Giovanni Cantoni, Cristianità n. 209-210 (1992)
Intervista con il generale Michel Aoun
Il 23 e il 30 agosto e il 6 settembre 1992, si è svolta in Libano una consultazione elettorale politica in tre tornate, interessanti rispettivamente la parte settentrionale, quella centrale e quella meridionale del paese, mentre una ripetizione parziale di essa, nella regione del Kesruan, è annunciata per l’11 ottobre.
Scopo più che comprensibile della votazione, la prima dal 1972, era quello di rinnovare il parlamento, formato dai deputati sopravviventi e integrato con quaranta unità di nomina governativa il 6 giugno 1991. Ma scopo non meno evidente della consultazione stava nel fornire una copertura “democratica”, il sigillo del consenso popolare, alla situazione creatasi nel paese mediorientale dopo che, il 22 ottobre 1989, deputati eletti nel 1972 avevano approvato a Ta’if, in Arabia Saudita, un infausto “accordo di riconciliazione nazionale”, e il 22 maggio 1991 il governo guidato da Omar Karamé aveva firmato un trattato detto di “fratellanza, coordinamento e cooperazione” fra la Repubblica Libanese e la Repubblica Araba Siriana, sostanzialmente inteso — sulla scia dell’accordo di Ta’if — a sancire la trasformazione della prima in un protettorato della seconda, nella prospettiva non troppo occulta dell’annessione finale, funzionale alla realizzazione della Grande Siria; e, ciononostante, i maggiori mezzi di comunicazione sociale — gli stessi che qualificano volentieri Saddam Hussein come il “Führer irakeno” — non paiono ancora intenzionati a parlare di “Anschluß siriano” o a evocare, a proposito dell’attuale situazione libanese fra Siria e Israele, quella polacca nel 1939, fra Germania nazionalsocialista e Russia sovietica.
Alla consultazione si è opposta, con varie motivazioni, la gran parte delle forze politiche e sociali — di fatto, tutte quelle non immediatamente e ciecamente asservite al governo di Damasco —, che ha invitato al boicottaggio e il risultato è stato disastroso per l’amministrazione fantoccio, quindi per l’occupante siriano: infatti, la quasi totalità dell’elettorato cristiano si è astenuta, seguita da una parte consistente di quello musulmano, e quanti hanno votato hanno scelto in misura rilevante rappresentanti che si oppongono alla situazione e al governo.
Fra gli oppositori della consultazione si è distinto — né poteva essere diversamente — il generale Michel Aoun, che vanta il titolo di capo del governo libanese con ineccepibile fondamento costituzionale; e dalla consultazione il suo titolo costituzionale esce rafforzato da un dissenso esplicito all’attuale governo che si trasforma in un consenso implicito a quello da lui guidato fino al fatale 13 dicembre 1990, quando nel conflitto libanese sono state improvvisamente mutate le “regole del gioco” — soprattutto quella relativa al non uso dell’arma aerea —; in poche ore il potere è passato di mano e il Libano, da paese in cui si combatteva “una guerra per gli altri” — come suona il titolo significativo e puntuale di uno scritto di Ghassan Tuéni (Une guerra pour les autres, Jean-Claude Lattes, Parigi 1985) — si è trasformato in un paese sulla via di perdere la propria sovranità e la propria indipendenza non solo di fatto, ma anche dal punto di vista istituzionale, cioè di diventare “di altri”.
Il 29 luglio 1992, a Marsiglia — a Villa Gaby, dove vive in esilio dal 29 agosto 1991 dopo essere stato ospite dell’ambasciata della Repubblica Francese a Beirut dal 13 ottobre 1990 —, ho avuto un articolato colloquio con il generale Michel Aoun sulle ragioni della sua opposizione alla consultazione elettorale, sul probabile esito della votazione e sull’orizzonte del popolo mediorientale; quindi, il 29 settembre — esaurite le tre tornate previste e in attesa di quella supplementare nel Kesruan —, chiedo telefonicamente un giudizio aggiornato allo stesso uomo di Stato libanese, che accetta di buon grado di rispondere alle mie domande.
D. Quali sono state le ragioni della sua, e non solo sua, opposizione alle elezioni che si sono svolte nella Repubblica Libanese dal 23 agosto al 6 settembre?
R. Premetto che la mia opposizione, come quella di altri che l’hanno condivisa e hanno invitato come me al boicottaggio, non è stata opposizione alle elezioni in genere, ma a queste elezioni in specie.
Non mi sono fatto determinare dall’ipotesi che vi potessero essere brogli, e anche oggi prescindo dalla denuncia tematica di quelli che si sono certamente verificati, perché tale denuncia mi pare superflua, in quanto le irregolarità si possono considerare quasi di routine, il prezzo pagato all’imperfezione umana da ogni gesto compiuto da uomini.
Credo invece importante segnalare che, a mio avviso, la consultazione si sarebbe, e di fatto si è svolta, in pendenza di una situazione caratterizzata da quattro gravi problemi congiunturali, che costituiscono le vere ragioni della mia opposizione.
