Mentre la situazione della Repubblica di Croazia permane critica, nonostante la fine della moratoria relativa alla sua proclamazione d’indipendenza, nata da inequivoca scelta, un documento dell’episcopato croato aiuta a comprendere la situazione e le sue radici storiche e ideologiche, nonché a combattere la disinformazione dell’”orchestra” socialcomunista ancora all’opera. Il testo è presentato in una traduzione redazionale da la documentation catholique, anno 73°, n. 2030, 16-7-1991, pp. 595-598, dove è comparso con il titolo Le risque d’un retour à la dictature communiste. Lettre des évêques croates de la Yougoslavie à tous les évêques catholiques du monde.
Venerabili Confratelli,
Introduzione
Le tensioni politiche e ideologiche che in questo momento scuotono l’Europa Meridionale, soprattutto le nazioni che compongono la Jugoslavia, ci sollecitano a indirizzarvi questa lettera per spiegare le situazioni in cui vivono la nostra Chiesa e la nostra nazione.
I. La situazione della Chiesa cattolica fra i croati
Circa 4.500.000 cattolici croati abitano, prevalentemente, nella Repubblica di Croazia e nella Repubblica di Bosnia-Erzegovina. Un numero più ridotto di questi cattolici si trova nelle Repubbliche di Serbia e di Montenegro.
I croati rappresentano circa l’80% della popolazione totale della Croazia; un po’ più dell’11% degli abitanti di questa repubblica sono di nazionalità serba, mentre il resto della popolazione appartiene a diverse altre etnie, in maggioranza di confessione cattolica. In Bosnia-Erzegovina i croati costituiscono circa il 20% della popolazione (circa 800.000); il 40% della popolazione è musulmana e un po’ più del 30% è serba. La Chiesa cattolica di Croazia è organizzata in undici diocesi, delle quali una è di rito cattolico orientale (greco-cattolico). Tre altre diocesi cattoliche sono in Bosnia-Erzegovina. Oltre le questioni comuni che trattano in seno alla Conferenza Episcopale di Jugoslavia, i Vescovi di Croazia — proprio come i Vescovi di Slovenia — si riuniscono separatamente per trattare i problemi pastorali che riguardano i territori di loro competenza. Vi inviamo questa lettera a nome dell’Assemblea dei Vescovi croati.
II. La nazione e la Chiesa croate oppresse durante la monarchia jugoslava (1918-1941)
Dominazione della dinastia serba
Nel 1918 i territori di nostra giurisdizione ecclesiastica cessarono di far parte integrante dell’Impero Austro-Ungarico. Poco dopo furono uniti al Regno di Serbia, a cui si era già unito il Regno di Montenegro. Così, per la prima volta nella nostra storia, fummo sottomessi a una dinastia, che aveva stabilito la Chiesa ortodossa serba come “Chiesa di Stato”. Inoltre, era come se ormai venisse gettato un ponte sopra la frontiera storica fra la parte orientale e quella occidentale dell’Impero Romano, fra la cultura bizantina, che caratterizzava lo Stato serbo, e i nostri territori formati nell’ambito della cultura latina.
Intensa persecuzione dei croati
Gli uomini politici degli ex territori dell’Impero Austro-Ungarico, incorporati nel nuovo Stato, credevano al principio dell’uguaglianza dei popoli costitutivo del nuovo Stato, e dell’uguaglianza delle nazioni che componevano la nuova comunità. La politica serba, al contrario, considerava il nuovo Stato come una “Serbia allargata” e i suoi rappresentanti agivano di conseguenza. Queste due concezioni opposte turberanno il Regno di Jugoslavia durante tutta la sua esistenza, cioè per più di vent’anni. I croati cercheranno di proteggere la loro identità culturale e nazionale, ma saranno oggetto di un’intensa persecuzione. Le carceri rigurgiteranno di croati e l’aggressione dello Stato farà fra loro numerose vittime. L’avvenimento più tragico ebbe luogo nel 1928, quando i deputati croati, con il loro leader politico dell’epoca, Stjepan Radic, sono stati assassinati a Belgrado nello stesso emiciclo del parlamento. La Chiesa sentiva le sofferenze della nazione croata e tentava di intervenire presso le autorità per i perseguitati, dando anche un sostegno spirituale alle legittime aspirazioni del popolo.
