Cubani in esilio, Cristianità n. 177 (1990)
In occasione della visita resa dal presidente del Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica a Papa Giovanni Paolo II a Roma, il 1° dicembre 1989, un gruppo rappresentativo di cubani in esilio — comprendente membri del clero secolare e regolare e laici, fra cui Armando Valladares Pérez — ha indirizzato all’eminente uomo politico una lettera aperta, patrocinata dall’associazione Cubanos Desterrados, che ha sede a Miami, nello Stato americano della Florida, ed è diretta da Sergio F. de Paz. Il documento — che presentiamo in una traduzione dall’originale in spagnolo e con un titolo e note redazionali — è comparso su Il Tempo di Roma il 2 e il 3 dicembre come inserto intitolato Cubani in esilio. Lettera aperta al presidente sovietico: Come spiega Lei le contraddizioni così flagranti nella sua politica estera?, e ha avuto eco sulla stampa italiana.
Signor Presidente del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS
Mikhail Gorbaciov
I firmatari di questa lettera si rivolgono a Lei come cattolici cubani esiliati dalla loro patria, interpretando le aspirazioni autentiche sia del milione di compatrioti costretti a prendere la dura via dell’esilio, sia dei dieci milioni di fratelli che nell’isola soffrono, ormai da tre decenni, sotto la dittatura castrista.
La visita di Gorbaciov a Giovanni Paolo II, cornice adeguata perché cattolici cubani in esilio facciano udire la loro voce
La sua visita a Sua Santità Papa Giovanni Paolo II offre l’opportunità di questa lettera aperta, soprattutto perché la Sede di San Pietro è il centro spirituale di quanti hanno visto violati i loro diritti dal regime comunista cubano, ma anche perché Lei è il primo massimo dirigente sovietico a recarsi in Vaticano per avere un incontro con un Vicario di Cristo sulla terra, Pastore Sommo di tutti i fedeli.
Perciò pensiamo sia particolarmente opportuno che Lei, nell’imminenza di questa visita, conosca i sentimenti e le aspirazioni di tanti cattolici cubani di nascita o d’origine.
La politica estera gorbacioviana alimenta illusioni di pace mondiale…
Abbiamo seguito con attenzione lo sviluppo della politica di “ristrutturazione” e di “trasparenza” da Lei promossa nel suo immenso e popoloso paese, e, in particolare, le ripercussioni di questa sua operazione nel campo delle relazioni internazionali. Naturalmente abbiamo presenti le sue dichiarazioni tanto pubblicizzate a favore della riduzione delle truppe e degli armamenti convenzionali, e la sua conclamata disponibilità a favorire in modo decisivo la distensione fra Oriente e Occidente.
Tutto questo ha risvegliato in innumerevoli anime, da una parte e dall’altra della Cortina di Ferro, la speranza di veder allontanato dal mondo lo spettro apocalittico di un conflitto nucleare generalizzato. Nello stesso tempo, la sua politica ha alimentato in molti dirigenti occidentali e, in misura minore, in alcuni settori dell’opinione pubblica, l’impressione che si fosse giunti sulla soglia di un’era senza precedenti nel campo della pace e della convergenza universale.
Cuba continua a essere strumento di aggressione comunista nelle Americhe
Tuttavia, per quanto riguarda Cuba, anche dopo la sua visita nell’isola nell’aprile di quest’anno, nulla sembra essere migliorato.
Al contrario, la situazione interna di “violazione istituzionale di tutti i diritti” — secondo l’espressione di un noto giurista cubano in esilio negli Stati Uniti — si è aggravata. Continua a essere ridotta la pietra angolare di questi diritti, cioè la libertà per il clero dell’isola di predicare senza veli né restrizioni la vera religione, e quella, per i cattolici che vi risiedono, di praticarla senza patire minacce; fra gli elementi irrinunciabili di questa predicazione va compresa la libertà di sostenere la proprietà privata, principio basilare della civiltà cristiana (cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Acordo com o regime comunista: para a Igreja, esperança ou autodemolição?, opera onorata nel 1964 da una lettera di encomio della Sacra Congregazione dei Seminari e della Università — oggi Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica — firmata dal suo Prefetto, cardinale Giuseppe Pizzardo, e dal suo Segretario, l’allora monsignore, poi cardinale, Dino Staffa [1]).
Dal canto suo, in politica estera il regime castrista continua ad appoggiare la sovversione nell’America Centrale — come hanno denunciato noti uomini politici di questa regione — e ha continuato a dare sostegno ininterrottamente a movimenti di guerriglia in diversi paesi dell’America Meridionale, soprattutto in Colombia (cfr. Rapporto della Junta Patriótica Cubana alla 18a Assemblea Generale dell’OEA [Organizzazione degli Stati Americani], El Salvador, novembre 1988; e Rex Hudson, Castro’s America Department: Coordinating Cuba’s Support for Marxist-Leninist Violence in The Americas, CANF, Washington 1989).
