Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 173 (1989)
La situazione del paese slavo occidentale nella prospettiva di una possibile strategia della Rivoluzione per salvare il socialcomunismo ed estenderlo agli Stati dell’Europa Occidentale passando attraverso l’interpenetrazione economica fra Est e Ovest.
Non si può non rilevare la coincidenza: un governo polacco detto “di coalizione” è nato lo stesso giorno in cui, nel mondo e nei paesi baltici – Lituania, Estonia e Lettonia -, milioni di uomini e di donne della medesima stirpe commemoravano nella tristezza l’infame patto – e le sue conseguenze – sottoscritto il 27 agosto 1939 da Vjaceslav M. Molotov e da Joachim von Ribbentrop, rispettivamente a nome dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e del Reich nazionalsocialista. Infatti, questi quattro Stati sono stati vittime della stessa alleanza e di un medesimo atto di violenza. E quando Alexandr N. Iakovlev, amico e portavoce di Mikhail Gorbaciov e presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul patto del 1939, conclude le sue indagini riconoscendo il fatto, ma giustificandolo, si ha la prova che gli uomini di Mikhail Gorbaciov continuano a parlare un linguaggio doppio.
Infatti Alexandr N. Iakovlev garantisce che i protocolli aggiunti al patto non hanno avuto nessuna parte decisiva relativamente alle annessioni degli Stati baltici e che i loro stessi parlamenti ne hanno richiesto l’aggregazione all’Unione Sovietica.
Dal canto suo la Polonia, già dall’autunno del 1939, aveva levato la prima Resistenza clandestina del mondo, contemporaneamente contro l’Unione Sovietica e contro il Reich nazionalsocialista. E ha pagato questo gesto, come hanno fatto i combattenti della Resistenza baltica a partire dal 1940, con più di sei milioni di morti. Nessun cavillo potrà mai cancellare questa pagina di storia. E il linguaggio doppio ancora usato dagli uomini di Mikhail Gorbaciov indica in modo adeguato i fini e i limiti di un’operazione in apparenza di miglioramento e pluralista, ma che in realtà, per quanto riguarda la Polonia, costituisce semplicemente un ritorno al 1945, e non cambia assolutamente nulla nei paesi baltici in relazione al potere instaurato nel 1940.
L’autonomia di gestione finanziaria ed economica di un paese non significa assolutamente che è indipendente e sovrano, tanto più che in Polonia, anche immaginando che il nuovo governo possa decidere riforme reali, bisognerà che esse abbiano effetti ugualmente reali! Perché accada, sarebbe necessario che i quasi diecimila uomini dell’apparato comunista, che dietro i ministri hanno in mano le leve delle realizzazioni, appoggiassero ormai il primo ministro Tadeusz Mazowiecki, e niente è meno certo di questo. Nella migliore delle ipotesi, ubbidiranno senza sabotare, in modo che l’esperienza riuscita lavi nello stesso tempo il comunismo da quarant’anni d’incapacità, di massacri, di deportazioni, di diffamazioni e d’ingiustizie. Nella peggiore delle ipotesi, saboteranno e poi accuseranno Solidarnosc di tutti i mali. Inoltre, il governo sovietico ritiene evidentemente di non aver nulla da temere dal compromesso realizzato fra il partito comunista – il Partito Operaio Unificato Polacco – e la linea di Solidarnosc che fa riferimento a Lech Walesa se, dopo l’incontro fra il nuovo primo ministro e il generale Vladimir A. Kriuchkov, direttore del KGB, il servizio di spionaggio sovietico, Les Nouvelles de Moscou hanno pubblicato un’intervista al premier in prima pagina.
Comunque, già nel giugno del 1945, l’infima minoranza costituita dai comunisti polacchi aveva ottenuto sette ministri su ventuno, e due anni dopo liquidava tutti gli altri. Nel 1989, i ministeri della Difesa e degli Interni sono ancora – con altri quattro – sotto la direzione unica del capo dello Stato, il generale Wojciech Jaruzelski, che il 28 febbraio sempre del 1989 diceva a Bydgoszcz: “L’esercito polacco non tollererà mai la disintegrazione del comunismo in questo paese”. E la polizia segreta, i cui quadri sono legati a quelli corrispondenti del MVD, il ministero sovietico degli Interni, rimane, come gli strumenti di comunicazione sociale, sotto completo controllo da parte dei comunisti.
Non stiamo quindi vivendo un momento storico, come scrivono molti, ma un equivoco storico dello stesso genere di quello del 1945, mentre attorno alla Polonia e ai paesi baltici si moltiplicano le messe in guardia “contro l’isteria nazionalista”, come ha detto un altro uomo di Mikhail Gorbaciov, Anatoli I. Lukianov, e vengono ripetuti gli stessi ritornelli per giustificare l’intervento del 1968.
Piaccia o non piaccia a Jacek Kuron, ad Adam Michnik e a Bronislaw Geremek, certamente antistaliniani, ma non anticomunisti – e non si tratta semplicemente di una sfumatura! -, questo li riguarda. Essi accettano, come i collaborazionisti baltici, la “nuova” idea sovietica di una Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche estesa agli Stati europei, nella cui prospettiva una minore pressione nella gestione economica di ciascuno produrrebbe una rinascita della libertà nel migliore dei mondi rimasto socialista. Si tratta di un’idea “nuova” risalente al 1919, quindi a Vladimir Ilic Lenin, ripresa da Mikhail Gorbaciov e dai suoi seguaci, un’idea secondo cui, in una prima fase, le Repubbliche dell’Unione Sovietica dovrebbero beneficiare di una reale autonomia di gestione – esclusi difesa, rapporti con l’estero e polizia -, precedute su questa via dagli Stati membri del COMECON, il Consiglio di Mutua assistenza Economica fra i paesi dell’area comunista, proprio come accade da poco in Polonia. Quindi, in una seconda fase, si realizzerebbero prima l’interpenetrazione economica fra Est e Ovest, poi, finalmente, la Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche estesa agli Stati dell’Europa Occidentale.
Fra il 1989 e il 1945 esiste però una differenza ed è costituita dal fatto che, attualmente, l’operazione non è voluta dal governo dell’Unione Sovietica, ma imposta a esso dal fallimento economico della Polonia che, se fosse definitivo, porterebbe con sé quello di tutti gli Stati del COMECON, a causa della stretta interdipendenza dei loro sistemi produttivi. Inoltre, i polacchi e i baltici non sono più frastornati e disorientati come nel 1945, quando scoprivano che l’Occidente li consegnava all’Unione Sovietica. Adesso ritorcono contro di essa le sue stesse armi: la paura ha cambiato campo.
Pierre Faillant de Villemarest