La Chiesa ortodossa serba impedisce il Concordato con la Santa Sede
Dopo l’assassinio di re Alessandro a Marsiglia, nel 1934, il regime tenta di calmare un poco gli spiriti prima con la firma di un Concordato con la Santa Sede (1937), e poi concedendo ai croati una certa autonomia (“Banovina”, Banato di Croazia, 1939). Però il Concordato non potrà essere ratificato a causa delle grandi manifestazioni anticattoliche organizzate dalla Chiesa Ortodossa serba, e il Banato croato non giungerà a consolidarsi durante la sua breve durata di un anno e mezzo.
III. Il martirio dei croati e della Chiesa durante e dopo la seconda guerra mondiale (1941-1990)
Il popolo croato esposto a sanguinose devastazioni
La seconda guerra mondiale distruggerà il Regno di Jugoslavia in soli dieci giorni, nell’aprile del 1941. Tutte le nazioni non serbe, che ne facevano parte e che hanno sempre considerato questo regno come una prigione, salutano la sua caduta e la vivono come una liberazione. Ma questo avvenimento accade durante l’occupazione da parte delle forze dell’Asse. In tali circostanze viene proclamato lo Stato di Croazia, i cui leader non sono eletti democraticamente, ma designati dalle potenze dell’Asse e quindi asserviti a esse. Scoppia la guerra civile; il popolo ne soffre le conseguenze, in modo assolutamente particolare sul territorio di quella che era allora la Croazia. I croati subiscono gli attacchi dei gruppi armati serbi (“cetnici”), mentre il regime croato (“ustascia”) si vendica sugli abitanti serbi di Croazia. La guerriglia comunista locale fa la sua comparsa quando la Germania dichiara guerra all’Unione Sovietica (fine giugno del 1941). I comunisti, in quanto movimento di resistenza, con metodi loro propri, controllano o emarginano tutte le altre forze attive o passive della resistenza democratica e mettono in opera il loro programma d’instaurazione di un sistema di governo comunista, ricalcato sul modello sovietico. Gli sforzi della Chiesa per salvare vite umane sono notevoli, come lo provano numerosi documenti; ma questi sforzi vengono ignorati e il regime comunista proibirà fino a oggi la pubblicazione di questi documenti.
Illusione e fallimento di una federazione governata dai comunisti
Tanto durante che dopo la guerra gli alleati occidentali fallirono nei loro sforzi per sostenere la resistenza favorevole al modello politico occidentale e per instaurare un regime democratico nei nostri territori. I comunisti, con l’appoggio dell’Unione Sovietica, non terranno in nessun conto le loro promesse precedenti ed elimineranno tutte le forze democratiche. La restaurazione della Jugoslavia, ormai federale e non più unitaria, era motivata da un’eventuale soluzione del problema delle diverse nazioni viventi in un solo paese, di modo che ogni Repubblica che faceva parte della Federazione rispettasse la sovranità delle altre, collaborando con esse a livello federale. Tuttavia, poiché il monopolio governativo comunista era praticato in un modo centralistico e totalitario, escludeva ogni democrazia e non rispettava i diritti umani fondamentali, la soluzione del problema dei diritti nazionali doveva restare utopistica.
Aggressione violenta dei comunisti contro la nazione e la Chiesa croate
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica e il popolo croato possiamo testimoniare che hanno dovuto subire tutta la durezza della violenza comunista tanto durante la guerra che dopo di essa. Per ragioni di carattere generale, di ordine ideologico, ma più concretamente sulla base del principio di una colpevolezza collettiva, a causa dell’alleanza delle autorità croate dell’epoca con le forze dell’Asse, ne seguirà una politica di massacri, di campi di concentramento, e un’emigrazione forzata, accompagnata da un indottrinamento ateo, soprattutto grazie al sistema comunista d’educazione. Tutto questo porterà gravi colpi alla Chiesa cattolica e alla nazione croata, sia dal punto di vista demografico che spirituale. L’applicazione dei princìpi bizantini alla politica comunista verso la Chiesa si manifestò anche negli sforzi dei comunisti di separare la Chiesa cattolica di Croazia dal Successore di Pietro, cercando così di provocare la perdita dell’identità culturale della nazione e la sua integrazione in un mondo culturale d’ispirazione orientale. Questi sforzi dovevano fallire, certo, ma la Chiesa cattolica sarà costantemente accusata di essere l’animatrice della resistenza culturale della nazione croata nonché un’agente della forze occidentali (Vaticano). La vittima più illustre di questa politica sarà l’arcivescovo di Zagabria, Alojzije Stepinac, uno fra parecchie centinaia di sacerdoti e di vescovi imprigionati o uccisi dai comunisti. Egli diventerà anche il simbolo della resistenza spirituale dei croati.