Dati forniti dall’International Institute for Strategic Studies di Londra permettono di affermare che, in rapporto alla sua popolazione, Cuba è uno dei paesi più militarizzati del mondo. E, in valori assoluti, la macchina militare cubana ha una potenza considerevolmente superiore a quella di qualunque altra nazione latinoamericana, compreso il Brasile, la cui popolazione è quattordici volte più numerosa di quella di Cuba; il che contrasta con la miseria materiale del popolo dell’isola, recentemente denunciata da tre nostri Vescovi cubani della diaspora in una lettera al Cardinale brasiliano Paulo Evaristo Arns (cfr. Diario Las Américas, 11-5-89 [2]). Se a tutto questo potenziale militare si aggiungono le precedenti avventure militari cubane a sostegno di governi tirannici d’America, d’Asia e d’Africa, è evidente che il regime castrista continua a far pendere una permanente spada di Damocle sulle nazioni libere del continente.
Il discorso del dittatore Castro a Camaguëy, in occasione della commemorazione della Rivoluzione il 26 luglio scorso, ribadendo una linea ideologica e una strategia operativa che hanno fatto versare in America tanto sangue, costituisce una confessione di parte che giustifica le nostre apprensioni (cfr. El Nuevo Herald, Miami, 28-7-89).
Tecnologia e finanziamenti sovietici permettono un ricatto nucleare cubano nei confronti degli Stati Uniti
E la costruzione di due costosissimi impianti nucleari, finanziati dall’Unione Sovietica — il primo dei quali entrerebbe in funzione nel 1990 — mette in mano al tiranno la possibilità a breve termine di un ricatto atomico nei confronti degli Stati Uniti e delle nazioni latinoamericane, con conseguenze imprevedibili sul piano internazionale (cfr. Jorge F. Pérez-López, Nuclear Power in Cuba: Opportunities and Challenges, in Cuban Communism, Transaction Books, 1987; documento presentato dal senatore Symms al Congresso degli Stati Uniti, Congressional Record, Washington, 19-3-87; dispaccio dell’United Press International, 14-11-88; e rivista América Latina, n. 4, Academia de Ciencias de la URSS, 1989).
La situazione esposta non può che suscitare in noi grandissime perplessità circa gli obbiettivi reali della strategia internazionale del Cremlino. Infatti, non si può nascondere il fatto che il regime castrista dipende assolutamente dalla quotidiana iniezione sovietica di denaro e di petrolio, che impedisce a esso di crollare economicamente. Perciò ci sembra impossibile non concludere che la disastrosa e preoccupante condotta del regime castrista deriva dal plauso o, almeno, dal consenso del Cremlino. La continuità stessa di questo aiuto economico è stata assicurata con il Trattato di Amicizia e di Cooperazione firmato da Lei e dal tiranno dei Caraibi in aprile, e resa solennemente pubblica da entrambi nei rispettivi discorsi davanti all’Assemblea Nazionale, nella capitale cubana (cfr. Granma Semanal, 9-4-89; e Prisma Latino-américano, n. 93, L’Avana, giugno 1989).
La dipendenza economica e militare de L’Avana da Mosca mette in gioco la credibilità internazionale di Gorbaciov
Pertanto, data questa dipendenza vitale dell’isola-prigione da Mosca, la sollecitiamo a far valere tutto il peso della sua influenza perché venga estirpata dal seno delle Americhe questa cellula pericolosamente cancerogena, che sta contaminando la convivenza nella regione al punto da mettere in gioco, forse in modo irrimediabile, la stessa pace mondiale. Diversamente non si potrà pretendere dall’opinione pubblica cubana, sia nell’isola che in esilio, un atto di fiducia nelle prospettive di distensione universale che Lei afferma pubblicamente di sostenere. Inoltre, la stessa credibilità dell’attuale politica estera sovietica nel suo insieme verrà sostanzialmente compromessa agli occhi dell’opinione pubblica mondiale nel caso che questo nostro appello sia disatteso. Se succederà così, il governo sovietico comincerà a essere visto come corresponsabile del protrarsi indefinito della crudele avventura castrista, e nulla potrà impedire che i cubani in esilio si assumano l’incarico di farlo notare a gran voce nei cinque continenti.
Senza paura di sbagliare, siamo in grado di affermare che il caso cubano costituisce la punta emergente di un iceberg di dubbi, di apprensioni e di obbiezioni risvegliati dalla mancanza di ogni freno da parte del Cremlino all’operato di Fidel Castro.
