, ma più vengono allo scoperto operazioni fino a oggi mascherate, più uomini di fede e di tradizione si trovano gli uni a fianco degli altri in una stessa lotta, da una parte e dall’altra della Cortina di Ferro. Né le miserabili manovre di disinformazione e neppure il denaro delle multinazionali di sinistra riusciranno a impedire il trionfo delle libertà.
I polacchi si apprestano a soffrire ancora, come per altro i loro vicini, come altri nel Sud-Est Asiatico, in Cina, in Afghanistan, ma le internazionali, quella socialista, quella costituita da certi capitalisti e quella comunista, non riusciranno a impedire il fallimento dei loro intrighi.
Pierre Faillant de Villemarest
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(1) Le Figaro, 3/4-6-1989.
(2) Cfr. ibid., 7-6-1989.
(3) la Repubblica, 7-6-1989.
(4) Liberation, 10-6-1989.
(5) Ibidem.
(6) Le Monde, 7-6-1989.
(7) Cfr. Liberation, 10-6-1989.
(8) Ibidem.