Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 201-202 (1992)
Dietro la violenta defenestrazione di Zviad Gamsakhurdia. La guerra al legittimo presidente della Georgia, eletto nel 1991 da una maggioranza schiacciante, ennesimo “colpo di coda” dell’équipe che fa capo a Mikhail S. Gorbaciov, con il sostegno propagandistico dei mass media progressisti occidentali.
Gli ultimi ridotti dei partiti comunisti, la stampa progressista americana e quella europea gioiscono senza riserve per il fatto che Zviad Gamsakhurdia, il primo presidente liberamente eletto di una Georgia libera, nel maggio del 1991, con l’87% dei voti, sia dovuto fuggire in Armenia il 6 gennaio 1992.
“Puro prodotto della terra di Beria… piccolo Stalin, suo padre era protetto da Stalin, e così via”: tutti gli amalgama, tutte le insinuazioni sono sparsi, per esempio, nelle colonne di Libération, il quotidiano parigino su cui Alexandre Adler scrive da giudice e da censore piuttosto che da informatore. Per Le Monde “puzzava di zolfo”! Certo, nel 1975 aveva formato il primo comitato georgiano di controllo degli Accordi di Helsinki, ed è stato per molto tempo in carcere sotto Leonid I. Breznev, perché era anticomunista e nazionalista. Ma è diventato una sorta di ultra e dietro a lui — leggo sempre Le Monde — vi era sua moglie Manana, “che i democratici georgiani paragonano spesso a Elena Ceausescu”!
Le Monde torna ai suoi vecchi demoni degli anni Cinquanta, quando la redazione di Parigi faceva a pezzi i dispacci dei suoi corrispondenti, che denunciavano le manipolazioni dei fatti? Per esempio, è manipolazione evocare lo scioglimento, nell’agosto del 1991, della guardia nazionale comandata dall’ex scultore Tenghiz Kitovani, affermando che, in questo modo, Zviad Gamsakhurdia ubbidiva ai golpisti di Mosca: infatti, si era reso conto che questa guardia “nazionale” era infiltrata dal governo di Mosca; e — altra prova della disonestà di queste asserzioni — qualche ora dopo l’annuncio del golpe, vietava le attività del partito comunista, servendosi direttamente di georgiani, che avevano certamente appartenuto al KGB, ma che, dal quel momento, proteggevano i propri compatrioti.
Siccome i comuni lettori non hanno il tempo, i mezzi oppure il gusto di darsi a indagini, tutti, di destra e di sinistra, non avevano reagito alla campagna iniziata a partire dall’elezione di Zviad Gamsakhurdia, campagna condotta contemporaneamente da Washington, dove una lobby, dichiarando di lottare per la democrazia nel mondo, dal 1988 utilizzava due georgiani in esilio, e da Mosca, dove il KGB — non lo si deve dimenticare — ha funzionato a pieno ritmo fino all’estate del 1991.
Del primo caso, sono stato personalmente testimone, in quanto ho partecipato a un convegno di esiliati, finanziato da Washington, una parte del quale si è svolta a Parigi. Se uno dei partecipanti georgiani, P. Hairikian — poi rientrato nel paese e candidato rivale di Zviad Gamsakhurdia nelle elezioni di maggio del 1991 —, pareva aver conservato la propria libertà di pensiero, così non era nel caso di Gia Chanturia, capo del partito nazionale democratico fondato da lui e da sua moglie Irina Sarachvili, e di Djiava Iossaliani — processato e condannato per omicidio —, ex professore d’arte drammatica e numero due delle operazioni contro il parlamento di Tbilisi, condotte con carri armati, con blindati e con cannoni leggeri. Di questi personaggi Jacques Amalric, su Le Monde, fa degli eroi, eppure deve sapere perché il presidente Zviad Gamsakhurdia e gli ottantacinque prefetti delle province li tenevano d’occhio da diversi mesi.
Senza volerlo, Alexandre Adler lo rivela, scrivendo su Libération, del 7 gennaio 1992, che, “dietro a Kitovani e all’ex primo ministro Sigua [membro del partito comunista, mentre Zviad Gamsakurdia non l’è mai stato], l’unione degli oppositori, con l’aiuto discreto del governo russo e di Shevard-nadze, ha finalmente la meglio sull’incubo Gamsakhurdia”: infatti, basta non leggere “russo”, ma “sovietico”.
