Appello di Alleanza Cattolica, Cristianità n. 175-176 (1989)
Il 22 ottobre 1989 a Taif, in Arabia Saudita, parlamentari libanesi – cristiani e musulmani – hanno subito un accordo che prevede riforme, a modifica del Patto nazionale del 1943, da realizzarsi prima della liberazione del paese dalle forze armate straniere che lo hanno invaso e lo presidiano, a cominciare da quelle siriane. Di fronte alla massiccia opera di disinformazione, che non esclude pressoché nessuna categoria di persone, Alleanza Cattolica ha pubblicato, su Avvenire di domenica 6 novembre 1989, un manifesto – qui trascritto integralmente – in cui viene fatto il punto della situazione e si forniscono così elementi per giudicare con obbiettività e spassionatamente quanto è accaduto, sta accadendo e tragicamente accadrà nel paese mediorientale.
Né guerra civile né guerra di religione, ma “guerra degli altri sulla terra libanese”
“In vasti ambienti locali e internazionali è stato detto e viene ancora detto che la guerra del Libano è una guerra civile, la cui fiamma è attizzata dal confessionalismo. Si tratta di un giudizio erroneo e ingiusto, che confonde gli effetti con le cause e fa sopportare a quanti in Libano sono trattati in modo ignominioso le colpe di coloro che hanno messo le mani su questo paese, siano essi libanesi oppure stranieri. I fattori interni hanno certamente sottoposto il Libano a una prova sociale ed economica gravissima. Ma la distruzione del Libano come popolo, come patria e come Stato non è dovuta a questi fattori, qualunque ne sia la gravità. La distruzione del Libano è da imputare a forze regionali e internazionali che, da parte loro, non hanno rispettato i diritti del Libano come popolo, come patria e come Stato.
“Indubbiamente la questione palestinese ha esercitato sugli avvenimenti del Libano un’influenza tanto profonda quanto remota. Questa questione non cessa di essere fin dall’inizio un argomento di dibattito, mentre si tratta semplicemente di una causa evidente, che esige venga fatta giustizia a un popolo espulso dalla propria terra e disperso. Perciò questo popolo non smette di reclamare il diritto di far ritorno nella sua patria in conformità con le risoluzioni delle Nazioni Unite, senza pertanto essere ascoltato.
“Ma, nel frattempo, il popolo palestinese rifugiato in Libano non ha rispettato i diritti del popolo libanese che gli aveva dato ospitalità. Ha anche cercato di costituire uno Stato nello Stato e di falsare il delicato equilibrio libanese, schierandosi con una frazione del nostro popolo contro un’altra.
“Detto questo, la colpa del popolo palestinese è stata moltiplicata da quella degli Stati interessati e che, da parte loro, sono responsabili della sorte di questo popolo. Infatti, invece di liberare il Libano dal suo fardello e di onorare i diritti dei palestinesi permettendo loro di costituire il loro Stato sulla loro terra, gli Stati in questione hanno messo il popolo palestinese in conflitto con il popolo libanese e ottenuto la distruzione dei due popoli.
“Il fatto di colpire un popolo attraverso un altro popolo ha infatti posto la discordia fra i cittadini di uno stesso paese, e proprio in questo è consistito il complotto che si è servito dei libanesi come di strumenti per i suoi misfatti. Gli autori del complotto hanno provvisto i libanesi di tutte le parti di denaro e di armi, e hanno alimentato nella popolazione gli odî, che covano in ogni sorta di società umana. Allora si è talvolta parlato di guerra civile e talvolta di guerra religiosa. Ma la verità è stata riconosciuta per quella che è e non smette di essere. Si tratta proprio, come è stato detto, della guerra degli altri sulla terra libanese” (1).
La morale e il caso libanese: “è colpevole non difendere i deboli”
Dunque, “dinanzi agli occhi di tutto il mondo si sta consumando un processo che coinvolge la responsabilità dell’intera società internazionale. È il processo che sta portando alla distruzione del Libano. In realtà, ci troviamo di fronte ad una minaccia per l’intero ordine della vita internazionale. È una minaccia di natura morale, tanto più dolorosa perché è uno Stato più debole che subisce la violenza o l’indifferenza dei più forti. Difatti, anche per la vita internazionale vale il principio secondo cui non è lecito recare danno al più debole, non è lecito uccidere il più debole. Chi così opera, è colpevole sia dinanzi a Dio, Giudice supremo, sia dinanzi alla giustizia della storia umana. La colpa morale grava pure su tutti coloro che, in tali situazioni, non difendono i deboli, mentre avrebbero potuto e dovuto farlo” (2).