Il recente assassinio di un vescovo colombiano ad opera di guerriglieri appoggiati da Castro conferma le gravi preoccupazioni di cubani in esilio
Un accadimento recente, di cui sarà stato certamente informato, non ha fatto che aggravare tutti i dubbi e tutte le preoccupazioni che stiamo manifestando. Si tratta del crudele assassinio del Vescovo di Arauca, in Colombia, mons. Jesús Emilio Jaramillo, perpetrato da guerriglieri dell’Ejército de Liberación Nacional (ELN), organizzazione che costituisce — come è di pubblico dominio in Colombia — una delle più sanguinarie ramificazioni della guerriglia colombiana, notoriamente appoggiata da Cuba. Il venerando prelato è stato sequestrato il 2 ottobre scorso vicino alla cittadina di Arauquita, a 450 chilometri a nord di Bogotá, mentre era con un sacerdote e due seminaristi [3]. Questi ultimi furono rilasciati dai terroristi, che però trattennero il Vescovo, che assassinarono dopo averlo sottoposto a torture.
Lei può ben valutare la ripercussione avuta da questo delitto non soltanto presso la popolazione, massicciamente cattolica, non solo della Colombia, ma anche di tutta l’America Latina. Qualsiasi azione violenta praticata contro la persona di un vescovo — un unto del Signore, un successore degli Apostoli —, secondo il canone 1370 del Codice di Diritto Canonico, incorre nella grave pena dell’interdictio latae sententiae. Il che rende ancor più grave il terribile peccato di omicidio di cui gli assassini hanno caricato la propria coscienza.
Ebbene, poiché è fatto risaputo e documentato che la Cuba castrista sostiene già da molto la guerriglia colombiana con abbondanti aiuti militari, economici e logistici, ha preso spontaneamente corpo nell’opinione pubblica una specie di “regola del tre semplice”: la Cuba castrista è responsabile del sangue versato dai comunisti in Colombia; da parte sua, questo regime non avrebbe mezzi per aiutare come fa la guerriglia colombiana, se non fosse sostenuto, a sua volta, dal Cremlino; quindi, il Cremlino è corresponsabile del sangue versato in Colombia.
Sappiamo perfettamente che tutto questo sistema di ingranaggi del terrore è stato instaurato molto tempo prima che Lei salisse al supremo potere nella sua patria, e non è assolutamente nostra intenzione attribuirLe la responsabilità di questo delitto atroce. Infatti è ovvio che, da un enorme ingranaggio governativo come quello al cui vertice Lei si trova, possono partire operazioni ignorate dal detentore del potere supremo. Tuttavia, questo non impedisce che il perdurare di questo sistema di mutua assistenza sanguinaria stia aggravando in vasti settori dell’opinione pubblica mondiale le perplessità e i dubbi precedentemente enunciati, e con questo delitto provochi l’indignazione dei cattolici latinoamericani come pure di quelli dell’America Settentrionale e degli altri continenti, perché tutti loro hanno presente che il comunismo non ha mai osato prima, in terre americane, praticare una tale violenza omicida contro un Vescovo cattolico. Tanto più che, in questo caso, ci troviamo di fronte non solo a un continuità di questo sistema, ma a una sua audace radicalizzazione. Infatti, l’assassinio di mons. Jaramillo ha tutto il valore simbolico di una sfida da parte della violenza comunista nel momento stesso in cui i suoi sforzi, Signor Gorbaciov, sono volti a convincere il mondo che questa violenza è in declino.
Misure immediate che il “leader” sovietico dovrebbe adottare per dimostrare un impegno effettivo teso a sanare una flagrante contraddizione della sua politica
Premesso tutto questo, come gesto di buona volontà — soprattutto di impegno effettivo a sanare la grave situazione descritta — sarebbe straordinariamente opportuno che Lei annunciasse il ritiro delle brigate militari sovietiche nell’isola contemporaneamente alla cessazione drastica dell’invio di armamenti e di sovvenzioni di ogni genere, che il suo governo sta concedendo al regime cubano. Le circostanze richiederebbero che Lei cominciasse con l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato di Amicizia e di Cooperazione firmato a L’Avana, che fa riferimento all’eliminazione del pericolo di una guerra nucleare, e al divieto dell’uso di armi atomiche. Inoltre sarebbe necessario che Lei condizionasse l’assistenza tecnica e il finanziamento delle centrali nucleari in costruzione alla firma immediata, da parte di Cuba, del Trattato di Tlatelolco per la messa al bando delle armi nucleari in America Latina. Come misura complementare, si renderebbe necessaria una rigorosa supervisione internazionale di queste centrali, per la quale, fin da ora, gli esuli cubani offrono tecnici della massima competenza.
