Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 209-210 (1992)
Dove il socialcomunismo non è più al potere ma ha ancora potere.
Qualche verità di fatto aiuta a leggere fra le pieghe di episodi di cronaca e illumina rilanci propagandistici sulla rinascita del nazionalsocialismo tedesco, alla quale presiedono — o almeno sono tutt’altro che estranei — soggetti apparentemente insospettabili.
Da diverso tempo lo spettro del nazionalsocialismo non veniva più evocato con rilievo sulla stampa, sia parlata che scritta, ma episodi di violenza, verificatisi a partire dal mese di agosto del 1992 in una ventina di città e di borgate della Germania Occidentale e di quella Orientale — soprattutto di quest’ultima — hanno permesso agli organi di comunicazione sociale la rimonta.
Secondo l’interpretazione giornalistica corrente nell’Europa continentale, queste violenze sarebbero frutto della sconfitta della RDT, la Repubblica Democratica Tedesca: sommando gli skinhead, le “teste rasate”, ai gruppuscoli apertamente nazionalsocialisti, si possono sconvolgere quanti sono già predisposti a farsi sconvolgere dicendo loro che nel 1992 vi sono 39.800 estremisti di destra, contro i 32.300 del 1990! Il razzismo è all’opera… L’Express del 3 settembre 1992 titola L’odio sommerso dagli applausi. I giornalisti angloamericani vedono la situazione in modo più ragionevole e con maggiore professionalità: la Germania accoglie con liberalità i rifugiati, 276.000 nel 1991, quasi altrettanti nei primi otto mesi del 1992.
Dunque, in una piccola città come Rostock — un porto sul Baltico nel territorio dell’ex RDT —, dove il 57% dei venticinquemila atti al lavoro è disoccupato, qualcuno pensa intelligente insediare duecento stranieri — vietnamiti, rumeni, e così via — nel cuore dell’abitato, facendoli beneficiare di provvidenze sociali superiori a quelle dei tedeschi senza lavoro. È impossibile non chiedersi se ci si trovi di fronte a soggetti maldestri oppure intenzionati a creare un focolaio di provocazioni.
Il governo guidato da Helmut Kohl avrebbe dovuto stare in guardia. Infatti, nel 1991, in Sassonia, la città di Hoyeswerda era stata teatro di moti xenofobi riassorbiti rapidamente. Ma, a nostro avviso, tali moti miravano semplicemente a verificare le reazioni politiche e poliziesche del governo federale e dei governi regionali. Poi, nell’agosto del 1992, a Cottbus, una città di circa centotrentamila abitanti fra Dresda e Berlino, a pochi chilometri dalla frontiera polacca, è scoccata la scintilla che annunciava operazioni simili pianificate.
Nel 1989, prima della caduta del Muro di Berlino, con la protezione di un dipartimento della STASI — la Staatssicherheit, il complesso degli organi di sicurezza della RDT —, Frank Hübner, ventiseienne, ha lanciato il movimento DA, Deutsche Alternative, un’organizzazione molto disciplinata di 120, poi di 300 militanti, dei quali almeno un terzo ha ricevuto una formazione paramilitare. E nel 1990, data del primo congresso pubblico della DA, Christian Worch, allora trentaquattrenne, che aveva costituito ad Amburgo la Lista Nazionale, un altro gruppo apertamente neonazista, prendeva contatto con Frank Hübner. Ebbene, a Rostock, gli attacchi di commando erano diretti da quest’ultimo, al quale Christian Worch aveva mandato rinforzi.
Una decina di testimoni ha notato — non solo a Rostock, ma in cinque o sei altre città dell’ex RDT — che i violenti erano inquadrati da persone che disponevano di radio e di walkie-talkie e da agenti di collegamento, e ha messo in rilievo la straordinaria disciplina dei militanti di questi movimenti, ai quali si sono uniti ragazzi dai dodici ai diciassette anni.
Anche Robert B. Goldmann, che rappresenta in Europa gli ambienti dello B’Nai B’rith — l’ordine massonico mondiale ebraico —, ammette, su The International Herald Tribune del 3 settembre 1992, che si tratta di elementi “marginali” e che la Germania non è in questione. Infatti, contrariamente al titolo di Le Monde, secondo cui L’estrema destra sviluppa una strategia della tensione, il terreno propizio a ogni genere di provocazione destabilizzante viene utilizzato dalla STASI-bis.