In realtà, l’équipe di Mikhail S. Gorbaciov, con alla testa Eduard A. Shevardnadze, fino alla presa del potere da parte di Boris N. Eltsin il 25 dicembre 1991, si è servita di tutte le sue reti per combattere Zviad Gamsakhurdia, che, per altro, aveva per sempre vietato all’ex ministro e amico di Mikhail S. Gorbaciov di rimettere piede in Georgia. Uno dei tanti atti “dittatoriali”?
Una certa stampa, votata da anni a un’intesa sovietico-americana, non ricorderà certamente all’opinione pubblica la carriera e le caratteristiche di Eduard Ambrolievich Shevardnadze.
Nato il 25 gennaio 1928 in Georgia, nel villaggio di Mamati, figlio di un maestro elementare del posto, poi “studente universitario” all’Istituto di Kutaisi e all’accademia del partito comunista della sua repubblica natale, Eduard A. Shevardnadze deve la sua carriera politico-poliziesca al fratello Gippokrat, morto nel 1978, per molto tempo funzionario influente del partito comunista georgiano per gli affari commerciali e finanziari.
Diplomato in storia nelle scuole del partito comunista, Eduard A. Shevardnadze fa i suoi studi politici nelle file della gioventù comunista, dove i reclutatori dell’apparato ne notano sia la capacità di adattamento che l’intelligenza vivace. Più tardi qualcuno scriverà che “non ha nessuna esperienza nel campo della politica estera”. Infatti, dopo aver controllato la purezza ideologica dei suoi compagni di studio, nel 1958 entra nel comitato centrale del partito comunista georgiano e l’anno dopo nel praesidium della Società di Solidarietà sovietica con i paesi afro-asiatici. La Tunisia è la meta del suo primo viaggio all’estero, nel 1960. Altri nove paesi lo vedono nelle file, quindi alla guida di delegazioni “culturali”, incaricato di trasmettere ordini e fondi agli amici dell’URSS, o di svolgere ispezioni ideologiche.
Nel 1961 entra nell’apparato centrale del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, e la sua vera carriera si svolge ormai sotto il controllo degli Organi Amministrativi, che nell’URSS sono l’apparato preposto agli affari segreti, fra cui quelli trattati dal KGB e dal ministero dell’Interno, e così via.
Lo si saprà soltanto nel 1964, quando Eduard A. Shevardnadze è improvvisamente nominato numero due del ministero dell’Interno della Georgia. È il tempo in cui Leonid I. Breznev complotta, poi rovescia Nikita S. Krusciov. Si dice che bisogna farla finita con la corruzione, soprattutto in Georgia, e Eduard A. Shevardnadze è l’”uomo onesto” sognato.
Così, nel 1965, diventa, da numero due, numero uno del ministero dell’Interno della sua repubblica natale, e in sette anni getta in carcere venticinquemila suoi compatrioti. Di questa epurazione sono vittime Zviad Gamsakhurdia, Merab Kostava e studenti che non hanno nessun rapporto con casi di corruzione, ma che — per contro — sono profondamente nazionalisti. Merab Kostava è morto nel 1987, dunque anni dopo, ma Zviad Gamsakhurdia, liberamente eletto presidente della Georgia, ha vietato a Eduard A. Shevardnadze, generale del KGB dopo sette anni di servizio — e di sevizie — al ministero dell’Interno, di rimettere piede in Georgia.
Con il pretesto della lotta alla corruzione, Eduard A. Shevardnadze elimina sia i nazionalisti che i comunisti, che creano eventuali difficoltà alla sua carriera. Durante il periodo in cui è in carica, sono inventate le bare di cemento, nelle quali i torturati morivano asfissiati nella misura in cui venivano otturati i piccoli fori d’aerazione, se non denunciavano i loro compagni o non confessavano quanto veniva loro richiesto.