Infine, proponiamo che Lei interponga i suoi buoni uffici perché una commissione designata e formata dai cubani in esilio abbia completa libertà di visitare e di percorrere l’isola-prigione allo scopo di poter informare il mondo sulla reale situazione interna cubana, sia dal punto di vista dei diritti e delle libertà dei nostri compatrioti, sia sotto il rispetto dell’attenzione alle loro necessità economiche fondamentali. A titolo di precauzione, suggeriamo fin da subito che questa commissione non comprenda sacerdoti o religiosi, per evitare che il tiranno possa compiere rappresaglie contro i cattolici dell’isola nel caso in cui le conclusioni alle quali si giunga siano contrarie al vantaggio della propaganda castrista.
Pensiamo che un impegno pubblico da parte sua, circa le considerazioni sopra presentate, sia ineludibile, quando sarà ricevuto dallo stesso Pontefice, e i mezzi di comunicazione non Le fanno mancare la dovuta attenzione.
Come cattolici cubani, desideriamo ardentemente che la divina Provvidenza si serva dell’importante momento costituito dal suo incontro personale con l’augusto Capo della Cristianità perché ridondi nel bene del genere umano, da ambo i lati della Cortina di Ferro.
Inusitata franchezza di linguaggio con una personalità di rango elevato…
Signor Presidente, rileggendo questa lettera prima di apporvi le nostre firme, ci rendiamo conto che la natura dei temi in essa abbordati ci ha imposto una franchezza di linguaggio non consueta nella corrispondenza diretta a personalità investite di cariche elevate come quella che Lei ricopre nella sua patria, quell’illustre Russia, il cui nome — splendente di auguste tradizioni cristiane — pronunciamo con affetto fraterno e con profondo apprezzamento.
Tuttavia, i nostri animi non fanno che rendere patente il grido di afflizione e di sofferenza di tutti coloro che gemono sotto la tirannide castrista; contemplano con sbalordimento il sangue che bagna il territorio colombiano devastato dai guerriglieri; seguono con angoscia le tragiche conseguenze delle avventure castriste nell’America Centrale; si tengono informati dell’aiuto cubano al movimento guerrigliero urbano Tupac Amaru, in Perù, e si chiedono se atrocità identiche praticate da Sendero Luminoso non siano anch’esse risultato della collaborazione del regime dell’isola-prigione.
… mitigata dall’invocazione a martiri, vittime del comunismo, chiedendo loro che dal cielo preghino per perseguitati e per persecutori
Comunque, vogliamo concludere questa lettera con parole che in qualche modo mitighino la necessaria franchezza con cui si presenta.
Così, al momento di firmare, ci volgiamo in spirito di preghiera all’anima del ricordato Vescovo mons. Jaramillo, presumibilmente adorno dell’aureola e della gloria del martirio, così come a quelle di tanti altri martiri, la cui sublime perseveranza nella fede li portò a opporsi alla violenza comunista in America Latina: dall’indimenticabile sacerdote messicano, beato padre Pro, ai più modesti e ignorati martiri che siano periti forse in un identico olocausto ai nostri giorni. E li supplichiamo di pregare in cielo per i perseguitati, ma anche per i persecutori, perché l’amore di Nostro Signor Gesù Cristo, Uomo-Dio e Redentore del genere umano, raggiunge tutti. Anche se Lei non riconosce un valore oggettivo a nulla di quanto precedentemente detto, Le darà almeno un’idea dello stato d’animo che ci muove in questa iniziativa.
Voglia accettare i nostri auguri di pace e di bene per Lei e per la millenaria Russia. Pace e bene che gli uomini non raggiungeranno mai se non ai piedi della Croce, vicino a Gesù, che agonizza e che recita la Sua ultima preghiera, e a Maria, Sua Madre, la cui gloriosa intercessione si leva fino a Lui, a favore di tutti gli uomini, in tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Miami, ottobre 1989
Note:
(1) Cfr. trad. it.: La libertà della Chiesa nello Stato comunista. La Chiesa, il decalogo e il diritto di proprietà, Cristianità, Piacenza 1978.
(2) Cfr. trad. it.: mons. Eduardo Boza Masvidal, vescovo a Los Teques, in Venezuela, mons. Augustín Román, vescovo ausiliare di Miami, negli Stati Uniti d’America, e mons. Enrique San Pedro S.J., vescovo ausiliare di Galveston-Houston, negli Stati Uniti d’America, Lettera aperta al Cardinale brasiliano Paulo Evaristo Arns, del 9-5-1989, in Cristianità, anno XVII, n. 171-172, luglio-agosto 1989.
(3) Cfr. Giovanni Cantoni, Il “doppio” martirio di un vescovo colombiano, ibid., anno XVII, n. 175-176, novembre-dicembre 1989.