In primo luogo, il territorio libanese è occupato per oltre l’ottanta per cento dagli eserciti siriano e israeliano, mentre nel rimanente venti per cento sono presenti milizie armate di diversa ispirazione: questa situazione determina la mancanza di rappresentatività dell’amministrazione nata dall’accordo di Ta’if; quindi, stando così le cose, è derisorio parlare di svolgimento della votazione in libertà, anche se ne fosse stata garantita la regolarità formale, cioè la mancanza di brogli.
In secondo luogo, è involontariamente assente dal territorio libanese circa un terzo della popolazione, per il quale è stata formalmente esclusa — in quanto non è stata assolutamente prevista — la possibilità di partecipare alla consultazione elettorale.
In terzo luogo, in vista delle elezioni, sono state disegnate e costituite circoscrizioni elettorali inconsuete, comunque intese con ogni evidenza a impedire successi di candidati cristiani anche nelle zone abitate in prevalenza da cristiani.
Finalmente, la legge elettorale, sulla cui base si sarebbe e si è votato, non si compagina — il giudizio è di operatori del diritto competenti e autorevoli — con la vigente Costituzione della Repubblica Libanese.
D. Quindi, identificato nel boicottaggio lo strumento opportuno per l’opposizione, il risultato elettorale era scontato?
R. Certamente. Le mie informazioni relativamente allo “stato d’animo” del popolo libanese mi permettevano di prevederle con notevole precisione e di annuciarne l’esito, cosa che ho fatto senza trionfalismo e senza iattanza.
D. Oltre la soddisfazione per la correttezza della previsione, che conferma la bontà delle sue antenne in Libano, e per il risultato lusinghiero, come commenta l’esito?
R. Anzitutto devo rilevare la consistenza della risposta all’appello al boicottaggio, una risposta “libanese”, cioè insieme cristiana e musulmana.
Credo di poter interpretare positivamente i risultati elettorali anche dove non è stata seguita la linea del boicottaggio: infatti, sono comunque rivelatori di opposizione all’attuale establishment politico. Insomma, le elezioni si possono descrivere come un grande referendum contro chi detiene attualmente il potere e contro le Potenze che lo sostengono, in quanto rappresenta una situazione inaccettabile per ogni libanese, sì che chi non ha boicottato ha votato contro e il consenso di cui godono appunto gli attuali detentori del potere si è rivelato assolutamente esiguo, per non dire inesistente: il che spiega pure la confusione politica che si è verificata dopo ogni tranche della consultazione; e che vi sia stata e vi sia confusione è provato in modo vistoso dalla necessità di ripetere la consultazione nel Kesruan, dove si voterà di nuovo l’11 ottobre.
Credo quindi si debba prestare grande attenzione — evidentemente accompagnata dalla necessaria cautela e, soprattutto, da indispensabili distinguo — anche a quanto ha formalmente dichiarato un autorevole leader sciita, lo sceicco Mohammed Hussein Fadlallah, e cioè che l’esito della consultazione costituisce una “grande vittoria elettorale del potere religioso cristiano e musulmano”: “I cristiani hanno vinto scegliendo il boicottaggio. Noi abbiamo vinto partecipando alle elezioni da oppositori”.
D. Ha auspici da fare?
R. Certo. In primo luogo mi auguro che la comunità internazionale in tutte le sue articolazioni, non solo quelle politiche ma anche quelle religiose e culturali, non si limiti a considerare insignificanti i risultati elettorali, ma voglia piuttosto tenere nel conto di una positiva e significativa espressione della volontà del popolo libanese soprattutto il dissenso manifestato attraverso il boicottaggio.
Quindi spero che l’opinione pubblica internazionale corregga il giudizio che si è formata, attraverso i mass media, sulla situazione libanese al tempo del mio governo in patria e prima: infatti, è molto importante una reinterpretazione globale almeno a partire dal 1975. Spero pure che i governi dei diversi paesi vogliano aiutare il mio popolo a riconquistare la libertà, presupposto perché noi libanesi possiamo riesaminare la nostra situazione fra noi, senza ingerenze esterne, e così ridare alla nostra patria uno Stato coerente con la sua natura e con la storia del nostro popolo.
Insomma, auspico che, al più presto, si possano svolgere in Libano elezioni veramente libere dopo e grazie al ritiro delle forze straniere, condizione perché noi libanesi di tutte le confessioni possiamo concordare fra noi le modalità di consultazioni atte a decidere il nostro futuro in conformità con la nostra storia.
D. Oltre che della comunità internazionale e dei governi, ha parlato anche dell’opinione pubblica. Può fare qualcosa per i libanesi pure chi non detiene e non esercita direttamente potere politico?
R. Credo che il contributo di una conoscenza adeguata del nostro presente e del nostro passato sia assolutamente fondamentale per la formazione di un’opinione pubblica ben orientata, che, dove vige un’autentico regime democratico, costituisce base indispensabile per un’azione politica corretta: quindi, ogni libanese deve essere grato a chi diffonde con costanza e contro corrente la “verità sul Libano”.
a cura di Giovanni Cantoni