Nel 1976, dopo essere diventato primo segretario del partito comunista, in occasione del 25° congresso in Georgia, dichiara che “il sole sorge a Nord [a Mosca] e non a Oriente”. Nel maggio del 1982, fatto entrare nelle stanze del potere centrale grazie a Yuri V. Andropov, il direttore del KGB, tesse l’elogio “dell’enorme lavoro teorico e pratico di Constantin Cernenko”, l’uomo che sta per succedere a Leonid I. Breznev. Ma, sei mesi dopo, a Tbilisi, in ben dodici paragrafi successivi di un discorso canta le litanie a gloria di Yuri V. Andropov. Il tutto per guadagnare i favori di un certo Mikhail S. Gorbaciov, che frequenta con assiduità già da diversi anni, talora segretamente, perché Mikhail S. Gorbaciov è un confidente di Yuri V. Andropov.
Il 2 luglio 1985, Eduard A. Shevardnadze sostiene, con Mikhail S. Gorbaciov, che “il centralismo deve essere il punto di partenza delle riforme economiche”.
Negli anni Settanta Eduard A. Shevardnadze fa la conoscenza di John Brademas, all’epoca una delle eminenze grigie del CFR, il Council on Foreign Relations, e della branca americana della Commissione Trilaterale, e da allora diventa una di quelle persone del Cremlino il cui destino è legato alle prospettive mondialiste, anche se per opportunismo e per carrierismo e non per convinzione. Non se ne può dubitare, sulla base di quanto testimonia un’intervista raccolta dal giornalista sovietico Andrei Karaulov, al quale assicura di essere stato sincero “quando credeva in Stalin [sic], quindi in Krusciov e poi, per un certo periodo, in Breznev”, e precisa: “In me il processo di riflessione è molto lungo”.
Dunque, chiamato da Mikhail S. Gorbaciov a Mosca, Eduard A. Shevardnadze ha continuato a curare i suoi protetti locali. E, da quattordici mesi, attraverso loro distillava le insinuazioni riprese da una certa stampa. “Stranamente”, Merab Kostava sarebbe morto in un incidente automobilistico “proprio nel momento in cui la Georgia diventava indipendente”! Per far intendere che Zviad Gamsakhurdia non sarebbe estraneo all’accadimento. Secondo un’altra insinuazione di Le Monde, Zviad Gamsakhurdia, dopo un “pentimento televisivo”, dal 1978 sarebbe diventato un informatore del ministero dell’Interno e del KGB…
Se fosse vero, perché all’inizio di gennaio del 1992 Djiava Iossaliani, come Kitovani e Sigua, “è favorevole alla partecipazione di Eduard A. Shevardnadze a un futuro governo”? Il 7 gennaio l’ex ministro di Mikhail S. Gorbaciov confidava con gravità alla televisione francese — che si è ben guardata dal precisare il suo grado nel KGB — che era pronto “a essere strumento per accelerare in Georgia il processo di democratizzazione”!
Ebbene, Alexandre Adler scrive su Libération che, nel marzo del 1988, in occasione delle prime manifestazioni di piazza indipendentiste, Eduard A. Shevardnadze faceva pressioni per eliminare il capo del partito comunista della Georgia, “che aveva avuto la cattiva idea di opporsi ai suoi amici locali…”. Ben presto, scrive lo stesso Alexandre Adler, “questo slittamento controllato sfugge ai suoi autori”. E i fatti volgono a favore di Zviad Gamsakhurdia, che, indubbiamente, era autoritario, ma vedremo se il suo successore non sarà costretto a esserlo, se vuole mantenere sotto controllo il paese. Senza dubbio ha pure commesso errori, soprattutto non stabilendo nessun contatto con gli anticomunisti della Russia e dei paesi vicini. Chi non commette errori quando un mondo cade dopo settant’anni di soffocamento e di GULag?
Cosa si appresta a fare l’altro rivale di Zviad Gamsakhurdia, Gia Chanturia? A giocare la carta americana in Georgia? A mettersi d’accordo con gli uomini di Eduard A. Shevardnadze? È probabile. Allo scopo basterà che Robert Strauss, l’ambasciatore di George Bush, dia gli ordini.
Pierre Faillant de Villemarest