L’atroce agonia di un popolo e i suoi “sacrifici eroici”
Così, dal 1975, disinformazione e silenzio gravano sul “massacro di un popolo” (3) provato da 170 mila morti, da un milione di profughi, da 40 mila orfani, dalle macerie materiali e morali del paese, il cui territorio si trova per la gran parte sotto il controllo dell’esercito siriano, mentre contingenti militari israeliani, iraniani e palestinesi ne presidiano porzioni minori. E “ad un’informazione spesso parziale o superficiale” (4), utile “per assuefarci alle tribolazioni crudeli” (5) e per coprire l’abbandono, si è spesso aggiunta la condanna e la calunnia nei confronti di quanti fra i cristiani – come nella Polonia del 1939 (6) – si sono levati a “difendere i deboli” così come hanno potuto, “fratelli i quali, nella storia lontana e recente, hanno dovuto affermare il loro essere cristiani al prezzo, sovente, di sacrifici eroici […] [e che sono] oggi assediati dalla violenza delle armi e della parola” (7).
La sovranità e le riforme: la priorità irrinunciabile e la conferenza di Taif
Rebus sic stantibus, ne consegue che condizione irrinunciabile e previa per il ritorno alla pace in Libano è il ritiro di tutte le forze occupanti, come per altro disposto in più risoluzioni delle Nazioni Unite.
Nella conferenza conclusasi il 22 ottobre 1989 a Taif, in Arabia Saudita, i parlamentari libanesi non hanno affrontato – meglio, forse, non hanno potuto affrontare – questo problema assolutamente prioritario, e si sono limitati a delineare riforme costituzionali, che dovrebbero essere applicate sotto la minaccia di eserciti stranieri. Ma, “[…] se comprendessimo le cose secondo giustizia, non potremmo più preconizzare ipocritamente riforme, anche urgenti. Infatti, non vi è riforma che tenga finché il Libano non è stato liberato da quanti lo hanno spogliato della sua libertà di decisione” (8).
Il principio in questione è stato di recente ribadito da Sua Beatitudine Nasrallah Boutros Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti, secondo cui “innanzitutto le riforme non possono essere intraprese liberamente mentre ci sono altri eserciti nel paese. E poi non ritengo che ci sia la necessità oggi di rivedere il Patto nazionale […]. Lo si potrà fare in seguito, ma comunque sempre in un clima equilibrato, in modo che nessuno in Libano possa dire di essere stato privato di alcuni dei suoi diritti o della sua libertà” (9).
Perciò, respingendo l’accordo imposto a Taif, il governo libanese guidato dal generale Michel Aoun applica il principio – riconosciuto dalla morale naturale e cristiana e dal diritto internazionale – secondo cui ogni nazione deve essere libera di decidere del proprio futuro in piena autonomia e indipendenza; e il consenso che il popolo libanese manifesta nei confronti dell’atteggiamento assunto dal governo provano o la non rappresentatività dei parlamentari, qualora abbiano agito liberamente, oppure il loro stato di costrizione.
Il dovere della comunità internazionale
È pertanto indispensabile che tutti i governi del mondo libero – quello italiano non escluso – e le corrispondenti opinioni pubbliche intervengano con adeguate pressioni diplomatiche, economiche e propagandistiche sugli Stati che occupano direttamente o indirettamente il Libano, “dove forze congiunte, che perseguono loro propri interessi, non esitano a mettere in pericolo l’esistenza stessa di una nazione” (10), affinché ne ritirino i propri armati, in modo da permettere a tutti i libanesi, cristiani e musulmani, di riprendere a testimoniare quella convivenza che ha per decenni contraddistinto il “paese dei cedri” e ne ha fatto un mirabile esempio di tolleranza e di libertà.
Alleanza Cattolica
4 novembre 1989
Solennità di san Carlo Borromeo
Note:
(1) Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano, Lettera pastorale Un Libano degno dell’uomo, del 10-12-1988, n. 1.3., trad. it., in Cristianità, anno XVII, n. 169, maggio 1989.
(2) Giovanni Paolo II, Introduzione alla recita dell’Angelus Domini, del 15-8-1989, a Castel Gandolfo, in L’Osservatore Romano, 16/17-8-1989.
(3) Idem, Lettera apostolica sulla situazione nel Libano Ancora una volta, del 7-9-1989, n. 3.
(4) Ibid., n. 5.
(5) Ibid., n. 3.
(6) Cfr. Idem, Lettera apostolica per il 50° dell’inizio della II Guerra Mondiale “Mi hai gettato nella fossa”, del 27-8-1989, n. 8; cfr. anche Idem, Messaggio alla Conferenza Episcopale Polacca in occasione del 50° anniversario dell’inizio della II Guerra Mondiale il 1° settembre 1939 “…E allora il nostro messaggio”, del 26-8-1989, n. 2.
(7) Idem, Lettera apostolica sulla situazione del Libano Ancora una volta, cit., n. 5.
(8) Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano, doc. cit., ibidem.
(9) Nasrallah Boutros Sfeir, “Il Libano ai libanesi”, intervista a cura di Fabio Zavarotto, in Avvenire, 1-10-1989.
(10) Giovanni Paolo II, Lettera apostolica per il 50° dell’inizio della II Guerra Mondiale “Mi hai gettato nella fossa”, cit., ibidem.