In quelle circostanze fummo particolarmente riconoscenti per il sostegno venuto dalla Santa Sede e dalle Chiese particolari di tutta l’Europa e d’America. Apprezzammo anche molto l’aiuto ricevuto da numerose istituzioni caritative. Bisogna aggiungere che il regime comunista, da parte sua, perdeva progressivamente il suo rigore, e che era diventato possibile, per la Chiesa, realizzare, nella sua vita interna, un certo numero di riforme raccomandate dal Concilio Vaticano II.
IV. Difficile cammino verso una società democratica
Venti nuovi
Gli avvenimenti che hanno avuto luogo recentemente nell’Europa Centrale, e che costituiscono una svolta storica, hanno reso possibile, anche per noi, nel 1990, l’indizione delle elezioni parlamentari libere e pluralistiche, per la prima volta dopo la guerra. Il rispetto dei diritti umani fondamentali, una libertà civile effettiva e un regime democratico secondo il modello occidentale sono per noi le grandi novità impensabili solo qualche anno fa.
La Chiesa ha incoraggiato il popolo a liberarsi dalla paura e dall’apatia e a far valere i suoi diritti civili partecipando alle elezioni libere. Crediamo di poter così contribuire a una transizione non violenta verso un nuovo modello democratico nel nostro paese. Ne ringraziamo Dio.
Aspirazioni legittime alla libertà e all’autodeterminazione
Le elezioni libere hanno aperto la via allo sviluppo di altri diritti civili e religiosi, ma anche alla realizzazione della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli. Si presenta un nuovo consenso storico; mostrerà sia che l’uguaglianza fra le nazioni è finalmente divenuta possibile sul territorio della Jugoslavia creata nel 1918, sia che ogni nazione può acquisire la sua indipendenza e entrare a far parte della Comunità Europea singolarmente. Dopo una dolorosa esperienza con la prima Jugoslavia (1918-1941) e la seconda (1945-1990), la Chiesa sostiene ora un nuovo quadro politico fondato sull’indipendenza delle nazioni, vedendovi la possibilità di godere di una maggiore libertà per le sue opere, per tacere di una coesistenza più pacifica, con relazioni ecumeniche, in una società pluralistica.
La democrazia nascente minacciata dalle forze del passato
Ci scontriamo con una forte resistenza ai cambiamenti democratici. Essa si esprime attraverso un progetto politico che favorisce il mantenimento di un socialismo di tipo comunista, che manterrebbe una Jugoslavia centralizzata, nella quale il predominio degli interessi serbi sarebbe completamente conservato. Le forze che cercano di promuovere questo progetto sono costituite da importanti uomini politici serbi, da ufficiali dell’esercito (in grande maggioranza serbi) e purtroppo da parecchie personalità della Chiesa Ortodossa serba. Così l’ideologia comunista, le tendenze panserbe e il potere militare scoprono di avere obbiettivi comuni per opporsi fortemente alla tradizione culturale occidentale, alle aspirazioni democratiche e ai successi iniziali della Croazia e della Slovenia, due Repubbliche chiaramente attaccate alle tradizioni dell’Europa Occidentale.
Le menzogne grossolane della propaganda serba
Queste forze conducono attualmente una spietata guerra propagandistica e minacciano di intervenire militarmente. La loro propaganda si accanisce sempre con particolare grossolanità contro la Chiesa cattolica, sia locale che universale, contro la persona del Santo Padre e contro il Vaticano in quanto simbolo di tutti i mali. Le pubblicazioni serbe, sia profane che religiose — questo ci rende particolarmente tristi —, e i discorsi pubblici ripetono costantemente una formula mostruosa e demente nel grado più elevato, cioè che il Vaticano, il Comintern, l’integrismo islamico e la CIA cospirano insieme contro i serbi. Anche alcuni membri della gerarchia ortodossa serba non misurano le loro parole d’accusa contro la Chiesa cattolica, e questo malgrado tutti i nostri sforzi perché, in questo clima ecumenico gravemente compromesso, le nostre dichiarazioni — respingendo queste imputazioni — siano formulate con molta attenzione, in modo da non offendere le persone né ferire i caratteri cristiani dell’Ortodossia. Ma, da un lato l’odio molto diffuso verso il cattolicesimo, e dall’altro l’opposizione a ogni aspirazione alla libertà dei croati e degli sloveni, hanno raggiunto un livello al quale sembra possibile qualsiasi tragedia.