A partire dal 1988, è stata organizzata una rete segreta di circa 2.000 OiBE, Offiziere im Besonderen Einsatz, “ufficiali in missione speciale”, nella RDT e di circa 7.000 nella RFT, la Repubblica Federale di Germania: per la gran parte, spie “in sonno”, da utilizzare in un prosieguo di tempo, viventi sotto falso nome, integrati nella società tedesca; per una parte minore, sabotatori e agitatori, costituiti in cellule da 3 a 5 membri (1).
Quando questo dispositivo era parzialmente organizzato, sono caduti il Muro di Berlino, quindi il regime comunista. Ho a suo tempo accusato il governo di Bonn — soprattutto Hans-Dietrich Genscher — di gettare il “mantello di Noè” su questa operazione, e ho segnalato che 11 deputati su 66 nel Meclemburgo, 12 su 106 nella Sassonia-Anhalt, 20 in Sassonia, 11 nel Brandeburgo, 3 in Turingia, e così via, erano in realtà “ufficiali in missione speciale”; inoltre, che Hans Modrow — di cui François Mitterrand diceva nel 1990: “Lei è l’uomo della stabilità fra l’Est e l’Ovest” — era il comandante della STASI.
Ebbene, questi personaggi, i loro amici e i loro complici all’interno dell’amministrazione federale tedesca, hanno coperto fino a ieri questa rete della STASI-bis. Escludendo qualche allontanamento, il governo federale ha lasciato al loro posto tutti i poliziotti dell’ex RDT, che non vanno certamente confusi con i poliziotti della STASI stessa. Ma, per quarant’anni, quei poliziotti hanno imparato a ubbidire e a non avere nessuna iniziativa. Così, quando si sono trovati di fronte dei commando organizzati dalla STASI, sono stati disorientati e sopraffatti. A Bonn, qualcuno non voleva credere allo scenario di cui evocavamo l’eventualità dal 1990.
Orbene, a Rostock, fra il 28 e il 30 agosto 1992, in mezzo ai commando, sono stati arrestati quattro ex ufficiali della STASI. In proposito, per esempio, non è comparsa una parola sulla stampa francese, a eccezione di Le Quotidien de Paris, dove un commento dell’AFP, l’Agence France Press, ciononostante assicura che questi soggetti di età dai ventuno ai ventisei anni “sono troppo giovani per aver avuto responsabilità nella Stasi”. L’autore di questo commento pratica una disinformazione completa: non sa che, dal 1986 al 1990, la STASI formava in scuole speciali giovani dai diciassette ai vent’anni, in corsi triennali, non perché assumessero responsabilità nella STASI stessa, ma perché si unissero ai commando clandestini degli “ufficiali in missione speciale”, sia nella RFT che nella RDT.
Quindi Erich Mielke, capo della STASI dal 1957 al 1990, che giocava a fare lo svampito nella sua cella da due anni — confesso di avergli creduto anch’io —, esce dai suoi sogni e fa sapere alla stampa, nel caso a Der Spiegel, che “se fossimo ancora là noi, non vi sarebbero moti come a Rostock…”. È un dato certo. Ma nessuno, da nessuna parte, si risente per queste affermazioni di un assassino di professione dagli anni Trenta, che, con Erich Honecker, ha gestito, dal 1945 fino alla fine, il controllo totalitario della RDT, tanto da uguagliare quello rumeno, con un informatore ogni cinque adulti.
Pierre Faillant de Villemarest
Nota:
(1) Cfr. il mio Le coup d’État de Markus Wolf. La guerre secrète des deux Allemagnes. 1945-1991. Documentation et synthèse Danièle de Villemarest, Clifford A. Kiracoff, Stock, Parigi 1991, pp. 327-331; e la presentazione dell’opera da parte di Oscar Sanguinetti, “Il colpo di Stato di Markus Wolf. La guerra segreta fra le due Germanie. 1945-1991”, in Cristianità, anno XX, n. 201-202, gennaio-febbraio 1992.