Le forze militari favorevoli alla restaurazione del comunismo. Pericolo della “kosovizzazione” e della “libanesizzazione” della Jugoslavia
Dopo la gioia suscitata, l’anno scorso, dalla vittoria dei partiti politici non comunisti nelle elezioni libere, i fedeli sono stati progressivamente conquistati dalla paura e un buon numero di loro è già pronto a difendersi con le armi in pugno. La sproporzione fra la forza dei militari, che rappresentano il vecchio regime comunista, e quella della polizia della Repubblica croata, che protegge il nuovo sistema democratico, aumenta semplicemente il pericolo d’interruzione dei negoziati politici fra le Repubbliche della Jugoslavia. Bene, una tale interruzione porterebbe inevitabilmente alla restaurazione della dittatura comunista. Questo pericolo è tanto più grave per il fatto che i comunisti — talora ribattezzati “socialisti” — hanno mantenuto il potere nelle Repubbliche di Serbia e di Montenegro. Inoltre, le elezioni per costituire un nuovo potere federale non si sono ancora svolte, e la vecchia legislazione federale è sempre in vigore nella maggior parte dei settori. Il pericolo di una “kosovizzazione”, cioè della soppressione dei diritti nazionali come è stata imposta alla popolazione albanese del Kosovo negli ultimi anni, pesa su di noi come una possibilità concreta. Da qui a una “libanesizzazione” dei nostri territori il cammino è breve.
Richiesta di aiuto e di solidarietà per la costruzione della democrazia
Abbiamo redatto preghiere per la giustizia e per la pace ed esortiamo i fedeli a recitarle spesso. Vogliamo anche esprimere la nostra gratitudine per il sostegno che ci dà l’opinione pubblica internazionale democratica e per i suoi sforzi tesi a influenzare le parti interessate a favore dei negoziati per una soluzione costituzionale della crisi attuale piuttosto che con il ricorso alla forza. Anche gli ambienti cattolici internazionali potrebbero contribuire al successo di questi sforzi.
Una visita del Santo Padre alla nostra Chiesa sarebbe per noi una grande consolazione. Ma, nonostante gli inviti ufficiali fatti dal governo jugoslavo a più riprese, le forze anticattoliche sono fino a ora riuscite a impedire questa visita. Questo fatto è di per sé un segno evidente della condizione della nostra Chiesa nella Jugoslavia attuale.
Con questa lettera abbiamo voluto descrivere ai nostri fratelli nell’episcopato la situazione della Chiesa cattolica nella nazione croata. Abbiamo ritenuto necessario scrivere perché formiamo con voi una sola Chiesa e, “se un membro soffre, tutte le membra soffrono; se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12, 26). Desideriamo anche contrastare ogni possibile disinformazione dell’opinione pubblica; d’altronde questa disinformazione spiega perché la nostra posizione non è sempre ben compresa da tutti i cattolici nel mondo.
Vi salutiamo nel Signore e vi saremo grati delle vostre preghiere e della vostra solidarietà fraterna.
Zagabria, 11 febbraio 1991
Card. Franjo Kuharic
Arcivescovo metropolita di Zagabria
Mons. Ante Juric
Arcivescovo metropolita di Spalato-Makarska
Mons. Vinko Puljic
Arcivescovo metropolita di Sarajevo
Mons. Anton Tamarut
Arcivescovo metropolita di Fiume-Segna
Mons. Marijan Oblak
Arcivescovo di Zara
Mons. Srecko Badurina
Vescovo di Sibenik
Mons. Anton Bogetic
Vescovo di Parenzo e di Pola
Mons. Josip Bozanic
Vescovo di Veglia
Mons. Ivo Gugic
Vescovo di Kotor
Mons. Franjo Komarica
Vescovo di Banja Luka
Mons. Ciril Kos
Vescovo di Djakovo e di Syrmie
Mons. Slavomir Miklovs
Vescovo di Crisio
Mons. Zelimir Puljic
Vescovo di Ragusa
Mons. Slobodan Stambuk
Vescovo di Lesina
Mons. Pavao Zanic
Vescovo di Mostar
Mons. Duro Koksa
Vescovo ausiliare di Zagabria
Mons. Ivan Prenda
Vescovo coadiutore di Zara
Mons. Marin Srakic
Vescovo ausiliare di Djakovo